MANGIONE, Lucette [Luce d’Eramo]
Nacque il 17 giugno 1925 a Reims, da Publio e Maria Concetta Straccamore. Il padre, ingegnere ma anche pittore, dopo l’impegno come pilota nella prima guerra mondiale, in Francia svolgeva la professione di costruttore. Insieme con la moglie, segretaria del Fascio, si occupava dell’assistenza degli italiani all’estero, con la fondazione e direzione di una Casa degli Italiani. La tenacia e dedizione dei coniugi Mangione lasciarono un forte segno nella formazione della personalità di Lucette, la quale – pur dopo la rottura con l’appartenenza fascista della sua famiglia – ricordò più volte quell’impegno.
Era l’inizio di una biografia intensa: il trasferimento in Italia, l’esperienza della seconda guerra mondiale, il tentato suicidio, l’internamento a Dachau, la fuga dal Lager, e negli anni successivi i numerosi viaggi in Europa, Russia e Giappone, e poi l’impegno nel giornalismo e nelle inchieste. Questa forte presenza al suo tempo costituì il portrait-modello di una nuova figura femminile, affermatasi negli ultimi decenni del Novecento ma della quale d’Eramo, insieme a poche altre, si sarebbe offerta, specie nel panorama italiano, come antesignana. Luce appartiene, infatti, al manipolo di donne molto bene istruite le quali, giovanissime o adolescenti durante il secondo conflitto mondiale, si affacciarono al mondo della scrittura negli anni immediatamente successivi, quasi ‘iniziate’ alla letteratura da quella esperienza storica: una selezionata galleria (da Anna Maria Ortese a Elsa Morante, alla sua amica Amelia Rosselli o anche Oriana Fallaci per citare le più note), alla quale si aggiunge, in ambito europeo, il più ampio gruppo di scrittrici che tessono la memoria femminile ebraica della persecuzione nazifascista (da Frida Misul a Etty Hillesum, Luciana Nissim, Liana Millu o Edith Bruck, e naturalmente Hannah Arendt), autrici alle quali d'Eramo si sarebbe a più riprese dedicata.
Negli anni Trenta la famiglia Mangione si trasferì a Parigi, per rientrare definitivamente in Italia nel 1938: fu un gran turbamento per la adolescente Lucette, che in Italia divenne «Luce» e si iscrisse al liceo Conti Gentili di Alatri prima di trasferirsi con la famiglia a Roma e terminare gli studi presso il liceo Umberto I (oggi «Pilo Albertelli»).
Nel 1942 iniziò a frequentare la facoltà di lettere dell’Università di Padova e il Gruppo universitario fascista (GUF). Tuttavia si laureò solo dopo la guerra, a Roma, nel 1951, discutendo una tesi in lettere sulla Poetica di Leopardi, e nel 1954, in filosofia, sulla Singolare autonomia del giudizio nelle «Critiche» di Kant: un doppio titolo di studio che rispecchia anche la duplice anima di Luce d’Eramo, per la quale scrivere è «un atto di conoscenza portato avanti con fantasia»; una narratrice, e lettrice, sempre tesa da «un’incredibile curiosità umana» (cfr. Io sono un’aliena, Roma 1999, rispett. pp. 14 e 78) verso una letteratura come strumento di comprensione del reale, «moltiplicazione fantascientifica di facoltà conoscitive dell’animo umano», come spiegava nella relazione al convegno Per la narrativa tra Novecento e nuovo millennio, organizzato dal mensile Letture il 29 ottobre 1997 (testo datt. conservato in Archivio del Novecento - Università di Roma «La Sapienza», Fondo D’Eramo, serie Corrispondenza).
