MARENZIO, Luca
MARENZIO (Marenzi), Luca. – Nacque con ogni probabilità a Coccaglio (presso Brescia) verosimilmente nel 1553, da Giovan Francesco, «coadiutor nel studio» di un «procuratore» legale a Brescia (Guerrini, p. 37).
In occasione del censimento del 1588, nella dichiarazione di Giovan Francesco, allora settantenne e residente a Brescia, compaiono i nomi di fratelli e sorelle del M., primogenito: Marenzio, nato quasi certamente nel 1561, lui pure musicista; Giuliano, nato a Coccaglio l’8 giugno 1567; Lelia, nata nel 1566; Ortensia, nel 1571; Barbara Olimpia. Alla data del censimento si può dunque ritenere che – con buone probabilità – la madre del M. fosse già morta. Il luogo di nascita ipotizzato per il M. corrisponde a quello paterno e di uno dei fratelli ed è suffragato da una tradizione che inizia con l’encomio premesso alle Sacrae cantiones del M., stampate postume a Venezia nel 1616 a cura di Giovanni Maria Piccioni; quei distici latini contengono infatti il motto «Canis, sicut almae coeli sirenes», dichiarato preliminarmente anagramma di «Lucas Marentius cocaliensis». Lo precede analogo componimento in lode del destinatario della raccolta, Andrea Masetto (o Masetti) arciprete di Coccaglio, nella dedicatoria indicato come il benefattore del giovane Marenzio.
La formazione musicale del M. si può dunque ipotizzare avvenuta tra Coccaglio e soprattutto Brescia, dove maestro della cappella del duomo era il bresciano Giovanni Contino, già al servizio del cardinale Cristoforo Madruzzo a Trento, verosimilmente dal 1542 al 1553.
Contino fu a Brescia dal 1553 (o 1551) al 1562 e dal novembre del 1565 al 1569, intercalandovi soggiorni a Mantova (1562-64 e 1569-74) al servizio del duca Guglielmo Gonzaga: cosa non sorprendente, dato che lo zio di quest’ultimo, il cardinale Ercole Gonzaga, intratteneva con Madruzzo rapporti molto intensi e frequenti scambi di visite. Che il M. sia stato allievo di Contino lo asserisce per primo un erudito locale (cfr. Rossi). Se si pensa alla probabile età del M., ciò poté avvenire nel secondo soggiorno bresciano di Contino: ma un addestramento del M. come puer cantor non si può escludere neppure per lo scorcio ultimo del precedente.
Prima del 1578, comunque, i dati certi relativi alla vita del M. sono scarsi e intermittenti. Anni dopo, una lettera del cardinale Scipione Gonzaga al duca Guglielmo Gonzaga, del 31 maggio 1586, segnalava che il M. – in cerca di una nuova sistemazione – sarebbe entrato volentieri alle dipendenze della corte mantovana, «ricordandosi di haver già speso qualche anno nella med[esi]ma servitù» (Engel, p. 218). E dedicando a Margherita Gonzaga duchessa di Ferrara, nel 1595, il suo Sesto libro de madrigali a sei voci (Venezia, Antonio Gardano), il M. si riferì esplicitamente a «quell’antica mia divotione, et servitù verso la serenissima casa di V.A.».
Comunicazioni epistolari precedenti testimoniano il suo servizio presso il cardinale di Trento, il principe vescovo C. Madruzzo, ma stavolta con ruolo di spicco: «ms. Luca gia m[ast]ro di cappella di mons.r ill.mo di Trento fe[lice] me[moria] et hora servitore di V.S. ill.ma» (lettera di G.B. Nobili al cardinale Luigi d’Este, Roma 25 dic. 1579: Ledbetter, 1971, p. 148); «Egli è stato ma[str]o di capella del car[dina]le di Trento di stravagante memoria» (lettera da Venezia del 17 sett. 1580 di A. Capello ad A. Zibramonti, segretario del duca di Mantova, in Engel, p. 216). Sarà lo stesso M., scrivendo a Luigi d’Este da Roma il 18 giugno 1584, a chiarire l’immediatezza del passaggio da Madruzzo al porporato estense: «dopo la morte della felice mem[ori]a dell’Ill.mo di Trento già mio sig.re e patrone, V.S. ill.ma per gratia me connumerò, nel numero – benché indegno – de’ suoi ser[vito]ri, agratiandomi anco per sua benignità, di farmi assegnare una certa provisione» (Ledbetter, 1971, p. 176).
La permanenza alla corte gonzaghesca deve, quindi, collocarsi prima del periodo al servizio del cardinale trentino. Non si può a questo punto non osservare come la carriera del M. si intrecci, per alcuni aspetti, con quella di Contino: Mantova e i Gonzaga, la corte del cardinale Madruzzo, Brescia. È pertanto possibile ipotizzare che Contino sia stato non solo maestro del giovane M. in patria, ma anche mentore del suo servizio mantovano negli anni Sessanta e nei primi anni Settanta, nonché tramite per il successivo incarico professionale di prestigio presso il cardinale di Trento (forse dopo il 1574, anno di morte di Contino).
