CHÂTILLON, Louis de
Nacque all'inizio del XVI sec. da Jean e da Yolande d'Avanchy, in un'antica famiglia del Bugey che aveva le signorie di Musinens e di Châtelard in Sémine, da cui lo Ch. prese spesso il nome. Succedendo probabilmente al padre - la casa di Châtillon era di antica tradizione alla corte di Savoia - lo Ch. fu gentiluomo di camera del duca Carlo II, che lo destinò a diverse missioni.
Nel 1526 lo Ch. era luogotenente generale in Piemonte e nel 1529 raccolse 800 uomini per proteggere la regione dalle devastazioni di Francesco di Saluzzo, pretendente alla successione del marchesato. Durante l'estate del 1530 si recò alla corte di Francia per complimentarsi con il delfino e il duca d'Orléans, tornati dalla Spagna ove erano rimasti in ostaggio in vece di Francesco I; lo Ch. doveva anche rassicurare il re sulle reali intenzioni di Carlo II dopo il suo incontro con Carlo V a Bologna. Nel 1533 la duchessa Beatrice di Savoia inviò lo Ch. a Nizza per salutare al suo passaggio Caterina de' Medici in viaggio verso Marsiglia per sposare Enrico d'Orléans, il futuro re di Francia: missione assai delicata, poiché doveva placare il risentimento del papa e quello della corte di Francia, ai quali Carlo II aveva rifiutato la cittadella di Nizza per l'incontro.
Carlo II teneva evidentemente lo Ch. in grande considerazione poiché nel testamento redatto nel 1540 lo nominò membro di un eventuale Consiglio di reggenza. La fiducia del sovrano si era d'altronde già manifestata con la nomina a governatore del giovane Emanuele Filiberto. Questi, ancor prima di succedere al padre, incaricò lo Ch. più volte di importanti missioni. Nel 1546 lo inviò in Portogallo per chiedere a Giovanni III, fratello della defunta duchessa Beatrice, al cardinale Enrico del Portogallo e all'infante don Luís, un aiuto finanziario. Nello stesso anno si recava presso i Confederati, incaricato di contrastare presso i Cantoni svizzeri l'azione della diplomazia francese tendente ad annullare i vecchi trattati con il duca di Savoia per sanzionare così l'occupazione dei territori sabaudi da parte dei Francesi. Lo Ch. fu ascoltato, ed i Cantoni rimasero su posizioni di attesa.
Al seguito di Emanuele Filiberto alla corte di Carlo V, nel 1550 rientrò da Bruxelles in Piemonte, per preparare l'eventuale successione di Emanuele Filiberto a Carlo II, in preoccupanti condizioni di salute.
A Vercelli lo Ch. si incontrò col segretario ducale Vuillet, al quale fece sapere che, in caso di morte del duca, il maresciallo René de Challant avrebbe esercitato la luogotenenza generale, e si sarebbe dovuto consegnare l'inventario dei gioielli nelle mani del primo gentiluomo della camera Louis de Gallier signore di Bressieu, disposizione questa che mostrava la diffidenza di Emanuele Filiberto e del suo seguito nei confronti dei personaggi che componevano la corte del vecchio duca.
Da Vercelli lo Ch. partì alla volta di Roma per recare l'atto di obbedienza di Emanuele Filiberto al nuovo papa Giulio III, eletto nel mese di febbraio.
Agli ambasciatori del figlio, come del resto a quelli del padre, Giulio III rispose soltanto con buone parole, e confermò i privilegi già accordati dai papi alla casa Savoia per i soli territori ancora effettivamente governati da Carlo II ed Emanuele Filiberto.
Tornato a Bruxelles, lo Ch. sembra esservi rimasto fino alla notizia della morte di Carlo II (17 ag. 1553), quando tornò a Vercelli con il titolo di primo gentiluomo di camera e con le istruzioni del nuovo duca.
In stretta corrispondenza col duca, muovendosi sullo stesso piano di René de Challant, provocò qualche reazione del sospettoso maresciallo. I modi dello Ch. dovevano essere assai bruschi: secondo la testimonianza di Andrea Provana di Leynì egli avrebbe urtato i Valdostani a tal punto, nel corso di una missione in Val d'Aosta, che, se fosse rimasto più a lungo, questi si sarebbero ribellati (cfr. Claretta, p. 53).
Durante la notte fra il 17 e il 18 nov. 1553 il maresciallo di Brissac, che comandava le truppe francesi in Piemonte, approfittando dell'immobilità di Ferrante Gonzaga, capo degli Imperiali, entrò di sorpresa a Vercelli con qualche centinaio di uomini. Ciò che rimaneva delle suppellettili ducali fu saccheggiato. Nelle strade della città lo Ch. si scontrò con un gruppo di soldati francesi e fu ucciso.
Un testimone attribuì la tragica fine ad una vendetta personale: in effetti sarebbe stato più vantaggioso farlo prigioniero, come accadde a René de Challant. La sua morte fu commentata in modo diverso nelle lettere indirizzate a Emanuele Filiberto dagli ufficiali rimasti a Vercelli. Mentre Andrea Provana deplorava il suo carattere impetuoso, Giovanni Amedeo di Valperga rimpiangeva la perdita di colui che considerava uno dei più zelanti servitori dello Stato (cfr. Claretta, p. 39).
Fonti e Bibl.: Lettere del C. al duca di Savoia si conservano nell'Archivio di Stato di Torino, Lettere di particolari, C, mazzo 70; A. de Foras, Armorial et nobiliaire de l'ancien duché de Savoie, I, Grenoble 1868, p. 397; G. Claretta, La success. di Emanuele Filiberto al trono sabaudo e la prima ristorazione della casa di Savoia, Torino 1884, pp. 25, 32 s., 39, 53, 376; A. Segrè, La politica sabauda con Francia e Spagna dal 1515 al 1533, in Mem. della R. Acc. delle scienze di Torino, s. 2, L (1901), p. 312; Id., Docum. di storia sabauda dal 1510 al 1536…, in Miscell. di storia ital., XXXIX (1903), pp. 69, 76, 124, 272; Id., Emanuele Filiberto, I, 1528-1559, Torino 1928, pp. 22, 39, 57, 85, 87 s., 92, 94 s.; L. Marini, Savoiardi e Piemontesi nello Stato sabaudo, I, 1418-1536, Roma 1962, pp. 370, 377 s., 390 n.