Luce si dedicò alla scrittura sin da giovanissima. Nell’autobiografia Io sono un’aliena narra infatti di un primo scritto, La teoria del divino equilibrio, composto durante l’ultimo anno di liceo e consegnato a Giovanni Gentile al termine di una sua lezione. I primi racconti compiuti si collocano però al 1943 e nascono dal drammatico laboratorio narrativo della guerra. A quell’anno risale infatti Il 25 luglio, rimasto a lungo inedito e inserito solo nell’edizione Mondadori dei Racconti quasi di guerra. 1943-1956 (Milano 1999), nonché Il coraggio del diavolo, rimasto inedito come «piccolo documento privato d’un duro momento storico», sofferta riflessione teologica, atto di accusa e ribellione ma anche principio di un’interrogazione sulla fede destinata ad attraversare gran parte dei suoi scritti, seppure con differenti conclusioni. In una breve biografia intima del 1995, Il sogno di trascendenza nel mio viaggio narrativo, d'Eramo ripercorse la storia di quel suo «desiderio cristiano», che prendeva abbrivo dalla lettura della Commedia dantesca e soprattutto di Dostoevskij, rispetto al quale la giovane diciottenne Lucette avvertiva tutta l’ambivalenza dell’attrazione per l’«Idiota» come anche per Ivan Karamazov. Fu quindi su sollecitazione di quelle letture che nacque il coraggio del diavolo.
Si era, intanto, alla vigilia della sua decisiva esperienza tedesca, un inquietante tour nella desolante Germania del ‘male’ che segnò indelebilmente – anche sul piano fisico – l’intellettuale e la scrittrice. Nel febbraio 1944, infatti, la figlia del sottosegretario all’Aviazione della Repubblica di Salò, turbata dalle notizie sui crimini nei Lager nazisti, in un’ansia di verità e di verifica, partì come lavoratrice volontaria presso la IG Farben di Frankfurt-Höchst. La scoperta di quella realtà di soprusi e oppressioni la trasformò, fino a farla divenire attivista della Resistenza; in seguito a uno sciopero venne incarcerata; rimpatriata grazie alla sua appartenenza a una famiglia fascista, decise di rinunciare ai privilegi e salì volontariamente su un convoglio di deportati nel Lager di Dachau, dal quale presto riuscì a fuggire. Durante un soggiorno a Magonza, rimase vittima di un incidente: il 27 febbraio 1945, mentre cercava di soccorrere le vittime di un’incursione aerea fra le macerie, il crollo di un muro la lasciò paralizzata.
Rientrata in Italia nel 1945, ormai invalida, Luce trascorse molto tempo in ospedale, al Putti di Bologna, dove conobbe e sposò nel 1946 Pacifico d’Eramo – con il nome del quale firmò le sue opere: un bersagliere ferito con il quale ebbe nel 1947 il figlio Marco (giornalista e scrittore) e dal quale si separò nel 1953.
Negli anni Cinquanta l’attività narrativa – inaugurata con Idilli in coro (Milano 1951) – si intensificò, accanto a un crescente impegno pubblicistico. Intanto conobbe e frequentò Elsa Morante e soprattutto Alberto Moravia, al quale dedicò un’intervista che ne restituisce il critico e l’uomo, in un ‘incontro’ raccontato nel 1967 ma pubblicato dopo quasi trent’anni. Fu inoltre Moravia che nel 1956 pubblicò su Nuovi Argomenti (la rivista fondata insieme ad Alberto Carocci e diretta fino al 1964) un suo racconto, Thomasbräu, poi confluito in Deviazione (Milano 1979). Nel 1954 vinse il premio per la narrativa dell’editore Gastaldi che le pubblicò La straniera (ibid.), seguito dalla raccolta di racconti Il convoglio dei Lituani (ibid. 1958), poi inserito in Racconti quasi di guerra (cit.). Al 1959 data l'esordio nella saggistica con Raskolnikov e il marxismo. Note a un libro di Moravia (ibid.; nuova ed., Catania 1997).
