LUCANO (M. Annaeus Lucanus)
Scrittore latino, nato il 3 novembre del 39 d. C. a Cordova, città della Spagna Betica. Suo padre, M. Anneo Mela, era uno dei tre figli, il minore, di Anneo Seneca il retore, sicché per parte di padre L. apparteneva a famiglia equestre. Sua madre era figlia di Acilio Lucano, oratore di bella fama. Aveva otto anni, quando il padre venne a stabilirsi a Roma, dove Anneo Seneca aveva passato molta parte della sua vita e dove si trovava il secondo dei fratelli del padre,L. Anneo Seneca, il filosofo, che vi aveva acquistato grande fama per la sua dottrina. Ma nel 41 Seneca, che amava teneramente il nipotino, fu relegato in Corsica. Ritornato a Roma, nel 49, si occupò dell'istruzione del piccolo L. affidandolo a maestri dei quali ignoriamo i nomi: forse a C. Remmio Palemone e a L. Anneo Cornuto. Pochi anni dopo L., che rivelava ingegno veramente precoce, declamava nel poemetto Iliacon sulla morte di Ettore e su Priamo che va a riscattare il cadavere del figliuolo, nel poemetto Catachthonion sul mondo dei morti; e declamava non solo in latino ma anche in greco. Essendosi più tardi recato in Atene per completarvi i suoi studî, ne fu richiamato da Nerone, che lo volle tra i suoi amici e di cui L. cantò le lodi nel teatro di Pompeo in occasione delle prime Neronia, ossia nel 60, con un carme (Laudes Neronis) anch'esso, come i precedenti, a noi non pervenuto, sebbene qualche studioso lo abbia ravvisato nelle due bucoliche anonime di un ms. (266, sec. X) di Einsiedeln e qualche altro nella sola prima di esse. Per tale carme fu coronato, ed ebbe (nel 61?) la questura e poi l'augurato, prima che raggiungesse l'età richiesta. Che L., ben consapevole del proprio ingegno e della sua preparazione negli studî, si sforzasse di ascendere nel cammino dell'arte, lo dimostrano e la sua esclamazione "et quantum mihi restat ad Culicem" e la notizia che, per gareggiare con i molti altri che ne avevano trattato, componesse l'Orpheus a torto da alcuni identificato col Catachthonion. Ma improvvisamente l'imperatore mutò contegno verso di lui: era geloso il principe della fama del poeta, come affermano Tacito (Annali, XV, 49) e un biografo, o vi fu qualche altro motivo del mutamento? Certo è che tra i due cominciò una guerra dichiarata: il poeta assalì l'imperatore con versi e prosa, questi gli vietò non solo di leggere in pubblico, ma anche di difendere cause nel Foro. Ma L. non si diede per vinto e tanto più sentendo il peso dell'umiliazione quanto più lo avevano esaltato i trionfi di che artefice primo era stato lo stesso Nerone, sfogò il rancore comunque poté, senza prudenza e riserbo. Sappiamo di un famosum carmen di lui contro il principe e i più potenti suoi amici e di un opuscolo, probabilmente in versi misti a prosa, sull'incendio dell'anno 64. Scoperta la congiura di Pisone, L. fu arrestato come uno dei complici e condannato a morte; solo gli fu concessa la scelta del modo di questa. Si tagliò le vene il 30 aprile del 65, e morì a ventisei anni recitando versi nei quali aveva descritto la fine di un soldato perito alla stessa maniera, versi che noi non abbiamo. Tacito e un biografo asseriscono che L., prima di morire, abbia denunciato la propria madre; ma le notizie hanno indotto qualche studioso, e non senza motivo, a dubitarne.
L. lasciava parecchi scritti in poesia, e alcuni anche in prosa, che sono, oltre i citati, l'Allocutio ad Pollam o ad uxorem, ossia a Polla Argentaria, una giovane donna assai colta che aveva sposata qualche anno prima di morire; i Saturnalia, componimenti d'occasione per siffatta annuale ricorrenza; libri di Silvae, una tragedia su Medea, incompiuta, 14 Fabulae salticae (libretti per pantomime); alcuni altri componimenti poetici, forse epigrammi; due orazioni, una contro e l'altra in favore di Ottavio Sagitta, e alcune Epistolae da lui scritte mentre era nella Campania (ex Campania). Di tutto ciò non avanza che qualche minuto frammento.
