MATTEI, Loreto
– Nacque il 4 apr. 1622 a Rieti da Pietro Paolo e da Orinzia Pennicchi, entrambi di nobili origini.
Dopo avere ricevuto la prima istruzione da un precettore, intraprese gli studi di umanità e di retorica nel pubblico collegio di Rieti. Al 1641 risale il matrimonio con la nobile reatina Porzia Cerroni. La morte del padre, nel 1645, ispirò una serie di componimenti intitolati Morte paterna, dei quali, come di altre opere giovanili (l’opera scenica in versi sciolti Il gigante Golia; il dramma per musica Il figliuol prodigo), si è perduta ogni traccia. In quegli anni il M. si rivolse soprattutto a tematiche religiose e i suoi componimenti riscossero un certo successo anche fuori dalla cerchia cittadina. La prima opera del M. pervenuta è La patria difesa dalle ingiurie del Tempo…, celebrazione della storia e del territorio di Rieti nel discorso pronunciato all’inaugurazione dell’anno scolastico della scuola cittadina di eloquenza e filosofia in cui insegnò (l’opera è stata pubblicata solo nel 1890, a Rieti, a cura di F. Ferrari). Nel decennio 1640-50 il M. fu segretario dell’Accademia del Tizzone e partecipò attivamente alla vita pubblica di Rieti. Nel 1650, insieme con Angelo Alamanni, fu uno dei membri della commissione costituitasi per l’erezione di una cappella in onore di S. Barbara, patrona della città, e fu incaricato di scegliere il luogo adatto nella cattedrale e di assegnare la commessa. I due delegati riuscirono a mettere a segno un colpo prestigioso ingaggiando, per il progetto della cappella e della statua nella cattedrale, Gian Lorenzo Bernini, che frequentava la città perché nel convento di S. Lucia si trovavano tre sue nipoti. La statua di S.Barbara, che ancora oggi fa mostra di sé, fu poi realizzata da Giovanni Antonio Mari.
Il M. fu gonfaloniere per i mesi di novembre e dicembre del 1651 e del 1656. Il 16 marzo 1659 fu eletto podestà e pretore. Dopo l’improvvisa morte della moglie, il 10 luglio 1661, dalla quale aveva avuto nove figli, il M. scelse la via del sacerdozio. I voti furono pronunciati nello stesso 1661. Iniziò così lo studio della teologia, e più frequenti si fecero le letture dei Padri della Chiesa e della storia ecclesiastica. Nacque così il progetto di ridurre in metri lirici i centocinquanta Salmi di Davide. L’impresa lo tenne occupato nove anni e nel 1671 il Salmista toscano vide la luce a Macerata.
L’opera, dedicata a monsignor Alessandro Crescenzi, patriarca d’Alessandria, maestro di camera di Clemente X, si inserisce nel filone della poesia davidica ispirato dalla cultura neotridentina, al quale è da ricondurre la maggior parte delle opere del Mattei. Il Salmista toscano ebbe grande successo e in pochi anni se ne pubblicarono numerose edizioni. Principi d’Italia e di Germania accolsero con entusiasmo l’opera loro inviata dal conte Agostino Fontana, e in special modo fu apprezzata dall’imperatrice Eleonora Gonzaga. Le lettere di ringraziamento ed elogio spedite dagli augusti lettori, tra le quali particolarmente encomiastica quella dell’imperatrice, furono raccolte e pubblicate nell’edizione bolognese del 1679.
Il vescovo di Rieti Ippolito Vincentini (presule dal dicembre 1670) nominò il M. esaminatore sinodale, dandogli un ruolo di primo piano nella gerarchia del seminario di Rieti. L’impegno svolto con solerzia lo spinse a lavorare anche alla parafrasi dei cantici biblici che, di nuovo per mezzo del conte Fontana, faceva pervenire manoscritti all’imperatrice. Nel 1686 Le parafrasi toscane cioè sette cantici biblici, e li tre evangelici, et il cantico de’ ss. Ambrogio, et Agostino con le parti principali della christiana dottrina e finalmente il Cantico de’ cantici di Salomone esposto in senso morale uscirono a Vienna «consecrate all’augustissimo nome di Eleonora Gonzaga». Il 16 ott. 1687 Eleonora richiese al Fontana altre parafrasi di scritture sacre: «attendiamo da voi con sollecitudine tutti li Gloria Patri, che subito comanderemo la stampa del Salmista intiero, con questi ancora à maggior gloria del medemo Mattei, la di cui Parafrasi (che ha quasi del divino) ha reso immortale al mondo il di Lui nome» (Vincentini, p. 176). Poche settimane più tardi l’imperatrice morì e la ristampa del Salmista prevista a Vienna fu eseguita a Bologna nel 1688 con dedica al principe Odoardo Farnese (figlio di Ranuccio II) a firma di Carlo Emanuele, figlio del conte Fontana, che si trovava come paggio nella corte del principe. In questa ristampa furono aggiunte «altre parafrasi delle parti principali della dottrina cristiana in sonetti, ed altri metri».
