LUCANIA
Regione dell'Italia meridionale, tra la Campania, la Calabria e le Puglie, che nella divisione amministrativa dell'età di Augusto fu unita ai Bruzii (Calabria) a formare la Regione III. Questa era delimitata verso la Campania dal basso corso del Sele e dal Bradano e verso i Bruzii dal fiume Laino sul Tirreno, dai fiumi Sibari e Crati sullo Ionio. Il centro amministrativo odierno è Potenza (la regione sino alla fine del 1932 ebbe nome Basilicata).
Nella prima fase dell'Età del Ferro si può dire che tutti gli insediamenti dell'Età del Bronzo in L. abbandonano i siti nella pianura per salire sulle colline più facilmente difendibili. Le tracce di capanne protostoriche di Ferrandina (Croce Missionaria), di Cancellara (Carpine), di Vaglio della Basilicata (Serra S. Bernardo), di Timmari (v.) e di S. Maria d'Anglona (Pandosia?), per citare, soltanto qualche esempio, indicano in maniera evidente questo passaggio.
Con il VII-VI sec. a. C. tutti questi centri cercano di difendersi con le costruzioni di fortificazioni a grandi blocchi irregolari che formano, spesse volte, un vero aggere. Di solito questo primo nucleo è destinato a formare l'acropoli del centro nel suo normale sviluppo urbanistico.
Nello sviluppo del centro si possono cogliere diverse fasi che si prolungano attraverso i secoli e sempre collegate ad avvenimenti storici facilmente individuabili.
La L. in realtà non è affatto una zona isolata, come finora comunemente si credeva. La presenza dei cinque grandi fiumi (Basento, Bradano, Cavone, Agri e Sinni) che l'attraversano da SE a NO per finire nel Golfo di Taranto, significa un continuo contatto tra la costa e l'interno e quindi una rapida trasformazione di tutti quei centri che si trovano lungo queste larghe vallate.
Il Bradano, attraverso i suoi affluenti arriva fino ai piedi di Lavello e di Melfi (v.), mentre la vallata del Basento si spinge fino ai piedi di Torre di Satriano, a pochi chilometri quindi dalle sorgenti dell'Agri. Così si spiega il rapido trasformarsi dei centri indigeni che dominano la vallata del Bradano, come Cozzo Presepe, Contrada Difesa, Montescaglioso, Pomarico Vecchio, Timmari, Moltone di Tolve, Montrone di Oppido Lucano, Carpine di Cancellara, Torretta di Pietragalla, Castel Serico, Quercia di Annibale, Lavello e Melfi. Altrettanto rapida è la trasformazione dei centri che dominano la valle del Basento, come Pisticci, Ferrandina, Garaguso, Croccia Cognato, Civita di Tricarico, Macchia di Rossano e Serra di Vaglio di Basilicata.
Non meno rapida è la penetrazione greca della costa nei centri che dominano le vallate dell'Agri e del Sinni, compresi i loro affluenti, come Monte Coppola, S. Maria d'Anglona (Pandosia ?), Battifarano di Roccanova e Chiaromonte, Alianello, Cersosimo, Serra Lustrante di Armento, Grumentum, Civita di Marsico Vetere e la civita di Nemoli.
Accanto a queste vie di penetrazione che partono dalla costa metapontina e dalla Siritide, altre vie di penetrazione mettono in contatto la L. con la zona pestana e con la Puglia. La vallata del Sele penetra sul fianco occidentale della L. fino ai piedi del Vulture, mentre quella dell'Ofanto passa quasi ai piedi di Melfi e di Gravetta di Lavello.
