RIDOLFI, Lorenzo
RIDOLFI, Lorenzo. – Nacque nel 1362, da Antonio, discendente di Ridolfo, mercante originario del castello di Poppiano in Val di Pesa che a metà del XIII secolo si era trasferito a Firenze.
Il padre, continuando l’attività avita con buoni profitti, alla sua morte (1385) figurava a capo di un gruppo parentale dimorante nel quartiere fiorentino di San Felice in Piazza ed era da tempo impegnato nella vita politica cittadina, quale membro del partito Guelfo e vicino ai Grandi. Questa sua posizione ebbe conseguenze negative durante i dolorosi fatti dell’estate del 1378, quando i Medici e la Commissione degli Otto tentarono di eliminare i Grandi dalla leadership cittadina, sostituendoli con un regime controllato dal popolo grasso.
Per tale ragione Antonio dovette subire gli attacchi dei rivoltosi e poi quelli dei Ciompi, soffrendo, per due volte, l’incendio della dimora di famiglia e, infine, la condanna all’esilio (a Viterbo) e la riduzione dei diritti politici, essendo stato dichiarato magnate.
Durante questi anni turbolenti, il giovane Ridolfi completò gli studi di arti liberali, appassionandosi ai classici latini e ai logici medievali. Tra i suoi maestri, il più importante fu senza dubbio Coluccio Salutati, al quale rimase lungamente legato. Sotto questa guida, infatti, maturò l’attrazione per il mondo classico e l’interesse per la ricerca dei libri antichi che lo portò a esplorare ricche raccolte librarie, come quella di Martino da Signa, in cui, tra i volumi appartenuti a Giovanni Boccaccio, scoprì l’Aulularia, Pomponio Mela e il trattato pseudoaristotelico De mirabilibus auscultationibus in traduzione latina. Nello stesso tempo, apprese nozioni di greco e diede alla luce alcuni lavori di stampo preumanistico, come il Tractatus de terminorum suppositione, nei quali «Ovidio, Boccaccio, Virgilio e Petrarca si incontrano, curiosamente, con i filosofi inglesi» (Martino, 1988, p. 183).
Trascorso in patria il periodo della prima formazione, Ridolfi, nel 1381, si trasferì a Bologna dove, nel locale Studio, seguì i corsi di alcuni famosi canonisti del suo tempo, tra i quali Gaspare Calderini, Giovanni Fantuzzi, Giovanni da Legnano e, soprattutto, Lorenzo di Pino, che era succeduto a Giovanni. Degli anni trascorsi nella città felsinea, sappiamo poco o nulla, ma alcuni indizi ci consentono di affermare che il giovane Ridolfi rimase assai legato al suo ultimo maestro, il quale risulta ampiamente citato in diverse sue quaestiones disputatae.
La permanenza a Bologna si protrasse per circa sei anni, fin oltre il completamento degli studi, che avvenne il 26 settembre 1387 con il conseguimento del dottorato in diritto canonico.
Già l’8 maggio dell’anno precedente, peraltro, Ridolfi fu impegnato in una repetitio (in scholis) sulla decretale Cum ordinem e nella disputa privata della quaestio Optinuit a sede apostolica Iohannes rescriptum in causa decimali; mentre, il 10 gennaio 1387, studente ormai maturo, disputava sub doctore la quaestio Ieronimus clericus florentinus. Nelle settimane successive, con ogni probabilità, affrontò il cosiddetto tentamen, perché il 16 febbraio 1387, sostenne il privatum examen e, due giorni più tardi, conseguì la licenza privata. Ottenuti i gradi dottorali, Ridolfi si trattenne ancora per breve tempo nella città felsinea ove, eletto ‘ad lecturam Sexti et Clementinarum’, il 7 dicembre 1387 compose e discusse una repetitio sulla clementina Causa beneficiali e, il 6 maggio successivo, disputò la questione Fundavit seu construxit quidam Iacopus nomine certum altarem.
Dopo questa brevissima docenza bolognese, Ridolfi fece ritorno in patria, ove il fratello Nicolò aveva predisposto il suo matrimonio con Caterina Barucci («vocatam Pichinam») che poté incontrare il 12 luglio 1388. A Firenze, tra l’altro, l’attendeva un insegnamento nello Studio ove, alla spiegazione del Sextus e delle Clementinae, alternò la lettura ordinaria del Liber Extra. L’attività didattica ed esegetica svolta nell’ultimo decennio del XIV secolo è documentata da alcune repetitiones e questiones conservate in un manoscritto oggi conservato a Messina (cfr. infra). Quest’ultimo genere letterario appare, evidentemente, assai caro a Ridolfi, nonostante, negli stessi anni, egli passi alla ben più impegnativa lectura del Decretum Gratiani.
