RIDOLFI, Lucantonio
RIDOLFI, Lucantonio. – Nacque a Firenze il 17 ottobre 1510 da Giovanfrancesco e da Camilla di Pierfilippo Pandolfini; fu il secondo di sette figli (nell’ordine: Costanza, Lucantonio, Lodovico, Pagnozzo, Marietta, Ridolfo e Pierfilippo). La famiglia abitava nella zona di San Felice in Piazza, nell’antica via Maggiore (attuale via Maggio).
Studiò alla scuola fiorentina di Mariano Pucci insieme all’amico Piero di Matteo Niccolini, cui più tardi indirizzò una lettera accompagnata da alcune epistole consolatorie. Rimasto orfano del padre nel 1533, fu a Roma l’anno successivo, come scrisse Annibal Caro a Benedetto Varchi il 10 dicembre 1534.
Nella seconda metà degli anni Trenta si trasferì in Francia, come testimonia una lettera a Niccolini (contenente anche il sonetto-centone petrarchesco Qui dove mezzo son, Niccolin mio), inviata il 5 dicembre 1537 da Lione, città in cui la famiglia Ridolfi aveva fondato una banca intorno al 1521 (la lettera è pubblicata in un’edizione delle rime petrarchesche stampata da Guillaume Rouillé del 1550). Qui Lucantonio fu a capo della casa commerciale di famiglia e acquisì una posizione di primo piano, tanto da essere invitato a partecipare insieme ad Albizzo del Bene, in rappresentanza della locale nazione fiorentina (della quale fu eletto console l’anno successivo), alla cerimonia per l’ingresso di Enrico II a Lione nel 1548; la notizia si ricava da La magnificence de la superbe et triomphante entrée de la noble et antique cité de Lyon faicte au Treschrestien Roy de France Henry deuxieme (c. 174v), testo pubblicato nel 1549 da Rouillé, che quel medesimo anno stampò anche La magnifica et triumphale entrata del christianiss. Re di Francia Henrico secondo, versione italiana del resoconto data in luce su consiglio dello stesso Ridolfi.
Infatti, a partire dagli anni Quaranta, Ridolfi si affermò anche come traduttore e collaboratore editoriale. Il 1° gennaio 1542 inviò alla nobildonna fiorentina Maria Albizzi, che glielo aveva commissionato, un volgarizzamento del De mulierum virtutibus di Plutarco (il testo fu poi pubblicato in francese da Rouillé a Lione nel 1546 con il titolo Petit opuscule de Plutarque e, quello stesso anno, da Jeanne de Marnef a Parigi con il titolo Opuscule de Plutarque des verteux et illustres faitz des anciennes Femmes). Il 24 giugno 1543, ancora su sua richiesta, Ridolfi inviò all’Albizzi la traduzione in volgare del De mulieribus claris di Giovanni Boccaccio, traduzione poi usata come base per la versione francese del testo (pubblicata nel 1551 da Rouillé e Thibauld Payen con il titolo Des Dames de renom). Poco dopo queste traduzioni, il letterato iniziò a collaborare direttamente con il tipografo lionese Rouillé, di cui fu forse anche banchiere.
Ridolfi si occupò inizialmente di autori classici, firmando la Vita di Gaio Cecilio, cognominato poi Plinio secondo, il più giovane, pubblicata insieme a una lettera a Ilarione Zampalochi nel De gli huomini valorosi et illustri, traduzione di del Rosso stampata nel 1546 (pp. 7 s.; il testo fu edito quello stesso anno anche da Giolito a Venezia). In una lettera inviata allo stesso Zampalochi il 15 marzo 1544 (edita nel volume a p. 3), Paolo del Rosso chiedeva che Ridolfi potesse rivedere l’intero volume. Il fiorentino collaborò quindi alle due edizioni del Petrarca stampate da Rouillé nel 1550: le due edizioni si differenziano perché la prima contiene una dedica dello stampatore a Ridolfi (pp. 3-5), poi eliminata nell’edizione successiva, che contiene, invece, una Tavola di tutte le rime dei sonetti e canzoni del Petrarca di Ridolfi (che accenna a tale rimario nella lettera a Niccolini del 1537, qui pubblicata a pp. 3-5). Nell’edizione rovilliana del Petrarca del 1558 Ridolfi firmò la vita del poeta e probabilmente anche il commento; la nuova edizione uscita nel 1564 aggiunse cinque lettere, datate tra il 2 agosto 1562 e il 24 maggio 1564, che riproducono uno scambio epistolare tra Ridolfi, Alfonso Cambi Importuni e Francesco Giuntini sul tema del giorno e dell’ora dell’innamoramento del Petrarca (cc. 4-19). Di Ridolfi si conserva inoltre un esemplare postillato di un’edizione a stampa del Canzoniere petrarchesco; altre postille il fiorentino appose, tra il 22 e il 25 dicembre 1559, a un’edizione della Commedia di Dante. L’attenzione nei confronti dell’opera dantesca è ulteriormente confermata dalla dedica a Ridolfi, datata 25 aprile 1551, dell’edizione rovilliana di Dante con nuove et utili ispositioni. Per Rouillé, Ridolfi si occupò inoltre dell’opera di Boccaccio: lo testimonia, oltre alla traduzione del De mulieribus claris, l’edizione rovilliana del Decamerone del 1555, che contiene una vita di Boccaccio di Ridolfi (alle pp. 885-888) e, dello stesso, il Raccoglimento di tutte le sentenze (alle pp. 889-902), testo ricordato anche nella lettera di Jean Baptiste du Four a Rigo de San Marsale riprodotta in appendice al volume (pp. 927-932). Ridolfi aveva anche stabilito il testo dell’opera, che tuttavia lo stampatore decise di non utilizzare; in appendice al volume (pp. 933-935) è però pubblicata una lettera con correzioni al testo, probabilmente di mano di Ridolfi.
