LANDUCCI, Luca
Nacque nel 1437, probabilmente a Firenze, da Antonio di Luca e da una non meglio nota Angela.
Il padre del L. possedeva un piccolo patrimonio di beni immobili, ricevuti in eredità dalla madre Felice, situati nella podesteria di Dicomano, da cui proveniva. Si trattava probabilmente di un paio di poderi, di una vigna e di una casa nel "popolo" di S. Iacopo in Orticaia, descritti a gravezza sotto il nome di Antonio nel catasto del 1469 (quartiere S. Giovanni, gonfalone Chiavi). Inoltre, Felice e Antonio riscossero vita natural durante 23 lire annue per l'affitto di una casa ai frati della chiesa di Cestello.
Le registrazioni fiscali sono le sole fonti utili a delineare un profilo del L. oltre a quello che egli scrive di sé nel diario fiorentino compilato per gli anni dal 1450 al 1516. Dal catasto del 1469 risulta che aveva un fratello, Gostanzo, appassionato di cavalli e provetto fantino, che avrebbe perso la vita in un palio il 12 sett. 1485.
Dal novembre 1466 il L. era sposato con Salvestra di Tommaso Pagni, nel 1469 ventenne, madre di Francesco nato da pochi mesi e in attesa di un altro figlio, dalla quale aveva ricevuto 850 fiorini di dote depositati al Monte comune e 48 fiorini di suggello di donora. Con questo denaro il L. aveva acquistato una bottega di spezieria al canto dei Tornaquinci.
Nel catasto del 1480 la portata dei beni risulta ormai a nome del L. e di Gostanzo. Nel corso di undici anni il L. e Salvestra dovevano avere perduto sia Francesco sia il nascituro del 1469, ma avevano avuto altri figli (erano allora in vita Benedetto, Agnoletta, Antonio, Pippa). Nel 1480 il L. viveva modestamente; abitava come pigionale in una casa in piazza di S. Sisto, nel popolo di S. Pancrazio, e ne aveva affittata una seconda sulla piazza delle Pallottole per la madre, a cui pagava anche una donna di compagnia.
Il L. esercitò per tutta la vita l'attività di speziale, e questo giustifica la presenza nel diario di informazioni sul conio di nuove monete, sull'oscillazione del prezzo del grano, sulle crisi annonarie e sulle pestilenze che colpirono Firenze. Iniziò l'apprendistato nell'arte nel gennaio 1452, e lo concluse nel settembre 1462. Prima di quella data, nell'ottobre 1450, era stato a scuola di abaco presso un tal Calandro. Non è chiaro se fu dallo stesso maestro che il L. acquisì quella dimestichezza nella scrittura che traspare dalla sua cronaca.
Dopo avere concluso l'apprendistato, con alle spalle la modesta agiatezza del padre, il L. decise di aprire un'attività in proprio, dividendo rischi e utili con Spinello di Lorenzo, in un locale situato all'insegna del re in Mercato vecchio, presso l'odierna piazza della Repubblica. I soci fecero delle costose migliorie sull'immobile, ma le spese furono sostenute dal solo L. che, trovatosi esposto per 200 fiorini, ruppe la società. La compagnia si sciolse il 27 luglio 1463 con l'accordo che la titolarità dell'impresa rimanesse a Spinello, mentre il L. pretese e ottenne dal fratello di Spinello la restituzione dei 200 fiorini. Il L. tornò a lavorare nuovamente come dipendente, presso tal Giovanni Bruscoli, ricevendone 36 fiorini annui. L'ambizione restava però di aprire un'attività in proprio, e il L. riuscì a concretizzarla acquistando, nel settembre 1466, la bottega al canto dei Tornaquinci.
La vita del L. fu quella ordinaria di un modesto commerciante al minuto, lontano da qualsiasi forma di partecipazione alla vita pubblica. Non ricoprì infatti cariche di governo, amministrative o diplomatiche per la Repubblica, né ebbe posti di rilievo nell'arte di appartenenza. Dall'attività di speziale trasse quel guadagno che gli dette un certo agio e gli consentì di realizzare il sogno di far studiare medicina al figlio Antonio, per il quale ebbe sempre un'inclinazione fortissima, manifestando un chiaro orgoglio per il fatto che questi avesse completato gli studi universitari. Antonio studiò infatti medicina a Firenze forse negli anni 1498-1503, e in seguito a Bologna; nel 1506 tornò a Firenze con il titolo di maestro e nel 1511 risulta immatricolato all'arte dei medici e speziali.
Solo nell'agosto 1507 il L. sembra aver raggiunto un discreto livello di benessere, come si deduce da una circostanza sfortunata: l'incendio della sua abitazione, di cui verosimilmente era proprietario. Lui stesso racconta di avere perso nella disgrazia tutte le masserizie, per il considerevole valore di 250 ducati d'oro, e "maestro" Antonio, come il padre sottolinea, vi perdette i suoi libri, del valore di 25 ducati. Il L. morì a Firenze tra la fine di maggio e l'inizio di giugno 1516, essendo stato sepolto il 2 di quel mese. Salvestra, madre di dodici figli, lo aveva preceduto di due anni.