Possediamo invece di L. un poema epico in 10 libri, nei primi sette dei quali è cantata la guerra civile fra Cesare e Pompeo fino alla battaglia di Farsalo, nell'ottavo la fine di Pompeo, e negli altri due le imprese di Catone in Africa e i fatti di Cesare nell'Egitto.
Fonti dell'opera di L. dovettero essere Cesare, le epistole di Cicerone, Livio, Asinio Pollione e un'opera di Seneca della quale ci dà notizia il figlio Lucio Anneo. Tutta la materia del poema è così disposta: I. Invocazione a Nerone. Ritratto di Cesare e di Pompeo. Passaggio del Rubicone. II. Bruto e Catone. La leva delle truppe fatta da Pompeo nella Campania. Assedio di Brindisi. Passaggio di Pompeo in Grecia. III e IV. Assedio di Marsiglia. Campagna di Cesare nella Spagna. V e VI. Passaggio di Cesare in Grecia. Assedio di Durazzo. VII. Campagna tessalica e battaglia di Farsalo. VIII. Fuga di Pompeo a Lesbo e suo incontro colà con la moglie Cornelia. Assassinio di Pompeo in Egitto. IX. Imprese di Catone in Africa. X. Guerra alessandrina. Cesare dà a Cleopatra il trono d'Egitto (48 a. C.). Questo poema è tradizionalmente conosciuto col titolo di Farsaglia (Pharsalia); ma, poiché i manoscritti più antichi e un biografo del poeta lo indicano con quello di Belli civilihs libri o De bello civili e così lo chiama anche Petronio (Sat., 118), oggi si suole preferire tale denominazione, per quanto nell'espressione Pharsalia nostra vivet usata da L. stesso (IX, 985 sg.) vi sia un preciso accenno al titolo dell'opera. Non sembra che abbia alcun sicuro fondamento l'ipotesi che il poeta si proponesse di giungere col suo racconto fino alla battaglia di Filippi e forse anche a quella di Azio. Certo il libro X, che abbraccia 546 versi, è troppo breve, se si confronta con gli altri, che ne hanno in media circa 800, e specialmente col IX che ne conta 1108. Ma questo ci dice solo che il poema non fu compiuto; laddove un'esatta interpretazione degli esordî di esso non ci consente che una sola supposizione: che, cioè, l'autore volesse giungere fino alla battaglia di Tapso, alla morte di Catone e forse anche all'assassinio di Cesare. Ed è affatto arbitrario pensare, come è accaduto, che egli, nel corso dell'opera sua, abbia stabilito di ampliare la materia del suo canto. Né si può dubitare che i due esordî siano stati scritti in due momenti diversi, ossia il secondo (versi 8-66) quando fu posto mano al poema e il primo (versi 1-7) più tardi, dopo che L. fu caduto in disgrazia del principe; sicché quello apparve in testa ai tre libri della Farsaglia dal poeta stesso pubblicati, questo non sostituì l'altro, come nel pensiero di lui avrebbe dovuto, ma si aggiunse all'altro e lo precedette nell'edizione postuma dell'opera non sappiamo da chi curata; certo non dallo zio, Seneca, che morì prima del nipote, né dal fratello, che L. non ebbe, come invece si legge in antichi scolî. Del resto non solo negli esordî, ma in tutto il poema l'autore ci fa sentire che per lui delle lotte civili quella veramente epica è la guerra tra Cesare e Pompeo, con la quale il popolo romano venne a trovarsi in uno dei momenti più solenni della sua storia.
Non si può in verità disconoscere che all'ardore poetico di Lucano "fur seme le faville della divina fiamma" sprigionantesi perenne dall'Eneide; ma essenzialmente il suo poema si connette al Bellum Poenicum di Nevio e agli Annales di Ennio; e in esso, come in questi, il vero eroe è il popolo romano nella sua realtà operatrice. Tali avvenimenti L., anima fervida, agitata, ma trasparente, scorse così pervasi di meraviglioso e di fatale da superare qualsiasi epico mito, e li cantò con lo spirito di quell'età, nel quale si andava sempre più delineando una lotta veramente epica tra il passato che non lo appagava e il presente denso d'indistinti pensieri, sentimenti, aspirazioni, alba di un giorno nuovo, che già aveva rischiarato il cielo verso l'Oriente; con lo spirito di quell'età, che, spesso, non potendo fare di meglio, si rifugiava nelle superstizioni d'ogni genere. Non intende L. chi non conosce a fondo Seneca. Da tutto ciò, dall'inesperienza giovanile del poeta e dai suoi freschi ricordi scolastici doveva derivare e derivò un poema in cui s'incontrano notevoli contraddizioni, gravi inesattezze storiche e geografiche, ineguaglianze nello svolgimento della materia, gran numero di orazioni (circa cento), sovrabbondanti descrizioni, sconnessioni e spezzature, per conseguire l'effetto oratorio, nel ritmo dell'esametro. Ma di fronte a questi difetti è poi da riconoscere che il poema possiede pregi rilevanti di concezione, abilità nell'incatenare il lettore al racconto, calore di passione, complessità e spesso anche profondità di sentimenti, trasparenza del pensiero nonostante la frequente enfasi e la ricercatezza.