All’interesse per le Tre Corone si ricollega inoltre il dialogo, apparso anonimo ma riconducibile a Ridolfi, intitolato Ragionamento havuto in Lione da Claudio de Herberè gentil’huomo franzese et da Alessandro degli Uberti gentil’huomo fiorentino, sopra alcuni luoghi del Cento Novelle del Boccaccio (stampato da Rouillé nel 1557 e poi riedito nel 1560). Il testo, polemico verso i moderni editori del Decameron, a partire da Girolamo Ruscelli, fu criticato da Ludovico Castelvetro nella sua Lettera del dubioso academico al molto magnifico M. Francesco Giuntini fiorentino (s.n.e.). In forma dialogica è anche l’altra opera originale di Ridolfi, Aretefila, stampata nel 1560 (e quindi riedita sempre da Rouillé due anni dopo): già terminato il 4 marzo 1557, come l’autore dichiara nella dedica all’amico Francesco d’Alessandro Nasi, il dialogo è incentrato sul tema «se possibile cosa è che anco per fama huomo si possa di corporal bellezza innamorare» (p. 3), tema affrontato con ampie citazioni da poeti antichi come contemporanei: fra gli altri, Ridolfi ricorda amici italiani come Luigi Alamanni, Claudio Tolomei, Annibal Caro e Benedetto Varchi, e francesi come Maurice Scève e Pontus de Tyard. In conclusione dell’opera figura inoltre il sonetto di Ridolfi Chi vuol veder quantunque può Natura.
Ridolfi rimase a Lione dagli anni Quaranta agli anni Sessanta. Tra luglio e settembre del 1543 fece però ritorno a Firenze, come testimoniano le lettere inviate quell’anno da Niccolò Martelli a Battista Alamanni e dallo stesso Ridolfi a Piero Vettori. Il ritorno dovette tuttavia essere di breve durata se già nel dicembre di quello stesso anno Ridolfi poté scrivere da Milano a Bartolomeo Panciatichi. Per perorare la causa di quest’ultimo, finito nelle maglie dell’Inquisizione, nella primavera del 1552 Ridolfi incontrò il duca di Firenze. Il 29 novembre dello stesso anno fu invece a Genova, incaricato dalla duchessa di trattare con Adamo Centurione la concessione di un prestito di trentamila scudi; i primi di gennaio dell’anno successivo fece ritorno in galea a Livorno portando a Cosimo de’ Medici ventimila scudi d’oro. Rientrato in Francia, tra il 1560 e il 1562 fu costretto a cercare rifugio prima a Saint-Rambert-en-Bugey e quindi a Chambéry, presso il duca di Savoia, a seguito delle razzie perpetrate da François de Beaumont barone des Andrets a Lione. In quegli anni continuò tuttavia a intrattenere traffici commerciali e scambi epistolari con il fratello Lodovico, rimasto a Firenze, e con molti amici e letterati del tempo. Fu in contatto con esuli fiorentini come Antonio Brucioli (ricordato da Rouillé nella lettera di dedica a Ridolfi del Petrarca del 1550) e con italiani di passaggio a Lione come Giovanni Andrea dell’Anguillara (che lo nomina in una lettera del 6 giugno 1560) e Benvenuto Cellini (ricordato a cena insieme a Ridolfi nella casa lionese dei Panciatichi in una lettera di Battista Alamanni a Varchi del 7 luglio 1545); mantenne inoltre rapporti con amici toscani come Niccolò Martelli, che gli indirizzò alcune epistole (nonché 25 copie del suo Primo libro delle lettere da distribuire a Lione) e il sonetto Qui dove in ogni vago et bel colore (nel ms. II.X.191 della Biblioteca nazionale centrale di Firenze, c. 45r). Molto stretto fu il legame con Benedetto Varchi, con cui intrecciò scambi di lettere e di sonetti. Varchi elogiò inoltre Ridolfi nella dedica a Marguerite de Bourg della Lezzione d’amore tenuta all’Accademia Fiorentina; alla stessa Ridolfi dedicò il 1° gennaio 1550 la Lezzione sulla gelosia che Varchi stesso gli aveva inviato. Le Due lezzioni, già apparse a stampa nel 1549, furono poi ripubblicate insieme da Rouillé nel 1560 per le cure dello stesso Ridolfi.