Lo stesso fenomeno si presenta anche nella vallata del Tanagro, affluente del Sele, conosciuta sotto il nome di Vallo di Diano (v.). I centri antichi di Padula e Sala Consilina, conosciuti piuttosto attraverso le necropoli, iniziano i loro contatti con il mondo greco ed etrusco-campano già sul finire del VII sec. a. C., senza perdere però il loro carattere di cultura prelucana o enotria fino alla fine del VI sec. a. C. Anche se il tessuto di questa facies lucana presenta sfumature, esso resta unitario da Palinuro a Ferrandina e da Melfi a Serra Lustrante a Roccanova. Esistono però, e per lungo tempo, gli influssi marginali facilmente individuabili in ambienti come Lavello o Melfi, strettamente collegati alla Puglia, o come Sala Consilina, strettamente collegata al mondo greco ed etrusco-campano. Ma anche queste sfumature cominciano ad essere livellate durante la prima metà del V sec. a. C., quando si assiste ad una vera koinè lucana.
La L. rappresenta quindi un punto di incrocio di quasi tutte le correnti culturali dell'Italia meridionale e non deve essere considerata isolata tra le sue montagne e colline, tra le sue pianure e vallate. Così si spiega la presenza, a Vaglio, di terrecotte architettoniche arcaiche di tipo greco ed etrusco-campano, di antefisse e bronzi etrusco-campani di età arcaica a Melfi, di oinochòai rodie in bronzo e di bucchero etrusco, della fine del VII sec. a. C., a Serra Lustrante di Armento e ad Armento stessa, sulla vallata dell'Agri.
Altrettanto chiara si presenta però anche la penetrazione àpula con i suoi vasi arcaici, facilmente riconoscibili per la loro caratteristica decorazione geometrica.
Nel periodo che va dalla fine del VII alla fine del VI sec. a. C., quasi tutti questi centri indigeni allargano la loro cerchia di difesa, creando un vero abitato di tipo greco in cui l'antico insediamento diventa acropoli, destinata ora alla zona sacra.
È un fenomeno che richiama molto da vicino i centri indigeni arcaici della Sicilia, come, per esempio Monte Bubbonia o Monte Saraceno di Ravanusa. In qualche caso, come a Torretta di Pietragalla, il primitivo centro indigeno resta totalmente isolato dal resto della città ingrandita. Soltanto quando, durante il VI-IV sec. a. C., i centri si allargano nuovamente, come Serra di Vaglio, alla vecchia zona sacra dell'acropoli si aggiunge un'altra, situata nel mezzo della seconda fase di ingrandimento e al centro di un impianto urbanistico ortogonale risalente alla fine del VI, inizio del V sec. a. C.
Questi centri s'ingrandiscono quindi a macchia d'olio sovrapponendo gli isolati alle necropoli. Un fenomeno generale quindi che si verifica dalla Sicilia fino a M. Sannace in Puglia.
La vera tecnica greca nella costruzione delle fortificazioni appare invece soltanto nel IV sec. a. C. e più precisamente alla fine di questo secolo. Così almeno appaiono le fortificazioni di Serra di Vaglio, di Torre di Satriano, di Pomarico Vecchio, di Torretta di Pietragalla e di Civita di Tricarico o di Croccia Cognato.
Si tratta di una tecnica greca, con struttura isodoma, spesse volte consistente in un solo paramento esterno ed un grande riempimento che richiama alla mente le fortificazioni ad aggere.
Se si hanno ancora dubbî sulle popolazioni cui si possono assegnare le precedenti opere di difesa ed i contatti con il mondo greco, etrusco-campano ed àpulo, le fortificazioni di tipo greco possono invece essere attribuite certamente ai Lucani: dal IV sec. a. C., la loro presenza in questa zona è ben accertata anche dai testi antichi.
Con la fine del V sec. e durante tutto il IV sec. a. C. si assiste ad un fiorire di fabbriche vascolari locali in cui operano Pittori come quello di Pisticci, di Armento e Roccanova, nella parte meridionale, o come il Pittore di Melfi, nella parte settentrionale della regione. Similmente alla produzione arcaica di Melfi, Cancellara (Carpine) o di Roccanova, anche questa produzione s'ispira a modelli greci della costa o della madrepatria.