Intanto, durante il suo soggiorno a Milano, divenne amica di Camilla Cederna, dando inizio a un rapporto duraturo che ispirò, poi, il libro-inchiesta sulla scomparsa di Giangiacomo Feltrinelli, Cruciverba politico. Come funziona in Italia la strategia della diversione (Rimini 1974), una riflessione intorno al ‘caso Cederna’, ai sospetti avanzati da quest’ultima in merito all’oscuro e «mostruoso assassinio» dell’editore e soprattutto una indagine sulla manipolazione dell’opinione pubblica a mezzo stampa.
Al principio degli anni Sessanta, dopo un viaggio in Germania (soggiornò a Glashϋtten, nel Taunus, vicino Francoforte, presso la dottoressa Ellen Marder che l’aveva curata nel 1945) si stabilì a Roma. L’attività pubblicistica, con la collaborazione a La Fiera letteraria, Nuova Antologia, Studi cattolici, Tempo presente, si affiancava alla narrativa, con la prima opera edita con Rizzoli, il lungo racconto Finché la testa vive (Milano 1964), narrazione del suo rapporto con il male, il dolore e il corpo, e della sua indomita lotta con una «deviazione» fisica dalla quale non si darà mai vinta, in una continua tensione straniante che riusciva a condurla sempre fuori da sé.
Come già in Idilli in coro, la gioia di vivere che attraversava quelle pagine era in fondo una forma di ribellione, una «deviazione» di libertà rispetto a un’invalidità che l’ha travagliata lungo l'intera esistenza. Da questo agonico confronto d’Eramo uscì vincitrice anche quando, alla fine degli anni Sessanta, ebbe un aggravamento, con lunghi ricoveri a Pietra Ligure, nell'arco di quel difficile biennio (1969-70) che definì «il periodo della capsula spaziale».
Gli anni Sessanta, dunque, furono segnati da intensi e significativi rapporti: Cesare Zavattini, Alberto Moravia e soprattutto Ignazio Silone, che la tenne impegnata nella redazione di un’ampia monografia, L’opera di Ignazio Silone. Saggio critico e guida bibliografica (Milano 1971), cui seguirono numerosi altri saggi, articoli e interviste, poi raccolti in volume (Ignazio Silone, Rimini 1994). In una sovrapposizione tra il critico e il suo autore, Silone, più che oggetto di studio, divenne amico e modello di scrittura e di morale.
L’idea di un primo studio siloniano nacque nell’estate del 1967: destinato a segnare una svolta nella storia della critica siloniana ma ancor più a definire il profilo di d’Eramo studiosa e saggista, si trattava di un ampio studio critico comprensivo di una raccolta bibliografica, estesa in particolare alla pubblicistica internazionale. Nel mese di ottobre il lavoro era già avviato; ma era solo l’inizio di una lunga vicenda editoriale che si concluse, dopo significativi interventi correttivi rispetto alla prima stesura, nel novembre 1971.
Gli anni Settanta si aprirono nel segno di un più marcato realismo e di una «svolta», segnata dalla lettura-incontro dell’autore di Fontamara e dall’esperienza del figlio Marco nei movimenti studenteschi del 1968. I viaggi e i frequenti soggiorni a Parigi, ma anche la scrittura giornalistica sulla stampa quotidiana e periodica (dal 1979 collaborò anche a La Quinzaine littéraire), testimoniano l'intensità di quel periodo. Oltre che alla monografia su Cesare Zavattini (inedita), già preceduta da un’ampia Intervista (in La Fiera letteraria, 23 febbraio 1967) e da un articolo apparso in Studi cattolici (Cesare Zavattini, agosto 1970), d’Eramo lavorava anche a traduzioni, altri saggi, e al citato libro-inchiesta Cruciverba politico.
