Luca Pacioli
Frate francescano, erede della tradizione delle scuole d’abaco, intimo di artisti quali Leonardo da Vinci, professore nei più importanti centri dell’Italia fra Quattro e Cinquecento, in contatto con i potenti: Luca Pacioli è una figura poliedrica, che seppe genialmente intuire le potenzialità della stampa a caratteri mobili per l’affermazione di una cultura scientifica che fondesse le nuove acquisizioni umanistiche con le tradizioni delle scuole d’abaco e dell’insegnamento universitario.
Pacioli nasce a Borgo San Sepolcro (oggi Sansepolcro), presso Arezzo, in una data incerta ma che secondo recenti ricerche oscillerebbe fra l’ottobre del 1446 e l’ottobre del 1448 (Ulivi 2009 e in Pacioli 500 anni dopo, 2010). Rimasto orfano nel 1459, viene allevato dalla ricca famiglia Bofolci di Sansepolcro: riceve così la sua prima educazione nella città natale.
Giorgio Vasari sosterrà che Piero della Francesca fu il principale maestro di Pacioli (Le vite de’ piú eccellenti architetti, pittori, et scultori italiani, da Cimabue insino a’ tempi nostri, 1550, a cura di L. Bellosi, A. Rossi, 1986, p. 355). Anche se non si può escludere che il giovane Pacioli abbia ricevuto l’insegnamento del suo famoso concittadino – autore del Trattato d’abaco (1550 ca.), lettore di Archimede, teorico della prospettiva –, l’affermazione di Vasari non ha trovato sin qui sicure conferme (Ulivi 2009 e in Pacioli 500 anni dopo, 2010).
Dal 1464 Luca è a Venezia, nella familia del mercante Antonio Rompiasi: avrà modo di viaggiare su navi mercantili e di impadronirsi a fondo delle tecniche di contabilità. Al tempo stesso approfondisce la propria formazione culturale seguendo i corsi della Scuola di Rialto, e in particolare le lezioni di Domenico Bragadin; cura anche la formazione dei tre figli di Rompiasi, dedicando loro, nel 1470, un trattato di aritmetica e algebra, oggi perduto.
Prima del 1471 Luca è di ritorno a Sansepolcro ed entra nell’ordine dei frati minori francescani, dove l’avevano già preceduto i suoi fratelli Ginepro e Ambrogio (Ulivi 2009 e in Pacioli 500 anni dopo, 2010). Nel 1471, a Roma, è ospite per qualche tempo di Leon Battista Alberti, come egli stesso attesterà nel 1509 nel De divina proportione: «con lo quale [fui] più e più mesi ne l’alma Roma, al tempo del pontefice Paulo Barbo de Vinegia [Paolo II] in proprio domicilio con lui a sue spese sempre ben trattato» (f. 8).
Forse a partire dal 1475, ma sicuramente fra il novembre 1477 e il giugno 1478, è impegnato nel suo primo incarico di insegnamento pubblico a Perugia (Ciocci 2009) e nella stesura del primo scritto a noi pervenuto, il Tractatus mathematicus ad discipulos perusinos, il cui manoscritto è conservato nel fondo urbinate della Biblioteca apostolica vaticana. A Perugia tornerà a insegnare nel 1487-88.
Il suo peregrinare comunque si intensifica; nel 1481 è a Zara, in Dalmazia, dove compone un’altra opera – anch’essa perduta – di aritmetica e algebra; nel 1485-86 è a Firenze, dove ha modo di giovarsi della ricca biblioteca del convento annesso alla basilica di San Marco. Nel frattempo ritorna frequentemente a Sansepolcro, e fra il 1480 e il 1484 diventa professore di teologia (magister sacrae paginae professor); un documento del 1484 ce lo segnala come guardiano del convento francescano della sua città natale.
