Brooks, Louise
Attrice cinematografica statunitense, nata a Cherryvale (Kansas) il 14 novembre 1906 e morta a Rochester (New York) l'8 agosto 1985. Incarnazione di immagini diverse e anche contraddittorie (la donna indipendente e autonoma o al contrario la seduttrice suo malgrado), la B. rappresenta un caso ‒ unico nella storia del cinema ‒ di diva 'postuma', ignorata dal pubblico e dalla maggior parte dei critici del suo tempo, e divenuta celebre molti anni dopo la fine della sua carriera. Nonostante i suoi ventuno film americani (di cui nove come protagonista), la sua fama è affidata a quelli interpretati in Europa: i due di Georg W. Pabst, Die Büchse der Pandora (1929; Lulù ‒ Il vaso di Pandora) e Das Tagebuch einer Verlorenen (1929; Diario di una donna perduta), e, in misura minore, Prix de beauté (1930; Miss Europa) di Augusto Genina.
Discendente da agricoltori inglesi emigrati negli Stati Uniti alla fine del Settecento, era la seconda dei quattro figli di Leonard Porter Brooks, avvocato, e di Myra Rude, intellettualmente brillante e dotata di talento musicale (fu lei a incoraggiare la figlia a diventare ballerina). Abbandonati gli studi regolari a quindici anni, frequentò, nell'estate 1922, la scuola di danza di Ruth St. Denis e Ted Shawn a New York; prese quindi parte alle tournée della loro compagnia, i Denishawn Dancers. Nel 1924 fu ballerina di fila nello spettacolo Scandals di George White; si esibì poi al Café de Paris di Londra e l'anno dopo partecipò come ballerina solista alle Ziegfeld Follies. Nel 1925 esordì sullo schermo con una piccola parte in The street of forgotten men di Herbert Brenon. Nello stesso anno firmò un contratto quinquennale con la Paramount, che le fece interpretare fino al 1928 una decina di commedie brillanti di modesta qualità. In esse tuttavia la B. ebbe modo di costruire gradualmente il suo personaggio-tipo degli anni Venti, quello della flapper, la ragazza anticonformista, vivace, grazie anche allo sguardo vivissimo, al fisico quasi androgino, e al celebre taglio di capelli a caschetto (il bob). All'inizio del 1927 fu costretta dalla casa di produzione a trasferirsi a Hollywood, in una città e in un ambiente a lei non congeniali che le permisero comunque di prendere finalmente parte a opere di un certo valore: si mise così in luce con A girl in every port (1928; Capitan Barbablù) di Howard Hawks, e soprattutto con Beggars of life (1928; I mendicanti della vita) di William A. Wellman, considerato il suo miglior film americano, in cui, inseguita dalla polizia per un omicidio, fugge travestita da uomo con Richard Arlen. Concluse questo periodo The canary murder case di Malcolm St. Clair, girato muto nel 1928 e sonorizzato l'anno dopo: nella parte di una cantante di nightclub destinata a essere assassinata, la B., dondolandosi su un'altalena in un costume di sole piume con due grandi ali (ideato da Travis Banton), vi fa una memorabile apparizione, carica di ambiguo erotismo.
Nel 1929 ruppe con la Paramount e poco dopo partì per la Germania, richiesta dal regista G.W. Pabst che aveva deciso di preferirla a Marlene Dietrich come protagonista del suo nuovo film, Die Büchse der Pandora (tratto da due drammi di F. Wedekind, Erdgeist e il suo seguito Die Büchse der Pandora). Nella parte di Lulù, la B. fonde, in un'inedita mescolanza, seduzione e candore. Sebbene non manchino i critici che sostengono la superiorità del secondo film di Pabst, Das Tagebuch einer Verlorenen, sul primo, per i cinéphiles di tutto il mondo la B. è, e resterà, Lulù, la più famosa frangetta del Novecento. I due film, che uscirono contemporaneamente ai primi film sonori, ebbero però una circolazione limitata ad alcuni Paesi europei, dove furono peraltro tagliati dalle varie censure; l'accoglienza fu tiepida: pubblico e critica non compresero la novità dei due personaggi e dello stile di recitazione dell'attrice. Sconcertati dall'enigmatico miscuglio di passività e magica presenza della B., molti critici di allora parlarono di "incapacità recitativa". Alla fine del 1929, la B. partecipò a Parigi alle riprese di Prix de beauté, in cui spicca l'interpretazione sottotono dell'attrice, il sottile gioco seduttivo basato sugli sguardi e su una mimica facciale appena accennata. Fu il suo ultimo film importante, e il primo parlato (anche se la sua parte venne doppiata). Rientrata in patria, dove i suoi film europei non erano stati distribuiti, si rese