Sotto il duca Guglielmo Gonzaga – musicofilo e compositore – figure significative della Mantova che il M. dovette conoscere, oltre a Contino, furono il maestro della cattedrale Giovanni Maria de Rossi, lui pure bresciano, e soprattutto il celebre fiammingo Giaches de Wert, che guidava la cappella della nuova chiesa ducale di S. Barbara. Alla creazione della musica per la liturgia della chiesa ducale erano stati chiamati a contribuire a distanza anche compositori come G. Pierluigi da Palestrina, P. Isnardi, C. Merulo e A. Striggio. Alcuni fra questi compaiono nella raccolta Il primo fiore della ghirlanda musicale (Venezia, G. Scotto, 1577) che segna l’esordio editoriale del Marenzio. Non è da scartare l’ipotesi che, pur concepita in ambito veneziano, l’iniziativa abbia potuto contare su materiali di provenienza mantovana.
Anche il successivo impiego del M. presso il cardinale Madruzzo, principe vescovo di Trento dal 1545, è documentato solo retrospettivamente: dalle citate lettere del 1579, 1580 e 1584 si percepisce, infatti, un deciso passo in avanti nella carriera del M., ormai maggiorenne: vi è nominato come «m[ast]ro di cappella», cioè con funzioni direttive all’interno del gruppetto di musicisti alla corte di Madruzzo (Engel, p. 216). Ma ancor più proficuo fu il cambio d’ambiente. Fin dal 1560, infatti, il cardinale aveva deciso di stabilirsi a Roma, affidando il Principato tridentino al nipote Ludovico Madruzzo nel 1561 (ufficialmente ne diverrà titolare nel 1567). Al seguito del porporato, il M. poté quindi entrare nel giro delle grandi corti cardinalizie romane, fra le quali spiccava quella di Luigi d’Este, con cui Madruzzo era in grande dimestichezza.
Poco si sa di questo periodo della vita del M.: forse potrebbe riferirsi a lui il pagamento al «magistro cappellae illustrissimi cardinalis tridentini» per la processione del Corpus Domini nell’anno santo 1575 (O’Regan, pp. 609 s.). Al 1577 risale il già menzionato suo debutto editoriale. È poi plausibile l’ipotesi che risalgano a quegli anni alcuni brani che il curatore Giovanni Maria Piccioni inserì nella menzionata raccolta postuma delle Sacrae cantiones (1616), comprendente una quindicina di mottetti a 4-7 voci. La dedicatoria parla infatti di composizioni risalenti all’adolescenza («in ipso iuventutis flore adhuc ephebus»), redatte durante un breve ritorno «in patria». Si potrebbe pensare agli anni Settanta e dunque anche al soggiorno mantovano; tuttavia, i testi di alcuni mottetti si riferiscono al proprium di santi martiri romani (quali Cecilia e Martino), per cui non è da escludere neppure che risalgano all’epoca in cui il M. si trovava a Roma alle dipendenze di Madruzzo. L’improvvisa morte di Madruzzo, il 5 luglio 1578 a Tivoli – nella villa del cardinale d’Este, a riprova della stretta consuetudine fra i due cardinali –, pose fine a questa fase della vita del Marenzio. Fu lo stesso M., nella citata lettera del 1584, a testimoniare il suo passaggio immediato dall’uno all’altro cardinale. Non s’interrompeva, dunque, la sua frequentazione del gran mondo romano: anzi, il M. vi figurava come al servizio di una casata – gli Este di Ferrara – tra le più musicofile d’Italia.
Il suo signore diretto, Luigi d’Este, era secondogenito del duca Ercole II e di Renata di Francia. Spinto al cardinalato nel 1561, dopo che il fratello maggiore Alfonso II era succeduto al padre, scomparso nel 1559, Luigi si era stabilito a Roma nella residenza dello zio, il cardinale Ippolito II d’Este, a palazzo Taverna di Montegiordano. Da lui, nel 1572, ereditò la villa urbana di Montecavallo (nucleo del successivo palazzo del Quirinale) e quella suburbana di Tivoli (villa d’Este).
Negli ambienti legati a Luigi d’Este il M. operò come «cantore» e «musico»: anzi, «maestro di cappella» del cardinale, come si legge nella lettera privata di A. Capello ad A. Zibramonte del 17 sett. 1580 (Engel, p. 216) e pubblicamente nel frontespizio del Primo libro de madrigali a sei voci (Venezia, A. Gardano, 1581). Come colleghi ebbe l’organista G. Eremita (dal 1576 al 1580), qualche cantore stabile fra i quali i transalpini «Monsù Boniera» [Pierre Bonnière] fino al 1579, e Nicolas Perouet; e più tardi G.C. Brancaccio e F. Franchi, oltre a quelli ingaggiati occasionalmente, e soprattutto al personale in servizio presso la corte con altre mansioni – buffoni, paggi – all’occorrenza in grado di cantare e suonare.
La dotazione fissa di strumenti prevedeva un paio di spinette e di clavicembali e qualche famiglia di viole; quella libraria, qualche volume di cantus planus, alcune mute di polifonia sacra (mottetti) e soprattutto profana, come chansons, villanelle alla napolitana (Ledbetter, 1971, pp. 23 s.).
