FALIER, Luca
Nacque a Venezia il 18 ott. 1545 da Domenico di Bernardino e Chiara Contarini di Luca di Alvise. Il padre, che risiedeva nel sestiere di Castello, presso la parrocchia di S. Francesco della Vigna, percorse una discreta carriera politica, nonostante le modeste risorse economiche; quanto alla giovinezza del F., l'unico dato certo è rappresentato dal matrimonio, contratto il 2 febbr. 1569, con Polissena Zen di Vincenzo di Gerolamo, vedova di Alvise Muazzo di Nicolò, che gli diede cinque figli maschi; ancora, è da supporre che in tale circostanza egli abbia trasferito la sua dimora nel sestiere di Dorsoduro, dove risulta abitare qualche anno più tardi, nel '79.
Entrò nel mondo della politica alla soglia dei trent'anni, nell'ambito delle Quarantie; dopo di che, dal 6 apr. 1575 al 5 apr. '76 fece parte del Collegio dei dodici, formato da giudici con competenza di appello nelle cause minori, ossia nelle controversie di valore non superiore ai 400 ducati; quindi venne nominato auditor nuovo, dalla quale carica si dimise il 26 luglio '77. Signore di notte al Criminal nel 1579-80, fu poi ufficiale alle Cazude, ossia deputato alla riscossione dei tributi inevasi, ed infine, il 5 maggio 1585, era inviato conte e capitano a Sebenico, a sostituire Orsatto Giustinian.
Dopo un breve soggiorno in patria, al F. venne nuovamente affidato un reggimento, questa volta ancor più lontano: a Rettimo, nell'isola di Candia, dove rimase dal 15 luglio 1591 al 18 genn. '94. Qui dovette cimentarsi con i problemi di sempre, con le angustie della Camera fiscale e con le turbolenze dei "feudati", capeggiati da Giovanni Semitecolo, greco di origine veneziana, che disponeva di una "grossa banda de parenti, d'amici et d'altri dependenti", con cui recava "notabilissimo pregiuditio alle cose pubbliche". Ma non furono questi i momenti qualificanti del suo rettorato, che doveva essere ricordato per la controversia che egli ebbe con quel vescovo, Pietro Davila, fratello dello storico Enrico Caterino.
A quanto riferisce il Paruta, infatti, emerse subito una grave incompatibilità tra il Davila e il F., che, "spinto da una ingentissima necessità nella quale, come pubblico rappresentante, fu posto da quel vescovo per i suoi troppo insolenti modi, che avriano fatto perdere la pazienza alla pazienza stessa", lo fece arrestare, anche se poi, sbollito lo sdegno, ne ordinò prontamente il ritorno alla libertà.
Avuta notizia dell'accaduto, il 28 genn. 1593 il Senato ordinò l'immediato rimpatrio del F., ingiungendogli di presentarsi alle prigioni degli Avogadori di Comun, non appena fosse giunto a Venezia; in quello scorcio di secolo la tensione giurisdizionalista tra Venezia e Roma stava montando, per cui il papa - evidentemente non pago della tempestiva e prudente condotta della Repubblica - chiese che il F. si presentasse al S. Officio dell'Inquisizione romana: una richiesta alla quale in nessun caso il governo marciano, trattandosi di un suo rappresentante, avrebbe potuto acconsentire.
L'incidente dunque riuscì "per ogni rispetto grandemente molesto" al Senato, che ne appoggiò la soluzione al suo ambasciatore presso la S. Sede; costui era appunto lo storico Paolo Paruta. Dall'una e dall'altra parte si cercò di prendere tempo, di stemperare i punti di attrito più spinosi, e il tempo riuscì infatti a sopire la controversia; il 6 maggio '95 il Paruta, giunto ormai quasi al termine della sua legazione, poteva informare i Pregadi di aver ottenuto dal papa "l'assoluzione di esso clarissimo Faliero ... ; talché, conservatasi la dignità pubblica, e liberato questo gentiluomo da tale indebito travaglio, resterà posto fine a questo negozio, il quale per vero mi ha tenuto in lunga e travagliosa occupazione".
La detenzione del F. nelle carceri veneziane fu puramente simbolica e si risolse nel giro di qualche giorno; più lunga fu invece la contumacia che egli dovette osservare dall'esercizio della vita pubblica; soltanto il 31 ott. 1606 - nella fase più acuta dell'interdetto - il suo nome ricompare negli elenchi del Segretario alle Voci: provveditore sopra i Beni comunali, donde passò poi a far parte dei sette sopraprovveditori alla Giustizia Nuova.
Eletto infine tra gli aggiunti sopra il taglio del Po (20 sett. 1613), non portò a termine il mandato, giacché la morte lo colse, a Venezia, il 16 febbr. 1614.
Fonti e Bibl.: Archivio di Stato di Venezia, Misc. codd. I, St. veneta 19, M. Barbaro-A. M. Tasca, Arbori de' patritii..., III, p. 454; Ibid., Segretario alle Voci. Elezioni del Maggior Consiglio, reg. 5, cc. 37, 40, 105; reg. 7, c. 223; Ibid., Elezioni dei Pregadi, reg. 7, c. 135; reg. 9, cc. 39, 140; Venezia, Bibl. naz. Marciana, Mss. It., cl. VII, cod. 829 (= 8908): Consegi, c. 261r; cod. 830 (= 8909): Consegi, c. 268r; Sul reggimento a Sebenico, Arch. di Stato di Venezia, Capi del Consiglio dei dieci. Lettere di rettori, b. 280, nn. 86-89; per quello a Rettimo, Ibid., Capi del Consiglio dei dieci. Lettere di rettori, b. 286, nn. 330-335; Venezia, Biblioteca del Civico Museo Correr, Mss. Malvezzi 128/33; La condanna del F., in Arch. di Stato di Venezia, Senato. Mar, reg. 55, c. 84r; alcune lettere clientelari del F. a Vincenzo Dandolo, podestà di Brescia, in Venezia, Bibl. del Civ. Museo Correr, Cod. Cicogna 1720, sub 2 genn. 1612 moreveneto, 20 marzo e 18 apr. 1613. Poiché siamo privi dei dispacci da Candia per il periodo che interessa, sul caso di Rettimo la fonte principale è costituita da P. Paruta: La legazione di Roma di Paolo Paruta (1592-1595), a cura di G. De Leva, Venezia 1887, 1, pp. LIX, 96, 245; III, p. 125. Cfr. inoltre, G. Cozzi, Il doge Nicolò Contarini. Ricerche sul patriziato veneziano agli inizi del Seicento, Venezia-Roma 1958, p. 31.