Parallelamente alle parafrasi bibliche il M. lavorò per molto tempo anche a un’altra opera, che vide la luce a Rieti nel 1679 con il titolo Metamorfosi lirica d’Horatio parafrasato, e moralizato e la dedica all’imperatrice. Seguì la ristampa Bologna 1682, e nel 1686 ancora a Bologna insieme con l’Arte poetica tradotta. Del 1682 (Roma) è anche la traduzione, stampata a fronte nello stesso volume, del Divae Clarae triumphus, oratorio scritto in latino dall’abate Francesco Noceti e musicato da Bernardo Pasquino.
A Bologna nel 1689 il M. pubblicò la Hinnodia sacra, che egli stesso definiva il suo «Beniamino». Ancora una volta l’impegno religioso-sociale si manifestava a chiare lettere. Ai «cantillamenti» volgari e osceni che si udivano in particolare dai giovani, il M. infatti contrapponeva gli inni del Breviario romano. Nonostante le cagionevoli condizioni di salute lamentate nella dedicatoria ai vescovi Marco Antonio (di Foligno) e Ippolito Vincentini, il M. lavorò con zelo: nella traduzione usò lo stesso metro dell’originale, a ogni inno premise il nome dell’autore, lo scopo e il momento della giornata nel quale doveva essere cantato.
Nel 1695, a Modena, uscì L’asta d’Achille, che ferisce, per sanare il Salmista toscano. Quest’opera traeva le conclusioni di una benevola polemica iniziata il 27 luglio 1681 con una lettera che Domenico Bartoli, anagrammando il proprio nome in Nicodemo Librato, aveva inviato al M. per contestargli «qualche licenza di lingua, che per lo più sono minuzie grammaticali» (Vincentini, p. 177). Ne nacque una controversia erudita. Anche il M. anagrammò il suo nome in Orelto Tameti e rispose a Bartoli; l’«amichevole zuffa» durò fino al 1682. Dopo avere svelato la vera identità, i due letterati si inviarono i rispettivi ritratti (in questa occasione il M. ne fece uno di sua mano) e l’opera che il M. aveva preparato per difendersi dalle «accuse» di Bartoli e che aveva intitolato Scudo di Pallante fu messa da parte. La «contesa» si tramutò in amicizia e si concluse benevolmente con L’asta d’Achille del 1695. Nello stesso anno a Venezia il M. pubblicò un’opera «dotta e ingegnosa»: Teorica del verso volgare, e prattica di retta pronuntia, con un problema della lingua latina, e toscana in bilancia, ultimo suo lavoro a vedere la luce in vita; in quest’opera, oltre che trattare di metrica volgare e di ortoepia, teorizza la superiorità del toscano sul latino in virtù della ricchezza delle voci, della versatilità nei diversi stili, della facilità dell’ornato retorico, della dolcezza del suono e della chiarezza del senso.
L’attenzione per la storia di Rieti, che aveva sollecitato i primi interessi del M., si ripropose negli ultimi anni, durante i quali lavorò per dare agli studiosi una storia analitica della città: L’Erario reatino, historia dell’antichità, stato presente, e cose notabili della città di Rieti, rimasto incompiuto per la morte ed edito solo nel 1995 (a cura di G. Formichetti, in Il Territorio. Rivista quadrimestrale di cultura e studi sabini, X [1994], numero unico; ed. anast. in L. Mattei, Sonetti. Erario Reatino, a cura di L. Mattei, Rieti 2005).