Fra il 1488 e il 1490 si registra un suo soggiorno napoletano – la cui data precisa è piuttosto incerta (cfr. Ciocci 2009, pp. 116-17; Ulivi 2009 e in Pacioli 500 anni dopo, 2010) –, durante il quale discute di architettura militare con Gian Giacomo Trivulzio e con l’ambasciatore fiorentino Pietro Vettori. Nel 1489 insegna a Roma, dove conosce Pierleone da Spoleto, che lo introduce nelle corti cardinalizie, e probabilmente ha modo di leggere sia le opere di Archimede tradotte in latino, tra il 1449 e il 1453, da Iacopo da San Cassiano (Iacobus Cremonensis), sia i lavori matematici di Niccolò Cusano. Viaggia poi fra Sansepolcro e Assisi, richiamato da problemi del suo ordine.
Ma l’anno decisivo è il 1494, quando Pacioli è a Venezia per seguire la pubblicazione a stampa della sua grande enciclopedia del sapere delle scuole d’abaco, la Summa de arithmetica, geometria, proportioni et proportionalita, che esce presso Paganino de’ Paganini, uno stampatore con cui Pacioli intratterrà una continua collaborazione. L’opera è dedicata a Guidobaldo I di Montefeltro, duca di Urbino, che Pacioli aveva conosciuto a Roma nel 1489; vale appena la pena di ricordare che Urbino continuerà a svolgere un ruolo fondamentale per lo sviluppo delle scienze matematiche lungo tutto il Cinquecento.
La stampa della Summa, i corsi tenuti nei maggiori centri culturali del tempo, la frequentazione di eminenti personaggi fanno di frate Luca uno dei più affermati studiosi di matematiche di questi anni. È certo grazie alla sua fama che Pacioli fra il 1496 e il 1499 si ritrova a Milano, chiamato dal duca Ludovico Sforza detto il Moro come pubblico lettore di matematica presso le Scuole palatine.
È in questo contesto che nasce l’amicizia e la collaborazione tra il frate e Leonardo da Vinci: un sodalizio che si prolungherà anche oltre il periodo milanese, dato che i due, dopo la cacciata del Moro, lasceranno insieme Milano per trasferirsi a Firenze. Frutto della loro collaborazione sarà la Divina proportione, che verrà pubblicata da de’ Paganini nel 1509 e in cui i disegni dei poliedri sono opera di Leonardo. È durante il sodalizio con l’artista che Luca compone, tra il 1496 e il 1508, il De viribus quantitatis, un testo di matematica «dilettevole e curiosa». Pacioli non lo pubblicherà – la prima edizione a stampa è del 1997 –, ma nei manoscritti di Leonardo si trovano numerosi riscontri con gli indovinelli e i rompicapo presentati in quest’opera, insieme a varie attestazioni di studio delle opere del frate ed echi delle discussioni avute con lui.
Il soggiorno fiorentino di Pacioli si prolunga almeno fino al 1505; il frate tiene corsi di matematica a Firenze come lettore dell’Università di Pisa. Nel 1501, tuttavia, risulta dai rotuli dell’Università di Bologna che frate Luca avrebbe tenuto un corso istituito appositamente per lui, la lettura Ad mathematicam (Ciocci 2012). È probabilmente da collegare a questa attività l’approfondimento dei suoi studi su Euclide: è infatti in questi anni che egli prepara il suo commento all’Euclidis Megarensis (13° sec.) di Giovanni Campano da Novara, che verrà pubblicato a Venezia nel 1509, anch’esso per i tipi di de’ Paganini. La stampa del volume, dedicato al gonfaloniere della Repubblica fiorentina Pier Soderini, fa seguito a un corso di matematiche, in special modo sul quinto libro degli Elementi di Euclide, che Luca tiene nel 1508-09 nella Scuola di Rialto. Corso che ha un enorme successo se, alla prolusione tenuta da Pacioli l’11 agosto 1508 nella chiesa di San Bartolomeo a Venezia, intervengono ben cinquecento personaggi di primo piano: ambasciatori, teologi, medici, nobili veneziani.
