ROMANO, Lorenzo
– Siciliano, a quanto pare di Messina (Scaramella, 1995, p. 94), se ne ignora la data di nascita.
Analoga incertezza avvolge tutta la sua vita, essendo rarissime le fonti che parlano di lui, seppur da esse emerga il profilo di una personalità di primo piano nella diffusione di opinioni eterodosse nel Mezzogiorno del Cinquecento. Da appunti del cardinale inquisitore Giulio Antonio Santoro «circa l’heresie di Napoli et Terra di Lavoro dal 1540 insin al 1564», utilizzati dal teatino Antonio Caracciolo e inseriti nel Compendium del processo al cardinale Giovanni Morone, si apprende che Romano era «heremitano di santo Agostino apostata» (Firpo - Marcatto, 2015, p. 520). Lo stesso Santoro, in un più ampio resoconto sulla repressione dell’eresia negli anni Cinquanta scrisse: «Parmi che fusse stato sfratato et fuggito da Sicilia, perché segli trovava gran processo contro di lui fatto» (G.A. Santoro, De persecutionis..., c. 42r).
Romano, dunque, era stato professo (come Martino Lutero) degli agostiniani; ma poi aveva abbandonato l’Ordine e, indagato dall’Inquisizione, era fuggito dall’isola. Si può segnalare che nel 1547 risultavano sfuggite alla condanna dell’Inquisizione siciliana due sorelle di Messina, Maddalena e Domenica Romano (Garufi, 1978, p. 17), ma non è noto se vi fossero rapporti di parentela, pur non da escludere.
Sempre secondo la ricostruzione del Compendium, Romano venne in seguito a contatto con il movimento valdesiano e, trasferitosi a Caserta, il suo insegnamento fu decisivo per l’ampia diffusione dell’eterodossia in città e nel territorio. Intorno al 1540, «dopo la venuta di Valdés in Napoli […] successe» che il «detto don Lorenzo Romano, in habito di frate venne a Caserta et, fatta ivi schuola di molti gentilhuomini, infettò quel paese» (Firpo - Marcatto, 2015, pp. 520 s.). A Caserta insegnò per «molti anni» «dialettica», «grammatica et heresia» (G.A. Santoro, De persecutionis..., c. 42r), e attorno a lui si strinsero numerosi discepoli, fra cui valdesiani di primo piano come il barone napoletano (di origine cosentina) Consalvo Bernaudo e il nobile casertano Giovan Francesco Alois, «oltre moltissimi altri preti e secolari, a’ quali il detto don Lorenzo fu maestro di scola e leggeva lor la sacra Scrittura» (Firpo - Marcatto, 2015, p. 530; cfr. anche ACDF, I.4-b, [6], cc. 81r; ibid., [14], c. 64r).
Il riferimento ai «moltissimi» discepoli trova conferma nei centotré nomi di una Lista di abiurati, nominati e sospetti di heresia di Caserta et [luoghi] convicini, cavati da diversi processi napoletani (ACDF, I.4-b, [12], cc. 55r-56v). E una quindicina di quei nomi si sovrappongono a quelli dei centodiciassette coinvolti nella repressione dell’eresia nell’area capuana (censiti da Scaramella, 1995, pp. 149-152). Il che pare sostanziare ulteriormente quanto scritto nel Compendium, secondo cui erano stati allievi di Romano anche due protagonisti del dissenso capuano: il frate Vincenzo Iannelli e il sarto Iacobetto Gentile (Firpo - Marcatto, 2015, pp. 529 s.).
Né il magistero di Romano si limitò alla Terra di Lavoro. Non oltre il 1547 (la data si deduce da due testimonianze riportate da Scaramella, 1995, pp. 89, 96), si trasferì a Napoli, come «mastro delli figlioli» nell’orfanotrofio annesso alla chiesa di S. Maria di Loreto, svolgendo anche lì opera di propaganda eterodossa («faceva del dotto et savio nelle cose della fede et predicava alcune volte in Chiesa», pp. 63 ss., 89 ss., citazioni a pp. 89 s.).
Nondimeno, fra il 1549 e il 1550 Romano tornò a Caserta, più precisamente a Piedimonte (oggi Piedimonte Matese), dove Alois teneva terre e una villa in cui, nello stesso periodo, ospitò Marcantonio Flaminio. Qui Romano proseguì nell’attività propagandistica, che nella stessa fase s’intensificò anche nell’area capuana, con un ruolo centrale dei suoi allievi Iannello e Gentile (Scaramella, 1995, pp. 25 ss., 96 e passim; Firpo - Marcatto, 2015, p. 530).