La vita dei centri indigeni, ellenizzati durante il periodo compreso tra il VI e il V sec. a. C., può essere seguita fino alla metà del III sec. a. C. sempre sullo stesso sito. Da questo periodo in poi, con l'eccezione di qualcuno, come Melfi o Macchia di Rossano, questi centri scendono nuovamente in pianura, formando, inizialmente, una catena di fattorie, in gran parte sistemate nelle pianure e nelle vallate.
In questo periodo sorgono però anche grandi centri romani, come Grumentum e Venosa, il primo sovrapponendosi ad un centro indigeno, il secondo soltanto parzialmente insediato su un altro centro precedente. Con il I sec. a. C., mentre i due maggiori centri romani s'ingrandiscono e assumono l'aspetto conservato fino al tardo periodo romano, le fattorie si raggruppano in nuclei sempre maggiori.
Dalle fattorie romane dell'Incoronata e del Demanio del Metapontino fino a quelle di Leonessa di Melfi, si assiste ad un incremento continuo del popolamento delle campagne e dell'abbandono definitivo dei centri situati in posizioni alte. Nascono, in questo periodo e nei primi decennî dell'Impero, le grandi arterie romane che attraversavano la L. mettendola in contatto con l'Appia o la Popilia. Dalle necropoli di queste fattorie, raggruppate in veri villaggi, provengono i sarcofagi di Atella o quello di Albero in Piano, nell'agro di Rapolla, i mosaici di Calle e le iscrizioni di S. Cataldo di Ruoti e di Cugno dei Vagni di Nuova Siri Scalo.
Contrariamente a quanto è stato detto finora, anche nel periodo romano imperiale la L. ha avuto una sua vita ricca e ben ordinata. Se si è parlato di uno spopolamento e di miseria in questa zona, ciò si deve più alla mancanza di indagini metodiche che ad una realtà. Proprio in questo momento di silenzio da parte delle fonti letterarie si assiste allo splendore di Venosa, Grumentum ed Eraclea e allo infittirsi di insediamenti, ricchi in terme e necropoli monumentali, anche nei più piccoli raggruppamenti, come quello di Sansaniello, tra Rapolla e Venosa, o come l'altro di S. Martino d'Agri.
Il mondo antico della L. si chiude con il formarsi dei centri altomedievali di S. Maria d'Irsi, di S. Vito, di S. Antonio Casaleni, di Vitalba e Boreano; è il momento dell'arrivo dei Basiliani cui la regione deve un altro momento di fioritura e di collegamento con il mondo greco.
Bibl.: G. Antonucci, La Lucania, Napoli 1745; G. Racioppi, Storia dei popoli della Lucania e della Basilicata, Roma 1889-1904; T. J. Dunbabin, The Western Greeks, Oxford 1948; F. Lenormant, La Grande Grèce, I, Parigi 1881; U. Kahrstedt, Ager publicus und Selbstverwaltung in Lukanien und Bruttium, in Historia, 1959, pp. 174-206; id., Die wirtschaftliche Lage Grossgriechenlands in der Kaiserzeit (Historia, Einzelschriften), Wiesbaden 1960; F. Sartori, Problemi di storia costituzionale italiota, Roma 1953; P. C. Sestieri, Necropoli villanoviane nella Provincia di Salerno, in St. Etr., XXVIII, 1960, pp. 73-91; J. De La Genière, I più antichi vasi geoemtrici nel Vallo di Diano, in Rend. Acc. Arch. Napoli, XXXV, 1960, p. 119 ss.; id., La céramique géometrique de Sala Consilina, in Mél. d'Arch. et d'Hist., 1961, p. 7 ss.; id., Rapport chronologique entre les vases géometriques et les objets de bronze dans la nécropole de Sala Consilina, in Apollo, II, 1962, pp. 48-56; F. Ranaldi, Ricerche archeologiche nella provincia di Potenza, Potenza 1960; M. Napoli, La documentazione archeologica in Lucania, in Atti I Convegno Magna Grecia, I, 1961, pp. 195-209; D. Adamesteanu, La