GIUSTINIANI, Luca
Nacque a Genova nel 1586 da Alessandro, del ramo dei Longo - un protagonista della scena politica genovese tra Cinque e Seicento che, dopo un'onorevolissima carriera, sarebbe salito al dogato nel biennio 1611-13 - e da Lelia De Franchi Toso. Non vi sono sostanzialmente informazioni sugli anni giovanili e sulla formazione del G.; dati il prestigio e la ricchezza della famiglia è lecito supporre che fosse affidato a istitutori privati: certo è che i suoi studi, affiancati all'usuale pratica delle arti militari e cavalleresche, dovettero essere accurati e di buon livello se i contemporanei sottolinearono il suo precoce amore per le belle lettere e le arti ed egli stesso gradì chiamare uomini di lettere e poeti ad allietare i suoi momenti di ozio, in adunanze letterarie che si tenevano nella villa di famiglia di Albaro.
Ascritto il 19 dic. 1608 nel Libro d'oro della nobiltà genovese, il G. ottenne la prima incombenza pubblica nel 1613, quando con altri tre rappresentanti della Repubblica presentò gli omaggi al prefetto generale della flotta di Luigi XIII. Dopo qualche anno di attesa intraprese il cursus honorum tipico dei rampolli delle maggiori famiglie patrizie genovesi, dapprima ricoprendo incarichi "formativi" prestigiosi ma periferici: nel 1620 fu nominato commissario della fortezza di Savona e, al rientro a Genova, fu chiamato a far parte dei trenta capitani urbani incaricati della difesa della città. Allo scoppio della guerra dichiarata dai Franco-Savoiardi contro Genova, nel 1625 fu nominato nuovamente commissario della fortezza di Savona, quindi commissario straordinario in Corsica. Poi, probabilmente nell'intervallo tra i due incarichi, fu alcuni mesi a Milano in qualità di inviato straordinario della Repubblica. Ricevute le istruzioni del Senato il 18 febbr. 1626, il 28 si trovava già a Milano da dove, oltre a un memoriale sulla guerra in corso, mandò dispacci sino al 7 giugno, quando improvvisamente interruppe la corrispondenza, come spiegò, per il sopraggiungere del caldo e le non ottime condizioni di salute, lasciando al suo posto un agente. Il 20 aprile dell'anno successivo fu mandato come oratore a recare i complimenti della Repubblica al duca di Mantova e del Monferrato, Vincenzo II, per la sua ascesa al trono.
Scoperta nell'aprile di quell'anno a Genova la congiura "democratica" di Giulio Cesare Vachero, appoggiata dal duca di Savoia ma avente numerosi agganci interni nel ceto civile, in ambienti popolari e persino in ristretti gruppi aristocratici, il 10 nov. 1628 il governo istituì gli inquisitori di Stato, dotati sull'esempio veneziano di ampi poteri ispettivi e repressivi di opinioni, azioni e scritti che potevano pregiudicare il governo. Il G. venne chiamato a far parte della nuova magistratura; gli inquisitori si mossero alacremente per colpire gli autori di trame e i personaggi irrequieti, o soltanto quanti erano scontenti del governo per la difficile situazione economica e internazionale. Dopo pochi mesi, nel febbraio 1629, si arrivò all'arresto del poligrafo e giornalista Luca Assarino e quindi di popolani capeggiati da Vincenzo Ligalupo, che si erano appellati alla Spagna perché fossero difesi i diritti popolari contro gli arbitri dell'oligarchia.
Tra il giugno e il luglio 1630 il G. fu tra i deputati ad accogliere l'infanta Maria di Spagna, sposa di Ferdinando re di Ungheria, durante il suo soggiorno genovese. Fecero seguito altri incarichi, sino a quelli più alti di governo, che il G. ricoprì a più riprese: andò a far parte prima del magistrato di Corsica, poi del magistrato dei Cambi. Nel 1633 fu eletto all'ufficio più importante sino ad allora ricoperto, quello di ammiraglio delle galere; nel 1635 fu tra i magistrati di Terraferma preposti all'amministrazione della giustizia, quindi tra l'aprile e il maggio dell'anno successivo si recò a Roma come agente della Repubblica presso la corte papale.
Il biennio seguente vide il G. impegnato in un nuovo incarico diplomatico, quello di ambasciatore straordinario in Spagna: il 1° ag. 1637 ricevette le lettere di istruzione e lasciò Genova, l'11 era già giunto a Marsiglia, cinque giorni dopo a Barcellona e verso il 26 a Madrid. Motivata da un saccheggio compiuto dalla flotta siculo-napoletana in acque genovesi ai danni di dieci navi olandesi, colme di merci destinate a Genova, la missione affidata al G. era "una de le più gravi et importanti che da gran tempo in qua sia stata mandata da la Republica nostra" (Istruzioni e relazioni, III, p. 48), a causa delle tensioni che da circa un decennio stavano scuotendo l'antica alleanza del governo genovese con il re Cattolico. Infatti, dopo la sospensione dei pagamenti delle rendite operata dalla Spagna nel 1627, che aveva colpito pesantemente gli interessi degli investitori genovesi, e dopo gli accordi intessuti dagli spagnoli con il duca di Savoia, tradizionale nemico della Repubblica, Genova si era mossa alla ricerca di una maggiore autonomia dalla Spagna e di una politica estera propria.