Il diario del L. consiste in una cronaca (dal 1450 al 1516) di fatti e personaggi soprattutto della storia di Firenze, costellata da dati personali e, meno frequentemente, da notizie sugli avvenimenti esterni al dominio cittadino. Si tratta di una fonte di grande valore storiografico, che dopo la morte del L. fu proseguita fino all'anno 1542 da un anonimo, forse un suo parente. Non è certo se il L. ne abbia iniziato la stesura nel 1500 (Del Badia), oppure se vi si sia dedicato fin dal 1467 (Gherardi). In ogni caso, in esso il L. si dimostra cronista molto informato della vita politica della sua città, e rivela di percepire l'importanza di certi interventi legislativi (nel maggio 1496 ricorda la provvisione che vietava ai notai di ricoprire cariche pubbliche a Firenze). Ma la sua penna è attenta anche a ciò che accade a Roma, che nel maggio del 1475 fu meta dell'unico viaggio menzionato, lungo 15 giorni, da lui fatto fuori di Firenze. Costanti sono le notizie dei conclavi e delle varie nomine cardinalizie. Talvolta il diario cattura qualche notizia di fatti accaduti altrove nel mondo, come esempio la notizia della morte del sultano, registrata nel maggio 1499, o il terremoto che colpì Costantinopoli nell'ottobre 1509.
Nella seconda metà degli anni Settanta sono minuziosamente registrate le alterne vicende militari della guerra tra Firenze e Siena, con la presa e la perdita di questo o quel castello del Chianti. Negli anni Novanta si ha un serrato resoconto degli scontri con Pisa, senza che il L. risparmi niente dei momenti di sanguinaria ferocia, come la decapitazione del capitano fiorentino Pagolo Vitelli, accusato di tradimento nell'ottobre del 1499, o la strage di contadini commessa dai Pisani il 17 maggio 1502, seguita dalla terribile rappresaglia dei Fiorentini. Non meno cruente erano le lotte intestine a Pistoia, dove nel giugno 1501 le teste di dodici fautori della fazione dei Panciatichi furono portate in città issate su picche e poi usate per giocare a palla "di fuori e di dentro".
Erano questi gli anni delle guerre d'Italia e dei tentativi di Piero de' Medici di rientrare a Firenze. Nel febbraio 1504, dopo la rotta del Garigliano, il L. descrive la tremenda vicenda dei soldati francesi rifugiatisi a Roma che, abbandonati alla loro sorte, furono trovati morti su mucchi di letame dove avevano cercato riparo dal freddo. Erano anche gli anni delle scorrerie di Vitellozzo Vitelli e di Cesare Borgia, il duca Valentino. Apertamente critico è il giudizio che il L. dà della strategia politica dei suoi governanti quando, dopo i saccheggi di Barberino di Mugello e di Carmignano, accondiscesero a pagare al Borgia per tre anni 36.000 ducati l'anno, conferendogli la carica di capitano della Repubblica sotto la minaccia del saccheggio.
Ma più del duca Valentino o di Lorenzo de' Medici, a cui dedica un intenso ritratto, la figura che campeggia nelle pagine del L. è quella di Girolamo Savonarola. È su di lui e sulla sua esperienza che la narrazione del L. passa a forme più articolate di analisi, con conclusioni esplicitamente sofferte anche dal punto di vista personale. Nella sua natura di uomo discreto, disincantato e con una vena piuttosto marcata di stoico fatalismo, il L. era stato chiaramente conquistato dallo spirito di entusiasmo e rinnovamento spirituale predicato da Savonarola, pur sempre nei termini di una sfuggente tangenza con la vita pubblica, da cui il L. si tenne sempre discosto. L'8 apr. 1498, la domenica delle palme in cui si verificò una giornata di aperti scontri tra i cittadini conclusasi con l'arresto di Savonarola, il L. si trovava proprio a S. Marco e riuscì a stento a mettersi in salvo fuggendo in via S. Gallo.
