SALVI, Lorenzo. –
Nacque il 4 maggio 1810 ad Ancona (non a Bergamo, come si è a lungo creduto), nella parrocchia di S. Maria della Piazza, da Pietro (1770-1852), commerciante di origine bresciana, e Anna Centauri (1878-1856), fanese; ebbe un fratello, Giuseppe (1803-1857). Le relazioni famigliari sono documentate dalla stele sulla tomba di famiglia Salvi-Spech nella Certosa di Bologna.
Debuttò al teatro di San Carlo in Napoli nel 1830 nella prima assoluta di un’opera di Donizetti, Il diluvio universale, nella particina di Cam. Nel marzo 1834 cantò Zampa di Ferdinand Hérold, poi Don Giovanni (Don Ottavio), L’elisir d’amore (Nemorino), nel maggio 1835 Torquato Tasso, nel gennaio 1839 (con la moglie, Adelina Spech, soprano) La pazza per amore di Pietro Antonio Coppola e nel febbraio la prima assoluta di Antonio Foscarini di Luigi Pastina, nel ruolo eponimo. Si produsse con frequenza al Teatro del Fondo, dove nel 1834 cantò tre opere di Donizetti: Il furioso all’isola di San Domingo, opera ch’egli aveva creato il 2 gennaio 1833 al Valle di Roma (Fernando) ricevendo lusinghieri apprezzamenti dalla critica e dal pubblico, indi L’elisir d’amore e L’ajo nell’imbarazzo, più Il supposto sposo di Vincenzo Fioravanti e La sposa di Egisto Vignozzi. Nel 1835 riprese Torquato Tasso e diede L’orfana russa di Pietro Raimondi e Il gioiello di Giuseppe Lillo; nel 1836 Il duello al buio di Federico Zelada, e I due forzati e Bartolomeo del Piombo di Mario Aspa; nello stesso anno, il 21 agosto, cantò nella prima di Betly di Donizetti: i critici confermarono il pregio di una voce ideale nelle dolci effusioni, nei suoni filati, forte di una tecnica sempre più provetta. Al Fondo nel 1837 cantò L’Americano in fiera del conte Nicola Gabrielli e nel 1839 La locandiera di spirito di Salvatore Agnello. Intanto era apparso su numerose piazze italiane, Siena, Firenze, Ancona, Pesaro, e fin dal 1831 al Valle di Roma, tra l’altro nell’Otello con Maria Malibran (1832), nella prima assoluta del Disertore svizzero di Lauro Rossi (1832) e nel Barbiere di Siviglia (1833).
Il 17 agosto 1839 fu scritturato da Bartolomeo Merelli per La Scala di Milano. Vi debuttò nella prima assoluta di Un duello sotto Richelieu di Federico Ricci (conte di Chalais), cui seguirono nella stessa stagione tre prime assolute: Gianni di Parigi di Donizetti, Oberto conte di San Bonifacio di Verdi (Riccardo; a qualche recensore la voce di Salvi parve affaticata), I ciarlatani di Giacomo Panizza, oltre all’Italiana in Algeri e a Roberto Devereux. Nella stagione 1839/40 fu al Regio di Torino, dove partecipò alle prime locali del Guglielmo Tell (Arnoldo) e dell’Oberto, nonché alla prima assoluta del Templario di Otto Nicolai (Vilfredo); nella stagione primaverile 1842 alle prime locali della Saffo di Pacini, Corrado d’Altamura di Federico Ricci e Antonio Foscarini di Carlo Cohen; nella stagione 1842/43 alla Caterina di Guisa di Carlo Coccia (San Megrino) e alla prima assoluta del Reggente di Mercadante (Murray). Nell’autunno 1840 alla Scalapartecipò a due prime assolute, I due Figaro di Giovanni Antonio Speranza e Un giorno di regno di Verdi, che com’è noto ebbe esito infelicissimo; cantò anche Il templario, La figlia del reggimento (nella versione italiana di Calisto Bassi; la parte fu alleggerita di Pour mon âme, quel destin!, con i suoi nove Do acuti, compensata dall’aggiunta di un’aria di sortita, Feste? pompe? omaggi? onori?, tratta dal Gianni di Calais) e Il pirata di Bellini. Nella primavera 1841 si produsse nella Parisina di Donizetti, nella Sonnambula di Bellini, nell’Elisir d’amore e in due prime assolute: Il buontempone di Porta Ticinese di Placido Mandanici (Vittorino) e Il biricchino di Parigi di Giuseppe Manusardi (Amedeo). Tornò nella primavera 1842 per Saffo, La straniera di Bellini e Odalisa di Alessandro Nini. Nel 1839 Merelli lo fece debuttare anche a Vienna, al teatro di Porta Carinzia, da lui gestito. Nell’aprile vi cantò nelle prime locali del Torquato Tasso e del Marin Faliero di Donizetti, oltre a I Capuleti e i Montecchi belliniani e al Barbiere di Siviglia, che riprese nella primavera 1843. In quella stagione cantò La primadonna, un’opera semiseria nuova di Matteo Salvi, e La sonnambula.