Con il nuovo secolo gli arrivò la nomina (1402) ad legendum Decretales e vide la luce (1404) quello che potremmo definire il suo capolavoro: il Tractatus de usuris et materia Montis, di cui si conservano l’autografo e diverse copie in codici manoscritti. Dopo tale data non si hanno più testimonianze relative a un’attività esegetica di Ridolfi, e cessano dopo un breve periodo anche i riferimenti alla didattica: resta l’attività ben più remunerativa di consulente, cui forse già negli ultimi tempi del soggiorno bolognese si era dedicato in alternanza con l’insegnamento. È certo, comunque, che utilizzando «la crescente notorietà di professore e gli stretti legami con l’oligarchia cittadina», Ridolfi «sarà chiamato a dare una notevolissima quantità di pareri, in gran parte richiesti dai maggiori organi costituzionali del Comune su materie di rilevanza centrale per l’assetto interno ed internazionale della Repubblica» (Martino, 1988, p. 189).
Intanto, sullo scorcio del secolo, negli anni in cui Ridolfi risultava impegnato con successo nell’attività didattica e in quella pratica, a Firenze si costituì un gruppo di potere – che non si identificava più con la Parte guelfa – composto da alcune famiglie (Albizzi, Uzzano, Capponi ecc.) contrarie al popolo minuto e ai suoi ricchi protettori. Della nuova oligarchia entrarono a far parte anche i Ridolfi, riuscendo, così, a risollevarsi dalle condanne subite quindici anni prima.
A partire dal 1393, infatti, il nostro giurista iniziò una progressiva ascesa che lo portò, nel giro di pochi anni, al vertice delle più importanti magistrature della Repubblica.
Nello stesso 1393 fu ambasciatore cittadino presso il pontefice Bonifacio IX che si trovava a Perugia e, alla fine dell’anno successivo, assunse, per la prima volta, la carica di priore delle Arti, mentre due anni più tardi partecipò alla riunione del gruppo egemone in cui fu deliberato l’esilio di Donato Acciaiuoli e di quanti si erano manifestati contrari alla repressione operata da Maso degli Albizzi. In questa fase la sua posizione politica si andò sempre più rafforzando, e dall’ottobre del 1397, egli fu costantemente presente nelle magistrature fiorentine (è dei Dieci di Balìa, ma anche gonfaloniere di giustizia, priore e membro dei conservatori di legge [post 1403] e dei Dieci della guerra). Fu anche membro degli Otto di guardia (nel 1394 e 1411), e degli Ufficiali dell’onestà, magistratura competente in materia di reati di natura sessuale.
Nello stesso tempo, frequente divenne la sua partecipazione alle missioni diplomatiche che il Comune di Firenze inviava ai pontefici e agli altri Stati italiani, con l’intento di frenare l’aggressività del duca di Milano, missioni che ebbero il loro coronamento con l’accordo del 1425 tra la Repubblica fiorentina e Venezia. Altrettanto importante fu il ruolo avuto durante il Grande Scisma d’Occidente che per trent’anni divise la Chiesa cattolica, quando Ridolfi, chiamato a rappresentare gli interessi di Firenze presso papi e antipapi, svolse un ruolo non secondario nell’organizzazione del Concilio di Pisa (1409).
Non va sottovalutata, infine, la lunga attività politica svolta a supporto dell’espansionismo territoriale di Firenze, che stava costituendo un solido Stato regionale e mirava ad assicurare nuove vie di traffico ai mercanti fiorentini. Nel 1405 fu tra i Dieci di Balìa impegnati a trattare l’acquisto di Pisa, e l’anno seguente governatore del castello di Vicopisano. Un quarto di secolo più tardi, alla vigilia dell’avvento della signoria medicea, lo troviamo occupato nella repressione della rivolta di Volterra, nel prevenire quella di Siena e nei dibattiti conseguenti alla guerra di Lucca (1430).
Poco o nulla sappiamo degli ultimi quindici anni della vita di Ridolfi, da quando Cosimo de’ Medici, eliminati gli ultimi esponenti del regime oligarchico, iniziò a instaurare la propria signoria su Firenze. Certamente, in un primo momento, egli rimase estraneo alle magistrature cittadine, per poi tornare a far parte dei Dieci di Balìa, per l’ultima volta, nel quinquennio 1436-40. L’atteggiamento assunto nei confronti della Signoria medicea dovette essere, quindi, tutt’altro che ostile, tenuto conto che il figlio maggiore, Antonio, pure lui giurista, ricevette numerosi incarichi di responsabilità durante il governo dei Medici.
