LOTTO (dal fr. lot, che a sua volta deriva dal franco lot "parte toccata in sorte"; ted. Los)
Il lotto consiste in un giuoco di sorte nel quale la vincita si fa dipendere dalla comparsa di un numero o d'una combinazione di numeri in una serie di sorteggi eseguiti a caso o dall'estrazione d'una cartella in una o più estrazioni su un gruppo di cartelle. Esso dà luogo a un contratto aleatorio per il quale il pagamento d'una posta o l'acquisto d' un biglietto conferisce il diritto di ottenere un premio prefissato da una tariffa o da un piano, nel caso che la sorte favorisca il giocatore.
Lotto di Genova. - Nel lotto a numeri (lotto propriamente detto, lotto di Genova; fr. loto; sp. loteria genovesa; ted. Zahlenlotto; ingl. number lottery) si eseguono successivamente cinque sorteggi da un'urna o ruota nella quale sono deposti i 90 numeri dall'i al 90. Le giocate si possono fare sulla comparsa d'un numero determinato (estratto semplice), di due numeri (ambo), di tre (terno), di quattro (quaterna), di cinque (cinquina) e anche sull'ordine della loro estrazione (estratto determinato, ecc.).
Elementari nozioni di calcolo combinatorio mettono in grado di determinare la probabilità di vincita per le diverse sorti, nei casi più semplici. Così, chi giuoca un numero come estratto semplice, può contare su cinque casi favorevoli sopra novanta casi possibili e perciò ha una probabilità di vincere pari a 5/90 = 1/18. La probabilità dell'estratto determinato è invece di 1/90 o e così via come è indicato dai numeri in grassetto della tabella 1. Si dovrebbero teoricamente attendere, dunque, in un grande numero di giocate, una vincita in media su diciotto giocate per l'estratto semplice, una su novanta per l'estratto determinato. Se chi prende le scommesse promettesse una somma pari a 18 volte la posta per l'estratto semplice, o a 90 volte la posta per quello determinato (giuoco perfettamente equo) non ricaverebbe da parte sua, astrazion fatta delle eventuali spese di amministrazione, né perdita né guadagno.
Il vantaggio per il tenitore del banco sorge sicuramente quando, grande essendo il numero delle giocate, il premio promesso e pagato per il verificarsi d'ogni sorte, risulta minore di quello che dovrebbe essere nell'ipotesi di giuoco equo, in ragione della probabilità di vincita. Condizione perché possa a lungo perdurare un sistema di giuoco in cui il banchiere trae larghi profitti dalla differenza fra le somme ricevute a titolo di giocata e quelle pagate per le vincite, è che la gestione del lotto venga esercitata in regime di monopolio, giacché la concorrenza fra i diversi banchi tenderebbe a far crescere i premî promessi verso il limite segnato dalle probabilità di vincita di ciascuna sorte e, di conseguenza, a far diminuire i profitti. S' intende quindi come gli stati, che hanno ricorso al lotto come a un cespite d'entrate per l'erario, abbiano avuto cura di stabilire l'esclusività dell'esercizio.
L'invenzione del giuoco del lotto propriamente detto, o lotto a numeri, si attribuisce, da taluni, a un certo Benedetto Gentile, patrizio genovese, per quanto manchi ogni prova in proposito. Accertato pare, invece, che esso abbia avuto origine dalle scommesse che si praticavano a Genova in occasione della scelta semestrale di cinque membri dei Serenissimi Collegi (Camera e Senato) in sostituzione di altrettanti uscenti di carica. I cinque nomi venivano estratti a sorte fra quelli di 120 candidati posti in un'urna denominata seminario (ordinamenti della Repubblica, riformati da Andrea Doria, 1576), dalla quale le scommesse sull'esito delle estrazioni presero il nome di giuoco del seminario. I nomi imbussolati si ridussero poi a 90 e si cominciò a distinguerli con un numero d'ordine. La repubblica genovese, dapprima ostile a queste scommesse, disciplinò, in seguito, il giuoco a scopi fiscali, colpendolo nel 1634 con un'imposta e concedendolo nel 1644 in appalto a prenditori autorizzati.