Dopo la fine di Savonarola nessuno sarà investito nel diario dell'aspettativa destata dal frate domenicano. La Signoria è addirittura apertamente biasimata dal L. sia in merito alla sconsiderata strategia militare adottata di fronte alle incursioni del duca Valentino nel contado, sia per i mancati soccorsi a Prato, assediata dalle truppe spagnole che poi la misero a sacco e restaurarono i Medici a Firenze (1512). Le sue simpatie non andarono nemmeno a questi nuovi governanti, verso cui il L. non dimostra il minimo entusiasmo, anche quando, nel dicembre 1512, egli fu inserito tra gli eleggibili alle cariche pubbliche, non per suo volere ma di certi amici, allorché i Medici desideravano magistrati non compromessi con il passato governo. L'attenzione del L. si appunta inoltre anche sui fatti notevoli o "mirabili" del costume e della società, soprattutto quelli di violenza eccezionale: delitti di orribile efferatezza, la ferocia delle pubbliche esecuzioni, lo strazio che il popolo fa dei corpi dei condannati. Il loro continuo ripetersi impressiona soprattutto perché narrato da un uomo apparentemente mite, ma evidentemente in dimestichezza tale con l'orrore da descriverlo con distacco. Ma la sensibilità del L. è colpita più di ogni altra cosa dall'offesa recata alla morale religiosa, sotto la forma del vituperio delle immagini sacre e dei luoghi di culto. È celebre l'episodio dell'oltraggio all'immagine della Madonna dei Ricci compiuto il 21 luglio 1501 da Antonio di Giovanni Rinaldeschi, che dopo aver perso al gioco all'osteria del Fico, accecato dalla cattiva sorte, raccolse da terra dello sterco di cavallo e lo scagliò con rabbia contro la sacra effigie. Rintracciato dagli emissari degli Otto in un convento dei dintorni della città dove si era rifugiato, Rinaldeschi cercò senza successo di suicidarsi. In seguito, condotto a Firenze, nonostante avesse confessato di avere compiuto l'atto "per passione d'avere perduto" e si fosse pubblicamente pentito, fu comunque impiccato la mattina di S. Maria Maddalena: "che fu una festa doppia" (p. 233).
L'attenzione del L. è catturata da altri due tipi di vicende: gli eventi meteorologici eccezionali e la costruzione della Firenze rinascimentale. I primi vengono misurati soprattutto sui guasti provocati agli edifici di Firenze e alle proprietà personali a Dicomano. Quando annota le varie fasi di costruzione dei palazzi o altri interventi architettonici, il L. dimostra la sua grande passione per l'architettura. Il diario è una fonte eccezionale in merito agli importanti interventi urbanistici fatti sulle vie, edifici pubblici, sulle chiese e sui palazzi fiorentini. Sono annotate per esempio le varie fasi della costruzione di palazzo Strozzi, iniziata il 10 luglio 1489, ma non solo. Lunedì 27 maggio 1471 è applicata la palla di rame dorato sulla cupola del duomo, e il giovedì i canonici vi posano la croce. Tra i tanti luoghi ricordati vi sono i numerosi ospedali della città, il palazzo Gondi, il convento di S. Maria Maddalena in Borgo Pinti, la chiesa di S. Salvatore a Monte, i tiratoi dell'arte della lana. Altrettanto numerose sono le notizie su opere d'arte, monumenti e artisti. Il L. riferisce del posizionamento del David di Michelangelo: il 14 maggio 1504 "il gigante di marmo" viene portato fuori dall'officina e si è costretti ad abbattere il muro sopra la porta per farlo uscire. Si impiegano quattro giorni a raggiungere piazza della Signoria e solo l'8 giugno viene posto sulla ringhiera grazie a 40 uomini. Altrove ricorda invece la cappella di S. Maria Novella, del Ghirlandaio, le figure di Gesù e s. Tommaso, del Verrocchio, in un tabernacolo in Orsammichele, le statue di bronzo fatte da Giovan Francesco Rustici poste su una porta di S. Giovanni.
L'interesse specifico del L. per l'architettura trova la sua piena giustificazione nel progetto da lui redatto per la costruzione di una nuova chiesa e di una cupola dietro quella di S. Giovanni Evangelista, nell'attuale via Martelli, e da lui presentato ad Antonio del Pollaiolo nel dicembre 1505. Allo scopo suggeriva ambiziosamente di abbattere tutte le case e botteghe "quante tiene la piazza di San Lorenzo". Nel 1509 aveva ancora fiducia nell'idea e la ripropose a Giovanni Cellini, padre di Benvenuto; tuttavia nemmeno stavolta il disegno fu realizzato. Le ultime pagine del diario sono dedicate alla lunga descrizione delle quindici imprese architettoniche che accompagnarono l'entrata del papa Leone X nel novembre 1515. Il diario si chiude con la notizia della morte di Giuliano de' Medici alla data del 17 marzo 1516 e della sua sepoltura il 19, con intermessa la consueta annotazione del prezzo raggiunto dal grano in quel tempo.
L'autografo del diario del L. è conservato nella Biblioteca comunale di Siena; con il titolo di Diario fiorentino dal 1450 al 1516 di Luca Landucci continuato da un anonimo fino al 1542 è edito a cura di I. Del Badia, Firenze 1883 (recensione di A. Gherardi in Arch. stor. italiano, s. 4, 1883, t. 11, pp. 359-375; ed. anast. con prefazione di A. Lanza, ibid. 1985).
Fonti e Bibl.: Arch. di Stato di Firenze, Catasto, 927 (1469), parte 1, c. 150r; 1021 (1480), c. 426r; Decima repubblicana, 32 (1498), c. 336; Arte dei medici e speziali, 10, c. 102 (immatricolazione di Antonio Landucci); W.J. Connell - G. Constable, Sacrilege and redemption in Renaissance Florence. The case of Antonio Rinaldeschi, in Journal of the Warburg and Courtauld Institutes, LXI (1998), pp. 53-92.