Morì a Firenze nel 1443.
Ridolfi è il tipico esempio di come, nei secoli del basso Medioevo, gli studi giuridici, uniti ai giusti legami parentali e a una buona dose di fortuna, permettevano ai doctores iuris di raggiungere posizioni di spicco nei gangli del potere politico dei Comuni e dei Regna. Egli, infatti, vivendo in una città vescovile e universitaria, seppe approfittare della posizione economica e politica raggiunta dal proprio gruppo familiare, mettendo a frutto il bagaglio culturale accumulato nell’adolescenza e la scientia iuris acquisita da studente a Bologna. Senza perdere il contatto con il mondo universitario, né con quello dei grandi affari di Stato, né con le occasioni di conoscenza di eminenti dignitari ecclesiastici e politici, Ridolfi seppe conquistare con grande abilità, per sé e per i suoi eredi, posizioni di indiscutibile potere. Il ricordo di uomo super partes lasciatoci da Vespasiano da Bisticci – che ebbe modo di conoscerlo negli ultimi anni della sua lunga vita – non sempre risponde a verità; egli rimane, però, un indiscusso esponente delle agitate vicende della politica italiana tra la fine del XIV e la prima metà del XV secolo.
Di lui si conservano cinque codici autografi: quattro presso la Biblioteca nazionale Centrale di Firenze contenenti l’epistolario (Panciatichi 147), il De usuris (II.III.370) e consilia (XXIX.171 e II.III.366) e uno nella Biblioteca del dipartimento di giurisprudenza dell’Università di Messina (A.1), contenente repetitiones, quaestiones e consilia. Altri consilia originali sono contenuti nel manoscritto Archivio di Stato di Firenze, Consulte della Repubblica, Pareri de Savi, II. In seguito, repetitiones e disputationes hanno trovato posto in edizioni incunabule miscellanee (IGI 8373 e 8374), mentre il Tractatus usurarum si conserva in altre tre edizioni quattrocentesche (IGI 8328, 8375 e 8376) e in due del XVI secolo (Tractatus vtilissimus de vsuris editus a clarissimo i. vtriusque interprete d. Lurentio de Rodulphis Florentino. Cum solemni repetitione c. consuluit et cum glosis suis in tertia parte positis, Venetiis 1502 die 24 septembris, e nel vol. VII dei Tractatus universi iuris, Venetiis 1584, ff. 15r-50r).
Fonti e Bibl.: G. Panciroli, De claris legum interpretibus, Lipsiae 1721, pp. 353-354; Vespasiano da Bisticci, Vite di uomini illustri del secolo XV, Firenze 1839, pp. 379-382; Id., Vita di L. R., a cura di F. Dal Furia, in Archivio storico italiano, IV (1843), pp. 315-321.
J.F. von Schulte, Die Geschichte der Quellen und Literatur des Canonischen Rechts, II, Stuttgart 1877; G. Carocci, La famiglia dei Ridolfi di Piazza, Firenze 1883; Th. Diplovatatius, Liber de claris iuris consultis, pars posterior, a cura di F. Schulz - H. Kantorowicz - G. Rabotti, in Studia Gratiana, X (1968), pp. 342 s.; L. Martines, Lawyers and statecraft in Renaissance Florence, Princeton 1968, p. 483; F. Martino, Un «consilium inedito in materia di usura di L. R.», in Il Diritto Ecclesiastico, LXXX (1969), parte I, pp. 335-352; Id., Umanisti, giuristi, uomini di stato a Firenze fra Trecento e Quattrocento. Lorenzo d’Antonio Ridolfi, in Studi in memoria di Mario Condorelli, III, Milano 1988, pp. 183-200; L.D. Armstrong, The Tractatus de materia montis of L. R., in Proceedings of the twelfth international economic history congress, Session D: Recent doctoral research in economic history, a cura di C.E. Nunez, Madrid 1998, pp. 15-23; Id., Usury and public debt in Early Renaissance Florence: L. R. on the Monte Commune, Toronto 2003; G. Murano, Autographa. I.1, Giuristi, giudici e notai (sec. XII-XVI med.), Bologna 2012, pp. 136-142; G. Mellusi, L., R., in Dizionario biografico dei giuristi italiani (XII-XX secolo), II, Bologna 2013, p. 1690.