Il giuoco del lotto, secondo il sistema genovese, si diffuse nel sec. XVII e XVIII negli stati italiani, soppiantando, quasi dappertutto, le altre lotterie preesistenti; in molti di essi - come in Piemonte, a Venezia, nello Stato Pontificio, a Napoli - ai nomi dei candidati a cariche pubbliche si sostituirono quelli di ragazze povere da marito; le cinque favorite dalla sorte ricevevano una somma a titolo di dote. In alcuni si stabilì, inoltre, che una parte dei proventi, ricavatí col tenere il giuoco del lotto, fosse destinata a scopi di beneficenza e di pubblica utilità. Caratteristico, a tal proposito, l'ordinamento dello Stato Pontificio, dove Clemente XII, ristabilendo nel 1731 il giuoco del lotto, già interdetto da precedenti pontefici (Alessandro VII, 1660; Innocenzo XII, 1696; Clemente XI, 1702 e 1704; e, particolarmente, Benedetto XII, 1727) e da lui espressamente accolto come il minor male, volle, oltre all'assegnazione del sussidio dotale alle cinque zitelle povere sorteggiate, che il premio ai giocatori vincitori di ambi e di terni fosse proporzionalmente maggiore di quello promesso negli altri stati, che l'impresa fosse affidata a uno dei luoghi pii di Roma (Arciconfraternita di S. Gerolamo della Carità) e che l'utile netto derivante dal giuoco fosse tenuto a sua disposizione per opere pie, per aiuto delle missioni, ecc. Pio VI, nel 1785, assegnò i proventi del lotto alle opere di bonifica delle paludi pontine. Alla vigilia dell'unificazione dell'Italia, il giuoco era in vigore in tutte le parti del paese - a eccezione della Sardegna, alla quale non venne mai esteso neppure in seguito - e dappertutto gestito direttamente dagli stati in forma di monopolio, fonte di entrate per le finanze pubbliche. Con la costituzione del nuovo regno si provvide a mantenere il giuoco del lotto a favore dello stato.
Anche all'estero il lotto all'uso di Genova, con varianti diverse, fu largamente accolto nel sec. XVIII: così in Francia (1776), in Austria (1752), in Prussia (1763) e in parecchi stati germanici; in Belgio (1760); in Olanda; in Danimarca (1771). In alcuni di questi stati esso venne poi abolito o sostituito col lotto a classi od olandese; presentemente è conservato in Italia e in Austria (accanto al lotto a classi).
Lotto a classi o olandese. - Pare sia sorto in Olanda al principio del sec. XVI e differisce dal lotto genovese perché le giocate sono ristrette a un numero determinato di biglietti a prezzo fisso, generalmente divisi in diverse classi, cui corrispondono successive estrazioni. Di solito, il prezzo della giocata è mantenuto relativamente alto, così che il gioco è difficilmente praticato dalle classi più povere della popolazione, ma trova alimento nei ceti medî. Comunemente la somma posta in giuoco viene distribuita in numerosi piccoli premî e consolazioni e pochi premî rilevanti.
L'estrazione si fa, in genere, da due urne, una contenente i biglietti corrispondenti alle polizze messe in vendita, l'altra schede, parte bianche, parte con l'indicazione dei premî: a ciascun sorteggio dalla prima urna si fa seguire un'estrazione dalla seconda, che decide della vincita e del suo ammontare. Le particolari modalità variano, però, da ordinamento a ordinamento. Il lotto a classi è il sistema vigente in Germania (Preussischsüddeutsche Staatslotterie; Hamburger Staatslotterie; Sächsische Staatslotterie); in Austria, dove fu introdotto con l'intenzione di sopprimere il piccolo lotto, che invece continua a esistere accanto alla lotteria olandese; in Spagna e in alcune repubbliche sud-americane, in Olanda, in Danimarca.
Hanno abolito ogni forma di lotto pubblico, almeno come istituzione permanente, la Francia (1836), l'Inghilterra (1826), il Belgio (1830), la Svizzera (1865), la Svezia (1841). Fra i paesi che non ebbero mai l'istituzione del lotto sono gli Stati Uniti d'America, la Turchia, la Russia.