Già l’anno successivo al suo arruolamento nella famiglia estense il cardinale aveva esercitato tutta la sua influenza per far assumere il M. nella cappella papale. Alla fine del 1579 però il progetto era definitivamente naufragato. In generale, anche se non privo di margini di libertà professionale, il servizio del M. presso Luigi d’Este ne riflette puntualmente le vicende biografiche. Quando, per esempio, nel giugno 1580 un serio incidente diplomatico con papa Gregorio XIII indusse il cardinale ad abbandonare temporaneamente Roma per Padova (Monte Ortone, presso Abano; poi la villa del Cataio, presso Monselice) e infine Ferrara, anche il M. dovette seguirlo: partì nell’estate 1580 (ancora l’8 agosto firmava da Roma la dedicatoria del Primo libro de madrigali a cinque voci) dirigendosi a Padova (forse al Cataio), dove è segnalato il 10 settembre (lettera di Capello a Zibramonte in Engel, pp. 215 s.). Ottenuta una licenza di un mese per andare a Brescia a trovare la famiglia, passò per Mantova, dove poté rendere omaggio al duca Guglielmo Gonzaga, interessato a ingaggiarlo (lettere di Capello a Zibramonte e al duca, entrambe del 24 sett. 1580, in Ledbetter, 1971, p. 155) forse in vista delle feste nuziali per il matrimonio di suo figlio Vincenzo con Margherita Farnese (primavera 1581). All’incirca dalla fine di novembre del 1580 alla fine di aprile del 1581 è documentata la presenza del M. a Ferrara. Luigi d’Este e la sua corte fecero rientro a Roma nel giugno 1581, in un clima di manifesta, ritrovata benevolenza papale.
La produzione del M., che proprio in quegli anni esordì con raccolte a stampa monografiche, dà a suo modo conto di queste vicende. Un primo gruppo di volumi è dichiaratamente estense, cominciando col Primo libro de madrigali a cinque voci (Venezia, A. Gardano, 1580) dedicato al suo diretto patrono, il cardinale Luigi. Si prosegue con quelli – entrambi pubblicati a Venezia nel 1581 – offerti ai fratelli del cardinale e riferiti esplicitamente al soggiorno ferrarese: Il primo libro de madrigali a sei voci per il duca Alfonso II e Il secondo libro de madrigali a cinque voci indirizzato a Lucrezia d’Este duchessa d’Urbino. Il secondo libro de madrigali a sei voci (ibid., Id., 1584) fu invece dedicato al cardinale Luigi di Guisa – in visita a Roma proprio quell’anno e ospite dello zio –, figlio di Anna d’Este, che nel 1548 aveva sposato in prime nozze Francesco di Lorena primo duca di Guisa. E l’omaggio del Terzo libro de madrigali a sei voci (ibid., Erede di G. Scotto, 1585) a Bianca Cappello, granduchessa di Toscana, avvenne nella prospettiva delle nozze, auspicate dalla regina-madre di Francia, Caterina de’ Medici, tra Cesare d’Este, figlio di Alfonso d’Este marchese di Montecchio, e Virginia de’ Medici, di cui Bianca era cognata. Sotto il segno estense sarà anche la partecipazione del M. – con madrigali singoli – a iniziative editoriali collettive quali Il lauro secco (Ferrara, V. Baldini, 1582) e Il lauro verde (ibid., Id., 1583), in onore di Laura Peperara, celebrata cantante di corte, e I lieti amanti (Venezia, G. Vincenzi - R. Amadino, 1586). Ma anche per Il terzo libro de madrigali a cinque voci (ibid., A. Gardano, 1582), dedicato agli Accademici Filarmonici di Verona, di cui era anima il conte Mario Bevilacqua, è possibile ipotizzare un tramite ferrarese per via del ramo locale dei Bevilacqua.
Della ritrovata concordia tra Luigi d’Este e Gregorio XIII offre indiretta testimonianza la dedica a Ludovico Bianchetti, maestro di camera del pontefice, nel Primo libro de madrigali spirituali a cinque voci (Roma, Alessandro Gardano, 1584), pubblicato in ideale dittico col Motectorum liber quartus che Palestrina indirizzò direttamente al papa. Valenze politiche – e non solo familiari – rivestono inoltre anche le citate dediche a Bianca Cappello e al cardinale di Guisa.
La casa d’Este era tradizionalmente vicina alla monarchia francese, e con essa imparentata; i suoi cardinali ne rappresentavano gli interessi presso la Curia romana. Oltralpe divampava il confronto – spesso cruento – fra cattolici e protestanti ugonotti, ma anche fra cattolici intransigenti (riuniti nella Lega capeggiata dai Guisa e appoggiata dalla Spagna) e cattolici più tolleranti ma decisamente antispagnoli (in testa, il re Enrico III). L’appoggio papale all’una o all’altra delle fazioni era essenziale, e molto delicato il ruolo del cardinale d’Este. Parente dei Guisa, in quanto protettore della Corona di Francia, Luigi d’Este era però in costante contatto col segretario di Stato Nicolas de Neufville Villeroy ma anche col cognato del re, Anne duca di Joyeuse, che era stato suo ospite a Roma nell’estate 1583, cercando, tra l’altro, inutilmente di arruolare il M. (cfr. lettera di Scipione Gonzaga a F. Cattaneo, 3 maggio 1586: Engel, pp. 216 s.). La morte di Gregorio XIII (10 apr. 1585) complicò ulteriormente le cose, in quanto il suo successore Sisto V decise di orientarsi inizialmente a favore della Lega e del partito filospagnolo, espellendo l’ambasciatore francese Jean de Vivonne.
