DA LEZZE, Luca
Nacque da Donato di Luca, senatore, morto del 1398 (cfr. Archivio di Stato di Venezia, Notarile Testamenti, Atti, Tomasi Bartolomeo, b. 1000, testamento n. 389 del 2 marzo 1398) e da Cristina di Zuanne Loredan, probabilmente negli anni intorno al 1390; il 4 dic. 1414, superata l'età di vent'anni, veniva estratto alla "barbarella" entrando di diritto in Maggior Consiglio. Fu il primogenito di una prole nutrita: due le sorelle, Bianca moglie di Francesco di Nicolò Cocco e Chiara consorte di diovanni di Lorenzo Zane; cinque i fratelli - Benedetto, Francesco, Andrea, Pietro e Marcello - che ebbero quasi tutti onorevoli carriere contribuendo, con il D., a rinverdire i fasti economici e politici della famiglia alquanto appannati all'inizio del '400 dopo l'autorevole presenza, a metà 1300, di Luca di Giovanni, uno dei "sette aggionti" ai Dieci all'epoca della condanna del doge Falier. Fu certo allevato tra grandi difficoltà nella casa paterna a S. Giovanni Novo: informa lo stesso D. (in una Nota di cui si parlerà a lungo più oltre) del 200 ducati chiesti in prestito dalla madre, subito dopo la morte di Donato, per urgenti "suo bixogni".
Lunghissimo e denso d'incarichi, l'iter politico del D. si srotola per buona parte del '400, documentabile però solo a partire dal 1439, anno in cui compare per la prima volta in Pregadi - ma se ne può con facilità ipotizzare anche precedentemente la presenza - dove, vuoi come ordinario vuoi come dei "quadraginta de additione" (cioè della zonta), siede pressoché ininterrottamente fino al 1465, suggerendo l'impressione - in mancanza di testimonianze più dirette sulla sua attività - di un prestigio guadagnato più per paziente quotidianità politica che per credito di risolutezza e autorità d'opiffione. Un uomo, come si vedrà, più pazientemente teso alla costruzione di un solido alone di prestigio economico e sociale alla famiglia.
Dopo essere stato podestà e capitano in Capodistria dal marzo 1441 e console a Damasco dal maggio 1445 (quando ormai il traffico esercitato dalle "mude" verso il Levante conosceva quel "plafonnement" preannuncio della prossima lenta agonia, come si osserva in R. Romano, Des lions affamés, in Venise au temps des galères, Paris 1968, p. 272), tra l'agosto del '48 e il marzo del '49 entra per la prima volta in Consiglio dei dieci ricoprendo il ruolo di capo, inquisitore e "camerarius". Alle Biave tra il '49 e il 1 50, nel febbraio 1452, come provveditore sopra Camere, è inviato a Castelfranco con compiti di controllo sulla locale Camera e per recuperare un credito di 3.000 ducati vantato dalla Dominante nei confronti di Micheletto Attendolo, in quegli anni capitano generale delle truppe veneziane. Dall'agosto 1452 e poi nel '55, '56, '57, '58 e '59 è di nuovo e continuatamente dei Dieci, o come membro effettivo, coi soliti compiti, o come consiliarius entrante nel collegium, o come uno dei componenti le varie - di numero e competenze - additiones al Consiglio stesso. Savio del Consiglio per sei volte dall'ottobre 1450 al giugno 1464, è poi nominato capitano a Padova dove rimane, con Zaccaria Trevisan prima ed Andrea Bernardo poi in qualità di podestà, dalla metà circa del 1463 fin oltre il 28 marzo 1464.
Proprio durante il suo rettorato, dogando Cristoforo Moro, scoppiò la secolare quaestio delle doppie reliquie di s. Luca, che francescani veneziani di S. Nicolò del Lido e benedettini padovani di S. Giustina proclamavano entrambi di possedere vantando inoppugnabili e pluricentenari titoli di autenticità. Quale, dunque, il vero santo corpo che doveva essere il vanto della restaurata chiesa di S. Giobbe? Mentre febbrili consultazioni si avviavano coi rappresentante veneziano a Roma Bernardo Giustinian (cfr. Archivio di Stato di Venezia, Senato, Terra, reg. 5, c. 49v), ai rettori si ordinava di procedere alla ricognizione delle ossa venerate in S. Giustina: e l'ordine, veniva eseguito con gran pompa d'autorità l'11 ag. 1463 da due celebri professori dell'ateneo patavino, Paolo dal Fiume e Francesco Passera, i quali attestavano l'origine sicuramente umana dei resti e l'incomparabile loro bellezza, sminuita, purtroppo, dalla mancanza dell'intero cranio. La disputa, temporaneamente vinta dai frati veneziani, doveva terminare solo nel successivo secolo con la definitiva sentenza emessa in favore dei benedettini padovani.
