LOS ANGELES
(XXI, p. 509; App. IV, II, p. 359)
Nel 1990 la conurbazione L.A.-Anaheim-Riverside contava 14.531.529 ab., la sola città 3.485.398. Tra il 1970 e il 1980 l'accrescimento demografico della seconda è stato del 5,5%, salito al 17,4% tra il 1980 e il 1990, e vi hanno concorso vari fattori. Nell'ultimo quarantennio sono stati soprattutto l'industrializzazione conseguente la seconda guerra mondiale e l'aumento delle attività terziarie a richiamare consistente manodopera. Rispetto agli anni Cinquanta e Sessanta, allorché gli immigrati arrivavano da tutte le regioni degli Stati Uniti e soprattutto dal Sud-Ovest (Arkansas, Louisiana, Texas, Oklahoma), oggi i maggiori serbatoi di manodopera sono il Messico (che alimenta un notevole flusso migratorio clandestino) e l'America Centrale (Salvador, ecc.). Nell'intera conurbazione sono circa 3 milioni e mezzo gli ispanici, i cosiddetti Chicanos, che − secondo alcune stime − entro il 2000 costituiranno la maggioranza della popolazione.
Dal suo nucleo primitivo, situato alla base di un colle tra i monti Santa Monica e San Gabriele, la città si è andata sempre più espandendo e occupa oggi una superficie di ben oltre 1000 km2: si sviluppa, infatti, per oltre 50 km da nord a sud e per 100 km da ovest a est. Comprende molteplici agglomerati urbani (Santa Monica, Beverly Hills, Redondo Beach, El Segundo, Long Beach, Pasadena, ecc.), separati da vasti spazi non edificati e collegati da poderose vie di comunicazione e da servizi veloci. Nonostante l'incremento della densità residenziale e la costruzione dei nuovi, innumerevoli grattacieli nei diversi centri urbani, la grande conurbazione pacifica continua a mantenere la tipica struttura orizzontale dei decenni precedenti. Tuttavia, numerosi sono i problemi che ha posto la grande espansione: primo fra tutti l'approvvigionamento dell'acqua, per cui si sono realizzate opere arditissime. Si è cominciato con l'utilizzare corsi d'acqua e falde freatiche locali, per poi impiantare grandi laghi artificiali distanti ben 400 km dalla città (Sierra Nevada) e, infine, costruire giganteschi sbarramenti sul fiume Colorado, che forniscono al tempo stesso acqua ed energia. L'acquedotto della California, realizzato nel 1970, alimenta (con più di 3 miliardi di m3 all'anno) tutta la Grande Vallata e il bacino di Los Angeles.
Le principali risorse economiche sono le attività industriali. La più celebre è quella cinematografica, che si accentra a Hollywood e a Culver City. Vi sono poi rappresentati tutti i settori, da quelli innovativi e ad altissima tecnologia (costruzioni aeronautiche, aerospaziali − particolarmente attiva a Long Beach e a Palmdale, dov'è stato costruito lo Shuttle Columbia −, delle apparecchiature elettroniche) ai comparti industriali più tradizionali (metalmeccanico, siderurgico, industrie alimentari, tessili, chimiche, cantieristiche, grafico-editoriali, farmaceutiche, della gomma, del vetro e del mobile).
Un ruolo di rilievo viene poi svolto dalle attività terziarie e in particolare dalle funzioni amministrative, finanziarie, universitarie e artistiche. Di grande importanza è il commercio, favorito dal porto (con un traffico annuale di circa 60 milioni di t di merci imbarcate e sbarcate), che consta di un bacino interno, lo Wilmington Harbor, e di uno esterno, il porto di San Pedro.
Infine una non trascurabile fonte di ricchezza deriva alla città dal turismo e dal soggiorno di famiglie facoltose di ogni paese, attratte a L.A. dalle favorevoli condizioni paesistiche e climatiche.
Bibl.: Los Angeles: capital of late twentieth century, a cura di E.W. Soja e A.J. Scott, in Society and space, 4, 3 (1986); C. Ghorra-Gobin, Los Angeles se remodèle. La conception urbaine américaine est-elle remise en cause?, in Hommes et terres du Nord, 1990, 3, pp. 180-86; R. Law, J.R. Wolch, Homelessness and economic restructuring, in Urban geography, 12 (1991), 2, pp. 105-36.