La dedica a Jean de Vivonne del Quarto libro de madrigali a sei voci del M. (Venezia, R. Amadino, 1587) fa seguito al riavvicinamento fra Sisto V ed Enrico III e alla conseguente riammissione di Vivonne a Roma, avvenuta nell’estate 1586.
In questo quadro rientrano anche le ipotesi di trasferimento del M. alla corte reale di Francia: ovviamente, non solo previa concessione del cardinale d’Este, ma addirittura per sua precisa mira. Anzi, proprio a questo scopo aveva negato il M. a suo fratello Alfonso II, desideroso di averlo stabile a Ferrara (lettere di A. Zibramonte a G. Gonzaga, 9 apr. 1583, e di L. d’Este a F. Teofilo, 10 giugno 1583, in Ledbetter, 1971, pp. 169 s.).
Il servizio presso l’Este non impedì al M. d’intrattenere occasionalmente anche altri rapporti professionali in ambito romano: certo non sgraditi al suo signore, ma non necessariamente da lui sollecitati. Per esempio, alla fine del 1582 la Confraternita della Ss. Trinità richiese il M. al cardinale per le musiche al suo oratorio nella quaresima 1583. Dalla risposta si deduce che situazioni analoghe si erano già verificate (ibid., pp. 165 s.). L’anno seguente il nome del M. compare esplicitamente nei documenti contabili di questa confraternita: anzi, in quell’anno il suo «custos» Girolamo Ruiz sarà addirittura il dedicatario del Quarto libro de madrigali a cinque voci del M. (Venezia, G. Vincenzi - R. Amadino, 1584).
Nel volume del 1587 dedicato a Vivonne, la presenza di un testo come Donne, il celeste lume rimanda alla commedia di C. Castelletti Le stravaganze d’Amore, di cui questo madrigale costituisce l’epilogo. Una sua recita si ebbe il 3 marzo 1585 – durante il carnevale – in casa di Giacomo Boncompagni, figlio naturale del pontefice Gregorio XIII. La rappresentazione si svolse con prologo, intermezzi ed epilogo in musica. Del primo, ci è giunta l’intonazione di R. Giovannelli: è plausibile che anche il citato madrigale marenziano sia nato nella medesima occasione.
Testimonianza di quest’attività al di fuori della corte del cardinale d’Este sono pure le partecipazioni del M. a raccolte collettive come I dolci affetti (Venezia, G. Scotto, 1582) e soprattutto a Le gioie (ibid., R. Amadino, 1589), che radunano composizioni dei Nanino, di Moscaglia, J. de Macque, F. Soriano, G.B. Crivelli, A. Zoilo, Palestrina, A. Stabile, A. Dragoni, P. Bellasio, N. Perouet (Perué), F. Anerio, R. Giovannelli, P. Quagliati. Mentre la prima raccolta qualifica come «diversi eccellenti musici di Roma» i compositori chiamati a collaborare, la seconda li dice «ecc.mi musici della Compagnia di Roma»: membri, cioè, di quella corporazione aggregatasi negli anni Ottanta e riconosciuta da Sisto V nel 1585 (e da cui nell’Ottocento nacque l’Accademia di S. Cecilia). L’appartenenza del M. a tale compagnia, cui veniva riconosciuto il controllo sull’attività delle cappelle ecclesiastiche romane, significava la possibilità di esercitare la propria professione in quei contesti, e dunque di coltivare quell’ulteriore campo d’azione.
Se si considera l’intera parabola professionale del M. appare chiaro che proprio il periodo passato al servizio del cardinale d’Este risultò quello più fecondo dal punto di vista editoriale. In quegli anni, infatti, egli diede alle stampe un corpus costituito da: 5 libri (sui 9 complessivi) di madrigali a 5 voci, più l’unico di madrigali spirituali sempre a 5; 4 libri (su 6) di madrigali a 6; l’unico di madrigali a 4; 3 (su 5) di villanelle a 3; l’unico di mottetti a 4. Patrocinata direttamente da casa d’Este, oppure propiziata dai suoi buoni uffici, l’attività del M. come compositore ebbe così diffusione e possibilità di affermarsi ben oltre l’ambito romano – ma anche ferrarese, direttamente o di riflesso – in cui il M. operava d’abitudine. La schiacciante preminenza della produzione profana contro due soli titoli sacri (i mottetti – a destinazione liturgica – e i brani spirituali) testimonia eloquentemente le propensioni della corte cardinalizia presso la quale si trovava. Fu dunque il madrigale, nella versione a 5 o 6 voci, o perfino nell’ormai disusato assetto a 4, a costituire la parte di gran lunga preminente dell’attività compositiva del M. destinata alla divulgazione a stampa. Tra i poeti prescelti per l’intonazione figurano ovviamente un classico come F. Petrarca, col corteo di petrarchisti del Cinquecento, e con una notevole presenza di autori contemporanei o recenti riconducibili all’area estense-ferrarese: L. Ariosto, T. Tasso, B. Guarini, F. Molza, A. Pocaterra, G.B. Pigna, M. Manfredi. Significativamente, rispetto al genere maggiore, i volumi di villanelle (dette anche «canzonette alla napolitana») apparvero invece a cura altrui.
