LUCCA (A. T., 24-25-26 bis)
Città della Toscana, e sino al 1847 capitale di uno stato autonomo, è oggi una delle più importanti della regione, capoluogo di provincia e sede arcivescovile, alla cui dignità fu elevato, nel 1726, il suo antichissimo vescovado.
La città sorge presso la riva sinistra del Serchio, in un ristretto e fertilissimo piano, bene irrigato e abitato da una densa popolazione, che si apre per una larghezza di 708 km., tra il piede delle Pizzorne e la base del M. Pisano. La sua posizione geografica riferita alla Torre delle ore, è di 43° 50′ 34″ lat. N. e 12° 27′ 13″ longitudine E. L'altitudine è di 19 m. s. m. Mite è il clima che, per quanto riguarda la temperatura media e quella estrema, non differisce da quello di Firenze (14°,1 media annua; gennaio 4°,9; luglio 24°,0) ma lo supera invece in piovosità (1420 mm. invece di 863 divisi in 144 giorni piovosi invece che in 120). Racchiusa entro la sua bella e caratteristica cerchia bastionata, eretta tra il 1504 e il 1650, dalla forma presso a poco rettangolare di circa 1700 metri in lunghezza per 1000 m. in larghezza, Lucca occupa un'area fabbricata di circa kmq. 1,50. Ma al crescente suo sviluppo demografico più non bastava l'area della cinta murata, onde fuori di essa, specialmente dalla parte sud, in prossimità della stazione ferroviaria, sono sorti e vanno rapidamente sviluppandosi i nuovi quartieri. La popolazione del comune, che si estende per un'area di kmq. 188,24, annoverava nel 1832 38.581 ab. (di cui 21.829 entro il centro urbano), salita nel 1861 a 65.435 ab. Nei primi decennî dopo l'unificazione essa rimase quasi stazionaria, onde nel 1871 contava 68.204 ab., e 68.033 nel 1881. Al censimento del 1901 era salita a 74.971, a 78.575 nel 1921 e finalmente a 81.807 nel 1931. In circa un secolo la popolazione si è quindi più che raddoppiata, mentre dall'unificazione del regno l'accrescimento è stato del 25%. L'aumento si è verificato quasi solo nella parte esterna alle mura (nel 1921 la popolazione del centro principale era di soli 27.336 ab.). Per circa ⅔ la popolazione del comune di Lucca vive sparsa nelle campagne o aggruppata in villaggi e casali di scarsa importanza, dei quali il più notevole è il cospicuo centro industriale di Ponte a Moriano con circa 1500 ab. sulla sinistra del Serchio, a 9 km. a monte di Lucca.
La città, ben costruita, è intersecata da alcune strade abbastanza ampie e di aspetto moderno, sebbene nel complesso conservi assai bene le caratteristiche antiche. Le servono di ridente passeggio i magnifici bastioni ridotti a giardino, da cui lo sguardo domina i cospicui edifici cittadini, l'ubertosissima campagna e lo sfondo pittoresco delle Alpi Apuane.
Lucca ha una notevole importanza come centro economico agricolo e industriale. Del complesso della popolazione di età superiore ai 10 anni risultò nel 1921 che il 22% era addetto all'agricoltura, il 21% all'industria, il 4,5% al commercio, il 3,2% all'amministrazione pubblica o privata, il 3,1% al culto o all'esercizio di arti o professioni liberali; l'1,8% ai servizî domestici e il 44% (donne per circa ⅔) erano di condizioni non professionali. Le industrie che si praticano nella città di Lucca sono in rapporto principalmente con l'attività agricola del suo contado (pastifici, frantoi da olio, lavorazione del legno in genere, officine meccaniche, ecc.). Notevole sviluppo vi hanno preso anche le industrie manifatturiere di filati cucirini, di tessitura del cotone e della iuta con stabilimenti cospicui all'Acqua Calda, a Ponte a Moriano, al Piaggione. Di grande importanza, e tra le maggiori d'Italia, la Manifattura dei tabacchi.
Monumenti. - Il recinto di mura cinquecentesche, ridotto a ombrosa e amena passeggiata di quattro chilometri, "l'arborato cerchio", separa la città vecchia dalla nuova, che si stende ampia verso la campagna. Dentro le mura, tra vie caratteristiche e piazze silenziose, è facile ritrovare gl'indizî di un recinto di mura più antico con due porte turrite (sec. XIII), e nei sotterranei i resti della cinta quadrata romana che nella chiesetta gotica della Rosa si eleva sopra il suolo. Del periodo romano restano un vasto anfiteatro, ruderi del teatro a S. Agostino, delle Terme nei fondamenti del Battistero.
Durante il periodo longobardo Lucca fu città importante: molte chiese ebbero origine in quel tempo, trasformate poi e abbellite di bianchi marrmi scolpiti, nei secoli XII e XIII. La città, ricca per l'industria dei drappi di seta, ricostruisce allora le sue case di calcare bianco e rossi mattoni, ad archeggiature a pieno centro e acquista quella fisionomia che la distingue, e che il Rinascimento adornò senza nascondere. Fiorì in quel tempo la scuola di scultura lombardo-toscana con Filippo, Roberto, Raito, Biduino, Guidetto, Villano, e dipinsero i Berlinghieri coi loro seguaci.
Il duomo, dedicato a S. Martino, fondato nel sec. VI, rifatto nel 1060, reso più vasto cent'anni dopo, ricostruito (sec. XV) goticamente nell'interno, è arricchito da opere di maestri romanici, di N. Pisano, di I. della Quercia, di M. Civitali - sacello del veneratissimo Volto Santo (v.) ecc. - di D. Ghirlandaio, di fra Bartolomeo, del Tintoretto; dall'Archivio, e dal Tesoro con oreficerie e arredi preziosi. Poco distante si trova la Piazza Napoleone, ingrandita da Elisa Bonaparte, sulla quale prospetta il maestoso Palazzo del governo, già dei Signori, architettato da B. Ammannati nel 1581. La piazza di San Michele dove fu il foro, con la superba basilica romanica e il Palazzo Pretorio (1501), è vicina a Canto d'Arco, quadrivio del cardo col decumano, tra San Giusto e San Cristoforo, belle chiese del sec. XIII. Di lì corre il "Fillungo", pittoresca strada medievale dominata dalla torre delle Ore, prossima a quella sovrastante allo storico palazzo Guinigi, che porta alla sommità un giardinetto pensile.
La via fa capo alla basilica di S. Frediano, venerabile per sacre memorie e copia di monumenti, tra cui la vasca intagliata del Battistero, l'altare figurato di I. della Quercia, l'ancona del Francia e gli affreschi dell'Aspertini. Lungo il percorso già fatto o a breve distanza s'incontrano i palazzi Micheletti, Gigli, Cenami, Bernardini, Guidiccioni (sede del copiosissimo Archivio di stato), e volgendo a sinistra di S. Frediano, i palazzi Controni, con giardino ben conservato, Bernardini, Orsetti, Tucci, Santini (ora sede del comune). Notevole a est, e fuori della seconda cinta di mura, la elegante villa Bonvisi, passata poi ai Bottini, sul tipo della Farnesina, riccamente decorata da Ventura Salimbeni e dalla sua scuola, e la splendida villa, essa pure suburbana, dei Guinigi, ora sede del museo civico. Da un lato della città le chiese di S. Maria Forisportam, S. Pietro Somaldi, S. Simone, S. Andrea e S. Giulia, romaniche; da un altro S. Maria Nera, S. Paolino e S. Romano, ricostruite con più tarda architettura, e la chiesetta del Salvatore, con due pregiati bassorilievi di Biduino.
Nella Pinacoteca primeggiano un Crocifisso del Berlinghieri; l'Eterno con due sante e la Madonna della Misericordia, di fra Bartolomeo; un ritratto del Pontormo; S. Marco che libera uno schiavo e due superbi ritratti, del Tintoretto; vi sono buoni dipinti del Manetti, Paolini, Batoni, ecc. La grande villa guinigiana, il palatium paradisi, saccheggiato e diserto alla caduta del signore, era ridotta allo squallore più obbrobrioso; nel 1924 il comune ne fece la sede di un museo. Vi son conservati i resti archeologici della città, numerose opere dell'arte e dell'artigianato lucchese, pitture, sculture, ferri battuti, mobili, bronzi, intarsî, conî, stoffe, ecc. È importante la raccolta di sculture e frammenti romanici, arricchita da statue di Balduccio, Tino di Camaino, Nino Pisano. Il Rinascimento vi è rappresentato con Arduino degli Abaisi, Cristoforo Canozzi, Matteo e Masseo Civitali, Leonardo Marti e altri. Una sala contiene i modelli originali del moderno scultore lucchese Augusto Passaglia, e un'altra paramenti sacri e antiche stoffe di seta.
