Jouvet, Louis
Attore e regista teatrale e cinematografico francese, nato a Crozon (Bretagna) il 24 dicembre 1887 e morto a Parigi il 16 agosto 1951. È stato uno dei più grandi e singolari attori europei del Novecento. Pur se la raffinatezza della sua arte recitativa, la sottigliezza del suo stile scarno, allusivo e privo di retorica trovarono il terreno di elezione nel teatro, il cinema documenta la maestria con cui J. faceva giocare il suo particolare magnetismo, l'intelligenza interpretativa, l'economia dei gesti, l'ironia a volte malinconica e a volte beffarda nelle sfumature dei personaggi cui prestò la sua fisionomia dal tratto ascetico ed elegante e l'intensità penetrante del suo sguardo.
Figlio del direttore di un'impresa di lavori pubblici, trascorse l'infanzia spostandosi in varie regioni della Francia. Tra il 1891 e il 1897 fu allievo dei frati delle Écoles Chrétiennes di Tolosa e, alla morte del padre, nel 1902 si trasferì a Rethel presso uno zio materno, farmacista, per compiacere il quale J. dapprima si iscrisse alla École de Pharmacie e quindi proseguì fino al 1913 gli studi universitari in tale materia.
Nel frattempo, irresistibile, si era manifestata la sua vocazione teatrale cui J. avrebbe dedicato tutta la vita. Iniziò dirigendo un gruppo giovanile, il Théâtre d'Action d'Art, tra 1908 e 1910, cui partecipò anche Charles Dullin, il quale avrebbe poi fatto parte, con Gaston Baty e Georges Pitoeff, della triade di prestigiosi uomini di teatro con cui J. nel 1927 avrebbe dato vita alla formazione del Cartel des Quatre, nel nome di una comune, particolare 'mistica del teatro' basata su un'esigenza di rigore e di poesia e con il fine di aprire la strada a nuove concezioni della messa in scena.Il ruolo giocato da J. nel rinnovamento teatrale della prima metà del secolo scorso fu infatti, oltre che quello di interprete dotato di sottilissima tecnica, di instancabile studioso, artista, intellettuale, didatta di una idea dell'attore e del teatro che faceva sapientemente interagire pratica e teoria, e che, partendo dalla 'lezione' di Molière e D. Diderot, non mancò di nutrirsi di un 'sapere' della modernità che va dalla filosofia di F. Nietzsche alle suggestioni psicoanalitiche di C.G. Jung, in grado di confrontarsi con temperamenti artistici quali quelli di J. Romains, A. Artaud, J. Cocteau, P. Claudel, M. Achard, A. Gide, J. Genet ma soprattutto con un drammaturgo come J. Giraudoux, e prima ancora con un artista di teatro come J. Copeau. Quest'ultimo nel 1913, all'apertura del suo nuovo teatro Vieux Colombier, ingaggiò J. come régisseur con il compito di organizzatore tecnico delle messinscene. Per J., ‒ che era stato in compagnia con un mattatore del mélo come L. Noël e aveva recitato chiamato da J. Rouché nel ruolo a lui congeniale dell'estatico padre Zossima nell'adattamento dello stesso Copeau del romanzo I fratelli Karamazov di F.M. Dostoevskij ‒ l'esperienza delle stagioni al Vieux Colombier fu fondamentale. Nel 1917 raggiunse Copeau a New York e nel 1919 ritornò con lui a Parigi e progettò il nuovo impianto della sala del teatro. Tre anni più tardi, insegnando teoria dell'architettura teatrale per la scuola annessa al teatro, affinò ed elaborò una sua concezione dell'attore tutta calata nella nuda concretezza della scena e nell'artigianale potenza dell'illusione.
Nel 1922 J. lasciava il Vieux Colombier e avviava una serie di stagioni, proseguite fino al 1934, da attore e direttore tecnico, alla Comédie des Champs-Elysées dove nel dicembre del 1923 elettrizzò il pubblico interpretando una novità di J. Romains, quel Knock ou le Triomphe de la Médecine, testo che lo avrebbe accompagnato per tutta la sua carriera, come il suo protagonista, il medico capace di far ricoverare un'intera comunità convincendo tutti che un uomo sano è soltanto un malato che ignora di esserlo.