La morte di Luigi d’Este (30 dic. 1586) sopravvenne mentre erano in corso trattative per riportare il M. alla corte mantovana. Già nella primavera 1583, infatti, il duca Guglielmo Gonzaga lo avrebbe voluto come maestro di cappella al posto di F. Soriano. Quando nel 1586 quest’ultimo lasciò Mantova per un ruolo analogo in S. Maria Maggiore a Roma, attraverso il cardinale Scipione Gonzaga il duca fece esplorare la possibilità che il M. ne prendesse il posto. Avviate nell’estate, le trattative si fecero più stringenti dopo la morte del cardinale d’Este. Ancora in corso nel maggio 1587, non approdarono a nulla a causa della morte del duca Guglielmo (14 ag. 1587).
Nel frattempo erano uscite, entrambe a cura di Attilio Gualtieri, altre due raccolte di villanelle a 3 voci, verosimilmente risalenti al periodo estense del Marenzio. Con l’understatement abituale per questo genere minore, nelle dedicatorie Gualtieri le definisce «composte dal signor Luca Marentio per suo diporto, & come per ischerzo, a requisitione de diversi amici suoi» (Quarto libro delle villanelle, Venezia, G. Vincenzi, 1587) e «poste in musica dal signor Luca Marentio per suo diporto, & a’ preghi de diversi amici» (Quinto libro delle villanelle, ibid., Erede di G. Scotto, 1587).
Di un transito per Verona, nel corso del 1587 (forse in occasione di una visita alla famiglia a Brescia), parla la dedicatoria dei Madrigali a quattro, cinque et sei voci (ibid., G. Vincenzi, 1588), datata 10 dic. 1587. Offrendoli al conte M. Bevilacqua, anima di quell’Accademia Filarmonica già destinataria di un volume precedente, il M. menziona, nella dedicatoria, «li favori, & grate dimostrationi da lei ricevute» e «l’occasione del mio passaggio per Verona» che gli aveva consentito di presentarglieli brevi manu. In particolare, sapendo di rivolgersi a un competente e al suo entourage musicofilo, il M. tenne a segnalare come quelle sue recenti fatiche rappresentassero un significativo scarto rispetto alle direttrici di poetica fin lì osservate. Si trattava infatti di «madrigali da me ultimamente composti con maniera assai differente dalla passata, havendo, & per l’imitatione delle parole, & per la proprietà dello stile atteso ad una – dirò così – mesta gravità, che da gl’intendenti pari suoi, & dal virtuosissimo suo ridutto sarà forse via più gradita» (ibid.).
A quell’epoca, sia il M., sia suo fratello Marenzio erano entrati, forse da poco, al servizio del granduca di Toscana. Da Firenze, il 27 febbr. 1588, E. Cortile lo comunicava al duca di Ferrara, Alfonso II: «Ha pigliato l’A.S. al suo serv[izi]o Luca Merentio che era musico del s.r car.le d’Este di fel[ice] m[emori]a» (Ledbetter, 1971, p. 202) ed entrambi come «musici» al servizio del «serenissimo ducha di Fiorenze» erano dichiarati dal padre nel citato censimento del 1588 (Guerrini, p. 37). Nell’ottobre 1587 le morti ravvicinate (e sospette) di Francesco de’ Medici e di sua moglie Bianca Cappello avevano portato al trono il cardinale Ferdinando, fratello di Francesco. Organizzando la sua corte, questi portò a Firenze diversi musicisti romani quali E. de’ Cavalieri, G.B. Giacomelli «del violino», la cantante Vittoria Concarini (detta la Romanina) con il marito Antonio Archilei e appunto i due fratelli Marenzio. Nel settembre 1588 Ferdinando depose l’abito cardinalizio per potersi ammogliare e garantire discendenza alla dinastia. Quando nella primavera 1589 sposò Cristina di Lorena, nipote di Caterina de’ Medici regina-madre di Francia, i festeggiamenti nuziali furono sontuosi; tra l’altro, nel teatro allestito nel 1586 da B. Buontalenti in un salone degli Uffizi, il 2 e 15 maggio gli Accademici Intronati di Siena recitarono la commedia di G. Bargagli La pellegrina. Di Buontalenti furono gli apparati e i costumi sia del testo principale, sia dei relativi grandiosi intermezzi ideati da G. Bardi. Le musiche per questi spettacoli furono scritte da Cavalieri, C. Malvezzi e dal M., cui si devono il II e III intermedio (La disfida tra le Muse e le Pieridi e Apollo e Pitone), su versi di O. Rinuccini. Ruoli compositivi più marginali furono svolti da G. Caccini, dallo stesso Bardi, da J. Peri e forse da A. Archilei. Quegli intermezzi furono replicati anche come cornice delle commedie La zingara con Vittoria Piissimi e La pazzia con Isabella Canali Andreini, più volte recitate nel medesimo salone teatrale dalla compagnia professionistica dei comici Gelosi.