Architettura e urbanistica. - L.A. è città-regione fra le più emblematiche dell'età cosiddetta post-moderna. Metropoli di eccessi difficilmente comprensibili, nei due secoli trascorsi dalla sua fondazione è diventata una delle aree urbanizzate più estese del pianeta. Seconda negli Stati Uniti per popolazione, afflitta da inquinamento, degrado, problemi sociali, dall'assenza di un centro, da dimensioni eccessive, da qualità anonime e sfuggenti, s'identifica con i più grandi ''luoghi comuni'' urbani d'America. Ma è anche l'unica, assieme a New York, dove la cultura, oltre che consumata, viene prodotta. È oggi uno straordinario laboratorio urbano, un osservatorio privilegiato per chi voglia seguire le tendenze architettoniche emergenti.
Regione urbanizzata, più che città nel senso tradizionale del termine, L.A. è formata da una costellazione di settanta municipalità autonome, amministrativamente afferenti a più contee. L'abbondanza di spazi liberi e di risorse economiche, unitamente a una condizione culturale deideologizzata e individualista, hanno contribuito alla diffusione tipologica della casa unifamiliare. La forte crescita verticale non è peraltro riuscita a trasformare il downtown nel cuore pulsante della città: manca l'''effetto centro'', nonostante la presenza di numerose torri, di un importante Music Center, del Museum of Contemporary Art di A. Isozaki, di nuovi grandi alberghi.
Le caratteristiche architettoniche e urbane di L.A. hanno cause diverse. La condizione culturale angelena è prima di tutto segnata dall'isolamento. All'estremità del continente, L.A. è lontana dalla sofisticata East Coast, lontanissima dall'Europa. Il clima è temperato: chi costruisce non teme le intemperie. È sorprendente constatare la qualità dei materiali impiegati, il disinteresse per quanto si associ al concetto di durevolezza: ciò porta a una spinta sperimentazione tecnologica. L'intera regione è caratterizzata da una serie di ecosistemi interconnessi: oceano, montagne, grandi pianure e deserto. Ma alluvioni, frane e soprattutto terremoti condizionano profondamente la città: la sensazione dell'imminenza della catastrofe fa parte dell'immaginario collettivo e investe il territorio della forma architettonica, le forze sotterranee diventano elemento della dinamica progettuale, l'entropia genera il progetto. L.A. è un topos virtuale, ai limiti del reale: la crescente importanza dei media è stata a lungo assimilata, si è anzi stabilita una sorta di coincidenza della ''media sfera'' con l'estetico. Le mode nascono e muoiono rapidamente in un'atmosfera d'avanguardia, pluralistica e creativa. Il degrado urbano, sia dal punto di vista fisico che da quello sociale, in alcune zone apparentemente insanabile, sembra non importare a nessuno: la ''durezza'' sembra talvolta un dato richiesto. Costante è la tensione verso ciò che è nuovo, stravagante, diverso. Il rapporto con la storia è limitato alla sola che la città conosca, quella recente. La forma assunta dalla pratica professionale è in generale molto privata. Gli architetti, a eccezione di pochi grossi studi, lavorano in piccoli gruppi, isolati dalle enormi distanze fra le varie parti della città: telefono, fax e computer sono spesso gli unici legami con l'esterno.
L.A. è ancora oggi città di frontiera. Le recenti ondate migratorie centro-americane e asiatiche, in particolare, hanno un'influenza culturale, economica, sociale, religiosa fortissima. L'esotismo è costantemente sotteso agli aspetti più diversi della vita urbana e il linguaggio architettonico è portato a misurarsi con le immagini esportate da Giappone e Corea. Ma ciò che soprattutto ha contribuito a determinare la situazione architettonica e urbana è il rapporto con la pratica artistica. Un nuovo edificio è visto spesso come una vera e propria opera d'arte e la committenza è spesso qualificata in tal senso: le architetture più interessanti sono state volute da artisti, galleristi, designers.