Interessanti raccolte d'arte abbelliscono le dimore patrizie, prima e più importante quella dei marchesi Mansi. La biblioteca pubblica possiede codici miniati di gran pregio.
L'arte a Lucca. - Lucca ha nell'ambito dell'arte toscana importanza notevole. Il romanico lucchese crea con quello pisano i precedenti artistici di Nicola. Insieme alle maestranze di Giovanni Pisano, operò nel secolo XIV il lucchese Coluccio di Collo, architetto dell'elegante oratorio di Santa Giulia e di cui dobbiamo pensare più estesa l'attività. La vicinanza delle cave lunensi offerse sempre a Lucca marmi e scultori, i Pardini, i Riccomanni, ispirati a Iacopo della Quercia, e, più tardi, gli Stagi, fino ai Baratta e Lazzoni del sec. XVII.
Nella seconda metà del Quattrocento è famoso Matteo Civitali, capo di una famiglia e di una scuola d'artigiani che diffonde nella regione, nella Garfagnana, a Pisa, in Lunigiana, a Genova, forme umanistiche pure. Per tutto il Rinascimento gli artisti locali gareggiano coi forestieri residenti in gran numero nella florida città, ricordati dai lavori o dalle carte d'archivio. Il Cinquecento, influenzato in Lucca dall'Ammannati, che diede il modello del pubblico Palazzo, ci mostra l'architetto Vincenzo Civitali, autore di sontuosi edifizî, contrastante a buon diritto con gli emuli ingegneri costruttori delle mura. Il tramonto dell'arte barocca è illustrato dai nomi di due altri architetti locali, Francesco Buonamici e Domenico Martinelli, dei quali il primo, portatosi a Malta, diede i disegni per il molo e per varie costruzioni civili; l'altro diffuse nell'impero d'Austria il gusto italiano. È in questo tempo che, sui disegni dei due architetti ricordati e del Juvara, venuto al servizio dei Signori, si trasformano le antiche dimore patrizie della campagna in ville dai cancelli monumentali, dai parchi ombrosi biancheggianti di gradinate, di balaustre, di ninfei, di statue, e dove mille svaghi si offrono agli eleganti proprietarî.
La scultura dal tempo dei Civitali non si riaffermò se non con l'Ottocento con Vincenzo Consani, vigoroso statuario, ed Augusto Passaglia, che ripeté nei marmi e nei bronzi della facciata di S. Maria del Fiore forme dell'età aurea.
Lucca ebbe nel sec. XIII una scuola di pittura originata dalla bizantina. Ne furono principali rappresentanti i Berlinghieri, e Deodato Orlandi. Nei secoli XIV e XV, dipinsero in uno stile prossimo a quello dei senesi, Angelo Puccinelli, Giuliano di Simone e Francesco Anguilla. Durante il Cinque e il Seicento seguirono gli Zacchia, Agostino Marti, Paolo Guidotti, Pietro Paolini, Pietro Testa, Giovanni Coli, Filippo Gherardi, autori di opere pregiate. Nella seconda metà del sec. XVIII Pompeo Batoni divide col Mengs il primato in pittura.
Lucca annoverò in ogni tempo valenti orefici: Paio di Nocco, coi figli, autori della Croce detta de' Pisani, Bartolomeo Stefani, Francesco Marti, Baldassare Morovella, Giovanni Vambrè, Paolino Batoni, Pietro Casali, Nicola Farnesi. Nell'intaglio e nella tarsia si distinsero Leonardo Marti, Iacopo da Villabasilica, Nicolao Pucci, Gasparo Forzani e Silvestro Giannotti che scolpì le statue lignee dei lettori nell'anfiteatro anatomico dell'Archiginnasio di Bologna. Né vanno dimenticati i modesti levalopere, disegnatori di drappi, Francesco Minutoli, Biagio Mei, maestro Onofrio, ideatori dei cartoni per le stoffe d'arte, dei broccati d'oro e d'argento e damaschi, tessuti nella città.
V. tavv. CXLV-CL.
Istituti di cultura. - Già dal secolo VIII esiste memoria in Lucca di scuole ecclesiastiche e laiche, le quali ultime crescono col sec. XII. La prima notizia di scuole pubbliche è del 1334. Autorizzazione a istituire uno studio generale ebbe Lucca da Carlo IV (1369) e da Urbano VI (1388), ma non se ne valse. Così, i Lucchesi frequentarono gli studî di Bologna e Perugia, più che quello di Pisa. Ma col fiorire dell'umanesimo l'insegnamento letterario anche in Lucca assurse a vera altezza, e fra il Quattro e il Cinquecento si hanno maestri insigni (Pietro d'Avenza, Pietro da Noceto, Raffaele Regio, Giovan Battista Pio, Francesco Robortello, Aonio Paleario, ecc.). Lucca considerò sempre l'istruzione quale compito statale, ebbe fino dal 1488 una Magistratura delle scuole e, nel suo rigoroso giurisdizionalismo, non accolse mai ordini e congregazioni religiose addetti all'istruzione.
L'abbandonato proposito di un proprio studio superiore fu ripreso solo sulla fine del '700, quando con i beni della Congregazione lateranense di S. Frediano s'istituì il Pio Istituto o Università di S. Frediano (1788-1802), riformata sotto il governo democratico (1802) e sotto i Baciocchi, singolarmente benemeriti per l'organica riforma dell'istruzione del 25 novembre 1805. Il ducato con la riforma del luglio 1819 cercò di sviluppare maggiormente le scuole superiori, che ebbero il nome di R. Liceo e non mancarono di maestri insigni. Ma l'unione di Lucca alla Toscana (1847) pose termine all'effimero Studio. Oggi Lucca ha un regio liceo classico, un regio istituto magistrale, un istituto d'arte "Augusto Passaglia", un istituto tecnico pareggiato, scuole di avviamento al lavoro, un istituto musicale pareggiato, una scuola media commerciale comunale. Cospicui gli archivî e le biblioteche: l'Archivio di stato, modello di conservazione e di ordinamento, con oltre 20.000 pergamene, l'Archivio arcivescovile, di singolarissima importanza per le carte anteriori al 1000, l'Archivio capitolare, l'Archivio notarile, di cui la parte più antica è passata al R. Archivio di stato. La Biblioteca pubblica, che ha modeste origini conventuali, supera oggi i 420.000 volumi, ha oltre 4000 manoscritti e 800 incunabuli; un piccolo fondo interessante di manoscritti si trova all'arcivescovado. Ricca anche la Biblioteca capitolare, detta Sandeiana dal suo fondatore (1506), il vescovo Felino Sandei, e di cui sempre si desidera un catalogo. Lucca ha inoltre una R. Accademia di scienze, lettere e arti, fondata da G. Lorenzo Malpigli (1584), già "degli oscuri", ma rinnovata, col titolo di Accademia Napoleone, dai Baciocchi (1805). Continua degnamente la pubblicazione delle Memorie e documenti per servire alla storia di Lucca, e di Atti, comprendenti lavori di lettere e di scienze. Dal 1929 si pubblica anche un interessante Bollettino storico lucchese.
Vita musicale. - Lucca coltivò la musica fin da antichissimi tempi. Già dal principio del sec. IX esisteva una vera scuola con maestro Tamperto, e un maestro Gausperto nell'823. Le scuole crebbero nei secoli posteriori; tanto che il comune sentì il bisogno di riordinarle ai primi del sec. XIV, chiamando anche dall'Inghilterra il celebre maestro Octobi. Centri di cultura musicale furono anche i seminarî di S. Martino, di S. Michele e di S. Giovanni: dove insegnarono i maestri A. Canuti, M. Baccelli, D. Vannucci, di cui fu allievo L. Boccherini. Maria Luisa di Borbone diede un impulso notevole all'insegnamento musicale e suo figlio Carlo Lodovico sistemò la scuola con un regolamento del 1842. Dopo l'abdicazione di lui, il granduca Leopoldo concesse un assegno comunale alla scuola e ne allargò l'insegnamento. Fu direttore Giovanni Pacini (v.), il quale vi rimase fino alla sua morte, 1867. In questo stesso anno la scuola assunse il titolo di Istituto Pacini, che tuttora conserva, e poi, nell'anno 1924, fu pareggiata ai Conservatorî regi.