La permanenza del M. a Firenze si protrasse certamente fino al settembre 1589 (Ledbetter, 1971, p. 204), ma plausibilmente fino a gran parte del 1590: nel settembre 1595 il granduca attestò infatti che era stato da lui ben servito per lo «spatio di tre anni» (Kirkendale, p. 245). In ogni caso, nel 1590 il M. era al servizio di Virginio Orsini, duca di Bracciano. Dedicandogli il Quinto libro de madrigali a sei voci (Venezia, A. Gardano, 1591), da Roma il 1° genn. 1591 scriveva infatti di non poter aspirare a «protettion più certa […] né più dolce et grato rifugio»; riferendosi al contenuto della raccolta, asseriva poi che «queste mie timide Muse» erano «nate et nudrite» presso Orsini.
In quanto figlio di Paolo Giordano Orsini, morto nel 1585, e di Isabella de’ Medici, sorella del cardinale Ferdinando (morta tragicamente nel 1576), il giovane Virginio era dunque nipote del granduca di Toscana. Allevato a Firenze, rientrò a Roma quando nel 1589 sposò la nipote di Sisto V, Flavia Peretti. Anche il M. fece ritorno a Roma, e addirittura nel medesimo palazzo degli Orsini a Montegiordano, in cui aveva abitato quando era al servizio del cardinale d’Este. Pur facendo riferimento al duca di Bracciano, riprendeva la frequentazione delle grandi corti cardinalizie, a cominciare da quella del cognato di Orsini, il cardinale Alessandro Peretti Montalto, appassionato musicofilo e musicista lui stesso. Non per nulla, dedicando a Michele Peretti Montalto, fratello del cardinale, il suo Primo libro de madrigali a cinque voci, da Roma il 10 maggio 1593 Sebastiano Raval scriveva di averli potuti eseguire insieme con nobili dilettanti e con musicisti di professione suoi e di suo fratello: tra questi, elencava il «Cavaliere del Liuto» (Vincenzo Pinti), F. Dentice, S. Stella e il M. «divino compositore». Inoltre, uno scambio epistolare del giugno 1592 tra Pietro Aldobrandini e l’Orsini testimonia trattative per far assumere il M. tra i musici del cardinale Peretti Montalto (Orbaan, p. 11).
Certo è che nell’estate del 1593 il M. non alloggiava più nel palazzo di Montegiordano (ibid.): un documento databile verosimilmente al 1594 lo documenta anzi fra i familiari del «cardinale di S. Giorgio» Cinzio Passeri Aldobrandini (Ledbetter, 1971, p. 228), cui il M. dedicava Il sesto libro de madrigali a cinque voci (Venezia, A. Gardano, 1594). Creato cardinale il 17 sett. 1593 e poi segretario di Stato, il cardinale Passeri Aldobrandini era nipote ex sorore del regnante papa Clemente VIII (Ippolito Aldobrandini). La lettera dedicatoria che accompagnava quel Sesto libro, datata Roma 1° genn. 1594, parla di «continui favori» e «delle tante gratie, ch’io ricevo da lei», di «servitù mia» a lui «non […] discara» e «di quella gratia, della quale per sua propria bontà m’ha fatto partecipe». Dato però che, quando nell’estate 1595 si concretò la prospettiva di un soggiorno alla corte polacca, il M. chiese licenza agli Orsini «come è mio obligo» – la volontà papale e il consenso del cardinale C. Aldobrandini ne erano comunque le premesse –, egli doveva essere ancora al servizio del duca di Bracciano e solo prestato, forse a tempo indeterminato, al potente cardinal nipote (Ledbetter, 1971, pp. 231 s.).
In quegli anni il M. fu spesso impegnato nelle musiche per le devozioni quaresimali di confraternite romane, come per esempio nel 1592 per la Compagnia della Ss. Trinità (O’Regan, p. 96), o nel 1595 per l’Arciconfraternita del Ss. Crocifisso (Alaleona), sodalizi che godevano della protezione del cardinale Peretti Montalto. Quando nell’estate 1595 si diffuse la notizia che il M. si apprestava a lasciare Roma per la Polonia, un anonimo commentatore osservò significativamente che ne avrebbero patito «q[ue]sti oratorii […], poiché li più belli concerti e più vaghe musiche che si facessero uscivano dalle sue mani» (Bizzarini, 1998, p. 209).
