LORENZO Veneziano
Pittore documentato tra il 1356 e il 1372, fu la personalità più significativa del secondo Trecento a Venezia nel campo della pittura.La valutazione di L. nel contesto della cultura figurativa veneziana è stata oggetto di giudizi diversi e divergenti, oscillando tra chi (Testi, 1909) vedeva in lui l'artista di maggiore spicco e chi invece (Sandberg Vavalà, 1930; Fiocco, 1930-1931; Coletti, 1932) lo poneva in posizione secondaria rispetto a Paolo. Più recentemente, soprattutto attraverso approfonditi contributi che ne hanno ampliato e puntualizzato il catalogo (Longhi, 1946; Bologna, 1951; Pallucchini, 1964), la sua personalità ha ricevuto un giudizio più equilibrato, che evidenzia in particolare l'originalità del suo linguaggio gotico e la sua modernità, in rapporto anche con il coevo mondo padano.Di L. restano pochissime notizie documentarie, ma molte delle sue opere sono firmate e datate nel breve arco di tempo che va dal 1356 al 1372. Ignoti sono l'anno della nascita e quello della morte, probabilmente avvenuta poco dopo il 1372, dato che dopo quell'anno non si ha più alcuna notizia del pittore.Maffei (1737) ricordava una piccola tavola in suo possesso, oggi perduta, con una Madonna con il Bambino, recante la scritta: "MCCCLVI hoc opus Laurentius pinxit". Intorno al 1368 il pittore probabilmente si trovava a Bologna; infatti nel libro delle memorie della basilica di S. Giacomo si legge alla data 4 luglio 1368: "fu finita l'ancona dell'altar maggiore; el pittore fu Lorenzo de Venezia", come riporta, insieme ad altri documenti, Filippini (1912).
Quanto alla formazione di L., essa avvenne probabilmente a Venezia nell'ambito di Paolo Veneziano, certo prima del sesto decennio del secolo, se il polittico Lion (Venezia, Gall. dell'Accademia), databile agli anni 1357-1359, mostra già una personalità affatto matura. Le prime opere che si possono attribuire a L. attestano un linguaggio piuttosto articolato, che postula, accanto al legame con Paolo Veneziano, riferimenti a posizioni più moderne che gli consentirono sempre più accentuati stilemi gotici. Sembrerebbe dunque che L. avesse avuto contatti con gli artisti di terraferma, con il padovano Guariento - dal quale poté derivare per es. i troni marmorei delle sue prime opere - e con gli emiliani Vitale da Bologna e forse ancora più Tomaso Barisini, e che con ogni probabilità conoscesse opere di artisti d'Oltralpe, francesi, boeme e austriache, certamente presenti a Venezia; forte infine dovette essere l'influsso della statuaria veneziana, che negli anni della formazione di L. vedeva Andriolo de Santi e Filippo Calendario grandi protagonisti di un linguaggio già accentuatamente gotico.Mentre non è attribuibile al giovane L. la tavoletta con la Natività di Belgrado (Narodni Muz.), troppo legata al linguaggio bizantino, è possibile assegnare alla giovinezza di L. la piccola tavola della Madonna con il Bambino e un offerente - che la scritta indica essere Petrus de Zizis, membro di una ricca famiglia di Imola -, proveniente dalla parrocchiale di Mazzolano (Imola, Mus. Diocesano), rivendicata a L. da Longhi (1946): un'operetta costruita con un pungente senso di verità nel volto dai lineamenti tomaseschi.