Altro centro di vita musicale in Lucca fu la Cappella della Signoria, istituita fin dal 1373 a base principalmente di strumentisti con incarico di cantori. In processo di tempo essa noverò fra i suoi componenti musicisti di alto valore. Nel 1500 Nicolao, Bartolommeo e Girolamo Dorati, i compositori lucchesi Casentini, Guami Francesco e Giuseppe (altri Guami: Giov. Domenico, Valerio, Pietro e Guglielmo fiorirono in Lucca) nel '600 Alessandro Ghivizzani, Roncaglia, Montuoli, nel 700 il celebre violinista F. Geminiani, il violoncellista Leopoldo Boccherini e il figlio Luigi (dal 1764 al 1779), il violinista Filippo Manfredi (dal 1758 al 1777), Giacomo Puccini e il figlio Antonio, che fu l'ultimo maestro della Cappella Palatina soppressa col decreto del 1805 emanato da Felice Baciocchi. Elisa Baciocchi istituì una Cappella da camera, che durò fino al 1809; dopo la quale fu stabilita una Cappella a carico del comune, sotto la direzione di D. Quilici (1757-1831) e poi di D. Puccini, cappella che durò fino al 1894. La Corte dei Baciocchi teneva concerti serali e N. Paganini, che stette in Lucca dal 1804 al 1814, vi diresse il Matrimonio segreto di D. Cimarosa. Maria Luisa creò nel 1818 una Cappella vocale e strumentale in servizio della corte e della comunità di Lucca e nel 1821 una piccola Cappella. Morta Maria Luisa il figlio Carlo Lodovico soppresse le due Cappelle e istituì una nuova Cappella.
La cattedrale di S. Martino ebbe a organisti molti musicisti e compositori di grande valore, fin da Matteo di Martino da Siena nel 1372, la maggior parte dei quali nativi di Lucca, come Nicolao Malvezzi padre di quel Cristoforo Malvezzi che fu alla corte dei Medici, il già menzionato G. Guami, e i figli Domenico, Valerio e Vincenzo, Domenico Stiava (1630-1708), suo figlio Fr. Maria, G. Montuoli, Giacomo, Antonio, Domenico, Michele Puccini, Marco Santucci (1762-1843), Giuseppe Rustici, ecc.
Molti di questi compositori figurano altresì nelle esecuzioni che la Confraternita di S. Cecilia, nata nel 1683, allestiva con grande solennità il giorno dedicato alla Santa, nelle esecuzioni per i festeggiamenti della Santa Croce fino dal '500 e in quelle rappresentazioni drammatiche che avevano luogo fin da tempi antichissimi, in occasione dei comizî nei quali si eleggevano i reggitori del governo e che erano chiamati Tasche. Aggiungiamo, per queste, alcuni musicisti lucchesi notevoli come M. Bigongiari (morto nel 1680), A. Canuti (1677-1739), lo stesso L. Boccherini (1743-1805), B. A. Coletetti (1050-1700), P. V. Chiocchetti (1681-1753), M. Lucchesi (1710-1779), Ab. Pasquale Soffi (1732-1810), Lelio Ignazio Di Poggio (1735-1787).
L'ultima festa dei comizî ebbe luogo nel 1799. La musica in stile rappresentativo ebbe il suo svolgimento prima nelle cosiddette veglie, che si tenevano fin dal 1627 nella chiesa di S. Simo, dove si ebbero esecuzioni di oratorî dei maestri lucchesi già ricordati, a cui si aggiungono G. F. Gambogi (1713-1781) e G. B. Moscheni (1674-1757). Per il teatro si sa che Laura Guidiccioni nei Lucchesini scrisse le parole del Satiro e la Disperazione di Fileno per la musica di E. Del Cavaliere (1590). Il Teatro dei Borghi fu inaugurato nel 1653 con musica di F. Sbarra. Nel 1672 fu fabbricato un teatro presso S. Girolamo; incendiato nel 1688, fu restaurato nel 1692 e, ricostruito dai Borboni, prese il nome di Teatro del giglio, tuttora esistente. L'Accademia degli Oscuri ebbe un suo teatro fin dal 1584, l'Accademia dei Collegiati un altro in via della Pantera nel 1740, e una terza accademia nel 1772 fece edificare nella via del Moro un teatro più piccolo, chiamato poi Teatro Goldoni. C. Valentini (1790-1853), Marianna Bottini (1802-1858), M. Rustici, M. Puccini (1813-1864), A. Di Giulio (1809-1838), D. Fanucchi (1795-1862) furono compositori di musica teatrale.
Restano a ricordare i musicisti più importanti nativi di Lucca, che vissero fuori della loro città; tra questi, oltre ad alcuni già mentovati, sono notevoli M. Cosentini, M. F. Gasparini, allievo di A. Corelli e B. Pasquini, V. Chiocchetti, P. Giannotti (allievo di Rameau), Pellegrini e F. Tomeoni, P. Gherardi, A. e E. Bonfigli, C. Marsili. E lucchesi furono altresì A. Catalani (1854-1893) e G. Puccini (1858-1924).
Storia. - Sorta in un'isola fluviale del Serchio, Lucca (radice celto-ligure luk, luogo paludoso?), fu stazione dei Liguri che si spingevano alla riva destra dell'Arno, confine con gli Etruschi. Ma, data l'origine, l'agro lucchese ha un sottosuolo archeologicamente povero. Nella Versilia e in Valdinievole si hanno, in trovamenti casuali, elementi liguri, mentre nell'area del lago di Bientina è apparso materiale etrusco, che permette di concludere che nel secolo V gli Etruschi avevano passato l'Arno. È probabile che Lucca, terra di confine, abbia subito occupazioni etrusche e ritorni liguri. Altro non si può dire: gli stessi avanzi della prima cinta di mura più probabilmente sono da ritenere romani. La più antica menzione di Lucca è in Livio (XXI, 59), e a torto si è corretto Lucam in Lunam: dopo la Trebbia, Annibale si volse verso i Liguri, Sempronio si ritrasse a Lucca, probabilmente attraverso la Garfagnana. La costituzione di Lucca in colonia latina (180) coincide con la vittoria sugli Apuani: fondazione certo accetta a Pisa, che aveva sostenuto da sola il peso della grave guerra. Le due città sono unite nella guerra sociale, e quando si provvede al nuovo ordinamento dell'Italia, divengono ambedue municipia: nel corso del sec. II e I a. C., la sistemazione stradale della regione, sulla traccia, per lo più, di antiche vie e sentieri, e con opportuni raccordi, accresce l'importanza di Lucca: l'evento famoso della sua vita è il convegno dei triumviri del 56. I rapporti con Pisa sono confermati dall'esistenza di magistrati con giurisdizione sui due municipî (Corp. Inscr. Lat., VI, 1528): con Pisa, Lucca aveva fatto parte della Liguria con la tribù Galeria, ma con l'81 a. C. si estende la circoscrizione etrusca dalla Fine a Pisa, e Lucca è la prima città della Liguria, finché con Augusto non fa parte essa pure dell'Etruria. Lucca imperiale non ampliò la cerchia delle mura, dal tracciato ancora esattamente determinabile, ma costruì, nel sec. II, l'anfiteatro, del quale si hanno avanzi cospicui, e un teatro. Ma durante l'impero Lucca non compete né con Luni né con Pisa, scali marittimi, né con Firenze, in possesso di una via fluviale, sede di uno dei correctores Italiae, capitale della Tuscia e dell'Umbria, che nel secolo IV formeranno una sola giurisdizione (Tuscia) divisa in annonaria, a cui appartengono Lucca e Firenze, e suburbicaria. Che il municipio di Lucca si estendesse fino alla provincia di Reggio è documento la tavola Velleiate (Corp. Inscr. Lat., VI, 1147). Quanto alla vita economica di Lucca, sappiamo, dalla Notitia dignitatum, che nel sec. IV esistevano notevoli fabbriche d'armi.
Dalle invasioni barbariche al comune. - Nulla di preciso sull'introduzione del cristianesimo in Lucca. Nel concilio di Sardica (343-44) compare un Maximus a Tuscia de Luca. È senza certo fondamento la leggenda, elaborata al pari di altre nel sec. XIII, che fa di un Paolino vescovo martire, il primo vescovo di Lucca.
