LUCA di Tommè
Pittore senese la cui attività è documentata nella seconda metà del 14° secolo.L. risulta iscritto per la prima volta nel Breve dell'arte de' pittori senesi dell'anno MCCCLV (Siena, Bibl. Com. degli Intronati, C II 12; Milanesi, 1854). Costantemente ritenuto dalla critica del 1356 (stile comune), a eccezione di Bacci (1927), che ne mise in dubbio la data, il Breve rappresenta la prima matricola istituita a Siena, nella quale potevano essere iscritti soltanto i pittori senesi, tra i quali L. figura al terzo posto, dopo Lippo Vanni e Jacopo di Mino del Pellicciaio. Altri documenti testimoniano da una parte il suo coinvolgimento nella cosa pubblica - risulta infatti iscritto nel Libro de' Riformatori nel 1368 (Bacci, 1927) e risiedé per luglio e agosto del 1375 e per settembre e ottobre del 1379 (Milanesi, 1854) -, dall'altra fanno fede, insieme alle antiche fonti scritte e alle sue opere firmate e datate, della sua produzione artistica. Questa oltrepassò numerose volte i confini della sua città natale e dell'immediato contado senese, fino ad arrivare nei maggiori centri della Toscana - come Pisa e Arezzo - e a superarne i confini, tanto da raggiungere il cuore dell'Umbria e delle Marche.
Dai dintorni di Arezzo sembra provenire (Fehm, 1986) un'opera giovanile di L. tra le più felici dell'intero suo percorso pittorico, l'Assunzione della Vergine di New Haven (Yale Univ., Art Gall.), tanto apprezzata da Toesca (1951, p. 595), per essere "così lieve nell'equilibrato volo degli Angeli, incastonata in una squisita cornice gotica", da proporre di toglierla al "pedestre" L. e di trasferirla nel catalogo di Lippo Vanni. Nella cappella della famiglia Dragomanni in S. Domenico ad Arezzo, che Vasari ricorda come "molto bene ornata [...] dalle mani e dal giudizio e ingegno di Luca sanese", il pittore eseguì una "tavola e il lavoro che vi è in fresco" (Le Vite, II, 1967, p. 256); Vasari menziona L. nella Vita di Berna senese, di cui sarebbe stato discepolo. L'ipotesi vasariana è stata in qualche modo confermata da Zeri (1958), il quale ha dimostrato come nella serie di tavolette con Storie della Maddalena - smembrata tra vari musei (Siena, Pinacoteca Naz.; Roma, Mus. Vaticani, Pinacoteca; Budapest, Szépművészeti Múz.; Savoia, abbazia di Hautecombe; ubicazione ignota) -, che il critico giustamente attribuisce all'esordio pittorico di L., vi siano numerose e palesi derivazioni dagli affreschi neotestamentari della parete destra della collegiata di San Gimignano, assegnati ormai dalla maggior parte della critica alla c.d. famiglia Memmi (Caleca, 1976-1977) e non più al fantomatico Barna, risultato essere personalità inesistente (Moran, 1976). Meiss (1963), respingendo l'attribuzione di Zeri, creò un pittore anonimo, il Master of Magdalen legend; a questa serie di Storie della Maddalena, che probabilmente un tempo formavano la predella di un polittico in cui la santa poteva figurare nel posto d'onore, cioè alla destra della figura centrale, Meiss non poté però accostare altre opere.A Pisa (Mus. Naz. e Civ. di S. Matteo) si trova una Crocifissione firmata e datata 1366, di provenienza sconosciuta, ma probabilmente da molto tempo in questa città o negli immediati dintorni, se Carli (1974, pp. 55-56) - dopo avere biasimato i pareri negativi sull'opera di "scrittori antichi e moderni" (come Rosini, 1840; Bonaini, 1846; Cavalcaselle, in Crowe, Cavalcaselle, 1899; Vigni, 1950) - la ha ritenuta "di notevole importanza per l'ascendente esercitato sulla pittura pisana del tempo".Un polittico di L. si trova a Perugia (Gall. Naz. dell'Umbria), proveniente dalla chiesa parrocchiale di Forsivo, presso Norcia; un altro nella chiesa di S. Francesco a Mercatello sul Metauro (prov. Pesaro); infine, a Rieti (Mus. Civ.) è esposto un grande polittico di L. firmato e datato 1370, giunto dal locale convento di S. Domenico (Fehm, 1986). Date le dimensioni considerevoli di alcuni di questi polittici, si dovrebbe riflettere se sia possibile, come la maggior parte degli studiosi ritiene, che essi siano stati eseguiti a Siena. Sembra più verosimile, anche per ragioni tecniche, che L. si sia recato sui luoghi ai quali questi polittici erano destinati.Come molti altri artisti senesi, considerati minori rispetto ai quattro grandi pittori della prima metà del Trecento, L. fu scoperto dalla critica nei primi decenni del secolo, quando Mason Perkins (1908; 1909; 1920; 1924) fece conoscere un notevole numero di suoi dipinti che avevano perduto la loro originale paternità e che, con il trascorrere del tempo, erano passati sotto altri nomi. Queste antiche attribuzioni sono in molti casi illuminanti