A Verona esistono due opere che potrebbero essere precedenti il polittico Lion, se si ipotizza un soggiorno veronese di L., ancorato alla data 1356 che si leggeva sulla tavoletta di proprietà di Scipione Maffei. Si tratta della Madonna dell'Umiltà con i ss. Domenico e Pietro Martire e due offerenti, nella cappella del Rosario in S. Anastasia, e di una grandiosa croce stazionale, oggi in S. Zeno. In quest'ultima, attribuita a L. da Cuppini (1958), va innanzitutto sottolineata la rarità dell'iconografia, che propone in alto il Padre Eterno nell'atto di inviare lo Spirito Santo, coniugando così le due raffigurazioni della Croce e della Trinità. Nella parte inferiore sono due offerenti, uno in vesti eleganti alla moda e un frate domenicano. Al centro della grande tavola, circondata da una sottile cornicetta fogliata, tipicamente veneziana, la figura di Cristo è costruita con un'accentuata volumetria, sottolineata da un morbido e preciso gioco chiaroscurale, mentre le figure laterali sono ritagliate contro lo sfondo da una linea incisiva: elementi linguistici nuovi si accompagnano dunque a colori schiariti, delicatamente sfumati, e a una caratterizzazione in chiave espressionistica dei volti.Un analogo senso del volume in una composizione caratterizzata anche da un sapiente gioco spaziale è nella Madonna dell'Umiltà in S. Anastasia: si tratta di un affresco strappato e trasportato su tela, purtroppo in condizioni di non buona conservazione. La composizione è impaginata entro una incorniciatura lobata, che finge una sorta di trittico, precisando il senso dello spazio: la Vergine siede con una posa aggraziata e affettuosa, chiusa nel preciso contorno lineare, mentre i santi domenicani, che le presentano gli offerenti - forse, come ipotizza Simeoni (1919), Cangrande II della Scala e la moglie Elisabetta di Baviera - disposti appena di tre quarti, sembrano conchiudere in un semicerchio la composizione. Il dipinto è interessante anche dal punto di vista iconografico, perché sarebbe la prima immagine nel Veneto della Madonna dell'Umiltà.
A L. sono inoltre stati attribuiti gli affreschi con l'Adorazione dei Magi e l'Incoronazione della Vergine, ai lati dell'arco trionfale della chiesa di S. Fermo Maggiore a Verona, opere certamente di artista veneziano.La prima opera certa di L. è il citato polittico Lion, proveniente dalla chiesa di S. Antonio Abate di Venezia, un dipinto complesso, espressione di una personalità matura e di un linguaggio squisito. Il grandioso manufatto, a due registri più la predella, ha nella stessa struttura della cornice una poderosa evidenza architettonica: su un alto basamento aperto, come in rosoni, in cinque tondi con figurette di santi a mezzobusto si innalzano robusti pilastri con nicchie che serrano gli scomparti figurati in forma di bifore; la parte superiore, più leggera, accoppia, ancora sotto una struttura di bifore, semifigure di profeti. Questo grande altare costituisce dunque una novità nella tipologia tradizionale del polittico e sarebbe stato fonte di ispirazione per gli altari marmorei dei Delle Masegne, aprendo inoltre la strada alle soluzioni quattrocentesche delle botteghe vivariniane.Il polittico presenta nella tavola centrale l'Annunciazione, in una variante assai interessante nella tradizionale iconografia, certo dettata da motivi liturgici e devozionali (si deve tener presente la centralità della festa dell'Annunciazione nella vita, anche civile, veneziana: l'anno infatti si faceva iniziare il 25 marzo); lateralmente otto figure di santi; nella parte superiore otto profeti a mezza figura; nella predella, entro polilobi, cinque testine di santi; infine, figurette nelle piccole tavole dei pilastri della cornice. Nella tavola centrale, le due figure dell'Arcangelo e della Vergine campeggiano con monumentalità in uno spazio che si dilata, costruite con una precisa linea di contorno che ritaglia le vesti in decise ed eleganti falcature. I santi e i profeti degli scomparti hanno l'imponenza di sculture dipinte, nel fastoso ricadere dei manti mossi in panneggi taglienti. Ovunque il colore è schiarito e impreziosito in accordi di pietre dure, con effetti raffinati di sfumature, che nei volti accennano a motivi di tenerezza quasi prerinascimentale. Si tratta dunque di elementi di un rinnovato goticismo, non privo di sentori nordicheggianti, che propongono L. all'inizio del secondo Trecento quale indiscusso protagonista in Venezia del nuovo linguaggio.