Prima della caduta dell'impero Lucca non aveva sofferto, come Firenze, invasioni barbariche, e il dominio gotico, durante il quale forse si costituì la zecca lucchese, sembra segnare per Lucca un periodo di prosperità. Memorabile l'assedio che Lucca sostenne per ben tre mesi contro Narsete (552). Con lo stabilirsi del dominio longobardo intorno al 570, Lucca fu la sede abituale del re e capitale della regione. Regge la città il duca, come dux e iudex; nella campagna si stabilisce la grande proprietà. Con la conversione dei Longobardi si forma rapidamente il patrimonio ecclesiastico e la serie dei vescovi della diocesi accoglie frequenti nomi longobardi. Riferiscono alcuni a questo periodo il vescovato di S. Frediano, ma sembra lo si possa riportare al periodo gotico: a lui si deve l'alveamento delle acque del Serchio, la correzione del corso e la deviazione della foce del fiume, non più da allora confluente dell'Arno. L'elemento longobardo continua a prevalere nella vita lucchese nonostante il costituirsi del dominio franco. Nella crisi travolgente dei secoli IX-X, da cui appena si salva la vita cittadina, anche Lucca è colpita, ma di particolare poco o nulla sappiamo. Con Adalberto I quattromila Lucchesi partecipano alla spedizione (878) contro Giovanni VIII; ai Pisani e Lucchesi aveva fatto ricorso Ludovico II (866) contro i Saraceni, e forse Lucca dovrà alle sue mura di esser salva dagli Ungari, giuntine (940) quasi alle porte.
Il periodo degli Ottoni e il marchesato di Ugo segnano la rapida ascesa di Firenze; ciò che può spiegare perché Lucca parteggiasse, contro Firenze e Pisa, per Arduino di Ivrea. È di questo tempo (1004) la prima aperta guerra fra Pisani e Lucchesi, e a metà del secolo Lucca morde il freno di Bonifazio di Canossa, che pur sembra fosse di nascita lucchese. Data l'avversione verso i Canossa, Lucca accoglie lietamente la discesa in Italia di Enrico III e l'abolizione (1055) del vessatorio marchesato di Toscana, restituito per altro appena morto Enrico, e con capitale Firenze. Caratteristica la posizione assunta da Lucca nel conflitto fra Chiesa e Impero, che, iniziato con Niccolò II, si acuisce con Alessandro II, già vescovo di Lucca. Il partito imperiale, rappresentato dal Capitolo, oppose ad Alessandro II, a Gregorio VII e al vescovo Anselmo la più tenace resistenza, mirando nettamente a rendere indipendente la città dal marchesato. Lucca era allora, non meno di Pisa, una città fedele all'Impero, anche dopo Canossa (1077), e ne ottenne (1081) cospicui benefici. Solo più tardi sembra tornata nel grembo apostolico, e Urbano II di ritorno dal concilio di Clairmont vi sosta a benedire i guerrieri crociati (1096).
Certo il conflitto fra Enrico IV e il figlio determina netto l'indirizzo della politica di Lucca, che resta fedele al padre e si stringe così al partito di Matilde, fieramente avversata da Enrico V, il quale, morta Matilde (1115), dà il marchesato a feudatarî tedeschi.
L'inimicizia di Pisa per Genova determina una stabile alleanza con Genova (1126), mentre Pisa trova aiuto in Firenze contrastante a Lucca il possesso della Valdinievole. I marchesi di Toscana sono impotenti a far cessare i conflitti: solo Lotario di Suplimburgo poté compiere un'efficace opera di pacificazione (1133).
Anche il Barbarossa (schiere lucchesi combatterono contro la libertà di Milano) fu benigno a Lucca. Essa aveva acquistato per denaro dal marchese Guelfo (1160) i diritti che egli aveva sulla città; la sanzione imperiale fu data nella dieta di S. Genesio (luglio 1162). Lucca superava del resto il lealismo di Pisa, aderendo decisamente agli antipapi imperiali. Nuova guerra fu tra Pisa e Lucca per il possesso, fallito, della marina: vi pose fine la nuova discesa del Barbarossa (1175), ma una stabile pace Lucca ebbe solo nel 1181.
La fine del sec. XII segna l'ascensione di Lucca. Molti nobili s'inurbano o giurano fedeltà e si concludono accordi fra comune e comune, con Pisa (1181), con Modena (1182), con Firenze (1184). L'ultima discesa del Barbarossa (1185) rialza le speranze dei cattani senza impedirne il graduale assorbimento nel comune, e se Enrico VI riconosce i diritti di Lucca (30 aprile 1186), nei limiti delle "sei miglia", e con qualche eccezione, alla liberazione del contado dai vincoli feudali che inceppano il comune, Lucca aderisce alla prima lega guelfa toscana (11 novembre 1197). Contrasti fra nobili e mercanti si riflettono negl'inizî del regime podestarile sorto contro il govermo consolare (di cui la più antica memoria è del 1118) delle grandi famiglie. Il podestà compare col 1187. Segno della tenacia nello scalzare o assorbire i cattani e primo documento della sua costante politica ecclesiastica è il conflitto con la Chiesa per la giurisdizione della Garfagnana, offertasi a Gregorio IX, paciere nella guerra fra Pisa e Lucca. L'opposizione di Lucca, che da non pochi cattani aveva giuramento di fedeltà, portò all'interdetto che infirmando tutta la vita del comune, sopprimendo la diocesi, accordando contro Lucca isolata Pisa e Firenze, portò alla resa a discrezione dei Lucchesi (26 luglio 1234).
La pace di S. Reparata (1256) segna il termine della nuova lotta vittoriosa contro Pisa in Valdarno e in Versilia, ma la giornata di Montaperti (4 settembre 1260) sottomette Lucca al vicario di Manfredi, sinché con Benevento (28 febbraio 1266) risorgono le fortune dei guelfi: dal '66 al '72 Lucca accoglie a podestà lo stesso Carlo d'Angiò. Dodici anni dopo Pisa, fiaccata alla Meloria, si vide coalizzate contro Genova, Firenze e Lucca, ma solo col 1293 si fece pace a Fucecchio: Lucca mantenne gli acquisti territoriali. Più tardi che in altre città si delineavano in Lucca le fazioni dei Bianchi e dei Neri, capi dell'una gli Antelminelli, dell'altra gli Obizzi. Dal 1300 Lucca è dei Neri e fornisce aiuti a Firenze contro i Bianchi, e insieme ad essa occupa Pistoia (11 aprile 1306).
Lo statuto del 1308. - Inaspriti i dissidî di classi e di parte, si venne al netto trionfo degli elementi popolari, di cui è documento lo statuto del comune del 1308, il più antico che si conservi, avendosi solo frammenti di quelli del comune e del popolo, del 1261, e di più antichi, che non vanno oltre la fine del sec. XII, poco più che memoria.
Lo statuto del 1308 è altresì nuova prova dello spirito giurisdizionalista del comune. Nel suo sforzo di assorbimento dei feudatarî, Lucca non poteva trascurare i feudi ecclesiastici, né mantenere, anche per ragioni economiche, le immunità ecclesiastiche. Ma Clemente V mandò un suo legato, che cassò dagli statuti quanto vi era d'importuno per la Chiesa, notificò la sentenza e Lucca dovette prenderne atto. Militarmente Lucca era, dopo Firenze, la città più forte della lega. La floridezza economica poggiava principalmente sull'arte della seta. Anche per la lana Lucca precede le altre città toscane, ma l'arte rimase senza sviluppo. I prodotti dell'arte serica di Lucca dominavano nell'Europa occidentale. Anche i Lucchesi esercitarono, già nel '200, l'industria del cambio. Compaiono in Inghilterra come prestatori, anche della corte, e come esattori delle decime e rendite ecclesiastiche. Attività lucrative ma non senza pericoli: la crisi bancaria fiorentina dei Bardi e Peruzzi è preceduta sulla fine del '200 dal fallimento dei Ricciardi lucchesi travolti a lor volta dalla caduta della Magna tabula dei Bonsignori senesi. Alla fine del '200 Lucca ha notevole importanza anche nelle lettere e nelle arti. Come la sua moneta precede il fiorino di Firenze, così è della sua produzione letteraria e artistica. Infine Lucca gareggia con le altre città toscane nell'accogliere i nuovi ordini religiosi fioriti col sec. XIII.
Disceso Arrigo VII in Italia, Lucca non poteva allontanarsi dalla lega guelfa; ma nemmeno avrebbe potuto tenere a lungo la posizione antiimperiale che mantenne Firenze. Morto Arrigo, ebbe con Firenze, Prato e Pistoia il governo di Roberto di Napoli, mentre la resistenza di Pisa durava tenace e temibile. Pisa aveva trovato in Uguccione della Faggiuola, signore di Pisa il 24 marzo 1314, l'audace restauratore delle sue fortune militari. È del 14 giugno la presa e il sacco di Lucca; e l'unione di Pisa e di Lucca in una sola signoria ghibellina, padrona del mare e dei valichi appenninici, era per Firenze gravissimo colpo. A Montecatini, castello guelfo della Valdinievole, il 29 agosto 1315 Uguccione ebbe ragione di Firenze. Vittoria senza risultati: ché, mentre Firenze ricostituiva rapidamente la lega, la signoria di Uguccione finiva per opera di un fuoruscito lucchese, Castruccio di Gerio degli Antelminelli. Uguccione riparava presso gli Scaligeri.