Eletto il 29 giugno 1464., primo della famiglia a rivestire tale dignità, procuratore di S. Marco de citra e vincendo di stretta misura Lorenzo di Antonio Moro, il 28 agosto dello stesso anno il D. è "deputatus ad officium procuratorum in Rivoalto"; carica alla quale torna nell'agosto 1465, ma che è costretto ad abbandonare, non risulta per qual motivo ("ob casum occursum viro nobili Luce de Lege procuratori, qui omnibus notus est", recita la delibera del Senato; in Archivio di Stato di Venezia, Senato, Terra, reg. 5, c. 138v), meno di un mese dopo, il 9 settembre. Nel novembre 1471, alla morte del doge Moro, è "correttore" della promissione ducale con Zorzi Loredan, Andrea Vendramin, Nicolò Tron e Alvise Foscarini; partecipa al tormentato e aspro scrutinio dogale riuscendo dei "quarantuno" ma con scarse speranze di elezione, ristrettasi la lotta al Foscarini, a Piero Mocenigo e al vecchio Tron ("il qual non era bon, salvo che star cum frati"; così in Biblioteca del Civico Museo Correr di Venezia, Mss. P. D. c. 2801, Cronaca Veniera, c. 227).
Il D. aveva sposato nel 1415 Elisabetta di Giacomo Bonomo "spicier", un mercante quindi, non nobile, ma sicuramente ricco. Dal matrimonio gli erano nati, in epoca imprecisata, tre figli: Donato (sposato nel 1449 a Marina di Francesco Donà), Daniele ("iudex procuratorum" nel 1454 e "thesaurarius patrie Foroiulii" nel 1455) e una figlia, maritata nel 1458 a Giovanni di Benetto Vitturi, nei confronti del quale il D. non dovette nutrire granché stima, dal momento che nel 1470., avvertendo forse l'età avanzata, compilò una lunga ed accurata descrizione dei suoi beni immobili e della loro provenienza (se cioè ricevuti in eredità o facenti parte del fondo dotale della moglie), qualcosa a metà fra il testamento e la dichiarazione a futura memoria, che servisse ad allontanare dal patrimonio, destinato ai figli maschi e ai loro eredi (Donato era sicuramente morto nel 1469: cfr. biblioteca nazionale Marciana di Venezia, Mss. It. VII, 24 [= 8379], Barbarella, c. 124v), il rapace interessamento del genero e dei nipoti, pronti ad accampare diritti su beni ritenuti parte dell'eredità materna e quindi, come tali, legittimamente trasmissibili alla figlia o a chi per lei ("Perché non dubito - così inizia la Nota - che morto serò..., Zuan Vitturi che fo mio zenero cho suo fioli vora intender che beni sera stadi quei de Ixabeta fo mia moier, per aver el terzo de i diti beni...").
Ne emerge un singolare documento, uno spaccato di vissuto giornaliero amorosamente rivisto, forse unico, che intreccia affettuose o meno rievocazioni familiari - la moglie precocemente morta, i figli cresciuti in fretta, la nuora che fa da padrona - a puntigliose ricostruzioni di intricate successioni patrimoniali. Un brogliaccio (una ventina di grandi fogli pergamenacei fittamente riempiti), per il quale val la pena spendere qualche osservazione.
