lubricus
L'aggettivo è impiegato in accezione retorica in VE II VII 2 e 4, a indicare le parole aliene dalla necessaria misura dello stile ‛ tragico ' per eccesso di morbidezza e levigatezza; anche in questo caso, come spesso nel trattato, D. attribuisce un carattere stilisticamente negativo all'esagerazione di una qualità positiva, indicata nello stesso contesto con il metaforico pexus (v.).
Tra i vocaboli urbana - egli osserva - alcuni appaiono pexa et lubrica, altri all'opposto yrsuta et reburra, ma solo quelli pexa o yrsuta sono veramente magnifici (grandiosa), mentre i lubrica e i reburra colpiscono in modo sgradevole l'orecchio col loro eccesso, rispettivamente, di mollezza e di asprezza (in superfluum sonant). Come esempio concreto di parola l. viene citata femina, in cui verosimilmente D. individua la compresenza di una forma fonica troppo morbida, scivolosa (accento sdrucciolo) e di una connotazione morale negativa sul piano del significato (rispetto al ‛ sinonimo ' più nobile donna, presente infatti al successivo § 5 tra gli esempi tipici di vocaboli pexa e illustri); per cui è probabile, giusta il suggerimento del Marigo, che in l. si cumulino qui il senso proprio (" sdrucciolevole ", ecc.) e quello traslato etico, con relativo arricchimento della categoria di giudizio in questione. E v., per maggiori particolari, vocaboli, teoria dei. Un precedente di questo uso dantesco di l. si può comunque indicare nell'autorevole Donato Ars gramm. (maior) III 4 " Synaliphe est per interceptionem concurrentium vocalium lubrica quaedam lenisque conlisio... haec a quibusdam syncrisis nominatur ".