Intanto nel febbraio 1841 all’Apollo di Roma partecipò alla prima dell’Adelia di Donizetti, dove ottenne un successo personale in una compagnia che comprendeva Giuseppina Strepponi e il basso Ignazio Marini, mentre alla Fenice di Venezia riprese Il templario e affrontò Lucrezia Borgia di Donizetti. A Padova, nella primavera 1843, cantò nella prima assoluta di Genio e sventura, libretto e musica di Temistocle Solera; a Trieste si impose nel Masaniello, versione italiana della Muette de Portici di Auber, nella Beatrice di Tenda e nell’Anna Bolena di Donizetti. I crescenti successi gli valsero nel 1843 il debutto al Théâtre-Italien di Parigi, dove trionfò nel Barbiere di Siviglia e in tre opere donizettiane, Lucia di Lammermoor, Maria di Rohan e Belisario. Fu la pista di lancio per Londra: nel 1844 il successo della Lucia di Lammermoor al Drury Lane gli schiuse le porte dei palazzi nobili londinesi, con prestigiosi inviti per concerti privati. Tra il 21 agosto e il 21 settembre intraprese una tournée attraverso il Regno Unito, esibendosi con Fanny Tacchinardi Persiani, Giacinta Toso Puzzi e il pianista virtuoso Sigismund Thalberg. In ottobre partecipò in Lucrezia Borgia alla prima trionfale stagione operistica italiana celebrata all’Imperiale di Mosca. Sull’onda del successo venne ingaggiato per Pietroburgo e Varsavia, indi cantò a Bratislava e in Germania. Dal settembre 1845 al febbraio 1846 fu all’Imperiale di Pietroburgo, succedendo a Giovanni Battista Rubini: vi ricantò Lucrezia Borgia, inserendovi la romanza dall’Oberto conte di San Bonifacio; seguirono L’elisir d’amore, La favorita, Il templario e I Lombardi alla prima crociata di Verdi (applaudito dall’imperatore, bissò la cavatina di Oronte, La mia letizia infondere, e il celebre terzetto, Qual voluttà trascorrere). Nella primavera 1846 fu al Teatro del Circo di Madrid per Lucia di Lammermoor, La sonnambula, Il barbiere di Siviglia, scritturato dal noto banchiere José de Salamanca insieme con Giorgio Ronconi e Fanny Tacchinardi Persiani. Frattanto tornò a Pietroburgo per la stagione autunno-inverno 1846/47, ricevendo ben 100'000 franchi d’ingaggio. Nel triennio 1847-1849 si alternò tra Russia e Regno Unito; a Londra si produsse al Covent Garden (Lucia di Lammermoor, I puritani, L’italiana in Algeri e La Cenerentola); nel 1847 prese parte a un concerto promosso da Giuseppe Mazzini, palesando così le simpatie sue e della moglie per la causa italiana.