La signoria di Castruccio. - Respinto un attacco fiorentino, represso il vento di ribellione in Lunigiana, Castruccio stabilì anzitutto il proprio potere: cumulate in sé le attribuzioni di primo capitano generale e difensore della città e territorio, di podestà (eccetto le funzioni giudiziarie) e di capitano del popolo, poté dirsi signore di Lucca; autorità che ebbe prima pro tempore, poi (1320) a vita. Roberto d'Angiò, Matteo Visconti, il pontefice e lo stesso imperatore, di cui Castruccio era vicario in Lunigiana, propugnavano una politica di pace, di cui si ebbe un segno negli accordi di Napoli (12 maggio 1317). Ma la pace era per i più respiro a più ampia azione politica: così per gli Angioini come per i Visconti, e per Castruccio che, se non trascurava la guerra tradizionale di confine, puntava direttamente a Pisa, a Pistoia, a Genova, a Firenze. Col Bavaro Castruccio aveva esteso il vicariato a Lucca e in Valdinievole fino a Pistoia. Rispetto alla Chiesa non esitava nella politica imperiale, sicché la scomunica lo colpì prima come fautore del Bavaro, poi direttamente: ché, morto il vescovo ortodosso Enrico II, Castruccio provvide alla successione con pseudo-vescovi, facendoli consacrare dall'antipapa. Col 1324, che segna il deciso inizio della sua azione, si ha la pacifica occupazione di Pistoia, ma i successi dei Fiorentini in Valdarno costringono Castruccio a uscirne in attesa degli aiuti dei Visconti e dei Bonacolsi. La vittoria di Castruccio ad Altopascio (23 settembre 1325) portò all'occupazione del Valdarno, ma gli aiuti sollecitati da Arezzo mancarono e Firenze fu salva, anzi la resistenza guelfa costrinse Castruccio a una linea di difesa. Ma nel maggio del 1327 il Bavaro scendeva in Italia e Castruccio era nominato (17 novembre) duca di Lucca, Pistoia, Luni, Volterra (che per altro rimase sempre libera), con successione ereditaria. Il 7 gennaio 1328 Ludovico era in Roma e con lui Castruccio, conte del Sacro Palazzo lateranense e senatore romano con residenza in Campidoglio. Richiamato in Toscana dalla fortunata azione dei Fiorentini su Pistoia (3 agosto 1328), e investito dall'imperatore del vicariato di Pisa, assicuratosi l'aiuto dei Visconti, Castruccio riconquista Pistoia (3 agosto 1328); e già stava per puntare su Firenze, quando il 3 settembre 1328 moriva per un attacco di malaria e con lui crollava tutta la sua opera. L'imperatore negò al figlio di Castruccio, Arrigo, il diritto ereditario su Lucca che era ormai priva di ogni forza politica, e già del resto esaurita (l'azione di Castruccio è tutta personale) con lo sforzo del sec. XIII.
Dopo Castruccio. - Nel marzo del 1321 il Bavaro, che aveva lasciato Lucca ai suoi vicarî, la vendeva a Francesco Castracani: e occupata di lì a poco dalle masnade teutoniche, la città, attraverso tristi vicende, finiva per essere rivenduta a Gherardo Spinola; passò poi a Giovanni di Boemia, poi ai Rossi di Parma e da questi agli Scaligeri che la vendevano a Firenze, che (1342) la cedeva a Pisa; la quale, fingendo di garantirne l'autonomia, l'asservì al suo dominio. Non restava ai Lucchesi che secondare l'audace azione degli Antelminelli, intesa a restaurare la perduta signoria, o assicurarsi la grazia di Carlo IV, figlio di Giovanni di Boemia, perché restituisse la libertà lucchese. L'imperatore con diploma del 7 aprile 1369 si decideva a togliere ai Pisani ogni e qualsiasi diritto su Lucca, e con atto del giorno successivo dichiarava Lucca definitivamente libera. Libertà singolare, perché su L. peserà sempre il fatto che la sua indipendenza poggiasse solo su concessione imperiale e per di più mercanteggiata.
Nella nuova costituzione (1370-72) L. ebbe un consiglio generale di 180 membri, 60 per ciascuno dei terzieri in cui si divise la città, da rinnovarsi ogni anno dal consiglio stesso con divieto di conferma degli uscenti; un collegio di nove anziani, che l'imperatore riconobbe suoi vicarî in perpetuo, tre per terziere, e tratti a sorte, con a capo un gonfaloniere o vessillifero di giustizia: durata dell'ufficio un bimestre, divieto di riconferma due anni. Un consiglio minore per l'elezione degli ufficiali minori. Nulla di mutato per il podestà. Ma nuovi conflitti sorsero fra ottimati e popolani, e preoccupazioni per le insidie degli Antelminelli. Lo statuto della Corte dei mercanti (1371) dimostra il felice sforzo di ristorare le sorti dell'arte della seta, che è ancora la fonte principale della ricchezza cittadina. All'esterno, Lucca, stanca ed esausta, inizia quella politica di conciliazione e di ondeggiamenti che non abbandonerà più per sfuggire agli appetiti degli stati maggiori, specialmente Firenze, cui spetta ormai l'iniziativa politica.
Il governo dei Guinigi. - Estinti gli Antelminelli, si contendono il primato le consorterie dei Forteguerra e dei Guinigi, finché questi, con Lazzaro, prevalgono stabilmente (12 maggio 1392). I Guinigi mantengono il potere anche ucciso Lazzaro (15 febbraio 1400); e aggiungendosi la preoccupazione di un colpo di mano dei fuorusciti con l'aiuto di Firenze, si viene alla nomina di Paolo Guinigi, prima capitano e difensore del popolo, poi (21 novembre 1400) signore di Lucca, che, abolito lo statuto del '72, governò personalmente con l'assistenza di un consiglio di 9 membri da lui rinnovati ogni tre mesi. La politica di adattamento imposta dalla necessità trovava consenso nella sua indole. Legato ai Visconti, con la morte improvvisa di Gian Galeazzo, che per la fortuna di Firenze ricorda la fine di Castruccio, il Guinigi si trovò in grave distretta, resa maggiore per la caduta di Pisa (1406), e dovette ricorrere a Ladislao di Napoli che mirava a estendersi nell'Italia centrale e contro cui Firenze aveva invocato l'aiuto di Luigi d'Angiò. Ma fino al 1418, anno dell'invasione delle terre lucchesi per parte di Braccio da Montone, istigato dai Fiorentini, il Guinigi, che era riconosciuto anche vicario imperiale (1413), seppe destreggiarsi; più grave fu la sua condizione maturandosi il conflitto fra i Visconti, che con Filippo Maria riprendevano la politica espansionista e che il G. non poteva abbandonare, e Venezia, stretta a Lucca da secolari rapporti d'interessi e sede di una fiorente colonia lucchese. Spiacente agli uni e agli altri, il Guinigi subisce una serie di umiliazioni che culminano con la pace di Ferrara (18 aprile 1428) fra la lega e i Visconti. Prima Niccolò Fortebraccio, strumento dei Fiorentini, poi Firenze stessa, strinsero Lucca d'assedio. L'aiuto di Francesco Sforza parve liberare Lucca, ma lo Sforza stesso, mandato dal Visconti più per aiutare Lucca che per favorire il Guinigi, si accordava coi nobili avversi a Paolo (14 agosto 1430) e occupava la città. Il Guinigi finirà i suoi giorni nella fortezza di Pavia (1432).