Analogo goticismo è nello Sposalizio di s. Caterina del 1360 (datato more veneto 1359), proveniente dalla raccolta Czernazai di Udine (Venezia, Gall. dell'Accademia), che reca la scritta: "MCCCLVIIII AD XX d fevraro fo fata / s(ta) a(n)cona p(er) man de Lore(n)zo pentor in Venexia", dipinto pervaso da una sottile grazia cortese, nei volti e negli atteggiamenti della Vergine e della santa, e nell'attenzione ai particolari delle eleganti vesti alla moda. Nella preziosa Madonna in trono di Padova (Mus. Civ.), firmata e datata: "M°CCC°LXI die XVII° me(n)sis sept[em]bris Laurenci(us) d(e) Venecii[s p]inxit", l'accentuazione gotica del panneggio e il movimento del capo della Vergine sono elementi di assoluta modernità, da leggersi in chiave gotica, con preludi alle eleganze del Gotico cortese.
Nel 1366 L. eseguì un polittico, anch'esso firmato e datato: "MCCCLXVI Laurentius pinxit me(n)sxe d(e)ce(m)bris", per la cappella della famiglia de' Proti nel duomo di Vicenza. Il dipinto è inserito in una cornice finemente elaborata e adorna di fastigi gotici; esso presenta nella tavola centrale la Dormitio Virginis, sovrastata da una Crocifissione e dalle Ss. Caterina ed Elena; lateralmente sei santi a figura intera e i due offerenti Tommaso e Giampietro de' Proti; nel registro superiore sei mezze figure di santi; ancora busti di santi nei polilobi della cornice e nella predella. Dal punto di vista linguistico il dipinto presenta alcune novità: le figure sono più piccole e snelle, i volti rotondetti hanno espressioni vive e pungenti, mentre si impreziosiscono le stoffe e gli ornati, in un'accentuazione di ricchezza gotica, con un sapore marcatamente profano. La tavola centrale affolla lo spazio di personaggi curiosi, indugiando sui particolari della stanza, come il pavimento a mattonelle, e infittendo come in un'oreficeria la lavorazione dell'oro delle aureole. Analoga attenzione ai particolari dell'abbigliamento si coglie nei santi laterali, atteggiati in una precisa connotazione cortese. Questo mutamento di linguaggio - che porta L. ad accentuare l'elemento descrittivo e a caricare di espressioni assolutamente non più veneziane le fisionomie dei personaggi - postula, tra il 1361 e il 1366, suggestioni e suggerimenti nuovi, certamente estranei a Venezia, che si potrebbero vedere e puntualizzare più precisamente in uno stretto rapporto con la pittura di Tomaso Barisini al momento delle Storie di s. Orsola (Treviso, Mus. Civ. Luigi Bailo).Del polittico dipinto da L. nel 1368 per la chiesa di S. Giacomo a Bologna possono essere riconosciuti (Volpe, 1967) l'Incoronazione (coll. privata), i Ss. Bartolomeo e Antonio Abate (Bologna, Pinacoteca Naz.) e S. Leonardo (Siracusa, Mus. Naz. di Palazzo Bellomo), dai volti tesi e pungenti, dal volume asciutto e nervoso ma addolcito da un colore tenerissimo, forse debitore della tavolozza bolognese.Segue il polittico di S. Pietro del 1370 (datato more veneto 1369), la cui tavola centrale, raffigurante Cristo che consegna le chiavi a Pietro, con la scritta: "+MCCCLXVIIII mense ianuarii Laurenciu(s) pinxit", è conservata a Venezia (Mus. Correr), mentre le cinque tavolette della predella, con Storie dei ss. Pietro e Paolo, sono a Berlino (Staatl. Mus., Pr. Kulturbesitz, Gemäldegal.). Quattro tavole laterali con figure di santi, conservate anch'esse a Berlino, sono andate perdute nell'ultimo conflitto. La tavola centrale è impostata in maniera monumentale, con una spazialità accentuata dal trono marmoreo; il panneggio non ricade più in ricche falcature sottolineate, o meglio ritagliate, con preciso segno di contorno, ma è costituito da pieghe più morbide, in un più approfondito gioco chiaroscurale. Le storie della predella accennano a una narrativa facile e gaia: sono episodi tradotti nei termini di