Frate Luca lascia Venezia nel 1509, richiamato a Sansepolcro da problemi interni all’ordine francescano e da interessi personali (Ulivi 2009 e in Luca Pacioli 500 anni dopo, 2010). Dopo un altro anno di insegnamento a Perugia (1510-11), Pacioli riassume l’incarico di guardiano del convento francescano di Sansepolcro.
Le sue peregrinazioni sembrano ora meno convulse. Nel 1514 e forse anche nel 1515 è a Roma, dove tiene un corso di matematica, non senza assentarsi per seguire varie questioni legate alla sua città natale. Non è documentata la data del suo rientro definitivo a Sansepolcro: anzi non è nemmeno sicuro se – fra il luglio del 1517 e l’ottobre di quell’anno – Luca muoia a Roma o a Sansepolcro (Ulivi 2009 e in Pacioli 500 anni dopo, 2010). Il silenzio delle fonti archivistiche sui suoi ultimi anni è probabilmente una delle ragioni per cui a tutt’oggi non è noto il luogo di sepoltura.
Le lunghe peregrinazioni portarono frate Luca in contatto con scuole d’abaco, università e corti – i luoghi in cui era coltivata la matematica.
Innanzitutto le scuole d’abaco. Erano queste i posti privilegiati, se non esclusivi, destinati alla formazione dei mercanti, ma anche di tutte quelle figure appartenenti allo «strato culturale intermedio» (secondo la felice espressione coniata nel 1996 da Carlo Maccagni), ovvero tutti quei soggetti che non accedevano alla cultura universitaria delle arti liberali ma sviluppavano una cultura loro propria: mercanti, architetti, artisti, uomini d’arme. La diffusione delle scuole d’abaco costituì un fenomeno di portata impressionante che produsse un’alfabetizzazione matematica di massa: si pensi che secondo la Nuova cronica (1346 ca.) di Giovanni Villani, i fanciulli che attendevano alle scuole d’abaco nella Firenze del 1338 erano «da mille a milledugento», e che nella Venezia del Cinquecento la percentuale dei ragazzi che frequentavano queste scuole arrivava al 40% (Ulivi 2002).
Quanto ai contenuti dell’insegnamento, essi dipendevano per via diretta o indiretta dal Liber abaci (1202), la grande opera di Leonardo Fibonacci, attraverso radicali semplificazioni e adattamenti. La struttura assiomatico-deduttiva della matematica greca scomparve quasi completamente, l’insegnamento avveniva per esposizione ripetuta a casi esemplari: il libro d’abaco ne costituiva appunto una riserva che il maestro potrà ampliare. Lo scolaro, esercizio dopo esercizio, arriverà a poter trattare, oltre all’aritmetica e ai suoi algoritmi, quei problemi che sarà destinato a incontrare quotidianamente nella sua vita professionale: interessi, società, compagnie, baratti, cambi di monete e di misure, problemi di geometria pratica (misure di campi, di capacità, di distanze).
Benché ciò possa sembrare una perdita secca, rispetto al rigore e alla generalità dei metodi della matematica classica, fu proprio negli ambienti delle scuole d’abaco che si effettuarono i primi passi in avanti rispetto alle conoscenze classiche. Ci limitiamo ad accennare a due esempi: la nascita della prospettiva teorica e l’algebra. La prospettiva come disciplina geometrica fu in gran parte opera di Piero della Francesca, la cui formazione matematica dipese largamente dalla cultura dell’abaco; l’algebra coltivata negli ambienti abachistici finirà con il produrre nel Cinquecento i risultati di Scipione Dal Ferro, Niccolò Tartaglia, Girolamo Cardano, Ludovico Ferrari e Raffaele Bombelli: la scoperta delle regole risolutive delle equazioni di terzo e quarto grado.
Ben diversa era la situazione delle università, nelle quali la matematica occupava un ruolo ancillare rispetto alla filosofia e alla medicina. L’insegnamento era limitato ai rudimenti di geometria e di astronomia: i primi libri degli Elementi di Euclide e il De sphaera mundi (prima metà del 13° sec.) di Giovanni di Sacrobosco (John of Holywood). Considerazioni matematiche potevano comunque emergere nei corsi di filosofia naturale.