conto di non essere più considerata un personaggio di primo piano: poté prendere parte, e oltretutto in ruoli secondari, solo a film trascurabili. Fece quindi una breve apparizione nella parte di sé stessa in Hollywood Boulevard (1936) di Robert Florey. Ritiratasi nel 1938, visse precariamente per molti anni, alternando lavori occasionali e talvolta umilianti a gravi crisi di alcolismo, mentre il suo nome veniva dimenticato. Anche gli storici del cinema, come già i critici, sottovalutarono il valore delle sue interpretazioni. S. Kracauer in From Caligari to Hitler (1947) neppure la menziona; nella Histoire du cinéma américain (1953) R. Jeanne e C. Ford la citano due volte senza alcun commento. In precedenza (1935), nella loro Histoire du cinéma, non ne avevano parlato affatto M. Bardèche e R. Brasillach, mentre nella monumentale Histoire générale du cinéma, G. Sadoul la liquida con gli aggettivi "avvenente ma poco dotata" e anche "inespressiva ma docile e affascinante". Nella sua Storia del cinema sonoro, 1926-1939 (1966) R. Paolella parla della presenza troppo sfrontata ed eccitante della B., mentre in The film till now (1949) l'inglese R. Rotha aveva dedicato due pagine a Die Büchse, a suo avviso film fallito perché era impossibile dare una concreta realtà al personaggio senza le parole di F. Wedekind. Ma gli anni Cinquanta segnarono anche la rivalutazione dell'attrice, e così vennero L.H. Eisner con L'écran démoniaque (1952) e A. Kyrou che in Amour-érotisme et cinéma (1957) le dedica sedici citazioni e diciassette pagine, definendola "la donna-sogno, l'essere senza il quale il cinema sarebbe una povera cosa… Le altre sono 'le donne', lei, è Louise". Li aveva preceduti nel 1951 F. Savio, con l'articolo Omaggio a Miss Europa. Nel 1955 la Cinémathèque di Parigi le dedicò una retrospettiva alla quale fu invitata, gettando le definitive basi per il consolidamento della sua fama. A differenza delle coetanee Greta Garbo e Marlene Dietrich, europee che avevano fatto fortuna a Hollywood, questa americana del Kansas trovò la gloria postuma in Europa. Per alcuni anni (1926-1929) aveva ispirato il personaggio dei fumetti Dixie Dugan di John H. Striebel, e successivamente molti altri, tra cui, a partire dal 1965, la Valentina di G. Crepax (il quale tra l'altro ebbe negli anni Settanta una fitta corrispondenza epistolare con l'ex attrice). Molte erano state le ragioni che le avevano impedito di diventare una star: la lucidità istintiva e accanita con cui si era sottratta alle regole del sistema hollywoodiano; il rifiuto di firmare dopo il 1928 contratti a lungo termine; l'indisciplina, frutto di temperamento ma anche di una diversità e di una solitudine cui intendeva rimanere fedele. Amò profondamente i libri e non finse di essere un'intellettuale, perché lo era veramente. Lo testimonia il suo unico libro, Lulu in Hollywood (1982; trad. it. 1984): sette capitoli di memorie (alternate a critiche cinematografiche che aveva scritto a partire dal 1955), splendidi per acume psicologico, libertà di giudizio e concisione.
M. Mida, Louise Brooks, antesignana del sex appeal, in "Sipario", genn. 1951, 57.
F. Savio, Omaggio a Miss Europa, in "Cinema", n. s., dic. 1951, 76.
H. Langlois, Plus que Garbo, in Cinémathèque Française, 60 ans de cinéma, Paris 1955.
A. Kyrou, Amour-érotisme et cinéma, Paris 1957, pp. 475-92.
J. Card, The intense isolation of Louise Brooks, in "Sight and sound", Summer 1958.
F. Buache, G.W. Pabst, Paris 1965, pp. 32-47.
K. Brownlow, The parade's gone by, London 1968, pp. 357-64.
K. Lahue, Ladies in distress, New York 1971, pp. 45-51.
F. Savio, Visione privata, Milano 1973, pp. 269-73.
Louise Brooks: portrait d'une anti-star, éd. R. Jaccard, Paris 1977.
K. Tynan, Show people: profiles in entertainment, New York 1979, pp. 236-317.
T. Elsaesser, Lulu and the meter man, in "Screen", July-Oct. 1983, 4-5.
J. Roberts, Louise Brooks, in "Classic images", Febr. 1983, 92.
Louise Brooks tra le nuvole parlanti, a cura di V. Mollica, Roma 1983.
Almanacco Louise Brooks, dossier di "Filmcritica", luglio 1984, 346.
Louise Brooks, dossier di "Positif",nov. 1985, 297.
W.K. Everson, Remembering Louise Brooks, in "Films in review", Nov. 1985.
J. Kobal, People will talk, New York 1985, pp. 71-97.
B. Paris, Louise Brooks, New York 1989.
P. Wollen, Brooks and the bob, in "Sight and sound", Febr. 1994.
Louise Brooks l'européenne, éd. P. Cristalli, V. Dalle Donne, Paris 1999.