Il M. ebbe un ruolo di spicco nei processi di riforma liturgico-musicale innescati dal concilio Tridentino. Anzitutto, con G.M. Nanino e A. Dragoni fu richiesto di valutare la compiutezza del lavoro svolto da Palestrina, morto nel febbraio 1594, in merito a quella revisione di Antifonario, Graduale e Salterio che papa Gregorio XIII aveva affidato a quest’ultimo nel 1577. Ben più rilevante il compito nell’ambito della polifonia sacra, come risulta da un avviso del 21 dic. 1594: «il s.r Marentio ha hora cura part[icola]re di ridurre gli mottetti et hinni con altre cose che si cantano musicalm[en]te in note e sillabe concertate di modo che faciliss[imamen]te si possono intendere da gli auditori al che havendo dato principio si va quotidianam[en]te provando come gli rieschino» (ibid., pp. 219 s.). Si può supporre che l’iniziativa, volta a realizzare quella comprensibilità della parola liturgica, auspicata dai padri conciliari, sia sfociata nel Completorium ac antiphonae sex vocibus che il M. pubblicò a Venezia nel 1595, purtroppo non pervenutoci.
Negli stessi anni la fama europea del M. madrigalista è comprovata dalle ripubblicazioni fuori d’Italia di opere sue. Nell’italianizzante Inghilterra elisabettiana apparvero le antologie Musica transalpina (London, N. Yonge, 1588) curata da Thomas East e The first sett of Italian madrigalls Englished (London, Th. East, 1590) da William Byrd, contenenti 21 composizioni del Marenzio. La notorietà del compositore determinò in John Dowland l’intenzione di farne diretta conoscenza durante il suo viaggio in Italia nel 1595: un’esperienza documentata nel suo First book of airs (London, Stainer & Bell, 1597). E un più tardo riflesso della notorietà del M. in ambito inglese si legge nel trattato di Henry Peacham, The complete gentleman (London 1622). Intanto, nel 1593-94 ad Anversa era stato pubblicato – presso P. Phalèse – tutto quanto del M. «musico eccellentissimo» era fin lì uscito nell’ambito rispettivamente dei Madrigali a cinque e a sei voci. Prima del 1596 il M. era stato aggregato all’Accademia Olimpica di Vicenza: un elenco stampato in quell’anno lo annovera infatti tra i suoi membri (Bizzarini, 1998, p. 194).
Si colloca in quegli anni, e nel contesto di spicco del M. in ambito romano, anche la sua missione alla corte polacca. Tra dicembre 1594 e febbraio 1595 fu a Roma il nobile polacco J. Kochanowski, segretario del re di Polonia e Svezia, Sigismondo III. Tra gli altri compiti aveva anche quello di reclutare musicisti per la cappella reale. Ne ingaggiò 16, oltre ad A. Stabile che era maestro di cappella di S. Maria Maggiore. La morte prematura di quest’ultimo, nella primavera 1595, obbligò a cercare un rimpiazzo. Stavolta fu mandato a Roma il canonico Bartolomeo Koss che, tra agosto e ottobre 1595, ottenne da papa Clemente VIII e dal cardinale C. Aldobrandini l’ordine per il M. di partire per la Polonia (Ledbetter, 1971, pp. 231-233; Engel, pp. 72 s.): anche una lettera del granduca Ferdinando de’ Medici ne attestava le qualità (Kirkendale, p. 245).
Il M. partì nell’autunno 1595, come si ricava dalla dedicatoria a Diego de Campo, gentiluomo di camera del papa, nel suo Settimo libro de madrigali a cinque voci (Venezia, A. Gardano, 1595): il 20 ott. 1595 si scusava di non poterglielo porgere personalmente «levandomisi co’l partirmi di Roma l’occasione di poterla con la presenza servire». Per la via del Brennero il M. raggiunse dapprima Cracovia, principale residenza reale, e poi Varsavia, dove nel frattempo la corte si era trasferita. Qui è documentato con certezza dal marzo 1596.
La cappella che il M. si trovò a guidare era formata da 22 musicisti. Nel settembre-ottobre 1596 è esplicitamente citato impegnato nelle cerimonie religiose per l’arrivo a corte del cardinal legato Enrico Caetani: sua era la «messa nuova composta da lui in forma di ecco […] cantata a due cori e tutte le parole erano replicate dall’uno, et dall’altro choro in forma di ecco» (Bizzarini, 1998, p. 216). Tre suoi mottetti policorali figurano tra le Melodiae sacrae di maestri della cappella reale di Polonia e Svezia raccolte da Vincenzo Gigli e pubblicate a Cracovia nel 1604. Altri brani sacri attribuiti al M. significativamente sono noti solo in fonti manoscritte polacche.
Il soggiorno in Polonia si protrasse probabilmente fin verso la primavera-estate del 1598: nell’autunno di quell’anno il M. era comunque di nuovo in Italia, dato che da Venezia il 20 ottobre firmò la dedicatoria dell’Ottavo libro de madrigali a cinque voci (Venezia, Erede di G. Scotto). I dati biografici e professionali che lo riguardano, in questo scorcio finale della sua vita, sono frammentari e incerti. Tentativi di entrare nell’orbita dei Gonzaga sono evidenziati dalle dedicatorie dell’Ottavo (1598), e soprattutto del Nono libro de madrigali a cinque voci (ibid., A. Gardano, 1599), offerte rispettivamente al conte di Guastalla, Ferrante II Gonzaga, e al duca di Mantova, Vincenzo Gonzaga.