Alla fine degli anni Settanta, dopo un lungo lavoro di scavo, Luce d’Eramo diede alle stampe la sua prima grande opera narrativa, Deviazione, romanzo che accese il ‘caso d’Eramo’ (ed. cit., Milano 1979; ibid. 1995, riproposto poi, per i tipi di Feltrinelli, con introd. di N. Fusini e postf. con un profilo bio-bibliografico di M. d’Eramo, ibid. 2012). Tradotto in francese, giapponese, tedesco e spagnolo, Deviazione ispirò il film di Renate Stegmϋller e Raimund Koplin intitolato Luce, Wanda, Jelena. Es war nicht ihr Krieg (1994). Il volume raccoglie racconti presentati in successione seguendo l’ordine cronologico di composizione (Thomasbräu, Asilo a Dachau, Finché la testa vive, Nel Ch 89, La Deviazione); ma ha il suo centro narrativo nell’esperienza vissuta in Germania durante l’ultimo anno del conflitto, pur nella moltiplicazione dei punti di vista di un Io che si racconta in prima o in terza persona e si guarda allo «specchio della mente» in tempi e contesti diversi. Attraverso le pagine di Deviazione si sviluppano le vicende biografiche della giovanissima protagonista Lucia, che partì per verificare, per smentire, ma anche per penetrare (con Hannah Arendt) la banalità del male, quel tema che tanto ha attraversato la letteratura e la riflessione del Novecento, Simone Weil in testa.
Dopo Deviazione, d’Eramo narratrice approdò al romanzo: sembra che quella resa dei conti con se stessa e col proprio passato l’abbia come liberata alla narrativa. Gli anni Ottanta segnarono, infatti, la sua stagione più feconda, condotta nel segno del realismo. La pratica della letteratura si affiancava a una sempre più intensa pratica della vita: al lungo soggiorno a Berlino nel 1980, ospite del Deutscher Akademischer Austausch-Dienst per un corso semestrale sul romanzo italiano all’Institut fϋr Romanische Philologie della Freie Universität, avrebbero fatto seguito altri viaggi (Spagna, Amsterdam, New York, Russia) con i suoi amici più cari, l’italianista Corinne Lucas, Daniella Ambrosino e il marito di lei, il fisico teorico Giorgio Parisi.
A soli due anni da Deviazione e in un singolare intreccio di testi sul piano cronologico ma anche tematico e contenutistico, Nucleo Zero (Milano 1981) modifica temi, registri e modalità narrative. L’autobiografia, sia pur condotta sempre con «il rigore della cronaca», si ribalta qui in antibiografismo: «Qui io proprio non c’entravo per niente: mi sono annullata nei personaggi». In questo testo sulla ribellione collettiva, nel tentativo di comprendere come si possa diventare terrorista, Nucleo zero è tra i primi titoli della narrativa italiana dedicati alla lotta armata dei comunisti estremisti, che d’Eramo cerca di penetrare e mettere in scena in tutte le loro contraddizioni e soprattutto nel difficile rapporto con i media. Il romanzo – quasi opera fuori tempo per la sua stessa adesione al presente – fu alla base di un radiodramma nel 1982 (diretto da Giandomenico Curi) e di un film televisivo per la regia di Carlo Lizzani nel 1984. Come già era avvenuto per l’inchiesta Cruciverba politico, nel romanzo grande attenzione è riservata a una riflessione sui mezzi di comunicazione e sul loro rapporto oppositivo – nonché pericolosamente creativo – con l’attualità, la storia, all’interno di quella che nel 1967 già Guy Debord aveva definito, nel suo fortunato saggio, La società dello spettacolo.
Lo stesso tema del terrorismo, nella sua carica di «deviazione» rispetto ai poteri dominanti, torna in un altro racconto dell'81, Tra i pensieri di una terrorista rossa, un «testo improbabile» che si finge rinvenuto nell’anno 2127 e si svolge lungo il filo di una fantascientifica distopia che anticipa il grande romanzo Partiranno (poi in Tutti i racconti).