Un secolo di repubblica democratica. - Aiutata da Genova, Lucca continuò la guerra con Firenze e dovette a Niccolò Piccinino la sua liberazione dall'assedio (3 dicembre 1430), ma richiamato costui dal Visconti, Lucca avrebbe dovuto soggiacere a Firenze, se, intervenuto l'imperatore Sigismondo, non si fosse conclusa pace a Ferrara (26 aprile 1433). Nuova guerra e nuovi pericoli gravarono su Lucca fino alla tregua triennale che, conclusa in Pisa il 28 aprile del 1438, fu poi convertita in una lega per cinquant'anni (27 marzo 1441), in seguito alla quale i Lucchesi riebbero gran parte del territorio tenuto sotto i Guinigi. La politica lucchese si orienta così per qualche tempo verso i Fiorentini, mentre contro Lucca cresce l'avida ostilità dei Malaspina che occupano di sorpresa Carrara (1445) e degli Estensi che ottengono il riconoscimento di quasi tutta la Garfagnana (1452). Ottenuta da Firenze la restituzione di Pietrasanta, per oltre mezzo secolo Lucca è in pace e intende alla complessa opera del suo rinnovamento economico e della pacificazione interna. Documenti importanti ne sono i due statuti, generale e de regimine, con cui si ritorna sostanzialmente allo statuto del 1372. Per la discesa di Carlo VIII e l'insurrezione di Pisa contro Firenze s'interruppe la pacifica opera, e la simpatia che aveva in Lucca la causa della libertà pisana, turbò i buoni rapporti coi Fiorentini, le cui pronte rappresaglie fecero che Lucca cessasse da ogni aiuto a Pisa, che cadde il 7 giugno 1509.
Nuovi pericoli e difficoltà nei primi decennî del sec. XVI: gli Estensi in guerra con Giulio II avrebbero restituito a Lucca la Garfagnana per 12 mila ducati, ma il pontefice temette da ciò la continuazione della guerra; donde il risorgere delle rivendicazioni papali sulla Garfagnana e l'interdetto lanciato contro la repubblica. La questione fu troncata dalla morte del Della Rovere, ma non meno avverso a Lucca fu Leone X, che favorì in tutto Firenze e distaccò anche dalla diocesi di Lucca il piviere di Pescia. Salda era invece la situazione economica di Lucca, che esportava annualmente non meno di 360.000 libbre di seta lavorata, ma questa sua floridezza la faceva soggiacere a prepotenti imposizioni. Nessuna importanza militare avrebbe avuto Lucca in guerre di grande stile e con grandi masse, ma grande valore avevano le sue casse ben fornite, a cui Spagnoli e Francesi alternamente attinsero. Essa doveva fedeltà all'imperatore che le aveva confermato e accresciuto gli antichi privilegi, ma non poteva dimenticare che gran parte della sua prosperità economica derivava dai rapporti con la Francia dove fiorivano importanti colonie di suoi mercanti.
Lucca e la Riforma. - Il Cinquecento è anche per Lucca il secolo delle congiure. D'importanza affatto locale quelle dei Poggi (1522) e di Pietro Fatinelli (1542). Ma ben altro valore ha la congiura di Francesco Burlamacchi (1546; v.), che sta in relazione col movimento spirituale suscitato, o rinnovato, in Italia dalla Riforma. Non congiura, ma movimento di popolo deve dirsi invece la sollevazione degli Straccioni che, sorta da un conflitto economico fra mercanti e tessitori (che subivano le conseguenze della grave crisi in cui si dibatteva l'industria della seta), si trasformò in contrasto schiettamente politico e degenerò in fine in turbolenze tumultuarie. Cessato il primo smarrimento, i nobili, valendosi di gente di campagna, ebbero facile ragione dei ribelli e delle loro improvvisate milizie (9-10 aprile 1532). La reazione fu grave, molti di parte popolare furono condannati a morte e non pochi giustiziati.
Lucca è fra le città italiane che più largamente accolsero, tollerarono e secondarono elementi riformatori. Già nel 1525 erano diffusi in Lucca i libri luterani e il consiglio dovette occuparsene. Ma l'eresia aveva ormai preso piede in città, presso gli agostiniani di S. Frediano e di Fregionaia e in case di notabili mercanti. E fino al 1542 si diffuse indisturbata se non favorita, propagata da predicatori di grido. Ma il governo della repubblica già accoglieva nel suo seno elementi favorevoli alle nuove idee. Nonostante le opposizioni ecclesiastiche Lucca assumeva quale maestro di umanità Aonio Paleario e, anziché colpirle, favoriva l'esodo delle persone più in vista o denunziate. Le maggiori famiglie accoglievano ormai nel loro seno cattolici e novatori: alla repubblica non piaceva che la minorata unità religiosa turbasse la concordia politica e la prosperità dei traffici. E se col 12 maggio 1545 si ebbero gravi provvedimenti di repressione, la cosa sta in rapporto con la minaccia di Paolo III d'istituire a Lucca l'inquisizione, ciò che i Lucchesi giurisdizionalisti non tollerarono mai. Ma convenne istituire allora uno speciale "officio che d'intesa col vescovo inquisisse e denunciasse al podestà i sospetti di eresia, e riformarlo di lì a poco (24 settembre 1549) accrescendone l'efficienza. Sennonché sotto il vescovato del secondo Guidiccioni (1549-1600) il conflitto divenne asprissimo e Lucca dovette provvedere effettivamente alla repressione dell'eresia, per evitare pericoli alla sua indipendenza, minacciata sotto il pretesto religioso da Cosimo dei Medici. Col 1555 era cominciato da Lucca l'esodo delle famiglie riformate, numerose e cospicue, con grave danno economico alla repubblica. La fine del secolo ci dimostra una Lucca perfettamente cattolica. Ma, ancora tenacemente laica, essa si oppone sempre ad accogliere l'inquisizione, e non ammetterà mai la Compagnia di Gesù.
La repubblica aristocratica. - Con la riforma martiniana, così detta dal suo autore Martino Bernardini, la repubblica si trasforma in un'oligarchia (1556), che terrà saggiamente il governo per due secoli e mezzo assicurando in tutto lo stato l'ordine, la pace, la prosperità economica, mantenendo integro il prestigio dello stato di contro agli abusi ecclesiastici, conciliandosi il favore e l'affetto delle classi escluse dal potere. La politica di Lucca è di fatto politica di conservazione, sotto la protezione dell'Impero e della Spagna. La repubblica non corre più rischio, quantunque non siano mai buoni i rapporti con i Medici e con gli Estensi. Con i Medici non si venne mai a guerra, ma, oltre le piccole contese di confine, sono da ricordare i provvedimenti vessatorî di Firenze a danno della nascente Viareggio, sbocco marittimo di Lucca, il distacco, ottenuto dai Medici, dalla diocesi di Lucca delle terre del Valdarno, costituite in diocesi di S. Miniato (1622), le vertenze continue per la sistemazione del palude di Sesto. Con Modena è aperta guerra sui primi del '600 per il possesso di Castiglione, Gallicano, Corfigliano, Minucciano, isole lucchesi in territorio estense, che restano alla repubblica, ma la grossa questione del resto della Garfagnana fu definita dall'imperatore confermando la sentenza del senato milanese, non potersi riaprire una vertenza colpita da prescrizione legittimamente eccepita dagli Estensi (1618). Altre guerre in seguito non si ebbero, e la cinta di mura, che anche oggi si ammira, e che, deliberata nel 1504 fu finita nel 1650, non conobbe offesa nemica.
Ma i confini della repubblica si erano venuti via via restringendo, corrispondendo sostanzialmente, tolta la Garfagnana, a quelli dell'odierna provincia di Lucca, con in più Montignoso.
Singolare l'accentuarsi della politica ghibellina nei confronti della Chiesa: respinte le proposte di estendere su Lucca la giurisdizione dell'inquisitore di Pisa, respinti di nuovo i gesuiti, tenace l'esercizio dell'exequatur su ogni atto della S. Sede, e la vigilanza politica del clero: da ricordare l'aperto conflitto con il vescovo Alessandro II Guidiccioni e quello col suo successore Franciotti, inaspritosi a segno di vietare l'accesso al messo pontificio (1639), onde Lucca fu colpita da interdetto (1640); col vescovo Genesio Calchi (1714-20), a cui si vietò la celebrazione del sinodo. Lucca volle anche essere ecclesiasticamente indipendente: procurò perciò l'elevazione del vescovato ad arcivescovato (1726) e il diritto riconosciuto che l'arcivescovo fosse scelto entro una terna proposta dalla repubblica (1754). Col 1764 si destinavano i proventi delle manimorte all'assistenza sanitaria e alla riforma dell'istruzione. Un'oculata politica finanziaria custodiva il bilancio dello stato. L'economia privata subiva intanto una completa trasformazione. A partire dal sec. XVI lo sviluppo industriale degli stati europei e le guerre di religione colpiscono duramente il traffico della seta e i ricchi mercanti si trasformano in proprietarî agricoli. Lucca tornerà ad essere terra di mercanti e di esportatori solo col sec. XIX.