documentazione archeologica in Basilicata, in Atti IV Convegno Magna Grecia, Napoli 1967, pp. 121-143; id., Problemi archeologici della Basilicata, in Matera, fasc. 10, ottobre 1965, pp. 3-8; Palinuro, Ergebnisse der Ausgrabungen, in Mitt. des Deutschen Arch. Inst., Röm. Abt., Drittes Ergänzungsheft, I, 1958; Palinuro, Ergebnisse der Ausgrabungen (Mitt. des Deutschen Arch. Inst., Röm. Abt., Viertes Ergänzungsheft), II, 1960; K. Kilian, I: Untersuchungen zu Früheinsenzeitlichen Gräbern aus dem Vallo di Diano, Arch. Forschungen in Lukanien, in Mitt. des Deutschen Arch. Inst., Röm. Abt., Zehntes Ergänzungsheft, Heidelberg 1964; Archäologische Forschungen in Lukanien, II: Herakleiastudien, in Mitt. des Deutschen Arch. Inst., Röm. Abt., Elftes Ergänzungsheft, Heidelberg 1967; L. Quilici, Siris-Heraclea (Forma Italiae, Regio III, vol. I), Roma 9167; D. Adamesteanu, Candelabro di bronzo di Melfi, in Atti e Mem. Soc. Magna Grecia, VI-VII, 1966, pp. 199-208.
S. Biagio. - La località prende il nome da una piccola cappella situata su una collinetta sulla destra del torrente Venella che sfocia nel Basento a circa 6 km ad O di Metaponto.
Ai piedi della collinetta si trovano le uniche sorgenti dell'antico territorio di Metaponto che sono inserite nella vasta divisione di terre di età arcaica appartenente alla colonia achea.
Ai piedi della collina, dove sgorgano le diverse sorgenti, sono state messe in luce le tracce di un abitato preistorico (ceramica tipo Serra d'Alto) vissuto fino all'Età del Ferro.
Durante la seconda metà del VII sec. a. C. i coloni di Metaponto, assieme al territorio circostante, prendono possesso anche di queste sorgenti. Della presenza greca sul posto sono testimonianza sicura le statuette fittili e la ceramica greca, d'importazione e di produzione locale, nonché la ceramica indigena. La presenza di quest'ultima ceramica in questo luogo è la prima documentazione del genere nella zona metapontina.
Nel VI sec. a. C. un gruppo di tre sorgenti vengono captate e convogliate in un solo edificio rettangolare cui è aggiunto in un secondo tempo - ma sempre nel periodo arcaico - una vasca più volte rifatta fino alla fine del IV sec. a. C. Intorno a questa prima costruzione messa in luce sono sorti diversi sacelli, anch'essi arcaici, come dimostrano le terrecotte architettoniche, le antefisse e tutta la produzione vascolare e coroplastica che scende fino alla fine del IV sec. a. C.
In base alle terrecotte architettoniche e alle antefisse si può supporre che nell'area vicino alle sorgenti si trovino almeno cinque sacelli. Questa decorazione è identica a quella metapontina, anche se di un modulo minore. Fa eccezione soltanto una serie di placche fittili di rivestimento decorate con figure di cavalli a rilievo che ricordano le placche fittili di Vaglio della Basilicata.
Già dai primi saggi nella zona di S. Biagio si può intuire un grande santuario sorto intorno alle sorgenti ed arricchito, oltre che dalla fontana sacra, da una serie di sacelli costruiti nel VI sec. e conservati fino alla fine del IV sec. a. C., quando tutto è abbandonato. Le stipi votive finora rintracciate contengono ex voto che scendono dalla metà del VII fino alla fine del IV sec. a. C. Pochi frammenti scendono anche nel primo venticinquennio del III sec. a. C. I più interessanti oggetti sono le statuette dedaliche, in parte simili a quelle del tempio di Apollo Lykàios di Metaponto, i vasi di produzione locale d'imitazione corinzia ed attica e specialinente i pìnakes dipinti e a rilievo.