Al pari di altre città statunitensi, soprattutto di quelle meno ricche di storia, L.A. è sostanzialmente poco segnata da vincoli di tipo burocratico-urbanistico e, ancora oggi, governata da un aggiornato laissez-faire. Ciò che ne caratterizza la dimensione urbana è la complessa dinamica dei trasporti. La vastità dell'area metropolitana, la capillarità della rete autostradale urbana, il carente assetto dei trasporti collettivi e le prospere condizioni economiche hanno favorito oltre ogni limite l'uso del mezzo privato. Questo ha d'altra parte incentivato forme estensive d'insediamento. Tale sistema sta attraversando una delle crisi più gravi della sua storia: le difficoltà energetiche, gli ingorghi, i costi delle aree di parcheggio, i livelli d'inquinamento (fra i più alti degli Stati Uniti) hanno imposto la ricerca di alternative all'automobile. Fra le soluzioni proposte: i carpool programmes, incentivi per l'uso a pieno dei veicoli privati; l'incremento della rete pubblica; l'uso delle freeways per gli autobus urbani; la costruzione di autostazioni con annessi parcheggi; la nuova rete di metropolitane leggere e pesanti; il downtown people mover, un sistema di navette su binari destinato a migliorare la vivibilità dell'area centrale. Non mancano i progetti a scala urbana di densificazione e di pedonalizzazione di alcune aree, nel tentativo di ristabilire spazi ''a misura d'uomo'' e il parziale affrancamento dai mezzi meccanici.
L.A., fondata nel 1781, per circa un secolo non fu che un avamposto periferico dell'impero coloniale spagnolo. Nella sua breve vicenda architettonica sono identificabili diverse linee di tendenza. La prima affonda le sue radici, più che nelle forme degli insediamenti indiani, nello stile delle missioni cattoliche: dei primi non vi è traccia, del secondo restano tre chiese. Ma la città è profondamente consapevole delle sue origini: lo ricorda il suo stesso nome, la toponomastica stradale, l'enorme diffusione della lingua spagnola. La seconda è una linea segnata da raffinata artigianalità, tributaria in egual misura verso le tradizioni costruttive americane e quelle d'importazione europea. Produrrà fabbriche molto diverse: si pensi al vittoriano Bradbury Building (G. Wyman, 1893); alle bellissime case di Ch. e H. Greene a Pasadena (la Gamble House è del 1908), originali ibridazioni Queen Anne con lo Stick e lo Shingle Style, dai riconoscibili influssi giapponesi, e Arts and Crafts (saranno rilette da Pevsner come anticipazioni del Movimento Moderno); o all'opera di I. Gill, equilibrata sintesi di tradizioni regionali e di protorazionalismo loosiano. La terza è una linea connotata da eclettico esotismo di marca hollywoodiana. Vi ritroviamo di tutto, dal revival mediterraneo al neo-manierismo eduardiano: pensiamo al lavoro di J. Morgan, G. Kaufmann, al Grauman's Chinese Theater o al più tardo Paul Getty Museum di Malibu, ma anche agli edifici di Universal City o di Disneyland, metafore iperrealiste del pluralismo contemporaneo, prodotti della cultura televisiva della riproducibilità, reiterazioni e dislocazioni di significati precedenti.
La quarta è una linea più propriamente modernista, che vede schierati da una parte F. Ll. Wright con la paradigmatica casa Hollyhock, una delle block houses costruite fra il 1921 e il 1924, e il figlio Lloyd; dall'altra il più rigoroso modernismo di europei quali R. Schindler e R. Neutra (la Lovell Health House è del 1929); ma vi coesistono anche le peculiari parentesi dello Streamline Moderne, emblematica la fabbrica della Coca-Cola (1936), e dell'Art déco (il Bullock's Wilshire è del 1928). Tale linea condurrà al tecnologismo di K. Wachsman, alle proposte − sulla linea di L. Mies van der Rohe − di Ch. e R. Eames, Q. Jones, G. Ain, R. Soriano e H. Harris, fino a J. Lautner, P. Koenig, C. Ellwood. La crisi è segnata dalla Garden grove community church, realizzata alla metà degli anni Sessanta dallo stesso Neutra: dopo di essa verranno le stanche declinazioni volumetriche tardo moderne di grossi studi come DMJM, Gruen Associates (presso i quali lavorano A. Lumsden e C. Pelli), Welton Becket, Luckman, Martin, Pereira: è il periodo degli L.A. Silvers, eterogeneo gruppo, definitosi in opposizione ai più noti Whites e Grays di New York, che propone una raffinata forma di slick tech.