Si può dire che Lucca nella sua storia caratteristica finisca con la repubblica aristocratica. Invano gli oligarchi sperano dalla Francia rispetto ai loro ordinamenti: gravava su Lucca la concessione feudale e la costante fedeltà all'impero, i tributi dati a Francesco II per la guerra contro la Francia, e non bastarono ambascerie, atti di ossequio, prestiti senza speranza di restituzione. Il 4 febbraio 1799 il Sérurier, convocato il senato, gli dava onorevole commiato. Si succedono così a Lucca a seconda delle vicende generali d'Italia: un primo governo democratico (4 febbraio-17 luglio 1799), ancora profondamente lucchese e non senza spirito di tolleranza; una reggenza provvisoria istituita dal generale austriaco Klenau (fino all'8 luglio 1800); un governo democratico provvisorio (8 luglio-13 settembre 1800), una reggenza Sommariva (15 settembre-9 ottobre 1800); un governo provvisorio francese (9 ottobre 1800-27 dicembre 1801), che prepara il costituirsi della repubblica lucchese (27 dicembre 1801), che iniziò una vasta opera di riforme condotta con temperanza e misura segnando un periodo di tranquillità e di prosperità.
Il principato. - Il 24 giugno 1805 Napoleone sanzionava la nuova costituzione di Lucca assegnandola come principato, di cui estese notevolmente i confini, a Felice Baciocchi, principe di Lueca e Piombino, e in sua premorienza, a Elisa, sorella del Bonaparte. Il govermo dei Baciocchi, esteso col 3 marzo 1806 a tutta la Toscana, importò e applicò in quanto possibile la legislazione francese, ma in sostanza fu governo benefico. Gravi furono le irregolarità finanziarie e grave, politicamente, il difetto di misura, onde restò sempre estraneo alla vita e al sentimento lucchese, eccessiva e senza riguardi la politica ecclesiastica in quanto colpiva non tanto il clero e i suoi beni, ma tradizioni secolari vive e tenaci nell'anima del popolo. Ma con i Baciocchi si ebbe una legislazione e un'amministrazione organica di contro a quella frammentaria e anacronistica della vecchia repubblica, un'opera di larga comprensione per la valorizzazione economica con opere pubbliche di grande utilità, con l'abolizione dei monopolî, con lo sviluppo dell'agricoltura, delle arti, delle esportazioni e una benefica organizzazione degl'istituti di assistenza e istruzione.
Questo spiega perché i Baciocchi, sopportati dai nobili e mal visti dal popolo, avessero largo favore nella borghesia colta e dedita alle libere professioni.
Il 10 dicembre del 1813 lord Bentinck occupava Lucca. Elisa dovette lasciare Lucca affidandola al consiglio del principato (14-17 marzo). Si succedono da allora in Lucca i seguenti governi: governo provvisorio in nome di Gioacchino Murat (17 marzo-6 aprile); commissione provvisoria dello stato di Lucca (7 aprile-11 maggio); reggenza del generale Antonio Stahrenberg "in nome dell'impero d'Austria e delle potenze alleate", governo militare (11 maggio-1° marzo 1815): reggenza del colonnello Werklein, che governò al servizio dell'Austria, e in tempi tristissimi per carestie e contagi, situazione che spinse i Lucchesi a riprendere il movimento migratorio interrotto da secoli (1° marzo-22 novembre 1817).
Il ducato. - Il Congresso di Vienna per l'accorta azione dei deputati lucchesi, aveva stabilito che il nuovo ducato, quantunque en toute souveraineté di Maria Luisa di Borbone, già regina di Etruria e suoi discendenti, avesse sostanzialmente la costituzione del principato. Ma la Spagna non ammise l'esclusione dei Borboni da Parma e si stabilì (10 giugno 1817) che a Maria Luisa d'Austria, duchessa di Parma, senza diritto di successione, succedessero i Borboni e Lucca si riunisse allora alla Toscana. Il ducato fu regime assoluto: a concessioni costituzionali si pensò, anche da Maria Luisa, dopo la rivoluzione di Cadice del 1820, ma solo per rifuggirne. Maria Luisa volle ricostituito il patrimonio ecclesiastico affrontando per ciò grosse questioni definite dopo la sua morte (breve di Gregorio XVI, 21 giugno 1833) e che preoccuparono il granduca Francesco III per le conseguenze che prima o dopo avrebbero gravato sulla Toscana. Fornì Lucca di fonti e di strade, arricchì l'edilizia cittadina, riordinò l'università creata senza necessità e senza avvenire negli ultimi tempi della repubblica oligarchica, e diede sviluppo a Viareggio costituita città (1820). Sotto il suo governo avvenne la cessione di Castiglione di Garfagnana agli Estensi (1819) e la diocesi perdette 41 parrocchie che costituirono il vescovato di Massa Carrara.
Carlo Ludovico, successo alla madre nel 1824, ebbe atteggiamenti contraddittorî: fondò conventi e nutrì spiccate simpatie per il protestantesimo, rispettò gli emigranti politici e ne scelse a suoi consiglieri, concesse un'amnistia (27 agosto 1833), ma ebbe una profonda antipatia per quanto accennasse a ordinamenti liberali. Ma, per la cooperazione di esperti amministratori del patriziato e della borghesia colta lucchese, sempre si provvide all'incremento della vita dello stato specialmente per quanto attiene ad assistenza, beneficenza (la Cassa di risparmio sorse nel 1835), cultura e opere pubbliche. Sennonché la gravità delle spese personali del duca, la perdita dell'assegno datogli dalla Spagna, la non felice scelta di fiduciarî non lucchesi, dal 1841 in poi costrinse alla conclusione di prestiti che turbarono il bilancio. Alle necessarie operazioni finanziarie di risanamento si oppose Firenze, destinata ad accogliere le passività del ducato, e l'urgenza di superare ogni difficoltà portò o contribuì all'anticipazione dell'unione di Lucca alla Toscana, consigliata anche da ragioni politiche per la difficile condizione in cui il duca era posto dall'impopolarità del principe ereditario Ferdinando, il futuro Carlo III di Parma, che cadra pugnalato nel 1854, unico e non felice frutto del matrimonio del duca con la piissima Maria Teresa di Savoia. Il 4 ottobre 1847 in Firenze Carlo Ludovico, all'insaputa dei Lucchesi, fece cessione del ducato a Leopoldo II.
Arte della stampa. - I Trionfi del Petrarca, prima stampa apparsa a Lucca, recano in fine il nome di Bartolommeo Civitali e la data 17 maggio 1477. Lo stesso Civitali stampò l'anno dopo una Oratio di Bartolommeo Bresciano in laude Andreae Vendramini. Nel 1482 un altro lucchese, Michele Bagnoni, stampò una Vita spirituale di fra Cherubino da Spoleto. Vi giunse poi il tedesco mastro Rigo da Colonia, il quale pubblicò, prima solo, gli Statuta Lucensia, 19 agosto 1490, e gli Statuti della corte dei mercanti di Lucca, 17 novembre 1490 e poi, con Henricus de Haerlem, nel 1491, due opere giuridiche: Tartagnus, De Mero Imperio; Socinus, De Instantia.
La provincia di Lucca.
La provincia di Lucca, che sino al 1927 corrispondeva all'antico compartimento granducale, quale venne costituito dopo l'aggregazione anticipata del ducato (1847), in seguito alle modificazioni territoriali apportate che le aggregarono la Garfagnana mentre le sottrassero 10 comuni del Valdinievole, si estende oggi su un'area di kmq. 1775. Il censimento del 21 aprile 1931 diede presenti 339.991 abitanti; ma tenendo conto degli assenti temporaneamente la popolazione residente legale risultò di 346.479. Differenza notevole che si spiega col contributo che dànno molti comuni della provincia all'emigrazione temporanea. La densità risultò quindi di 191 ab. per kmq., notevolmente superiore a quella della Toscana nel suo complesso (126) e a quella del Regno (133). La provincia di Lucca viene così a comprendere la pianura che sta tra la riva sinistra del Serchio e la Pescia, la Garfagnana, la valle della Lima e quella del Serchio dopo la sua confluenza, il versante occidentale delle Alpi Apuane col litorale tirreno dell'adiacente Versilia per un tratto di 22 km. a partire da un punto a 5 km. a nord della foce del Serchio, il gruppo montano delle Pizzorne e il versante nord del M. Pisano. Regione assai varia nei suoi aspetti e nelle sue condizioni, racchiude una plaga agricola di densissima popolazione nella pianura a levante della città (che più particolarmente, ma solo nell'uso comune e senza alcun riconoscimento ufficiale viene designata col nome di Lucchesia; nome esteso talvolta a tutta la provincia); colline ridenti coperte di vigne e di celebrati uliveti, una zona costiera che con Viareggio e le altre minori spiagge adiacenti che ne sono un'ininterrotta continuazione rappresenta la più frequentata stazione balneare del Tirreno; montagne aspre che ricordano le Alpi e dorsi appenninici dai più dolci declivî ammantati da una vegetazione forestale meglio curata che in altre parti della regione. Rimandando a" e voci garfagnana; versilia; serchio, ecc. per notizie ulteriori, ci limitiamo a dire qui che la provincia nei suoi attuali confini comprende 35 comuni, di cui a parte il capoluogo, il più popoloso è quello assai vasto di Capannori (v.), che con quello di Porcari che gli fu distaccato e la parte esterna di Lucca si può dire rappresenti la totalità della cosiddetta Lucchesia vera e propria. Oltre 6 comuni superano i 10.000 ab. e nessuno discende sotto i 1000. Noto e antico è il movimento migratorio, che per quanto grandemente attenuato si mantiene proporzionalmente abbastanza elevato rispetto alle altre provincie toscane.