Fortuna. - Stazio (Silv., 2, 7) si commoveva al ricorrere dell'anniversario della nascita di L.; Marziale ripetutamente lo celebrò; nel Dialogus de oratoribus il nome di L. è associato a quello di Virgilio e di Orazio (c. 20). Stretti nei vincoli dei precetti del genere, alcuni grammatici sentenziarono che l'autore della Farsaglia non merita d'essere annoverato tra i poeti (Servio, Ad. Aen., I, 382); con migliore discernimento Quintiliano (X, 1, 90) dopo averlo detto ardens et concitatus et in sententiis clarissimus aggiunge che L. dovrebbe piuttosto "servire di modello agli oratori che ai poeti" Versi di L. si citano da secoli come accade per quelli di Virgilio e di Orazio, furono scritti in prosa e in versi gli argomenti dei varî libri, il poema fu spesso commentato e annotato, e si compose un epitaffio in tre distici nel quale il poeta parla in prima persona con manifesto ricordo dell'epitaffio virgiliano. Nei capp. 118-124 del Satyricon di Petronio, Eumolpo, dopo aver osservato che molti credono cosa facile il poetare e che chi "voglia abbracciare un soggetto immenso qual è quello della guerra civile, se non è pieno di studî resta schiacciato" improvvisa un canto di circa 300 versi per dare un saggio di come un siffatto argomento debba essere trattato. Questo canto d'imitazione virgiliana Eumolpo, manifestamente, vuol contrapporre al poema lucaneo; ma più che di parodia della Farsaglia, si può parlare di critica letteraria fine e rispettosa, se pur superficiale.
Fonti: Tre sono le Vitae di L. che derivano da antiche fonti e sono state pubblicate in quasi tutte le edizioni del poema. Una di esse (I) proviene molto probabilmente, come pensò lo Scaligero, da Svetonio; l'altra (II), un po' più ampia e certo più favorevole al poeta, è stata attribuita a un certo Vacca, un antico commentatore della Farsaglia, che alcuni collocano nel sec. VI; la terza (III), assai breve, fu aggiunta al codice Vossianus II, ma essa è forse una nota al primo verso del poema, che qualche scoliasta ricavò dalla Biografia I. Le altre biografie, di età tardiva e senza importanza alcuna, si possono vedere raccolte in C. F. Weber, Vitarum M. Annaei Lucani partes III (Marburgo 1858).
Manoscritti. - Una classificazione in famiglie dei mss. della Farsaglia, nonostante i molti tentativi fatti, ancora non si è avuta e forse, per l'insormontabile difficoltà che presenta, non si avrà mai. Essi datano dal sec. IX; ma abbiamo anche dei brevi frammenti di palinsesti che rimontano al sec. V se non al IV. I manoscritti maggiori si possono distinguere così: 1. il Vossianus del sec. X, che si trova a Leida (XIX, q. 51); 2. quasi tutti gli altri mss. antichi, i quali, pur derivando da un archetipo diverso da quello del Vossianus, hanno tuttavia sentito l'influenza di questo.