Alla fine degli anni Sessanta rientrò a Firenze, dove era stato nominato senatore. Morì nella città il 20 aprile 1570.
Opere. Le consolatorie di Ridolfi, databili agli anni Cinquanta e inviate a due giovani orfane, ad Anne Tullone e a Marguerite de Bourg, sono pubblicate in Delle lettere volgari di diversi nobilissimi et eccellentissimi ingegni […] libro terzo, In Venetia, Paolo Manuzio, 1564, pp. 225-263; e quindi riedite da B. Pino, Della nuova scielta di lettere di diversi nobilissimi huomini, In Venetia, Giovanni Antonio Rampazetto, 1582, IV, pp. 207-246; a pp. 152-164, lo scambio epistolare con Alfonso Cambi Importuni e Francesco Giuntini (per il quale cfr. anche Per la lettera di L.A. R. contro al Giuntino nel ms. II.x.85 della Biblioteca nazionale centrale di Firenze). Le tre consolatorie si leggono ancora in B. Zucchi, L’idea del segretario, In Vinetia 1606, II, parte 4, pp. 114-132. Il Delle virtù e fatti notabili delle donne si conserva in due manoscritti: Firenze, Biblioteca Medicea Laurenziana, Ashburnham 1535 (con correzioni autografe) e Modena, Biblioteca Estense Universitaria, fondo Campori, 471; il testo del De mulieribus claris utilizzato da Ridolfi per la traduzione è stato riconosciuto nel manoscritto GKS 2092 della Kongelige Bibliotek di Copenaghen. L’esemplare postillato da Ridolfi delle Volgari opere del Petrarca, in Vinegia, per Giovanniantonio et fratelli da Sabbio, 1525 è conservato presso la Biblioteca Ambrosiana di Milano con segnatura S C L X 41; il postillato della Commedia stampata In Vinegia, ad instantia di M. Giovanni Giolitto, per M. Bernardino Stagnino, 1536 è conservato invece presso la Biblioteca Marucelliana di Firenze con segnatura R. e. 8. Le lettere scritte da Lucantonio al fratello Lodovico tra il 1549 e il 1558 sono pubblicate in Lettere di scrittori italiani del secolo XVI, a cura di G. Campori, Bologna 1877 (rist. anast. Bologna 1968), pp. 307-324. Tre lettere inedite a Pietro Vettori (una da Firenze del 23 settembre 1546 e le altre due da Lione tra gennaio e febbraio del 1568) si conservano nel manoscritto Add. Ms. 10271 della British Library di Londra, cc. 99r-102v. La lettera a Bartolomeo Panciatichi si trova presso l’Archivio di Stato di Firenze, Mediceo del Principato, f. 379, c. 320r. Due lettere di Ridolfi in risposta a precedenti di Varchi sono pubblicate in Raccolta di prose fiorentine, tomo quinto, contenente lettere, In Venezia 1735, XXXVII, pp. 91 s. (data corretta 28 luglio 1545) e XXXVIII, pp. 92 s. (12 novembre 1547). Un sonetto di Ridolfi (Parmi, Varchi, ogni dì più di mille anni) e due risposte di Varchi (L’arbor gentil che forte amai molti anni e Nell’altrui dolci rime i tristi affanni) si leggono nei seguenti manoscritti della Biblioteca nazionale centrale di Firenze: II VIII 143, cc. 280-281a; Magliabechiano VII 1073, cc. 296-297a; Filze Rinuccini, Filza 4. ins. 14, c. 165r-166r; filza 7, ins. 53, cc. 284v-285r; filza 7, ins. 54, 364v-365r. Sempre nelle Filze Rinuccini si conservano ancora altri sonetti di Varchi a Ridolfi: Ben fui nato infelice a tragger guai (filza 3, ins. 2, c. 65v e filza 13, ins. 71, 451v); Tempo è, Lucanton mio, ch’al patrio nido (filza 4, ins. 24, c. 593r; filza 6, ins. 46, c. 272r; filza 13, ins. 67, c. 217v); Caro Ridolfi, voi che da vicino (filza 5, ins. 25, c. 18r; filza 5, ins. 25, c. 117v; filza 5, ins. 30, c. 555v; filza 7, ins. 51, c. 209r; filza 14 ins. 74, c. 103r); Felice voi, poi che più tardi un poco (filza 3, ins. 4, c. 273v; filza 3, ins. 5, cc. 318v, 407v, 462v, 517v; filza 14, ins. 75, c. 202r), con la risposta di Ridolfi È però spento in voi quel chiaro foco (filza 3, ins 4, c. 309r, e filza 3, ins. 5, c. 449v). Altre rime di Ridolfi si conservano nei manoscritti 238 della Biblioteca comunale di Todi, e nel Magliabechiano VII 767 della Biblioteca nazionale centrale di Firenze.