Fonti principali di storia lucchese: Tolomeo, Annales Lucenses, in Mon. Germ. hist., Script., n. s., VIII (1930), ed. Schmeidler; Rangerio, Vita Anselmi, ed. in Mon. Germ. hist., Script., XXX, ii, 2 (1929); G. Sercambi, le Croniche, in Fonti per la st. d'Italia, ed. S. Bongi, Lucca 1892; autori varî, in Mem. e doc. per servire all'istoria dello stato e città di Lucca, fondam. pubbll. iniziata dall'Accademia lucchese (già napoleonica) sotto i Baciocchi e ancora in continuazione, Lucca 1813 segg., sostituita per la parte pubblicata da L. Schiaparelli, Codice dipl. Longob., Roma 1929, Fonti per la storia d'italia, LXII; P. Guidi e O. Parenti, in Regesto del capitolo di Lucca (Fonti per la storia d'Italia), Roma 1910 segg.; numerose cronache e storie inedite di Lucca (sec. XIV segg.), in S. Bongi, Inventario del R. Arch. di stato in Lucca, Lucca 1872-88, IV, p. 315 segg. (essenziale per ogni studio di storia lucchese). L'Arch. di stato di Lucca è venuto pubblicando i Regesti delle pergamene del diplomatico, il Carteggio degli Anziani, il carteggio Guinigi; è in corso il carteggio di G. Manfredi. Lo Statuto del 1308 pubbl. da L. Del Prete e S. Bongi in Mem. e doc., VIII (per i framm. di statuti anteriori v. A. Mancini, in Ann. univ. tosc., 1926, n. 5), lo Statuto della Corte dei Mercanti in Lucca, ed. da A. Mancini, U. Dorini, E. Lazzareschi, Firenze 1927. Per la storia eccl. v. il vol. Tuscia, in Rationes decimarum Italiae, ed. P. Guidi, Roma 1933 (Bibl. Vaticana, Studi e Testi, LVIII). - Le migliori storie generali: A. Mazzarosa, Storia di Lucca dalla origine al MDCCCXIV, Lucca 1833 (continuata dal 22 novembre '17 al 12 ottobre '47, in Opere del march. A. M., V, Lucca 1886); G. Tommasi, Sommario della storia di Lucca dal MIV al MDCC, in Arch. storico italiano, X (1847); E. E. Whipple, A Famous corner of Tuscany, Londra 1928.
In particolare: per la storia antica di Lucca, G. Matraia, Lucca nel 1200, Lucca 1843; C. Sardi, Le origini di Lucca nella leggenda e nella storia, in Atti Accademia lucchese, 1898; id., Vie romane e medievali nel territorio lucchese, Lucca 1910: A. Solari, Sulla storia di Lucca nell'antichità, in Studî storici, 1904; id., Il territorio lucchese-pisano, in Annali università pisane, 1910; id., in Lucca centro itinerario nell'antichità, in Bollettino storico lucchese, 1929; id., in Miscellanea Bongi, Lucca 1931; N. Toscanelli, Pisa nell'antichità, Pisa 1933; A. Custer, Carta archeologica di Roma antica, Firenze 1931; L. Banti, in Atene e Roma, XIII (1932); Bindoli, Le prime e le seconde mura di Lucca, in Atti R. Acc. di Lucca, n. s., I (1931). - Per l'emigr. e il commercio lucchese, L. Mirot, Études lucquoises, Parigi 1930; A. Mancini, in Ann. delle Sc. norm. sup. di Pisa, I (1932). - Per la Riforma, G. Puccinelli, La Repressione dell'eresia in Lucca, Lucca 1897; A. Mancini, in Arch. st. it., 1926; E. Tocchini, in Boll. st. lucchese, 1932. - Per la rivoluz. francese e il principato: P. Marmottan, Bonaparte et la rép. de Lucques, Parigi 1896; id., Les Arts en Toscane, Parigi 1901; id., Elisa Bonaparte, Parigi 1898. - Per il ducato; C. Massei, Storia civile di Lucca, Lucca 1878; id., La Toscana nel 1847-48, Lucca 1848; C. Sardi, Lucca e il suo ducato, Firenze 1912 e molti articoli raccolti in G. Sforza, Ricordi e biografie lucchesi, Lucca 1916-18.
Monumenti e arte v.: G. Gualdo Priorato, Relat. della Signoria di Lucca, Colonia 1668; V. Marciò, Il forestiero inform. delle cose di Lucca, Lucca 1721; F. Cretense (Cerati), Le ville lucchesi, Parma 1783; T. Trenta, Guida di Lucca, Lucca 1820; id., Arte lucchese, in Doc. per la storia di Lucca, VIII, Lucca 1822; G. Cordero di S. Quintino, Dell'Ital. arch., Brescia 1829; D. Barsocchini, Diario sacro, Lucca 1836; S. Bongi, Inventario citato; E. Ridolfi, Guida di Lucca, Lucca 1877; id., L'arte in Lucca, Lucca 1882; id., Sopra i tre più antichi dipintori lucchesi, in Atti R. Accademia di Lucca, XIII; Ch. Yriarte, M. Civitali, Parigi 1886; A. Schmarsow, St. Martin von Lucca, Breslavia 1890; P. Campetti, Cat. della Pinacot. di Lucca, Lucca 1909; id., Guida di Lucca, Lucca 1912; P. Toesca, Storia dell'arte ital., I, Torino 1927; E. Lazzareschi, Lucca, Bergamo 1931; G. G. Lunardi, S. Frediano e la sua basilica in Lucca, in Lucca (Riv. del comune di Lucca), dicembre-febbraio 1930-31.
Per le singole trattazioni v. le cit. Memorie e docum. per servire alla storia di Lucca, ancora in gran parte servibili. Inoltre: per la storia ecclesiastica Guerra-Guidi, Compendio di st. eccl., Lucca 1924; G. Barsotti, Lucca sacra, Lucca 1920; per la storia della cultura: A. Boselli, Notizie della bibl. pubblica di Lucca, Roma 1900; A. Mancini, in Studi ital. di fil. classica, VIII (1900); id., in Rivista di filologia, 1906; Indice dei lavori pubblicati dall'Accademia lucchese, Lucca 1902; L. Schiaparelli, Il cod. 490 della Biblioteca capit. di Lucca, Roma 1924 (Bibl. Vaticana, Studi e testi, XXXVI); G. Sforza, F. M. Fiorentini e le scienzez e lettere in Lucca ai suoi tempi, in Atti della R. Acc. di Lucca, XX e XXI; P. Barsanti, Il pubblico insegnamento a Lucca, Lucca 1905; per il dialetto, S. Pieri, in Arch. glott., XII; C. Salvioni, ibid., XVI; per il folklore, Nieri, in Atti R. Acc. di Lucca, XXX, XXXV.
Per la storia della musica in Lucca: L. Nerici, Storia della musica in Lucca, Lucca 1879; D. A. Cerù, Cenni storici dell'insegnamento della musica in Lucca, 1871; R. Landucci, Per le tradizioni musicali lucchesi, cenni storici e commento del motu-propèrio di Pio X, Lucca 1906; A. Pellegrini, Spettacoli lucchesi nei secoli XVII-XIX, in Mem. e Doc., 1914; U. Rolandi, Spettacoli musicali per la funzione delle "Tasche" in Lucca, in Bollettino bibliografico musicale, 1932, n. 1 segg.