La produzione locale d'imitazione inizia già nel VII sec. a. C. con statuette e vasi, mentre i pìnakes sono tutti del VI e V sec. a. C.
Secondo Bacchilide, sul Basento, si doveva trovare un santuario dedicato a Hera, come quello corrispondente sul Bradano, conosciuto sotto il nome di Tavole Palatine; il santuario di S. Biagio è sito sul Basento ma, come si può dedurre da un cippo arcaico, esso è dedicato a Zeus Aglàios. Dallo studio del terreno e delle fotografie aeree si può concludere che questo santuario sia uno tra i maggiori esistenti fuori di Metaponto, ma intimamente legato sia alla città sia alle popolazioni indigene della zona.
Bibl.: D. Adamesteanu, Santuario di S. Biagio della Venella, in Boll. d'Arte, IV, 1964, pp. 360-361; id., La documentazione archeologica in Basilicata, in Atti IV Convegno Studi Magna Grecia, Napoli 1966, pp. 127-132.
S. Maria d'Anglona (Pandosia?). - Il centro antico, sito a circa 18 km ad O di Eraclea, domina le vallate dei due maggiori fiumi della zona: l'Agri ed il Sinni. La collina su cui sorgeva è la più alta e la più inaccessibile tra le altre che formano il paesaggio. La collina è allungata sull'asse E-O. Sul lato meridionale sorge la basilica di S. Maria, mentre sulla punta occidentale si possono scorgere ancora i resti di un castello medievale.
Le ultime ricerche e scavi, condotti dalla Soprintendenza alle Antichità della Basilicata e dall'Istituto Archeologico Germanico di Roma hanno potuto stabilire che il primo insediamento umano risale alla prima Età del Ferro, con vita continuata fino al tardo periodo ellenistico e con ripresa nel periodo medievale.
La località è stata spesso identificata con l'antica Pandosia, centro menzionato dai testi antichi e specialmente dalle Tavole di Eraclea. Con gli scavi si è messa in luce ceramica corrispondente alla vita di questo centro; si è constatato anche che sulla collina non esiste alcuna traccia di abitazioni del periodo arcaico, classico o ellenistico, molto probabilmente distrutte dall'insediamento medievale.
Della massima importanza per i culti locali è la scoperta delle stipi votive ai piedi della collina, in località Conca d'Oro. Ai margini di un torrentello sono state messe in luce due stipi votive della seconda metà del IV sec. a. C. contenenti le statuette raffiguranti, in una stipe, Demetra ed in un'altra Artemide-Bendis. I due gruppi di statuette sono strettamente collegati a modelli tarantini e a tipi di Eraclea. In qualche caso, le statuette di Bendis sono raffigurate con la fiaccola, attributo, questo, tipico di Demetra. Le stesse statuette di Bendis presentano il massimo interesse perché finora la divinità, introdotta precedentemente a Taranto da Atene, era conosciuta soltanto sotto la forma di antefissa, come, per esempio, a Taranto e a Metaponto. La divinità, in questa stipe, è rappresentata reggente nella mano destra quando un cerbiatto, quando una lepre o una patera.
Le monete rinvenute nella stessa stipe concordano con la datazione tipologica e cronologica attribuita alle statuette; si tratta di monete di Eraclea che possono essere datate tra il 330 e 300 a. C. Anche se ancora non si è chiarita la topografia della località in cui sono state scoperte le due stipi votive, appare chiaro che il luogo di culto è collegato alle acque del torrentello della Conca d'Oro.