Era nel dichiarato intento di «farsi una ragione degli avvenimenti» che proseguiva una intensa attività giornalistica, su testate anche molto diverse per postazioni ideologiche come l'Unità, il manifesto, ma anche – più tardi – Avvenire. E fu proprio il quotidiano promosso dalla Conferenza episcopale italiana (CEI) a inserire Luce d’Eramo (insieme con Gianfranco Ravasi, Fulvio Panzeri e Roberto Righetto) nella giuria del premio letterario «Racconta la fine del mondo», indetto nell’estate 1995. In quella giuria d’Eramo entrava come esperta riconosciuta, grazie soprattutto al romanzo Partiranno (Milano 1986), che narra dello sbarco di extraterrestri simili ad animali a Roma, negli anni Sessanta. La presenza degli alieni clandestini provenienti dal pianeta Nnoberavezi, e la loro interazione con gli umani e il loro habitat, corre lungo le pagine di diario della zoologa Paola Rodi. L’opera conferma la tensione dell’Autrice verso spazi e tempi straniati e stranianti: all’altrove temporale dei suoi viaggi nella memoria si sostituisce l’altrove spaziale. Partiranno, quindi, si inserisce in un fortunato filone della science fiction che raccoglieva anche le suggestioni delle missioni spaziali degli anni Sessanta, dai primi razzi Sputnik al primo astronauta, allo sbarco sulla Luna nel luglio 1969.
Il 27 agosto 1966 sul Corriere della sera apparve in prima pagina un’immagine destinata a fare storia: la foto della terra vista dalla distanza lunare scattata dal Lunar Orbiter. Erano i mesi nei quali Luce d’Eramo iniziava una fitta riflessione sulla vita extraterrestre. I suoi articoli ospitati in La Fiera letteraria, Nuova Antologia e Studi cattolici si muovono entro la sfera letteraria, ma non trascurano questioni teoriche più vaste. Partendo dal dibattito teologico nato in seno alla Chiesa cattolica, e richiamando un fortunato articolo di Domenico Grasso (La teologia e la pluralità di mondi abitati, in Civiltà cattolica, IV [1952], n. 103, pp. 255-265) nel tentativo di conciliazione tra vite aliene e religione, Luce d’Eramo si trovò a difendere – in ambito letterario – le ragioni della letteratura fantascientifica. Le missioni spaziali, restituite al grande pubblico grazie alle prime immagini satellitari, sembravano fornire una prova tangibile di una seconda rivoluzione copernicana che si imponeva ora con evidenza concreta e insieme con una forte carica simbolica. Era un radicale ribaltamento del punto di vista, che si prestava ad alcuni scrittori (Luce d’Eramo ma anche Guido Morselli), quasi come ‘argomento’ filosofico, confutazione di quelle che apparivano comode soluzioni ermeneutiche ed etiche di un soggettivismo che doveva cedere invece il posto a un più oggettivo umanesimo della «riduzione» e della «solidarietà». Il «desiderio di alienità» più volte affermato dall’Autrice come programma anche letterario trovava fondamento all’interno di un più ampio contesto di riflessioni teoriche che corrono sottotraccia lungo il "secolo breve": il concetto di différance elaborato da Jacques Derrida, la metafora del divenire minoritari formulata da Gilles Deleuze e Félix Guattari, o la nozione di straniero dibattuta da Julia Kristeva.
In d’Eramo, però, «alienità» si fa presto sinonimo di «trascendenza». Nell’esplicito riferimento a Partiranno si declinava una riflessione inviata il 28 aprile 1998 a Ferruccio Parazzoli sul tema della fede. In preparazione di una conferenza da tenere a Vasto il 16 maggio 1998 e alla vigilia della pubblicazione dell’inchiesta Il gioco del mondo, nella quale Parazzoli dava voce ad autori come Lalla Romano, Vincenzo Consolo, Giuseppe Pontiggia e Antonio Tabucchi, d’Eramo gli inviava alcuni appunti privati, che sembrano richiamare Giordano Bruno, o più ancora il Leopardi delle Operette morali o della Ginestra. Gli ‘argomenti’ di questa personalissima religiosità si svolgono nel dichiarato richiamo alla sua narrazione ‘cosmica’ sul pianeta Nnaboverez.