Più importante il ruolo delle corti, a partire da quella siciliana dell’imperatore Federico II e da quella papale di Viterbo, fino alle corti umanistiche del Quattrocento: fu attraverso di esse che il sapere matematico del mondo antico venne conservato e diffuso. L’Euclide che viene letto fra il 13° e il 15° sec. e ancora per buona parte del 16°, è quello dell’edizione prodotta dal citato Campano, personaggio di spicco della corte di Viterbo; inoltre, è sempre a Viterbo, nella biblioteca papale, che sono conservati i manoscritti greci di Archimede sui quali Guglielmo di Moerbeke nel 1269 e Iacopo da San Cassiano intorno al 1450 condussero le loro traduzioni.
Uno dei fattori decisivi della comunicazione tra le varie culture matematico-scientifiche fu l’invenzione della stampa. E, da questo punto di vista, il ruolo di Pacioli si rivelò fondamentale.
Fino al 1494 il frate di Sansepolcro aveva peregrinato fra Venezia e Roma, Firenze e Milano, Bologna e Urbino: insegnando la matematica dell’abaco, frequentando le corti umanistiche (entrando anzi in stretto contatto con personaggi chiave dell’Umanesimo, quali Alberti), visitando biblioteche come quella di San Marco a Firenze o quella di Urbino, in cui si era raccolta l’eredità della matematica medievale e si raccoglieva la ‘nuova’ matematica antica che si andava riscoprendo e traducendo in latino. Iniziando la sua carriera come precettore e insegnante d’abaco per i figli di un mercante, egli la terminerà amico, anzi intimo, di artisti come Leonardo, e nelle grazie di potenti come Ludovico il Moro o Soderini, ottenendo letture pubbliche nelle università o nelle scuole più prestigiose, da Perugia a Roma, da Napoli a Milano, Firenze, Bologna, Venezia.
Si può ritenere che sia stata proprio questa sua poliedrica e instancabile attività a fargli cogliere l’importanza rivoluzionaria che la stampa avrebbe potuto rivestire per la diffusione e l’unificazione delle varie matematiche da lui coltivate e insegnate. In questo Pacioli fu decisamente un pioniere, preceduto forse solo da Regiomontano (il tedesco Johann Müller), che, circa vent’anni prima della pubblicazione della Summa, nel testo noto come Programma editoriale (attorno al 1473) aveva tentato l’impresa di pubblicare i tesori della matematica greca che la sua attività di umanista gli aveva permesso di riscoprire, e i risultati personali cui era giunto (Malpangotto 2008, pp. 52-54, 151-54).
Alla visione del grande matematico e umanista tedesco mancava però la praticità che contraddistingue invece l’opera di Pacioli. La Summa riprende infatti i temi tradizionali della matematica abachistica: la numerazione posizionale e i suoi algoritmi, la regola del tre e il calcolo delle proporzioni, l’algebra, l’uso della partita doppia, le regole della geometria pratica. Si propone così come un testo che integra l’educazione impartita nelle scuole attraverso i multiformi rapporti diretti fra maestro d’abaco e allievo. Al posto del ‘libro d’abaco’ manoscritto, raccolta di problemi e casi esemplari da tramandarsi solo al discepolo in grado di ereditare la ‘bottega’, Pacioli offre un unico volume a stampa, che raccoglie la tradizione di due secoli e l’arricchisce di risultati e dimostrazioni riprese dalla matematica greca che l’Umanesimo ha riscoperto.