Ecco allora, per pagine e pagine pregne di un unico gigantesco periodo, snodarsi la storia della sua casa - "la chaxa granda la qual io abito", posta in S. Vidal, con l'entrata "in chale chiamata Pesina" e che la moglie gli aveva recato in dote - e dei progressivi ingrandimenti, minuziosamente elencati e descritti: là il bisogno di ricavare due stanze da una sola, destinate ai figli ormai da sposare, costante preoccupazione materna; là una finestra necessaria a rischiarare un "andedo" troppo buio, poi ampliato col buttar "zoxo" un muro; o ancora, "la schala che se montava in portego" o l'altra, recante al "magazen da le legne", da render più salde; e via così con molte altre modifiche, di minima o grande importanza (anche le fondamenta il D. provvide a rimettere in sesto, "infortando i chantonali de piere vive e mesoli uno bon bordonal") e, di tutte, conservate le relative "charte". Più che casa, eterno cantiere dunque, nutrito dei successivi acquisti di case, corti, pozzi, magazzini, "albergheti" e terreni circostanti; affari a volte sospirati per anni (con un biasimo non ancora sopito a trent'anni di distanza, il D. ricordava come Stefano Zancani, proprietario di metà d'una casa adiacente alla "cha' granda" - l'altra metà della quale già ceduta dal fratello Vittore allo stesso D. "per ducati 125 d'oro" -, "con parole" lo avesse "tirato in longo" per un buon numero di anni "per fina... che... se maridò", pretendendo allora ben 250 ducati), a volte conclusi per disperazione (come nel caso di un terreno verso S. Samuele, adoperato dal padrone come deposito di "schovaze" e acquistato da Luca perché "non se poteva da spuza"), a volte mandati a monte (come le dodici "chaxe" in S. Samuele, non comperate per esser la calle vicina eccessivamente chiassosa, frequentata com'era "da ribaldi e giovani" vocianti "tutto il di" e perciò poco adatta "per abitarge persone da ben"). Senz'altro una ragguardevole proprietà, che tra "cha' granda" e tutte le altre estendeva i confini tra S. Angelo, S. Samuele e S. Vidal.
Fa seguito alla descrizione delle case e dei lavori compiutivi, la trascrizione, in volgare come la Nota stessa, dei contratti e delle memorie relativi ai diversi passaggi di proprietà, tanto dei beni della moglie quanto suoi, a partire dal 1300, trascritti alla rinfusa, senz'ordine né temporale né d'argomento e inframmezzati da osservazioni. Chiarificatrice una, in particolare, circa lo scopo ultimo dell'affannoso affastellar notizie: "questa - scriveva - è la principal chaxon ch'io fazo ste note, per veder de intender il parentà nostro per poterne drezar un albero". L'ambizione, quindi, di rintracciare radici d'un qualche prestigio - Bernardo, Boldù, Emo, i nomi che tornano fra gli altri - ad una pianta tutto sommato giovane quanto a lustro.
Il D. si spense, in ormai ragguardevole età, alla fine del dicembre 1475, il 24 0 più probabilmente il 30, se il 1° genn. 1476 già veniva eletto il suo successore alla procuratia de citra. Venne sepolto in S. Stefano con questa semplicissima iscrizione: "Lucas Legius D. Marci Procur. sibi posterisq. suis P. MCCCCLXXV". Del suo testamento, redatto - come informa il nipote in postilla ai margini della Nota - nel 1473dal "pievan" di S. Angelo, s'è persa ogni traccia.