Il G. si destreggiò abilmente di fronte al malcontento spagnolo verso la Repubblica, aggravato dalla nomina di un ambasciatore genovese a Parigi avvenuta mentre l'Olivares intendeva indurre Genova a rompere con la Francia; difese con dignità e cercò di far valere le ragioni del suo governo e gestì come possibile l'affare del convoglio olandese, ottenendo dal re una formale deliberazione di restituzione delle navi. L'atteggiamento fermo che in alcune occasioni il G. assunse a Madrid non piacque agli ambienti filospagnoli dell'aristocrazia genovese, che avanzarono critiche e fecero mancare i voti alla sua riconferma. La sua ambasceria così si concluse, e il 25 genn. 1639 egli si presentò al Senato recando una croce d'oro donatagli da Filippo IV e difendendo il suo operato in Spagna: lo stesso giorno ottenne la nomina all'ufficio biennale di conservatore delle leggi.
Nel luglio 1644 fu nuovamente designato a far parte degli inquisitori ma svolse quell'incombenza per pochi giorni, perché il 21 venne eletto doge. La sua elezione giungeva forse inaspettata, dopo un lungo periodo di scrutini e di contrasti tra gli elettori; infatti il G. si impose con una risicata maggioranza (159 voti contro i 152 ottenuti da ciascuno dei suoi diretti avversari, Giacomo e Gerolamo De Franchi), probabilmente come candidato di compromesso che permetteva di uscire da un sostanziale stallo. Egli era espressione dello schieramento aristocratico, desideroso di una politica meno appiattita sugli interessi della Spagna e fautore del rafforzamento finanziario e militare della Repubblica sulla scena internazionale. Del resto fin dagli anni Trenta il G. era stato classificato dall'ambasciatore spagnolo a Genova, Francisco de Melo, tra i "mal afectos" nei confronti della Spagna.
L'elezione a doge diede l'occasione a un piccolo ma significativo gruppo di intellettuali, legati al G. da rapporti di patronato, dai comuni interessi culturali o anche dall'inquieta propensione per le "novità" politiche, di celebrare lui e la sua famiglia: tra di essi si annoveravano G.B. Da Dieci, Tobia Pallavicino, Luca Assarino, Carlo Squarciafico, l'astronomo Giandomenico Cassini. A lui il letterato Michele Giustiniani indirizzò da Roma, il 15 ott. 1645, uno scritto di carattere storico (edito poi in Lettere memorabili, II, Roma 1669, pp. 1-10) su un'investitura concessa da Filippo d'Angiò al genovese Martino Zaccaria in Asia Minore.
Terminato il biennio di dogato il 21 luglio 1646, il G. andò a sedere tra i procuratori perpetui. Nel giugno 1650, con l'ex doge G.B. Lomellini, si occupò di stroncare la "congiura" nobiliare animata da Stefano Raggio e di arrestarne i principali responsabili. Forse verso gli ultimi anni di vita riorganizzò il Giornale de suoi tempi tenuto dal padre Alessandro dal 1611 al 1623, fonte storica tuttora di grande interesse, mettendo ordine nella congerie di annotazioni buttate giù dal genitore "con molta fretta et alla rinfusa" (Genova, Biblioteca civica Berio, Mss. e rari, IX.1.25, pp. 367-660).
Mentre ancora sedeva sul seggio dogale aveva redatto due testamenti. Nel primo in particolare riversò la sua profonda sensibilità religiosa, protestando di esser sempre stato "buon christiano", di "hauer uissuto" e "di uoler morire" nel seno della Chiesa cattolica. Non a caso il terzogenito Francesco Maria sarebbe entrato a far parte della Compagnia di Gesù.
Dopo "longa indispositione di febbre", il G. morì a Genova il 24 ott. 1651. Come aveva chiesto, venne seppellito nella chiesa di S. Maria di Castello, a fianco del padre.
Fonti e Bibl.: Arch. di Stato di Genova, Archivio segreto, filze 2441, 2443; Litterarum, reg. 1899; Notai antichi, filza 6548 (per i due testamenti, datati 21 nov. 1644 e 19 luglio 1646); G.B. De Dieci, Genova di unione generatrice feconda, Genova 1647; Genova (anche noto con il nome di Avvisi di Genova o Il Sincero), 23 luglio 1644, 4 febbr. 1645; 11 febbr. 1645, 17 giugno 1646; 21 luglio 1646, 28 ott. 1651; R.A. Vigna, Illustrazione storica, artistica ed epigrafica dell'antichissima chiesa di S. Maria di Castello in Genova, Genova 1864, pp. 183, 356; M. De Marinis, Anton Giulio Brignole Sale e i suoi tempi, Genova 1914, pp. 52-54; L. Levati, Dogi biennali di Genova dal 1528 al 1699, II, Dal 1634 al 1699, Genova 1930, pp. 88-99, 474 s.; V. Vitale, Di-plomatici e consoli della Repubblica di Genova, Genova 1934, pp. 15, 55, 81, 140, 177; Istruzioni e relazioni degli ambasciatori genovesi, a cura di R. Ciasca, II, Spagna (1619-1635), Roma 1955; III, Spagna (1636-1655), ibid. 1955, ad indices; E. Guelfi Camajani, Il Liber nobilitatis Genuensis e il governo della Repubblica di Genova fino all'anno 1797, Firenze 1965, p. 282; C. Bitossi, Il governo dei magnifici. Patriziato e politica a Genova fra Cinque e Seicento, Genova 1990, ad indicem; A. Cappellini, Diz. biogr. dei Genovesi, Genova 1936, p. 86.