Edizioni. - Prima ed. è la romana del 1469 curata da Giovanni André; tra le altre vanno segnalate quelle del Gryphius (1542) e del Bersmann (1589), le tre del Grotius (1614, 1625, 1639), quelle del Cortius (1726), dell'Oudendorp (1728), del Burmann (1740), le due del Weber (1821-1831). Nel 1887 apparve a Londra l'ed. di C. E. Haskins, nel 1892 nella Bibliotheca Teubneriana la prima di C. Hosius che fu seguita nel 1905 dalla seconda e nel 1913 dalla terza. Intanto nel 1896-97 pubblicava la sua, a Leida, C. M. Francken e nel 1900, curata da G. E. Heitland, appariva la Farsaglia nel Corpus poetarum Romanorum di I. P. Postgate (vol. III); nel 1926 la Société d'édition "Les Belles Lettres" di Parigi dava il testo critico accompagnato dalla traduzione francese, l'uno e l'altra affidati ad A. Bourgery e M. Ponchont e preceduti di poco dall'edizione del solo testo pubblicata a Oxford da C. Housman. Del 1928 finalmente è l'edizione del testo con la traduzione inglese per cura di J. D. Duff nella Loeb Classical Library di Londra.
Scolî. - I commentarî a noi pervenuti vengono distinti in due gruppi: 1. i Commenta Bernensia che sono gli scolî datici per intero dal codice (C) 370 di Berna (furono pubblicati a Lipsia da H. Usener nel 1869); 2. le Adnotationes super Lucanum, delle quali possediamo parecchi manoscritti (edizione di J. Endt, Lipsia 1909).
Traduzioni. - La Farsaglia fu tradotta, in versi e in prosa, in tutte le lingue: delle traduzioni italiane, indicheremo quella di F. Cassi (Pesaro 1826), e quella di V. Ussani (Roma 1899-1903), che è incompleta.
Bibl.: H. Genthe, De M. Annaei vita et scriptis, Berlino 1859; G. Boissier, L'opposition sous les Césars, 6ª ed., Parigi 1909; C. Pascal, Nerone e L., in Rivista d'Italia, 1921, p. 236; W. Morel, Fragmenta poetarum Latinorum, Lipsia 1927, p. 128 segg. (per i frammenti lucanei bisogna però tener presenti in modo particolare le edizioni del Hosius, di cui è detto sopra); A. Machiejczyk, De carminum Einsidlensium tempore et auctore, Greifswald 1907; S. Lösch, Die Einsiedler Gedichte, Tubinga 1909; C. F. Weber, De duplici Pharsaliae Lucaneae exordio, Marburgo 1860; D. Nock, The proem of Lucan, in Class. Review, 1926, p. 17 seg.; H. Diels, SZeneca und Lucan, in Abh. der Berl. Akad. d. Wissensch., 1885, philosoph. hist. Kl., I, p. 1 segg.; E. Fraenkel, Lucan als Mittler des antiken Pathos, in Vorträge d. Bibliothek Warburg, 1927, p. 229 segg.; M. Belli, Magia e pregiudizi nella Pharsalia di M. Anneo L., Venezia 1897; A. Bourgery, Lucain et la magie, in Rev. des études latines, 1928, p. 299 segg.; A. Fortmann, Quaestiones in Lucanum metricae, Greifswald 1909; E. Klebs, Zur Composition von Petronius Satirae, in Philologus, 1889, p. 630 segg. (cfr. Friedländer, in Bursians Jahresber., 1886, p. 196 e V. Ussani, in Studi ital. di filol. classica, 1905, p. 34 segg.); M. Manitius, in Rheinisches Mus., 1889, p. 545 segg.; Th. Creizenach, Die Aeneis, die 4. Ecl. und die Pharsalia im Mittelalter, Francoforte 1864; P. Wessner, Lucan, Statius u. Juvenal bei d. römischen Grammatikern, in Philol. Wochenschr., 1929, col. 296 segg.; C. Vitelli, Sulla composizione e pubblicazione della Farsaglia, in Studi ital. di filol. classica, 1900, p. 33 segg.; id., Studi sulle fonti storiche della Farsaglia, ibid., 1902, p. 359 segg.; R. Giani, La Farsaglia e i Comentari della guerra civile, Torino 1888; V. Ussani, Sul valore storico del poema lucaneo, Roma 1903; R. Pichon, Les sources de Lucain, Parigi 1911; V. Ussani, Il testo di L. e gli scolii bernensi, in Studi ital. di filol. classica, 1903, p. 29 segg.; D. Nisard, Études de møurs et de critique sur les poètes latins de la décadence, 4ª ed., Parigi 1878; F. Grosso, La Farsaglia di L., Fossano 1901; F. Plessis, La poésie latine, Parigi 1909, p. 543 segg.; R. B. Steele, Lucan's Pharsalia, in American Journ. of Philol., 1924, p. 301 segg.