Pitti, Luca
Luca di Buonaccorso P. nacque a Firenze nel 1395. Dopo aver svolto missioni diplomatiche a Roma e a Milano (Capponi 1875, pp. 18 e 53), nel 1448 e poi nel 1453 fu gonfaloniere di giustizia e fautore di Cosimo de’ Medici. Dopo la morte di Neri di Gino Capponi rimase uno dei cittadini più potenti di Firenze. In una situazione tesa, anche per la crisi economica, egli si batté generalmente per prorogare il potere delle Balìe. Di nuovo gonfaloniere nel luglio-agosto del 1458, «uomo animoso e audace» (Istorie fiorentine VII iii 5-8), fece convocare un parlamento e nominare l’11 agosto (non il 9, come dice M.) una Balìa a lui fedele (Rubinstein 1966, trad. it. 1971, pp. 160-62 e 166-67). Affiancò quindi con il proprio potere (fu anche varie volte degli accoppiatori e degli Otto, si fece nominare cavaliere) quello di Cosimo, governando in modo «insopportabile e violento», tanto da rendere ironica (nota M. ancora in Istorie fiorentine VII iv 2) la denominazione dei Signori come priori di libertà. Intraprese anche la costruzione di palazzo Pitti. A Cosimo, morto il 1° agosto 1464, subentrò il figlio Piero, che, debole e malato, volle affidare la gestione dei suoi affari a Dietisalvi Neroni. Questi però, secondo M. (VII x-xi), lo ingannò consigliandolo male e alleandosi con P., Agnolo Acciaiuoli e Niccolò Soderini per togliergli il potere. In realtà tra i congiurati le idee erano diverse e non sembra che tutti volessero cacciare Piero; inoltre P., che aspirava al potere personale, ne era giudicato incapace dagli altri (VII xi 1-8). Piero, che era in villa, decise di tornare a Firenze (27 ag. 1466) dopo essersi armato «il primo», secondo M. (VII xv 6 e xvi 5), che però non chiarisce (come molte altre fonti) quali siano stati i promotori dello scontro. M. stesso ammette poco sopra (VII xv 3) che P. e gli altri congiurati avevano deciso di uccidere il signore, chiamando in aiuto Borso d’Este, all’epoca marchese di Ferrara. P., invitato dai complici a dare inizio alla rivolta, rifiutò perché, secondo voci diffuse, si era segretamente riconciliato con Piero (Rubinstein 1966, trad. it. 1971, pp. 18897). Una nuova Balìa filomedicea mandò in esilio i capi ribelli, tranne P. che fu perdonato, ma rimase screditato. Secondo il giudizio di M., avrebbe fatto meglio a «morire onorato con le armi in mano, che vivere intra i vittoriosi suoi inimici disonorato» (VII xvii 4, 8 e 10, e Capponi 1875, pp. 65-88, passim). Morì nel 1472. M. parla di P. anche nei Frammenti autografi XIII e XIV e negli Spogli 1, 2. Il suo giudizio negativo è confermato anche da Francesco Guicciardini nelle Storie fiorentine, a cura di A. Montevecchi, 1998: «non era valente uomo» (p. 84).
Bibliografia: G. Capponi, Storia della Repubblica di Firenze, 2° vol., Firenze 1875; N. Rubinstein, The government of Florence under the Medici: 1434 to 1494, Oxford 1966 (trad. it. Firenze 1971).