Il 2 febbr. 1692 il M. fu accolto in Arcadia con il nome di Laurindo Acidonio. Nel 1702 perdette due dei tre figli rimastigli: Pietro, canonico della cattedrale di Rieti, ad agosto e Giovan Battista in ottobre. L’unico figlio in vita, Paolo, si trovava a Jesi in qualità di luogotenente del conte Odoardo Vincentini. Per averlo presso di sé il M. ottenne che gli fosse concessa la carica di canonico della cattedrale.
Per un’accidentale caduta sui gradini di casa il M. rimase gravemente ferito alla testa e dopo due giorni di agonia, il 24 giugno 1705, morì a Rieti.
Il M. esprime un modello tipico di intellettuale controriformista; le sue opere e la sua vita riflettono i ritmi della tipica provincia pontificia. Era capace di giudicare la fondatezza dei fatti storici facendo unicamente riferimento alla Bibbia e reputando al contempo «false e bugiarde» le fonti classiche che pure conosceva. Proprio per questo, assolutamente sorprendente e quanto mai originale è il fatto che, accanto all’intellettuale ligio e morigerato, un’altra parte della sua produzione (rimasta inedita fino al XIX secolo: si veda il regesto analitico dei codici in Formichetti, 1979, pp. 190-210) presenta un poeta stravagante e trasgressivo, nelle forme come nei contenuti. I suoi Sonetti in vernacolo reatino costituiscono un unicum e non solo fra i contemporanei; non è un caso se, per un’apparizione a stampa della musa «sconcia e scuntrafatta» matteiana dovrà trascorrere oltre un secolo dalla sua morte, nelle Poesie, a cura di E. Valentini, Rieti 1829. I testimoni pervenuti, per di più scarsi prima dell’Ottocento, fanno intravedere una circolazione non ufficiale, probabilmente anche orale, come accadrà più tardi per il Belli, che lesse e tenne ben presenti i sonetti dialettali del Mattei. Curiosamente, a prefare la editio princeps del 1829 fu l’«austriacante e papalino» Angelo Maria Ricci, che pose sotto il suo patrocinio la poesia matteiana, peraltro dopo averne rimosso i sonetti più sconvenienti e aver ritoccato la riscrittura di non pochi versi. I più recenti studi restituiscono al M. un ruolo di primo piano nella letteratura dialettale nazionale.
L’elenco dei manoscritti e delle edizioni delle opere del M. è in Formichetti, 1979, pp. 189-210, 222-223.
Fonti e Bibl.: G. Vincentini, Vita di L. M. reatino, in Le vite degli Arcadi illustri, a cura di G.M. Crescimbeni, Roma 1710, pp. 167-191; A. De Nino, Briciole letterarie, II, Lanciano 1885, pp. 51-65; B. Campanelli, Fonetica del dialetto reatino, Torino 1896, passim; F. Egidi, Curiosità dialettali del secolo XVII, in Miscellanea per nozze Crocioni - Ruscelloni, Roma 1908, pp. 213-219; B. Migliorini, Storia della lingua italiana, Firenze 1971, p. 464; M. Colantoni, L. M. poeta in dialetto, in Rieti, I (1973), pp. 209-247; Belli italiano, a cura di R. Vighi, III, Roma 1973, p. 166; G. Formichetti, Inediti di L. M., in La Rass. della letteratura italiana, LXXXIII (1979), pp. 181-224; Id., Un intellettuale reatino del XVII secolo: L. M., in Lunario romano, X, Seicento e Settecento nel Lazio, a cura di R. Lefevre, Roma 1980, pp. 307-318; La Bibbia del Belli…, a cura di P. Gibellini, Milano 1987, pp. 203-208; P. Gibellini, I panni in Tevere: Belli romano e altri romaneschi, Roma 1989, pp. 74-79; G. Formichetti, Momenti delle poetica moderato-barocca: L. M. poeta e antiquario, in Id., I testi e la scrittura. Studi di letteratura italiana, Roma 1990, pp. 143-257; Id., M. quasi sconosciuto. I sonetti in dialetto reatino secondo la redazione dei codici Marchetti e Perotti, Rieti 1992; P. Trifone, Roma e il Lazio, in L’italiano nelle regioni. Lingue nazionali e identità regionali, a cura di F. Bruni, Torino 1992, pp. 569-572; U. Vignuzzi - P. Bertini Malgarini, Il canzoniere reatino di L. M., in Storia della letteratura italiana, V, La fine del Cinquecento e il Seicento, 2, a cura di E. Malato, Salerno 1997, pp. 801-803.