Fu sempre il dottor Knock a 'segnare', all'inizio e al termine, anche il suo personale itinerario di attore cinematografico, nell'omonima versione del 1933, da lui codiretta con Roger Goupillères, e in quella del 1951, diretta da Guy Lefranc, Knock (Knock, ovvero il trionfo della medicina). In questo personaggio sembrò sintetizzarsi quel tratto caratteristico della recitazione di J. cui il cinema conferì una dimensione 'in più': una sorta di sussiegosa e insieme febbrile, a volte addirittura ipnotica e allucinata capacità di padroneggiare il gioco dell'illusione, unita a un lucido distacco che dà il senso quasi di una metarappresentazione. Al pari di Knock molti personaggi interpretati sullo schermo da J. sono 'ritratti d'attore', uomini che 'fingono' sapendo di fare sul serio e dicono la verità sapendo di mentire. Così il personaggio di Topaze, nel film omonimo del 1933, tratto dalla pièce di M. Pagnol e debutto di J. diretto da Louis Gasnier, l'allampanato professore dirozzato nella sua ingenuità fino a mutarsi, da 'prestanome' di loschi affari, in uomo di mondo; così il truffatore dalla doppia identità in Mister Flow (1936) di Robert Siodmak, oppure il solenne e bislacco monsignor Soper, vescovo di Bedford, che demonizza uno scrittore poliziesco salvo poi farsi bizzarro investigatore e travestirsi da scozzese per essere scambiato per assassino, in quel divertissement che è Drôle de drame (1937; Lo strano dramma del dottor Molyneux) di Marcel Carné. Ma è al disilluso aristocratico di Les bas-fonds (1936; Verso la vita), tratto da M. Gor′kji e diretto da Jean Renoir, che J. infonde una malinconia impalpabile, cinica e struggente a un tempo. Quel barone disincantato e sognatore che da alto funzionario zarista finisce vagabondo all'albergo dei poveri compendia una lezione di stile e di vita, come quando, disteso sull'erba a fantasticare con il ladro Pepel (Jean Gabin) gli confida che, guardando la sua vita, gli sembra di non aver fatto altro che cambiare costume. Metafora del teatro che avvolge spesso l'atmosfera delle interpretazioni di J., come in tre impagabili ruoli tutti del 1938: il precettore del giovane principe che in una scena di Éducation de prince (Se fossi re) di Alexandre Esway fa provare al pupillo un discorso rivolto a soldatini di cartone dandogli indicazioni sui gesti e le pause, proprio come un insegnante di recitazione; il vecchio attore Raphaël Saint-Clair che in La fin du jour (I prigionieri del sogno) di Julien Duvivier si intestardisce a non accettare il declino e continua a recitare pateticamente la parte del seduttore che lo ospita nella casa di riposo; il professor Lambertin che in Entrée des artistes (Ragazze folli) di Marc Allégret tiene la sua classe di recitazione al Conservatoire e al quale J. conferisce evidenti venature autobiografiche nella dedizione prodiga di sobria ironia con cui trasmette la sua lezione di 'filosofia dell'attore'.
Nel 1934 J. era stato appunto nominato professore al Conservatoire e tra il 1936 e il 1939 era approdato, dopo il Théâtre Athénée, alla gloriosa Comédie Française dove, a parte il classico Corneille di L'illusion comique, allestì le novità di Giraudoux con cui fin dal 1927 aveva stabilito un rapporto privilegiato.Intenso fu il biennio 1937-38 per l'attività cinematografica di J.: ben dodici film che gli conferirono una popolarità e un prestigio notevoli, definendo anche le ricorrenze tipologiche dei suoi personaggi: oltre agli eccentrici e ai blasés, J. tratteggiò la losca canaglieria di gangster corrotti (Carnet de bal, 1937, Carnet di ballo, di Duvivier), di infidi sfruttatori (Hôtel du Nord, 1938, Albergo Nord, di Carné), di ambigui delinquenti (Le drame de Shangaï, 1938, Shangai, di Georg Wilhelm Pabst), di intriganti truffaldini (Forfaiture, 1937, L'insidia dorata, di Marcel L'Herbier) ma anche la disinvolta perfidia di investigatori implacabili (L'alibi, 1937, di Pierre Chenal) a volte non privi di doppiezza (La maison du maltais, 1938, La casa del maltese, di Chenal). Dopo aver prestato un'oscura inquietudine al fantasma conducente del carro della morte in La charrette fantôme (1939; Il carretto fantasma) di Duvivier, J. rese alla perfezione i disincantati magheggi dell'avventuriero Mosca, sodale di Volpone nel film omonimo di Maurice Tourneur, adattamento di J. Romains dalla commedia elisabettiana di B. Jonson Volpone (1941; L'avventuriero di Venezia).
Allo scoppio della Seconda guerra mondiale J. lasciò la Francia occupata, riparò in Svizzera e, tra il 1941 e il 1945, intraprese un'avventurosa tournée in America Latina. Dal dopoguerra all'anno della sua scomparsa, quando l'arte di J. raggiunse sulle scene francesi una compiutezza e una complessità tali da restare inarrivabili (tanto nelle celebri interpretazioni molieriane di Don Juan e di Tartuffe, quanto nella messinscena di testi innovatori come nei casi di Les bonnes di Genet o Le diable et le bon Dieu di J.-P. Sartre), il cinema non mancò di offrirgli altre importanti occasioni.Tra le più significative, la resa glaciale e asciutta di un'interpretazione magistrale, l'ispettore Antoine in Quai des orfèvres (1947; Legittima difesa) diretto da Henri-Georges Clouzot, ma anche i 'doppi ruoli' di sosia in Copie conforme (1947; Il signor Alibi) di Jean Dreville e in Entre onze heures et minuit (1949; Tra le undici e mezzanotte) di Henri Decoin, attraverso i quali J. non perde l'occasione di fornire una variazione sul gioco del 'recitare la vita' tra verità e menzogna, lui che racchiudeva il 'paradosso' dell'attore nella distinzione tra acteur, il quale 'abita' un personaggio con la sua personalità, e comédien, il quale 'è abitato' da una infinità di personaggi da cui si lascia assorbire. Dicotomia esemplare, entro cui la difficile arte dell'interprete oscilla perennemente.
C. Cézan, Louis Jouvet et le théâtre d'aujourd'hui, Paris 1948.
B. Liebowitz-Knapp, Louis Jouvet, man of theatre, New York 1957.
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