racconti fabulistici, trattati con attenzione miniaturistica, nella minuta descrizione delle piante, e riproposti con un'attualizzazione dell'evento (S. Paolo vestito come un cavaliere trecentesco) che richiama le illustrazioni dei romanzi cavallereschi. In tutte le tavole, e in particolare in quelle della predella, il colore è schiarito, arricchito di sfumature. Non vi è dubbio che la maggiore scioltezza narrativa nelle storie di questo dipinto possa avere avuto quale fonte di ispirazione la pittura e anche la stessa miniatura bolognese del tardo Trecento, in un rinnovato diretto contatto di L. con la cultura figurativa bolognese, quando egli si recò nella città emiliana per dipingere il polittico per la chiesa di S. Giacomo.Il successivo percorso di L. è da leggersi in chiave sempre più 'cortese', ma anche con ulteriori recuperi di una spazialità monumentale. Firmato e datato: "MCCCLXXI Laureci(us) pinsit", è il polittico dell'Annunciazione (Venezia, Gall. dell'Accademia), che evidenzia nella tavola centrale una spaziosa monumentalità, sottolineata dal trono marmoreo della Vergine in leggera diagonale, mentre nei quattro santi laterali pare di cogliere un modulo più rinascimentale nell'asciutta e mossa volumetria dei corpi e nella tenerezza del colore, accarezzato dalla luce reale. Caratterizzano questo dipinto bellissimi tappeti erbosi variopinti di fiori su cui posano i personaggi, a corollario di una precoce apertura cortese di Lorenzo. Del 1371 è anche il trittico, oggi smembrato, eseguito per l'Ufficio dell'Arte della seta a Rialto: le tavole laterali con S. Pietro e S. Marco (Venezia, Gall. dell'Accademia) recano la firma e la data: "M°CCCLXXI me(n)se nove(m)b(ris)" "Laureci(us) pinxit hoc op(us)". Un sapore tutto nordico caratterizza la tavola centrale con la Risurrezione (Milano, Castello Sforzesco, Civ. Raccolte di Arte Antica, Pinacoteca) nella composizione dinamica, costruita per diagonali, ove lo spazio si chiude nelle rocce verdi e ocra ritagliate contro lo sfondo, nella figura grandiosa e morbida come una statua d'avorio e soprattutto nella vampata di luce che fa balenare colori di smalto: il celeste, il rosso e il verde brunito.Firmata e datata settembre 1372 è la Madonna in trono, proveniente dalla Coll. Campana (Parigi, Louvre), certo la parte centrale di un polittico non ancora ricostruito. La figura elegante della Vergine - disegnata in un contorno sinuoso e avvolta in un manto che ricade in un complicato gioco di falcature di sapore nordico, boemo secondo Toesca (1951) - siede entro un trono architettonico, in forma di edicola, arricchita da un fastigio con poggioli, rosoni e pinnacoli di vivaci colori. In questa struttura complessa e spaziosa sembra sia da cogliere un preciso riferimento all'architettura del Paradiso di Guariento del Palazzo Ducale di Venezia, anche se interpretata alla veneziana, con colori vivaci e con elementi decorativi tipici dell'edilizia lagunare.Ancora a Guariento deve fare riferimento la tavola centrale del piccolo polittico del 1372, proveniente dal monastero veneziano di S. Maria della Celestia (Milano, Pinacoteca di Brera), ove il trono marmoreo, adorno di pinnacoletti, è impreziosito di un rosone architettonico e traforato in arcatelle trilobe, animate da figurette a monocromo. L. mostra in questo altarolo il momento di massimo raggiungimento di un linguaggio gotico di sapore internazionale, moltiplicando gli elementi ornamentali, arricchendo le vesti di trame d'oro e i capelli di gioielli e trasformando le figure dei santi in elegantissimi cortigiani, abbigliati secondo la moda.Con questa luminosa operetta termina il percorso artistico di L., in esiti ormai anticipatori del Gotico internazionale.
Bibliografia:
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