Fonti e Bibl.: A.F. Gori - S. Salvini, Giunte alle Istorie del Negri, Biblioteca Marucelliana, A. CLXXXIII, t. 7, c. 109rv; A. Caro, Lettere familiari, a cura di A. Greco, Firenze 1957, I, pp. 22-24 (10 dicembre 1534); N. Martelli, Il primo libro delle lettere, In Fiorenza, a instanza dell’auttore, 1546, c. 24r (15 dicembre 1542), cc. 78v-81r (10 marzo 1545); Martelli ricorda inoltre Ridolfi in una lettera a Luca degli Albizzi del 22 novembre 1543 (ivi, c. 38r) e in numerose lettere raccolte nel secondo libro della silloge, rimasto manoscritto e conservato nella Biblioteca nazionale di Firenze, Magliabechiano VIII 1447 (questo secondo volume delle Lettere è parzialmente edito in N. Martelli, Dal primo e dal secondo libro delle lettere, a cura di C. Marconcini, Lanciano 1916); B. Varchi, De’ sonetti […] parte prima, In Fiorenza, apresso m. Lorenzo Torrentino, 1555, p. 80 (Mentre ch’io piango il buon Bettin, cui morte); Id., Sonetti spirituali, In Fiorenza, nella stamperia de’ Giunti, 1573, p. 52 (Tempo è, Lucanton mio, ch’al patrio nido); Varchi indirizza a Ridolfi una lettera con il testo della sua lezione sul sonetto dellacasiano Della gelosia il 10 ottobre 1541 (la lettera è pubblicata in B. Varchi, Lettere 1535-1565, a cura di V. Bramanti, Firenze 2008, pp. 111 s.), e lo ricorda in una lettera a Francesco Lioni dell’11 novembre 1540 (ibid., p. 95) e in una al vescovo di Fermo Lorenzo Lenzi del 24 febbraio 1561 (pubblicata in Lettere di Luigi Alamanni, Benedetto Varchi, Vincenzio Borghini, Lionardo Salviati e d’altri autori citati dagli Accademici della Crusca, Lucca 1853, pp. 50-52). Il ruolo di Ridolfi come console della nazione fiorentina a Firenze è menzionato in una lettera del 29 gennaio 1550 inviata dal segretario ducale Gustavo Pagni a Bartolomeo Panciatichi e conservata nell’Archivio di Stato di Firenze, Mediceo del principato, f. 192, c. 112v; nello stesso Archivio, Mediceo del principato, f. 408, c. 63rv la lettera del 6 aprile 1552 con la quale lo stesso Panciatichi informa il duca dell’imminente arrivo di Ridolfi (il documento è stato pubblicato da G. Bertoli, Luterani e anabattisti processati a Firenze nel 1552, in Archivio storico italiano, CLIV (1996), pp. 59-122, in partic. pp. 108 s.); la lettera di Eleonora di Toledo si conserva nell’Archivio di Stato di Firenze, Mediceo del Principato, f. 2634, II, cc. 342r-344r, ed è stata riedita in Istruzioni agli ambasciatori e inviati medicei in Spagna e nell’Italia spagnola, 1536-1648, I, 1536-1586, a cura di A. Contini - P. Volpini, Roma 2007, pp. 205-208; la lettera di Giovanni Andrea dell’Anguillara è conservata nel ms. Varchi I/112 della Biblioteca nazionale centrale di Firenze, ed è stata edita in Lettere a Benedetto Varchi, a cura di V. Bramanti, Manziana 2012, p. 378; la lettera di Battista Alamanni è edita in Raccolta di prose fiorentine, parte quarta, volume secondo, In Venezia 1734, pp. 209 s.
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