A parte la lettura della Bibbia, in particolare «i Salmi e le pistole di san Paolo» (p. 530), Romano proponeva ai suoi discepoli «la logica» di Melantone» (ibid.), verosimilmente i suoi De Dialectica libri quatuor del 1528, più volte riediti; e «la Chronica di Giovanni Carione» (ibid.), cioè la Chronica di Iohann Carion, edita dallo stesso Melantone nel 1532 e volta in italiano nel 1548. Circolava anche l’anonimo Sommario della Sacra scrittura (Scaramella, 1995, pp. 65 s., 95); e a queste letture d’intonazione luterana s’affiancavano testi cardine della sensibilità valdesiana, come «un libretto chiamato il Beneficio di Cristo»; e una «Istruttione» per fanciulli, che era il Catechismo di Juan de Valdés (pp. 67 s.; Firpo - Marcatto, 2015, p. 530).
Romano insegnava che «basta la fede sola a salvarci» (Scaramella, 1995, p. 97); e che «la confessione non era necessaria» (p. 99). Né lo erano le preghiere ai santi e alla madonna: «Basta dire el Pater Nostro et credere al Vangelo» (p. 96). Mangiava inoltre carne nei giorni proibiti e sfidò un suo alunno a trovare al divieto un fondamento scritturale («piglia tre carlini e truovame nella Scrittura che Christo habbi comandato che non mangiamo carne in lo venerdì né altro tempo, che tu non lo truoverai mai llà»: pp. 90, 94 s., 98, citazione a p. 95). In realtà Romano non doveva limitarsi a ciò, poiché Santoro lo definì «pessimo lutherano et zuingliano» (Firpo - Marcatto, 2015, p. 521), il che testimonia la sua vicinanza all’ala del movimento valdesiano chiamata dei «sacramentari» (non a caso animata, fra gli altri, da Bernaudo e Alois): quanti consideravano, come Uldreich Zwingli, l’eucaristia un simbolo e non il corpo di Gesù.
Fra il 1550 e il 1551 si aprì un’inchiesta su S. Maria di Loreto (il più antico documento noto è del 5 gennaio 1551, ma vi si apprende che l’indagine era precedente: Scaramella, 1995, p. 89), e il nome di Romano emerse in più occasioni. Inoltre, nella primavera del 1551 ci furono alcuni arresti a Capua, fra cui i suoi allievi Gentile e Iannello (pp. 16 s., 71 e passim). Così egli «fuggì», e «andò all’Alamagna», a quanto pare «a Genevra» (G.A. Santoro, De persecutionis..., c. 42r; Firpo - Marcatto, 2015, p. 521; Firpo - Marcatto, 2000, p. 1125; ACDF, I.4-b, [4], c. 66r).
Ben presto, però, Romano «ritornò a Caserta», e finì per presentarsi spontaneamente all’Inquisizione a Roma (G.A. Santoro, De persecutionis..., c. 42r). La data della sua comparsa è dubbia, poiché nel Compendium si legge 1552, ma nel De persecutionis si parla di un «marzo» che sembra relativo al 1555 e che comunque non è precedente il 1554. Tali variazioni nelle date offerte dalle fonti suggeriscono più cautela sull’ipotesi che Romano fosse stato fra quei primi arrestati dal S. Uffizio che, tra il 1551 e il 1552, iniziarono a rivelare i nomi dei propri compagni (Amabile, 1892, pp. 212, 220 e passim), dando il via alla massiccia campagna inquisitoriale che, tra il 1552 e il 1555, si abbatté sui valdesiani. In ogni caso, Romano fu condannato a portare «toto vitae tempore» «sopra tutte le vesti l’habitello» giallo, e ad abiurare: «secretamente» a Roma e «publicamente» a Napoli e a Caserta (Firpo - Marcatto, 2015, p. 521; G.A. Santoro, De persecutionis..., c. 42r; cenno all’abiura anche in ACDF, I.4-b, [5], c. 70v).
Non è noto quando e dove sia morto.
Fonti e Bibl.: Città del Vaticano, Archivio della Congregazione per la dottrina della fede, Stanza Storica (ACDF); G.A. Santoro, De persecutionis hereticae pravitatis historia, in ACDF, I.4-b, [2], cc. 31r-44r; L. Amabile, Il Santo Officio della Inquisizione in Napoli, Città di Castello 1892, I, pp. 137 s., 212, 220 e passim; II, p. 10; C.A. Garufi, Fatti e personaggi dell’Inquisizione in Sicilia (1914-1921), Palermo 1978, pp. 82-87; P. Scaramella, «Con la croce al core». Inquisizione ed eresia in terra di Lavoro (1551-1564), Napoli 1995, pp. 8, 67 s., 89 s., 94-99 e passim; M. Firpo - D. Marcatto, I processi inquisitoriali di Pietro Carnesecchi, II, 3, Città del Vaticano 2000, p. 1125; L. Addante, Valentino Gentile e il dissenso religioso nel Cinquecento, Pisa 2014, pp. 48 s. e passim; M. Firpo - D. Marcatto, Il processo inquisitoriale del cardinal Giovanni Morone, III, con la collaborazione di L. Addante et al., Roma 2015, ad indicem.