Aggregato alla Havana Opera Company dell’impresario Francisco Martí y Torrens, nel 1850 debuttò a New York, dove per diversi anni si fece notare sia per «la splendente risonanza, la vigoria del declamato, la tragica mestizia dell’espressione» (così nel 1853 il critico William Henry Fry; cit. in Lawrence, 1995, p. 343) sia per i comportamenti ricattatori e tracotanti nei confronti degli impresari e del pubblico. All’Avana aveva incontrato Antonio Meucci, allora impegnato come scenografo nel teatro Tacón; a New York concorse all’acquisto del terreno su cui sorse la fabbrica di candele di Meucci a Staten Island: l’azienda divenne un centro di raccolta degli esuli italiani, e vi lavorò anche Garibaldi, che in sue lettere al cognato di Salvi, Eliodoro Spech, allude con affetto al tenore marchigiano. (Nel 1970, nella mini-serie televisiva RAI in tre puntate, Antonio Meucci cittadino toscano contro il monopolio Bell, regìa di Daniele D’Anza, comparve Salvi, che cantava Verranno a te sull’aure dalla Lucia di Lammermoor, con le voci di Giuseppe Di Stefano e Maria Callas.) Da New York andò più volte in Messico, dove trionfò nel Barbiere di Siviglia; nella tournée del 1854, al seguito della compagnia intitolata al soprano Balbina Steffenone (Steffanone), si segnalò nella Lucrezia Borgia, e in coppia con la titolare partecipò alla prima esecuzione dell’inno nazionale messicano (settembre 1854), composto da Francisco González Bocanegra e Jaime Nunó, direttore Giovanni Bottesini (si erano conosciuti all’Avana), al cospetto del presidente Antonio López de Santa Anna. Tornò un’ultima volta agli Italiens di Parigi, ma dalla metà degli anni Cinquanta si ritirò dalla carriera.
Da allora abitò a Bologna (dal 1878 in un lussuoso edificio neoclassico in via d’Azeglio 57), insegnante di canto come la moglie, il soprano Luigia Adele Spech detta Adelina (Milano, 18 agosto 1811 - Bologna, 12 agosto 1886), figlia del tenore Giuseppe Spech (documentato in teatri italiani tra il 1811 e il 1825, e al São Carlos di Lisbona tra il 1825 e il 1827) e di Maddalena Pietralia, anch’ella cantante (documentata tra il 1808 e il 1811), come la zia Costanza Pietralia, contralto (documentata dal 1821, e poi come prima donna e primo uomo a Lisbona al fianco del cognato, deceduta tra il 1873 e il 1879), e il fratello Eliodoro Spech, patriota, tenore ma anche basso (1810-1866; di fatto Costanza Pietralia allevò i due figli della sorella, rimasti orfani di madre).
Salvi e Adelina Spech dovevano essersi sposati a Genova, dove cantarono insieme nella primavera 1836 al teatro Carlo Felice; ebbero due figli, entrambi versati in musica: Enrico (1838-1867), combattente, medaglia al valore, e Ginevra (1842-1865). Adelina Salvi Spech fu soprano di talento e di bella fama, Eleonora alla prima assoluta del Torquato Tasso (Roma, Valle, 9 settembre 1833), dove si mise in luce per la bella voce, l’abilità nel canto, l’accortezza e il gusto. Seguì il consorte a Vienna nel 1839. Si ritirò dalla scene l’anno dopo, ma si adoperò come agente teatrale (Rosselli, 1985); fu, come il marito e il fratello, un’ardente patriota. Dal 1863 Salvi fu venerabile della loggia massonica “Galvani”.
Morì a Bologna il 16 gennaio 1879. La famiglia Salvi è sepolta nella Sala delle catacombe della Certosa di Bologna. La stele funeraria, sormontata da un altorilievo dello scultore e patriota bolognese Giuseppe Pacchioni, sottolinea l’alto profilo civile e morale della famiglia Salvi Spech, l’eminenza nel campo dell’arte, della filantropia, della lotta patriottica.
