LUCA
Nacque negli ultimi anni del secolo XI, e fu verosimilmente di origine calabrese. Le prime notizie sono intrecciate con quelle riguardanti gli ultimi anni di vita di Bartolomeo da Simeri, fondatore di monasteri e riformatore del monachesimo greco in Sicilia e in Calabria agli inizi del XII secolo. In particolare all'attività di Bartolomeo e di L. si lega la fondazione del monastero di S. Salvatore in Lingua Phari, situato presso il porto di Messina, edificato dal 1122 per interessamento diretto di Ruggero II, conte (e dal 1130 re) di Sicilia.
La liturgia monastica ricorda come fondatore Bartolomeo, nel cui Bios si narrano con ricchezza di dettagli le circostanze che lo portarono, dopo aver fondato il monastero di S. Maria del Patir a Rossano, a essere coinvolto da Ruggero nella fondazione del grande cenobio messinese. Dal testo si evince che Bartolomeo volle trasferire nella nascente comunità di Messina lo ieromonaco L. insieme con altri dodici monaci anch'essi provenienti da Rossano, da dove portarono con sé libri, icone e altri beni; lo stesso L. fu designato egumeno della nuova comunità. Nel testo agiografico si afferma che, giunto alla fine dei suoi giorni, nell'agosto 1130 Bartolomeo designò come suo successore alla guida della comunità del Patir ancora L.; ne conseguono l'ipotesi dell'esistenza di due Luca distinti tra i discepoli di Bartolomeo e quella, alternativa e preferibile, che vede lo ieromonaco L. a capo del Patir nel breve periodo intercorso tra la morte di Bartolomeo e il completamento e perfezionamento dei lavori per S. Salvatore. L'agiografo avrebbe insomma collocato prima del 1130 la creazione di L. ad archimandrita di Messina, mentre questo passaggio avvenne dopo il maggio 1131.
L. aveva ampio e libero accesso presso il sovrano, che gli concesse numerosi privilegi: nell'archivio ducale Medinaceli di Siviglia sono conservati ben 13 diplomi greci concessi da Ruggero II tra il 1131 e il 1149, oltre alle copie in latino (ancora non ne esiste un'edizione moderna). Nel maggio 1131 il sovrano prese sotto la sua protezione il monastero di S. Salvatore, sottolineando così l'autonomia della comunità nei confronti del vescovo messinese e manifestando l'intenzione di porre L. alla testa di una congregazione di monasteri greci.
La nuova fondazione fu appellata mandra (recinto) per le altre comunità e il suo superiore prese il titolo di archimandrita; la sua elezione doveva essere confermata dal sovrano, mentre a lui spettava il diritto di conferma per gli abati eletti nelle comunità sottoposte, che erano in totale già 39.
Nello stesso anno il vescovo di Messina rinunciò alla giurisdizione sul monastero e a quella su altri trentatré monasteri greci, tutti nella sua diocesi, fatto salvo un censo ricognitivo. Il nome di L. quale archimandrita compare però solo a partire dal secondo privilegio concesso da Ruggero II, nel febbraio 1133.
Nei suoi privilegi Ruggero II, oltre a donazioni in terre, aggiunse anche quelle di villani, diritti di pascolo, di sfruttamento delle acque per mulini e gualchiere, esenzioni da plateatico, legnatico nonché dal dazio sul commercio marittimo operato con navi del monastero, che avevano diritto di scambiare grano anche con l'Africa musulmana. Negli anni di avvio, prima che le terre donate diventassero produttive, il re si era impegnato direttamente a garantire i beni di prima necessità per la nuova comunità.
Nel giugno del 1143, alla presenza di Ruggero II in Messina, si giunse alla pacifica soluzione di una controversia tra il vescovo eletto di Catania e l'abbazia di S. Salvatore riguardo l'edificazione di un mulino nelle vicinanze di Mascali da parte del monastero.
Giunto alla fine della sua vita, L. scrisse un proemio a carattere autobiografico da preporre al Typikon che, secondo l'uso bizantino, aveva redatto per i monasteri a lui collegati.
Il codice che contiene il proemio (Messina, Biblioteca universitaria regionale, Messan. Gr., 115) risale agli anni 1150-65, è scritto in greco ed è purtroppo acefalo; in esso L. ricorda di essersi ispirato ai grandi Typika della tradizione orientale e di scrivere "affinché le prescrizioni non sfuggano nel tempo avvenire e siano lasciate nell'oblio, ed insieme anche per ubbidire al regio comando" (Rossi, p. 82).
Il testo dispositivo del Typikon, giunto in una versione in lingua calabrese e caratteri greci, doveva essere letto nelle comunità dipendenti. Ripercorrendo le tappe della sua esperienza a Messina, L. ricorda i primi anni in Sicilia, trascorsi a visitare le comunità dipendenti, dove si preoccupò di ristabilire la disciplina monastica ("con disprezzo furono sbandite del tutto la negligenza dei monaci e la volgare maniera di vivere, e il commercio con chichessia, le adozioni in sorelle e le conversazioni con donne e le affinità spirituali con esse, e gli spessi incontri e i viaggi con le monache"; ibid., p. 71), fissando il numero minimo di sei monaci sacerdoti per garantire dignità alle singole comunità. Allo stesso tempo si impegnò a seguire i lavori di edificazione di S. Salvatore, al quale erano annessi l'ospedale per gli infermi e per i pellegrini, abitazioni per accogliere i protettori e alloggi per i dipendenti laici, addetti a lavorare nel mulino e nelle terre monastiche. Delle fabbriche di L. non resta pressoché nulla, dopo le demolizioni operate nel XVI secolo.
Nel 1141 L. provvide a dotare il nuovo cenobio di numerose reliquie, come attesta il documento (Siviglia, Archivo de la casa ducal Medinaceli, pergamena n. 1328) con il quale ricompensò tale Stefano, che aveva ceduto reliquie al monastero.
Dalla superscriptio autografa dello stesso L. si evince capacità di scrittura, ma non grande esperienza e raffinatezza. Sotto di lui fu comunque attivo uno scriptorium e soprattutto si venne formando la ricca biblioteca monastica, andata anch'essa in gran parte dispersa in età moderna.
L. morì nel febbraio del 1149 e fu sepolto in un sarcofago tardoromano di riuso, conservato nel Museo nazionale di Messina.
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