Il M. morì a Roma il 24 ag. 1599 nel «giardino del granduca [di Toscana]», cioè a villa Medici, e «fu sepelito in S. Lorenzo in Lucina» (Avviso di Roma, 24 ag. 1599, in Ledbetter, 1971, p. 237).
Registrazione di morte e relativa sepoltura in quella chiesa fanno supporre che il M. ne fosse parrocchiano e non si trovasse per caso nei giardini della non lontana villa Medici, ma che abitasse nelle pertinenze di quel complesso, forse presso suo fratello Marenzio, che vi lavorava come giardiniere (Kirkendale, p. 246). La qualifica di «cantore di N[ostro] Sig.re» (Ledbetter, 1971, p. 237) che il Liber mortuorum di S. Lorenzo gli attribuisce resta senza riscontro nei documenti della cappella papale.
Nessuna iniziativa editoriale per la pubblicazione degli Opera omnia del M. è finora giunta a compimento. Vanno comunque segnalate Sämtliche Werke, a cura di A. Einstein - Th. Kroyer, Leipzig 1929-31 (libri I-VI di madrigali a 5); Opera omnia, a cura di B. Meier - R. Jackson, Neuhausen-Stuttgart 1976-2001 (libri I-VI di madrigali a 6, quasi tutta la musica sacra). Iniziative settoriali hanno riguardato: Musique des intermèdes de «La pellegrina», a cura di D.P. Walker, Paris 1963; The secular works, a cura di S. Ledbetter - P. Myers, New York 1977-91 (libri VII-VIII di madrigali a 5; madrigali a 4-6; madrigali spirituali; il VI libro di madrigali a 6); I cinque libri di canzonette, villanelle et arie alla napolitana a tre voci, a cura di M. Giuliani, Cles-Trento 1994; The complete … madrigals, a cura di J. Steele, New York 1995 (tutti i madrigali a 4 e 5). Singolarmente sono stati pubblicati: Messa e mottetto «Iubilate Deo», a cura di O. Mischiati, Milano 1981; Il nono libro de’ madrigali a cinque voci (1599), a cura di P. Fabbri, ibid. 2000.
Fonti e Bibl.: O. Rossi, Elogi historici di bresciani illustri, Brescia 1620, pp. 490 s., 493; I. Calzavacca, Universitas heroum urbis Brixiae, Brixia 1654, p. 48; L. Cozzando, Vago e curioso ristretto profano e sagro dell’historia bresciana, Brescia 1694, p. 243; Id., Libraria bresciana, Brescia 1694, p. 163; W.H. Grattan Flood, L. M. e John Dowland di Dublino, in Note d’archivio per la storia musicale, s. 3, I (1924), pp. 284-286; J. Orbaan, Notizie inedite su L. M., in Boll. bibliografico musicale, III (1928), 2, pp. 11 s.; G. Bignami, L’anno di nascita di L. M., in Riv. musicale italiana, XLII (1938), pp. 46 s.; R. Casimiri, Il Palestrina e il M. in un privilegio di stampa del 1584, in Note d’archivio per la storia musicale, XVI (1939), pp. 253-255; D. Alaleona, Storia dell’oratorio musicale in Italia, Milano 1945, p. 334; Onoranze a L. M. nel IV centenario della nascita, Brescia 1953; P. Guerrini, L. M.«il più dolce cigno d’Italia» nel IV centenario della nascita, Brescia 1953, pp. 17-38 (già pubbl. in Il Vessillo di Santa Cecilia, VIII-IX [1907-08]); H. Engel, L. M., Firenze 1956; E. Kenton, A faded laurel wreath, in Aspects of Medieval and Renaissance music. A birthday offering to Gustave Reese, a cura di J. La Rue, New York 1966, pp. 500-518; S. Ledbetter, L. M.: new biographical findings, diss., New York University 1971; J. Chater, Fonti poetiche per i madrigali di L. M., in Riv. italiana di musicologia, XIII (1978), pp. 60-103; J. Chater, Castelletti’s «Stravaganze d’amore» (1585): a comedy…, in Studi musicali, VIII (1979), pp. 85-148; S. Ledbetter, Marenzio’s early career, in Journal of the American Musicological Society, XXXII (1979), pp. 304-320; J. Chater, L. M. and the Italian madrigal 1577-1593, diss., Univ. Microfilm Intern., Ann Arbor, MI, 1981; J. Chater, L. M.: new documents, new observations, in Music & Letters, LXIV (1983), pp. 2-11; I musici di Roma e il madrigale, a cura di N. Pirrotta, Lucca 1993; W. Kirkendale, The court musicians in Florence during the principate of the Medici, Firenze 1993, ad ind.; M. Bizzarini, L. M. e la Francia, in Riv. italiana di musicologia, XXXII (1997), pp. 223-240; Id., M. La carriera di un musicista tra Rinascimento e Controriforma, Rodengo Saiano 1998; Id., M. and cardinal Luigi d’Este, in Early Music, XXVII (1999), pp. 519-532; N. O’Regan, M.’s sacred music: the Roman context, ibid., pp. 609-620; N. Partegiani, La famiglia dei Marenzio a Coccaglio, in Civiltà bresciana, VIII (1999), pp. 5-11; M. Bizzarini, L. M., Palermo 2003.