per la definizione della formazione artistica di L., per stabilire gli effettivi contatti da lui tenuti con gli artisti senesi della sua generazione e per confermare i suoi rapporti, già intuiti da Vasari, con la grande tradizione pittorica della prima metà del Trecento.Van Marle (1924) tentò di fornire un primo consuntivo della produzione di L., ma il suo parere sul pittore fu nel complesso piuttosto negativo. La pubblicazione di numerosi documenti da parte di Bacci (1927), le sue intelligenti osservazioni sull'artista e il catalogo dell'edizione oxoniana degli 'indici' di Berenson (1932), che venne sfoltito e meglio precisato nelle successive edizioni, sono stati strumenti impareggiabili per la conoscenza della figura artistica di L. e, più in generale, hanno fornito la base indispensabile da cui partire per affrontare lo studio dell'ambiente artistico senese del Trecento.Tuttavia solo con la scoperta fatta da Brandi (1932), in seguito a un restauro, della firma di L., preceduta da quella di Niccolò di ser Sozzo Tegliacci, e della data del 1362 sul polittico nr. 51 della Pinacoteca Naz. di Siena, L. entrò nel campo degli studi, come compagno di un artista noto da tempo soprattutto come miniatore, per avere eseguito e firmato la bella Assunta del Caleffo Bianco dell'Arch. di Stato di Siena. Brandi confinava però L. nel ruolo di un pedestre aiuto del più famoso compagno, giudicandolo privo di personalità indipendente, e inaugurava il lungo elenco degli studiosi, per la maggior parte italiani, che da allora in poi mantennero, senza provare a rimetterla in discussione, la sua presa di posizione. Si deve a Meiss (1951) la prima rivalutazione del pittore, che però veniva inquadrato all'interno della nota tesi sugli effetti, nella vita religiosa, sociale, economica e artistica in Toscana, della peste nera del 1348 e quindi sul cambiamento avvenuto nella pittura fiorentina e senese della seconda metà del Trecento, rispetto a quella della prima metà. Il critico americano, pertanto, era pronto a prendere in esame soltanto la produzione pittorica di L. che meglio si prestava a dimostrare ciò che a lui premeva, in particolare alcuni dipinti della maturità di L., come la Crocifissione di Pisa (Mus. Naz. e Civ. di S. Matteo), datata 1366, o come il polittico della Pinacoteca Naz. di Siena, con S. Anna Metterza, firmato e datato 1367, in origine nella chiesa dei Cappuccini a San Quirico d'Orcia (prov. Siena). Con questo polittico si chiude la breve serie di opere firmate e datate di L., che, insieme al dipinto eseguito nel 1362 con Niccolò di ser Sozzo, testimoniano il punto di stile raggiunto dall'artista, circoscritto a un solo quinquennio (dal 1366 della Crocifissione di Pisa al 1370 del polittico di Rieti). In effetti queste opere sono connotate fortemente da un aspetto severo e iconico, non riscontrabile nell'attività precedente di Luca.Zeri (1958) ha riconosciuto nelle quattro storie della Vita di s. Tommaso (Edimburgo, Nat. Gall. of Scotland, già Coll. Crawford) gli scomparti della predella del polittico nr. 51 della Pinacoteca Naz. di Siena, sul quale, a seguito di un restauro, Brandi (1932) aveva ritrovato le firme di Niccolò di ser Sozzo e di L., e di cui faceva parte, al centro, anche la Crocifissione di Roma (Mus. Vaticani, Pinacoteca). Anche Zeri, seguendo quanto già affermato da Brandi, vedeva un ruolo subordinato, puramente esecutivo, di L. rispetto a Niccolò di ser Sozzo, al quale assegnava l'ideazione dell'opera. L'esclusione di L. da parte di Zeri dalla creazione del polittico e della predella risulta ancora più incomprensibile se si tiene conto del fatto che lo studioso riconosceva la presenza inequivocabile dei tipi di L., soprattutto nella Crocifissione e, qua e là, in più passi delle quattro storie.Ampi accenni sono stati fatti (Chelazzi Dini, 1982) per ribaltare il giudizio sui rapporti tra i due compagni e per riconoscere finalmente a L. autonomia di linguaggio, originalità nelle composizioni, delicatezza cromatica e sensuale, dolcezza nelle linee flessuose delle opere, soprattutto in quelle giovanili e della prima maturità, nelle quali è palese l'intenso studio di L. sui dipinti di tre grandi maestri della pittura senese della prima metà del Trecento (Simone Martini, Pietro e Ambrogio Lorenzetti). L'impegno, che fu anche di ordine morale, del giovane L. e le sue pronte e vivaci capacità artistiche sono già presenti nel trittico con la Trinità di San Diego (Timken Art Gall.) e nella piccola croce portatile, dipinta su entrambe le facce, di Cambridge (MA, Harvard Univ. Art Mus., Fogg Art Mus.), tra le prime straordinarie creazioni di Luca.