Prestiti a premio. - Una particolare forma di lotto pubblico, congiunta a un'operazione finanziaria, si riscontra nei prestiti a premio. In essi il possessore del titolo di debito pubblico concorre all'estrazione di premî, talvolta assai vistosi (v. debito pubblico; prestiti pubblici).
Lo stato e il lotto. - In quei paesi dove il lotto è ammesso, lo stato può ricavare un lucro dal giuoco in diversi modi: concedendone l'esercizio a imprese autorizzate, in corrispettivo di canoni fissi o quote di partecipazione agli utili o ai proventi lordi (sistema dell'appalto); prelevando un'imposta sulle vincite o sul prezzo dei biglietti. Per la riscossione dell'imposta può essere scelto o il sistema del bollo o quello dell'accisa o della gestione diretta in regime di monopolio (privativa fiscale).
L'ordinamento del lotto in Italia. - Il sistema della privativa fiscale è quello adottato dallo stato italiano fin dalla costituzione del Regno (decr. 27 settembre 1863, r. decr. 5 novembre 1863).
Le norme vigenti sono contenute nel testo unico r. decr. 29 luglio 1925, n. 1456, e nel regol. e r. decr. 9 agosto 1926, n. 1601, modificati dalle successive disposizioni della legge 3 gennaio 1929, n. 151, del r. decr. 21 gennaio 1929, n. 71, del r. decr. 6 novembre 1930, n. 1490, e dalla legge 5 gennaio 1931, n. 35. Il servizio del lotto è attualmente affidato a una speciale divisione dell'amministrazione autonoma dei Monopolî di stato, da cui dipendono i banchi lotto, organi locali incaricati della raccolta delle giocate.
Le giocate si ricevono su bollette di prezzo determinato (cent. 30, cent. 50, lire 1, 2, 3, 5, 10, 20, 25) e possono essere fatte per una qualsiasi e anche per più di una delle otto estrazioni (ruote) che si compiono settimanalmente nel regno, nelle città sedi degli otto compartimenti in cui il territorio italiano - ad esclusione della Sardegna - è stato diviso: Bari, Firenze, Milano, Napoli, Palermo, Roma, Torino, Venezia.
Sono ammesse giocate per le sorti di estratto semplice e determinato, di ambo, di terno, di quaterna. Al giuoco di estratto semplice si riduce anche lo speciale giuoco "sulla sorte di ambo fatto con un numero contro tutti gli 89 altri" conosciuto sotto il nome di ambata, per cui la legge ha disposto un particolare trattamento dal punto di vista della tariffa.
I premî promessi ai vincitori ammontano a 10,5 volte la posta per l'estratto semplice, a 11,23 volte la posta per l'ambata, a 52,5 volte la posta per l'estratto determinato, a 250,5 volte la posta per l'ambo, a 4250 volte la posta per il terno, a 60.000 volte la posta per la quaterna. Non è ammesso il giuoco sulla sorte di cinquina, benché le estrazioni siano di 5 su 90 numeri deposti nella ruota; in sostituzione della cinquina lo stato paga al vincitore cinque quaterne, quante risultano dalla combinazione di cinque numeri. Ma la quantità dei numeri che il giocatore è libero di giocare per ogni bolletta non è limitato a 5 e potrebbe teoricamente giungere sino a 90. Naturalmente, al crescere della quantità di numeri giocati, cresce, col numero delle combinazioni attese, la probabilità di vincita e perciò viene ridotto il premio per ogni lira di posta.
L'utile lordo teorico, cioè la differenza fra il premio calcolato in base alla probabilità delle singole sorti e quello promesso dalla Privativa del lotto, va da un minimo di 37,58% dell'ammontare della vincita teorica (ambo) a un massimo di 88, 26% (quaterna) (v. la Tabella II).