Fonti e Bibl.: Archivio di Stato di Venezia, Avogaria di Comun, Cronaca matrimoni, regg. 106, c. 61r; 107, c. 160r; Ibid., Miscellanea Codici I, Storia veneta 20: M. Barbaro-A. M. Tasca, Arbori de'patritii veneti, IV, cc. 231, 233, 235, 236; Ibid., Consiglio dei dieci, reg. 13, cc. 107v, 109r, 110v, 111v, 113r, 116rv, 117rv, 119r, 121r; reg. 14, cc. 12v, 16r, 20v, 22v, 24r, 25rv, 26r, 29rv, 31r, 35v. 39v, 127r, 196r; reg. 15, cc. 23r, 25v, 29v, 33r. 38rv, 40v, 75r, 77r, 103r, 117v, 125v, 128rv, 131v, 138v, 140v, 142v, 143rv, 144r. 145r, 149v, 161r, 163r, 173v, 178v, 179rv, 180r, 184r. 187r, 189v; Ibid., Collegio Notatorio, reg. 8, cc. 122v, 123-126, 127v, 128rv, 129r, 130rv, 131v, 132r, 134v; reg. 9, cc. 32v, 33-36 37r, 38-41, 42r, 43v, 44rv, 45rv, 47r, 48r, 151v, 152r, 153rv, 154rv, 155r, 156-159, 161v, 162-166, 168 s.; reg. 10, cc. 39v, 40rv, 41v, 42rv, 43v, 44-49, 50v, 51rv, 52v, 53-55, 56v, 58v, 59v, 60-62, 63r, 64v, 65r; Ibid., G. Giorno, Ind. per nome di donna dei matr. dei patr. ven., I, p. 154; Ibid., Segretario alle Voci, Misti, reg. 4, cc. 64r, 75r, 84v, 93r, 94r, 99r, 102r, 107v, 111r, 120v, 122r, 125r, 138r, 142v, 143r, 155r; reg. 5, c. 10r; reg. 6, c. 86v; Ibid., Senato, Terra. reg. 2, cc. 156v. 157r, 159rv, 160v, 163v, 165v, 168r, 171v, 175r, 176r, 177r, 180v, 181r; reg. 3, cc. 20v, 138r, 139r, 140r, 143r, 145r, 147r, reg. 4, cc. 100r, 104v, 105v, 106v, 107rv, 109r, 111r, 112r, 115r, 117r, 119r, 124r. 183r, 185r, 186rv, 188v, 189r, 190r, 191rv; reg. 5 cc. 3v, 4v, 5v, 9v, 84v, 89v, 130v, 138v; Venezia, Bibl. del Civico Museo Correr, Cod. Cicogna 2890: G. Priuli, Pretiosi frutti del Maggior Consiglio, II, c. 131r; Ibid., Cod. Cicogna 2329, V. Molin [?], Storia delle famiglie venete, c. 49; Ibid., Mss. P. D. c. 2803, Alberi genealogici di tutte le famiglie venete patrizie, c. 255; Ibid., Mss. P. D. 779 C/8: L. Da Lezze, Descrizione dei suoi beni immobili, 1470 (è la Nota, forse autografa, arnpiamente citata nel testo); Venezia, Bibl. naz. Marciana, Mss. It. VII, 16 (8305): G. A. Cappellari Vivaro, Il Campidoglio veneto, II, cc. 207rv, 208v; Ibid., Ibid., 14 (7418): B. Bembo, Cronaca delle famiglie patrizie venete, c. 174r; Ibid., Ibid., 96 (7683): Efemeridi istoriche, cc. non num., alla data 29 giugno 1464; Ibid., Ibid., 156 (8492): Libro di nozze patrizie, cc. 234v, 235r; Ibid., Ibid., 198 (8383): Reggimenti della Repubblica... nei secoli XV-XVII, cc. 5v, 139v, 247r; Ibid., Ibid., 615 (8471): Istoria e serie de' Procuratori di S. Marco, c. 39r; Ibid., Ibid., 1 (8356): A. Degli Agostini, Cronaca veneta, cc. 158bis rv, 159r, 164r, 165v; Ibid., Ibid., 307 (8467): Ballottattioni et elezioni de dogi, cc. 66v, 67rv, 68r, 70v, 71r, 72r; Ibid., Ibid., 804 (8478): Cronaca delle elezioni dei dogi, cc. 60 ss.; 67 s.; Ibid., Ibid., 299 (7868): Omaggio al doge Nicolò Tron, c. 6v; Relazioni dei rettori veneti in Terraferma, a cura di A. Tagliaferri, IV. Podestaria e capitanato di Padova, Milano 1975, p. LIII; G. Cavazza, Historiarum coenobii D. Iustinae Patavinae libri sex, Venetiis 1606, p. 230; G. F. Tornasini, Gymnasium Patavinum, Utini 1654, p. 392; S. Orsato, Cronologia delli reggimenti di Padova, Padova 1666, p. 49; C. Freschot, Li Pregi della nobiltà veneta, Venezia 1682, p. 342; N. Amelot de la Houssaye, Histoire du gouvernement de Venise, II, Amsterdam 1695, p. 544; G. Salomonio, Urbis Patavinae inscriptiones sacrae et prophanae, Patavii 1701, p. 568; N. C. Papadopoli, Historia Gymnasii Patavini, I, Venetiis 1726, p. 83; T. A. Zucchini, Nuova cronaca veneta, Sestier secondo, Venezia 1784, pp. 149, 157; A. Gloria, Dei podestà e capitani di Padova dal 1405 al 1509, Padova 1860, p. 27; Origine e personaggi illustri della veneta patrizia famiglia Da Lezze, Per nozze Prina-Da Porto Venezia 1861, p. 7; G. Cappelletti, Storia di Padova dalla sua origine sino al presente, II, Padova 1875, p. 276; R. Morozzo della Rocca-M. F. Tiepolo, Cronologia veneziana del Quattrocento, in La civiltà veneziana del Quattrocento, Firenze 1957, p. 222.