A detta della critica coeva, Salvi possedette in natura una voce di indubbio spicco, morbida nell’impasto, soave nel timbro; copriva l’estensione di due ottave dal Do grave al Do acuto, era duttile ed agile nel canto di coloratura, come denota la presenza e la persistenza nel suo repertorio di parti tenorili rossiniane di natura ora più ora meno spiccatamente “contraltina”, come Lindoro nell’Italiana in Algeri, Almaviva nel Barbiere e Ramiro nella Cenerentola. La tecnica gli consentì d’impadronirsi dell’arte della mezzavoce, delle smorzature e dei filati. Seppe assecondare con intelligenza l’evoluzione dello stile di canto, che i compositori del giorno volevano dolce e virile al contempo, pervaso da un’elettricità tutta romantica. Ponendosi sulla scia di Rubini, Salvi incarnò – con Napoleone Moriani, Carlo Guasco, Nicola Ivanoff, Mario De Candia, Antonio Poggi – il tipo del tenore di grazia così come lo intese l’Ottocento romantico: un tenore educato al belcanto, in grado di dare credibilità a un canto nobile ed elegante, eppure pieno di slancio e intensità, quel genere di tenore che trovò piena espressione negli eroi innamorati di Donizetti, Bellini, Mercadante, Pacini e dei due Ricci, non disdegnando peraltro alcune figure del grand opéra (a New York nel 1850 cantò Raoul negli Ugonotti di Meyerbeer) e del primo Verdi.
Fonti e bibl.: M. Maretzek, Crotchets and quavers or Revelations of an opera manager in America, New York 1855, pp. 156 s., 163-167, 255 s.; R. Celletti, s. v., in Enciclopedia dello Spettacolo, VIII, Roma 1975, p. 1439; G. Mazzini, Scritti editi e inediti, XXXII, Imola 1921, pp. 137, 141; F. Cantoni, Caccia e patriottismo in 28 lettere inedite di Garibaldi, in Il Comune di Bologna, 1930, 7, p. 23; G. Garibaldi, Epistolario, III: 1850-1858, Roma 1981, pp. 34-36, 45, 52; J. Rosselli, L’impresario d’opera, Torino 1985, pp. 151 e 199; Storia del Teatro Regio di Torino, V, Cronologie, a cura di M.-T. Bouquet – V. Gualerzi – A. Testa, Torino 1988, ad ind.; R. Celletti, Voce di tenore, Milano 1989, pp. 112 s.; A. Basso (a cura), L’arcano incanto. Il Teatro Regio di Torino 1740-1900, Milano 1991, pp. 241, 365-369, 544-547; K.K. Preston, Opera on the road. Traveling opera troupes in the United States, 1825-1860, Urbana-Chicago 1993, ad voces ‘Salvi’ e ‘Steffanone’; V. B. Lawrence, Strong on music. The New York music scene in the days of George Templeton Strong, II: Reverberations, 1850-1856, Chicago 1995, ad ind.; A. Bini – J. Commons, Le prime rappresentazioni delle opere di Donizetti nella stampa coeva, Milano 1997, ad ind.; R. Taruskin, Defining Russia musically, Princeton 1997, pp. 201, 204; M. Moreau, O Teatro de São Carlos. Dois séculos de história, Lisboa 1999, I, pp. 51 s.; II, pp. 753-757; G. Gualdoni, L. S. Un tenore anconetano, in Paradigmi e idee della scena marchigiana, VII, settembre/ottobre, 2000, pp. 4 s.; F. Izzo, Verdi’s “Un giorno di regno”: two newly discovered movements and some questions of genre, in Acta musicologica, LXXIII (2001), pp. 172-178; M. Jahn, Die Wiener Hofoper von 1836 bis 1848: die Ära Balochino/Merelli, Wien 2004, ad ind.; P. Molini – P. Peretti, Cantanti verdiani marchigiani dell’800, Fermo 2017, pp. 30-34.