GIORDANO, Luca
Pittore, nato a Napoli nel 1632, morto ivi nel 1705. La sua attività pittorica, iniziatasi mentre il primo ciclo della pittura napoletana seicentesca si chiudeva, dominò su tutta l'arte che si svolse a Napoli nella seconda metà del sec. XVII, rimanendo legata, in seguito, agli sviluppi della locale pittura del sec. XVIII. La più gloriosa fase di quella fortunatissima carriera si svolse nell'ultimo venticinquennio della vita del pittore, dalla decorazione della cupola della chiesa di S. Brigida in Napoli, eseguita nel 1682 con mirabili effetti di prospettiva illusionistica, alle pitture della certosa di S. Martino, condotte a termine alla vigilia della morte. In tale periodo di tempo, la sua produttività copiosa e rapida (il nomignolo "fa presto" gli fu dato fin dalla prima giovinezza) si svolse quasi tutta fuori di Napoli: a Firenze (1684-86), ove frescò la vòlta della gran sala del palazzo Riccardi; a Venezia (prima del 1692), ove lasciò notevoli testimonianze dell'arte sua in S. Maria della Salute; a Madrid, ove fu pittore di corte acclamatissimo tra il 1692 e il 1702. Le numerose opere eseguite in Spagna durante quel decennio di lavoro, e quelle, di numero non minore, esportate in Germania e in Austria dettero a L. G. una notorietà diffusa ovunque e una fama non adeguata ai meriti dell'arte sua.
Suo padre Antonio, piccolo copista e imitatore riberiano, che fu suo iniziatore alla pittura, lo orientò verso il Ribera. Questo pittore e Lanfranco, operante in Napoli quando il G. nacque, costituirono le più salde annodature dell'arte sua alla pittura che lo precedette in Napoli; poiché con lui ci sentiamo decisamente fuori dell'atmosfera caravaggesca nella quale operarono Battistello, Cavallini e Preti, i maggiori esponenti della pittura napoletana del Seicento. Poco prima dei vent'anni, accompagnato dal padre, viaggiò l'Italia; fece sosta a Roma e a Firenze, a Parma e a Venezia. A Roma la sua ferace istintività pittorica trovò nell'opera di Pietro da Cortona il primo decisivo orientamento. Il cortonese gli spianò la via verso Venezia, ov'egli fissò la sua mente soprattutto sulla pittura di Paolo Veronese. Il passaggio dai cinquecentisti veneti a Rubens fu cosa perfettamente logica per lui. La sua opera, sviluppatasi secondo il presupposto di quei dati culturali, rappresenta sessant'anni di fatica accanita, condotta senza tormento e senza pensiero, quasi senza respiro: un succedersi di affreschi popolosi sotto grandi soffitti e su pareti vaste, un accumularsi di quadri a olio d'ogni misura e d'ogni valore, attraenti per piacevolezza di pittura, o sgangherati e fiacchi. I racconti biblici, le favole dei Greci, il mito cristiano, tuttele allegorie gli fornirono confusamente aggregati figurativi per scenografie d'una pittorica piacevolezza che vale a nascondere, assai spesso, una drammaticità tutta esteriore di mera retorica oratoria. Operando composizioni copiose e vaste, con singolare prontezza di fantasia ferace e con foga gioiosa di esecuzione pratica, movendo folle agitate in ampî spazî, sopra lunghe scalee, tra alti colonnati, e tutto animando con le grandi risorse della sua destrezza di mestiere e con compiaciuta ricerca di effetti scenografici, egli recava in Napoli gli elementi veri del Barocco, che doveva solamente con lui, dopo il Lanfranco, affermare il suo trionfo, e coi successivi pittori del sec. XVIII che l'ebbero maestro o precursore.
Possiamo tuttora ammirare taluni suoi affreschi, anticipazioni del Settecento; possiamo compiacerci dei suoi rapidi disegni (cfr. la raccolta del Gabinetto delle stampe in Roma), dei suoi bozzetti vivacissimi, dei suoi quadri di piccola misura, di tutto ciò che esprime i suoi momenti iniziali di lavoro, e di non molte sue tele di più vasta misura; ma nella più gran parte dell'opera sua cercheremo invano aspetti o momenti delle più vive realizzazioni pittoriche raggiunte dall'arte italiana dopo il Caravaggio.
D'altra parte, non sarebbe possibile trattare della pittura settecentesca a Napoli senza dire dell'arte di Luca Giordano come d'un suo esordio, o, almeno, d'una sua premessa. Tanto più ricca di vitalità ci si palesa, difatti, la decorazione del G., quanto più chiaramente la sentiamo concomitante o subordinata (in senso settecentesco) all'intendimento d'una decorazione architettonica unitaria. Prima di Francesco Solimena e dei suoi seguaci settecenteschi, il G. realizzò pienamente questo tipo di pittura, che non dovrà essere giudicata staccata dall'ambiente, come qualcosa che viva soltanto della sua propria vita.
V. tavv. LIX e LX.
Bibl.: B. De Dominici, Vite de' pittori, ... napoletani, III, Napoli 1743, p. 394 segg.; A. Borzelli, L. G., l'anonimo e B. De Dominici, Napoli 1917; E. Petraccone, L. G., Napoli 1919; H. Posse, in Thieme-Becker, Künstler-Lexikon, XIV, Lipsia 1921 (con ampia bibl.); A. De Rinaldis, L. G. (piccola coll. d'arte), Firenze 1922; V. Mariani, Due studî di L. G., in L'Arte, XXVI (1923), p. 20; G. Swarzenski, Un quadro di L. G. in Francoforte sul Meno, in Bollettino d'arte, n. s., II (1922-23), pp. 17-21; U. Ojetti, L. Dami, N. Tarchiani, La pittura del Seicento e del Settecento alla mostra di palazzo Pitti, Milano-Roma 1924.