Con la Summa siamo all’alba di un mondo nuovo: le pratiche matematiche delle scuole d’abaco si avviano a essere ristrutturate in un paradigma matematico che recupera quello della matematica classica. Come scrive Enrico Giusti (in Luca Pacioli e la matematica del Rinascimento, 1998):
Il protagonista della Summa è la proporzione in tutti i suoi aspetti: estetici nei pittori e negli architetti, scientifici in geografi e meccanici, fondazionali per i geometri e gli aritmetici. È attraverso la proporzione e la proporzionalità che l’aritmetica e la geometria trovano un metodo e un linguaggio comune e sono assoggettate a regole che trovano in quelle dimostrazione e fondamento. Il riferimento al linguaggio euclideo delle proporzioni, anche se filtrato attraverso una sistematica rilettura aritmetica […] è costante ed esplicito; quelle che negli scritti d’abaco sono regole di operazione nella Summa divengono enunciati cui soggiace sistematicamente la nozione di proporzione (p. 11).
Vasari, in una pagina famosa, accusò Pacioli di aver derubato Piero della Francesca della sua opera matematica:
Et avvegna che il tempo che è il padre della verità, o tardi o per tempo la faccia pur ritornare in luce, non è però che in quel tanto non sia defraudato quello spirito virtuoso de la debita gloria sua; sì come tante decine di anni ne è stato defraudato Pietro della Francesca da ’l Borgo San Sepolcro. Il quale, essendo stato tenuto maestro raro e divino nelle difficultà de’ corpi regolari, e nella aritmetrica e geometria […] non possette mandare in luce le virtuose fatiche sue et i molti libri scritti da lui […]. E colui, che con tutte le forze sue si doveva ingegnare di mantenergli la gloria e di accrescerli nome e fama, per aver pure appreso da lui tutto quello che e’ sapeva, non come grato e fedele discepolo, ma come empio e maligno nimico, annullato il nome del precettore, usurpatosi il tutto, dette in luce sotto nome suo proprio ciò è di fra Luca da ’l Borgo tutte le fatiche di quel buon vecchio (Le vite de’ più eccellenti…, cit., p. 355).
A dire il vero, l’accusa non ebbe un grande seguito, né nel 16° sec. né nei successivi, e ritrovò tutta la sua forza solo quando Girolamo Mancini (L’opera “De corporibus regularibus” di Pietro Franceschi detto Della Francesca usurpata da fra Luca Pacioli, «Atti della Reale Accademia dei Lincei, memorie della classe di scienze morali, storiche e filologiche», s. V, 1915, pp. 446-580) dimostrò come il trattato sui poliedri del De divina proportione coincidesse con il testo pierfrancescano Libellus de quinque corporibus regularibus.
Da allora sulle spalle di frate Luca si sono andati accumulando altri misfatti, e larghissime parti della Summa si sono dimostrate riprese di peso da trattati d’abaco medievali o interpolate con brani di testi di Piero. Persino una delle maggiori glorie di Pacioli – l’invenzione della partita doppia, esposta nel trattato De computis et scripturis della Summa – dipende pesantemente da pratiche esistenti ed esposte non solo in testi medievali ma anche in manoscritti allestiti solo pochi anni prima del 1494 (Sosnowski 2006; Manni, in Pacioli 500 anni dopo, 2010).
Sarebbe però un grave errore liquidare Pacioli come plagiario e scrittore privo di originalità. In primo luogo perché all’epoca il concetto di proprietà intellettuale era molto più vago di quanto non sia andato divenendo nell’era del libro stampato. Se Pacioli è un plagiario, che dire allora di Giorgio Valla che nel suo De expetendis et fugiendis rebus (pubblicato postumo nel 1501) traduce pagine su pagine da Euclide, Erone, Eutocio, Apollonio, Sereno e moltissimi altri autori greci senza prendersi il disturbo di citare la fonte? In realtà, sia la Summa sia – ma su scala assai minore – il De expetendis hanno giocato un ruolo decisivo per la nascita della moderna cultura occidentale.