Quinta e ultima riconoscibile linea è infine quella post-moderna, nelle sue due accezioni del classicismo storicista, più o meno connotato in maniera pop (Ch. Moore), e del nuovo modernismo, più o meno segnato dal decostruttivismo (F. Gehry e la sua scuola: T. Maine e M. Rotondi − ex Morphosis - in primo luogo, ma anche F. Fisher, E. O. Moss, C. Hodgetts, R. Mangurian). La prima ha chiarito l'importanza della tradizione eclettica e radicale, che ha sempre goduto di larga popolarità. Scelta dubbia, arrendevole nei confronti del kitsch, che ha assunto nuovi significati con l'affermazione della cultura pop, con le analisi urbane di Venturi, con il commercio iconologico post-moderno. La seconda costituisce invece il contributo più originale di L.A. alla cultura architettonica contemporanea. Gehry, in particolare, è oggi fra le figure più discusse e influenti della scena americana. C'è una profonda analogia fra le sue architetture e la città. I tagli e le pulsioni dei suoi edifici sono gli stessi delle strade e delle freeways della città; i colori, volgari e caramellosi, sono quelli dei muri artificiali dei motel, degli shopping centers, delle stazioni di servizio; la disarticolazione spaziale è la stessa della complessa dinamica urbana, fatta di svincoli e uscite, d'intersezioni e fermate. La mancanza di gerarchia nelle sue piante è quella che ogni giorno sperimenta la città nel suo insieme, una città che ha perso, anzi non ha mai avuto, un centro e che ha imparato a convivere con questa condizione.
La ''riscoperta'' di L.A. da parte della critica americana ed europea è recente. Il merito è di R. Banham, il primo ad averne intuito le potenzialità. Successivi divulgatori degli ambigui messaggi emessi dalla metropoli californiana sono stati Ch. Jencks e D. Hockney. Entrambi inglesi, come del resto Banham: il primo ne ha promosso la produzione architettonica, il secondo ne ha rappresentato la scena. Le opere di Hockney costituiscono un corpus di grande valore iconologico: L.A. le ha ispirate e ne è rimasta influenzata. La superficialità, l'edonismo, il vuoto, la bellezza di un paradiso privato di ogni spiritualità, di ogni forma di morale, l'opulenza di una società narcisistica e disgregata, sono la cifra di questi lavori e della vita stessa della città. L'immagine prevarica i contenuti sociali e culturali. L'artificialità dei linguaggi architettonici è accettata come punto di partenza, la condizione sovrastrutturale non più discussa. La nuova architettura angelena si configura come un free-style, un approccio libero, consapevole della perdita dell'idea stessa di verità e di fondamento. Il progetto moderno ha ceduto il passo a un atteggiamento solo debolmente critico, aperto all'accettazione della realtà nei suoi aspetti più ambigui e inquietanti. L.A. è città di sofisticatissimi barbari, cresciuti, allo scadere del secondo millennio, lontano dai modelli europei. Informe e indecisa, priva di logica costruttiva (almeno nel senso più condiviso del termine), si pone come barbarico modello per il futuro. Il progetto che la governa è così debole da essere quasi più una constatazione a posteriori che non una strategia d'intervento. Se New York è forse l'ultima città del passato, L.A. è forse la prima città di una nuova era, la prima del terzo millennio. Vedi tav. f.t.
Bibl.: Los Angeles, in Architectural Design, 51 (1981); Los Angeles 2, ibid., 52 (1982); The California condition, La Jolla 1982; New Light on L.A., in The Architectural Review, 1090 (dicembre 1987); S. H. Kaplan, L.A. Lost&Found, New York 1987; L. Sacchi, Il disegno dell'architettura americana, Roma-Bari 1989.