Bibl.: J. Bérard, La colonisation grecque de l'Italie méridionale et de la Sicile dans l'antiquité, Parigi 1957, p. 444; D. Adamesteanu, La documentazione archeologica in Basilicata, in Atti IV Convegno Magna Grecia, Napoli 1966, p. 133; L. Quilici, Siris-Heraclea (Forma Italiae-Regio III, I), Roma 1967, pp. 188-201.
Vaglio. - Centro indigeno sito sulla sinistra del Basento a quota 1030, a 12 km a N-E di Potenza e a circa 80 km da Metaponto. La vera denominazione della contrada è Serra di Vaglio, situata tra due affluenti del Basento: Tiera e Rummolo.
Mentre ai piedi della montagna si trovano tracce di Età Neolitica e dell'Età del Bronzo, sulla punta SO di essa si trovano le tracce di un insediamento dell'Età del Ferro. Assai probabilmente già sul finire del VII, inizio del VI sec. a. C. questo primo nucleo è racchiuso da una fortificazione del tipo ad aggere. Nel periodo che va dalla metà del VI sec. alla metà del V, il centro si allarga, occupando quasi tutta la piattaforma della montagna con una fortificazione sempre del tipo ad aggere. In un terzo periodo, databile nella seconda metà del IV sec. a. C., con un'altra fortificazione di puro tipo greco ad isodomia perfetta, viene aggiunto alla città anche il vasto pendio orientale.
Sulla piattaforma centrale del secondo allargamento, continuato anche nell'ultima fase di sviluppo, si può individuare un impianto ortogonale di tipo arcaico, in asse con una via principale che si presenta come una ramificazione della grande via di penetrazione che dal Basento risale verso Carpine di Cancellara e Torretta di Pietragalla.
Sulla stessa piattaforma e sul pendio che scende verso la grande via di penetrazione, sono stati individuati e parzialmente messi in luce diversi edifici sacri, qualcuno con forma e dimensioni dei templi ellenici, circondato da una serie di sacelli con decorazioni architettoniche fittili anch'esse di tipo greco. Fa eccezione una serie di antefisse di tipo etrusco-campano di età tardo-arcaica. Tra le decorazioni fittili spicca, oltre alle terrecotte architettoniche di tipo metapontino, una serie di placche fittili decorate con cavalieri e servitori affrontantisi, a bassorilievo finissimo, databile nel primo venticinquennio del VI sec. a. C. Questo ultimo tipo di decorazione, tipico dei sacelli arcaici del santuario di Zeus Aglàios di S. Biagio della Venella, s'accorda perfettamente con un'altra serie di placche fittili decorate con fasce ondulate, anch'esse a rilievo.
L'abbondanza ed il carattere tipicamente greco di queste decorazioni fanno pensare più che ad una rapida ellenizzazione del centro nel primo venticinquennio del VI sec. a. C., ad un trasferimento greco metapontino dalla costa su questa montagna di grande importanza strategica, simile a quanto avvenuto con la fondazione di Morgantina, del centro di Monte Saraceno o Monte Bubbonia in Sicilia.
Alla massima espansione della città del IV sec. a. C. segue immediatamente il declino: con la metà del III sec. a. C. l'intero centro è abbandonato, fenomeno facilmente riscontrabile in tutta la L. e da mettersi in rapporto con la presenza romana nella zona.
Bibl.: F. Ranaldi, Ricerche archeologiche nella Provincia di Potenza, Potenza 1960, pp. 15-27; id., L'Archeologia nel Potentino, in Basilicata, Milano 1964, pp. 119-124; M. Napoli, La documentazione archeologica in Lucania, in Atti I Convegno Magna Grecia, Taranto 1961, pp. 205-210; D. Adamestesanu, La documentazione archeologica in Basilicata, in Atti IV Convegno Magna Grecia, Napoli 1966, pp. 136-137; W. Hermann, in Arch. Anz., 1966 (Archäol. Grabungen und Funde im Bereich der Soprintendenzen von Apulien, Lucanien, Calabrien und Salerno von 1956 bis 1965), p. 327.