Landucci, Luca
Nacque nel 1437, probabilmente a Firenze. Il padre, Antonio di Luca, proveniva dalla podesteria di Dicomano, dove possedeva una casa e un paio di poderi. Con l’eccezione di qualche registrazione fiscale, l’unica fonte che permetta di ricostruire la biografia di L. è il suo Diario fiorentino, che copre gli anni dal 1450 fino alla morte, avvenuta nel 1516. Grazie a esso sappiamo che a partire dal 1450 L. imparò l’abaco da un certo Calandro. Due anni dopo iniziò l’apprendistato da speziale, e nel 1466 riuscì a mettersi in proprio, acquistando (grazie alla dote della moglie, Salvestra di Tommaso Pagni) una bottega al canto dei Tornaquinci. Condusse quindi una vita da modesto commerciante, lontano dalla vita pubblica, in una contenuta agiatezza – tale comunque da permettergli di sostenere gli studi di medicina del figlio Antonio, chiamato orgogliosamente, nella cronaca, «maestro Antonio».
Non si sa quando L. cominciò la stesura del Diario fiorentino, che costituisce una fonte importante per le vicende fiorentine dell’epoca. Molto informato sulla vita politica della città (e spesso anche su avvenimenti esterni, soprattutto romani), l’autore registra con la stessa impassibilità – dettatagli dal carattere schivo e da un rassegnato fatalismo – eventi meteorologici eccezionali e fatti notevoli per la società del tempo, soprattutto episodi di violenza o di offesa alla religione, o la realizzazione delle grandi opere d’arte della Firenze rinascimentale, da Palazzo Strozzi al David di Michelangelo (il «gigante di marmo»). L’unica figura capace di risvegliare l’entusiasmo e l’ansia di rinnovamento del disincantato speziale fu quella di Girolamo Savonarola, ma nell’ultimo, infuocato periodo che precedette la condanna del domenicano, L. si tenne lontano dagli scontri che portarono alla sconfitta della parte ‘piagnona’. La rassegnazione con cui era solito accettare qualsiasi avvenimento, triste o lieto, come volontà di Dio, era tale d’altronde da applicarsi alla sfera personale così come a quella politica (Diario fiorentino, a cura di J. Del Badia, 1883, rist. anast. 1985, p. 329, 16 sett. 1512: «Ognuno debbe essere contento a quello che permette la divina bontà, perché tutti gli stati e signorie sono da Dio»). Non manca però nel Diario una costante condanna della guerra e delle indiscriminate violenze a essa legate; sono riportate con particolare esecrazione le «crudeltà» di Vitellozzo Vitelli e di Cesare Borgia, entrambi infine giustamente raggiunti dal castigo divino: «Guarda come la giustizia divina paga alle volte el Sabato! vedi lo sterminio di questa casa [la famiglia Vitelli]» (Diario fiorentino, cit., p. 252, 5 genn. 1502) e «Vedi se Valentino rovinava affatto, e se gli era pagato del lume e de’ dadi delle sue crudeltà!» (p. 263, 5 dic. 1503). D’altra parte si coglie una nota di patriottico orgoglio civile nella descrizione di una parata militare che sappiamo voluta da M.:
a dì 15 di febbraio 1505, fece la mostra in Piazza 400 fanti e’ quali aveva ordinati el Gonfaloniere, di nostri contadini [...]. E questi erano soldati e stavansi a casa loro obrigati, quando bisognassi che sieno mossi; e a questo modo ordinava di farne molte migliaia per tutto el contado in modo che non bisognassi avere de forestieri. E così fu tenuto la più bella cosa che si ordinassi mai per la città di Firenze (p. 273).
Bibliografia: Fonti: Diario fiorentino dal 1450 al 1516 continuato da un anonimo fino al 1542, a cura di J. Del Badia, Firenze 1883, rist. anast. con prefazione di A. Lanza, Firenze 1985.
Per gli studi critici si vedano: A. Gherardi, recensione a Diario fiorentino dal 1450 al 1516 continuato da un anonimo fino al 1542, pubblicato da Iodico Del Badia, «Archivio storico italiano», 1883, 11, pp. 359-75; S. Calonaci, Landucci Luca, in Dizionario biografico degli Italiani, Istituto della Enciclopedia Italiana, 63° vol., Roma 2004, ad vocem.