Bibliografia:
Fonti. - Vasari, Le Vite, II, 1967, pp. 256, 555; G. Milanesi, Documenti per la storia dell'arte senese, I-II, Siena 1854.
Letteratura critica. - G. Rosini, Storia della pittura italiana, II, Pisa 1840, p. 185; F. Bonaini, Memorie inedite intorno alla vita e ai dipinti di Francesco Traini, Pisa 1846, p. 98ss.; J.A. Crowe, G.B. Cavalcaselle, Storia della pittura in Italia del secolo II al secolo XVI, III, 18992 (1885), pp. 144-150; F. Mason Perkins, Alcuni appunti sulla Galleria delle Belle Arti di Siena, RassASen 4, 1908, pp. 57-58; id., Ancora de' dipinti di Luca di Tommè, ivi, 5, 1909, pp. 83-84; id., Some Sienese Paintings in American Collections, ArtAm 8, 1920, pp. 272-292; id., Altre pitture di Luca di Tommè, RassASen 17, 1924, pp. 12-15; Van Marle, Development, IIIII, 1924; P. Bacci, Una tavola inedita e sconosciuta di Luca di Tommè con alcuni ignorati documenti della sua vita, Rassegna d'arte senese e del costume 1, 1927, pp. 51-62; B. Berenson, Italian Pictures of the Renaissance, Oxford 1932 (trad. it. Pitture italiane del Rinascimento, Milano 1936); C. Brandi, Niccolò di Ser Sozzo Tegliacci, L'Arte 35, 1932, pp. 223-236; G. Vigni, Pittura del Due e Trecento nel Museo di Pisa, Palermo 1950, pp. 54-55; M. Meiss, Painting in Florence and Siena after the Black Death, Princeton 1951 (trad. it. Pittura a Firenze e a Siena dopo la Morte Nera, Torino 1982); Toesca, Trecento, 1951, pp. 594-595; F. Zeri, Sul problema di Nicolò Tegliacci e Luca di Tommè, Paragone 9, 1958, 105, pp. 3-16; M. Meiss, Notes on Three Linked Sienese Styles, ArtB 45, 1963, pp. 47-48; E. Carli, Il Museo di Pisa, Pisa 1974, pp. 55-56; A. Caleca, Tre polittici di Lippo Memmi, un'ipotesi sul Barna e la bottega di Simone e Lippo, CrArte, s. IV, 22, 1976, 150, pp. 49-59; 23, 1977, 151, pp. 55-80; G. Moran, Is the Name Barna an Incorrected Transcription of the Name Bartolo?, Paragone 27, 1976, 311, pp. 76-80; G. Chelazzi Dini, in Il Gotico a Siena: miniature, pitture, oreficerie, oggetti d'arte, cat. (Siena 1982), Firenze 1982, pp. 220-221, 276-280; id., La crise du milieu du siècle, in L'art gothique siennois, cat. (Avignon 1983), Firenze 1983, pp. 208-209; id., Luca di Tommè, ivi, pp. 243-244, 248-249; D. Boucher de Lapparent, Luca di Tommè, avant 1362, ivi, pp. 244-246; S.A. Fehm Jr., Luca di Tommè. A Sienese Fourteenth-Century Painter, Carbondale-Edwardsville 1986.