Due riserve la legge pone, a favore dell'amministrazione, sull'ammontare delle vincite: che esse cioè non possano superare le 400.000 lire per ogni bolletta e i 6.000.000 in complesso per ogni estrazione settimanale nel regno. A tutela del proprio monopolio, lo stato ha stabilito, oltre a sanzioni contro il lotto clandestino, il divieto delle lotterie e delle tombole private, salvo speciale autorizzazione da parte dei prefetti per le lotterie provinciali e da parte del Capo del governo per le lotterie e tombole nazionali, che debbono esser promosse per scopi patriottici, culturali, di assistenza, di beneficenza, e non possono eccedere in ogni esercizio finanziario 25 milioni di lire d'importo dei biglietti. Dal 1880 al 1932 le cartelle e i biglietti delle lotterie e tombole furono assoggettati a una tassa del 20%, ora convertita in tassa di bollo.
L'entrata fornita allo stato dal monopolio del lotto mostra, nel settantennio 1861-1931, attraverso continue oscillazioni, una sensibile tendenza all'aumento, anche quando si sia eliminata l'influenza delle variazioni del valore della moneta; la sua importanza relativa nel bilancio statale appare invece in netto declino: i proventi del lotto rappresentavano in media 8/100 delle entrate dello stato nel primo decennio dell'unità italiana (1861-70), mentre ne costituiscono ora meno di 3/100. L'utile netto della gestione - proventi lordi, dedotte le vincite e le spese di amministrazione - fu in media, nel decennio 1920-21/1929-30, di 205 milioni all'anno, pari al 47% degl'introiti lordi.
Esso costituì in media quasi 1/3 dei proventi lordi nei primi tre decennî dopo la formazione del regno (1861-1890) e si è elevato sensibilmente dopo la riforma del 1891, la quale, mentre soppresse la ritenuta del 13,2% sulle vincite, a titolo d'imposta di ricchezza mobile, introdotta nel 1870, ridusse i premî stabiliti per ogni combinazione di giuoco, eccettuata la quaterna. Le spese stipendî al personale, aggi di riscossione, ecc. - assorbono una frazione dei proventi lordi che ha raggiunto sino la misura di 13/100 nel 1862, di 10/100 nel 1918-19 e nel 1920-21 e che negli ultimi tre esercizî finanziarî si è aggirata intomo a 7/100. Nell'esercizio 1931-32 il gettito lordo del lotto fu complessivamente di 515,0 milioni di lire; e le vincite ascesero a 260 milioni.
Fra le regioni che dànno il maggior contributo ai proventi che lo stato ricava dal giuoco del lotto, ha sempre occupato il primo posto (nella graduatoria costruita in base alla riscossione media per abitante) la Campania, seguita dalla Liguria e dal Lazio; le ultime posizioni sono tenute dalla Lucania, dalle Marche, dall'Umbria, dalle Calabrie.
Dal punto di vista finanziario, il provento del monopolio del lotto è considerato generalmente un'imposta; per alcuni trattatisti essa va classificata fra le imposte indirette sui consumi; per altri, invece, fra le imposte sul reddito. Quanto all'essenza del rapporto fra stato e giocatore, dal punto di vista giuridico, è prevalente invece nella dottrina l'opinione che, nonostante il carattere pubblicistico del monopolio statale, il vinculum iuris abbia natura privatistica - contratto di giuoco, al quale però non sono applicabili le disposizioni degli art. 1802-1804 cod. civ. - non riscontrandosi a carico dell'individuo l'obbligo di una prestazione pecuniaria a titolo di imposta.
Bibl.: Oltre ai manuali di scienza delle finanze, di scienza dell'amministrazione e di diritto amministrativo si veda: C. I. Petitti, Del giuoco del lotto, Torino 1853; A. Codacci Pisanelli, Il lotto, Camerino 1886; L. Zdekauer, Sull'organizzazione pubblica del giuoco in Italia nel Medioevo, in Giornale degli economisti, 1892; L. Nina, La teoria del lotto di stato, Torino 1905; T. Martello, In difesa del giuoco d'azzardo legalmente disciplinato, Padova 1914; L. Einaudi, L'imposta sui giuochi (nel volume: In onore di Tullio Martello, Bari 1917); Handwörterbuch der Staatswissenschaften (4ª edizione, 1924) alla voce Lotterie und Lotteriebesteuerung; Wörterbuch der Volkswirtschaft (4ª ed.); S. Majorana, Il monopolio del lotto, in Rivista di politica economica, 1931-32.