Pacioli – come Regiomontano e Valla prima di lui – ha intuito e sviluppato un’idea fondamentale: una nuova cultura scientifica che possa unificare tutti i multiformi aspetti delle discipline matematiche potrà nascere e affermarsi solo grazie al nuovo strumento inventato da Johann Gutenberg. E nel suo progetto è presente un aspetto che né Regiomontano né Valla hanno saputo cogliere: una nuova cultura non può nascere solo sul recupero della matematica antica; non si possono abbandonare due secoli di cultura dell’abaco diffusa in volgare in grazia dei tesori ancora semisepolti in manoscritti greci o malamente e oscuramente tradotti in latino. La Summa può essere vista come il primo tentativo di avviare un processo nuovo. In questo sta la sua originalità:
Certo non è un sole che rischiara né un faro che indica la rotta da seguire. Semmai una lente: come una lente [Pacioli] non brilla di luce propria, il sapere che tramanda è spesso mutuato da altri […] come una lente egli è capace di raccogliere i raggi dispersi della matematica medievale per riunirli e concentrarli in un’opera che servirà a illuminare la strada a coloro che seguiranno e che dalla lettura della Summa prenderanno le mosse per superare per la prima volta le colonne d’Ercole delle scoperte degli antichi (Giusti, in Luca Pacioli e la matematica del Rinascimento, 1998, p. 18).
Summa de arithmetica, geometria, proportioni et proportionalita, Venezia 1494, 15232 (rist. anast. a cura dell’Istituto poligrafico e Zecca dello Stato, con introduzione di E. Giusti, Roma 1994).
De divina proportione. Opera a tutti gl’ingegni perspicaci e curiosi necessaria, Venezia 1509.
Euclidis Megarensis philosophi acutissimi mathematicorumque omnium sine controversia principis. Opera a Campano interprete fidissimo tralata […] Lucas Paciolus […] iudicio castigatissimo detersit, emendavit, Venetiis 1509.
Tractatus mathematicus ad discipulos perusinos, a cura di G. Calzoni, G. Cavazzoni, Città di Castello 1996.
De viribus quantitatis, trascrizione di M. Garlaschi Peirani dal cod. 250 della Biblioteca universitaria di Bologna, prefazione di A. Marinoni, Milano 1997.
De ludo scachorum, riproduzione facs. del ms. conservato presso la Fondazione Palazzo Cronini-Cronberg di Gorizia, Sansepolcro 2007.
C. Pedretti, Studi vinciani: documenti, analisi e inediti leonardeschi, Genève 1957.
Luca Pacioli e la matematica del Rinascimento, Atti del Convegno internazionale di studi, Sansepolcro (13-16 aprile 1994), a cura di E. Giusti, C. Maccagni, Città di Castello 1998 (in partic. E. Giusti, Luca Pacioli matematico, pp. 7-18).
E. Ulivi, Scuole e maestri d’abaco in Italia tra Medioevo e Rinascimento, in Un ponte sul Mediterraneo: Leonardo Pisano, la scienza araba e la rinascita della matematica in Occidente, a cura di E. Giusti, con la collab. di R. Petti, Firenze 2002, pp. 121-59.
R. Sosnowski, Origini della lingua dell’economia in Italia: dal XIII al XVI secolo, Milano 2006.
M. Malpangotto, Regiomontano e il rinnovamento del sapere matematico e astronomico nel Quattrocento, Bari 2008.
A. Ciocci, Luca Pacioli tra Piero della Francesca e Leonardo, Sansepolcro 2009.
E. Ulivi, Documenti inediti su Luca Pacioli, Piero della Francesca e Leonardo da Vinci. Con alcuni autografi, «Bollettino di storia delle scienze matematiche», 2009, 1, pp. 15-160.
Pacioli 500 anni dopo, Atti del Convegno di studi, Sansepolcro (22-23 maggio 2009), a cura di E. Giusti, M. Martelli, Sansepolcro 2010 (in partic. E. Ulivi, Nuovi documenti su Luca Pacioli, pp. 19-58; P. Manni, Il “De computis et scripturis” e le origini della moderna terminologia economico-finanziaria, pp. 125-37).
Before and after Luca Pacioli, Atti del II Incontro internazionale, Sansepolcro-Perugia-Firenze (17-19 giugno 2011), a cura di E. Hernández Esteve, M. Martelli, Selci-Lama 2011.
A. Ciocci, Pacioli: letture e interpretazioni, Sansepolcro 2012.