Partiranno, dunque, il suo romanzo più amato, si rivela centrale all’interno della biografia letteraria di Luce d’Eramo. Segna, inoltre, il suo ingresso ufficiale all’interno della repubblica di scrittori di science fiction e fantasy, sul filo di un interesse a lungo coltivato e che, in quegli anni Ottanta, contava una crescente messe di titoli e di autori italiani: Francesca Duranti, Valerio Manfredi, Michele Mari, Roberto Pazzi, Pier Luigi Berbotto, Roberto Vacca, tutti attivi tra il 1984 e il 1986, proprio mentre Fruttero e Lucentini animavano la collana «i Massimi della fantascienza» per Mondadori. Sono gli anni nei quali d'Eramo collaborò a futuro europa, nuova sf, pianeta; scrisse le introduzioni a Storie d’ordinario infinito di Ugo Malaguti (Bologna 1989) e a La croce di ghiaccio di Lino Aldani (Bologna 1990). Fu anche ospite frequente e conosciuta dell’Italcon, il convegno annuale di science fiction organizzato dall’Associazione World SF Italia. Nell’edizione del 1986, tenutasi a Montepulciano, si ritrovò a difendere la fantascienza come ‘genere’ contro le accuse mosse da Alberto Moravia insieme con Dario Bellezza e Alain Elkann. Nell’edizione dell’Italcon 1994, svoltasi a Courmayeur, d’Eramo pronunciò una relazione che divenne poi il celebre articolo apparso su l’Unità e che diede il titolo alla sua ultima autobiografia, Io sono un’aliena (1999).
Non tradì mai tali interessi di studi e scrittura: quale prosecuzione di Partiranno può intendersi il racconto La galassia di Nacolden, apparso nello stesso anno (in l’Unità, 20 giugno 1986) e ora compreso, con il titolo Intervista a un extraterrestre il 17 giugno 1986, insieme al racconto Una proposta risolutiva (in Pianeta Italia. Gli autori della World sf italiana, a cura di L. Aldani - U. Malaguti, Bologna 1989, pp. 285-293) nella raccolta Sei racconti estremi (poi in Tutti i racconti, cit., rispett. pp. 344-347 e 352-357). Se in Intervista a un extraterrestre d’Eramo immagina un incontro con il protagonista di Partiranno Nacolden, in Una proposta risolutiva si finge relatore a un convegno del futuro, nell'anno 2134, al cospetto di un mondo di anziani, con un tasso di suicidi in pericoloso aumento. Anche d’Eramo, dunque, come avrebbe fatto il citato concorso letterario «Racconta la fine del mondo», si provava in una «classica visione fantascientifica, per esempio di Primo Levi, per non dire di tutti coloro che, angosciati dal presente, hanno cercato nell’ignoto domani il volto degli errori d’oggi, così da correggerli per tempo» (Primo Levi come modello, in Avvenire, 16 luglio 1995).
«Deviazione», «altro», «diversità» sono lemmi cari al lessico della d’Eramo, proprio nel segno di un realismo che, rigoroso e portato alle estreme conseguenze, non poteva non condurre lontano dall’Io, in cerca di essenze e di sguardi «altri», ‘luoghi’ e ‘punti di vista’ che siano «alieni», per usare una espressione attinta al lessico marxista – ed esistenzialista anche – ma rovesciato di segno. L’alienazione, d’altronde, è un campo semantico che, pur con sensi e significati peculiari, attraversa gran parte della vita e dell’opera della attrezzata laureata in filosofia Luce d’Eramo.
Nonostante gli insistiti problemi di salute, l’attività narrativa e saggistica non rallentò: nel 1989 apparve l’antologia, curata assieme a Gabriella Sobrino, Europa in versi. La poesia femminile del ‘900 (Roma 1989). Nel 1992 tornò a viaggiare e andò a Tokyo per tenere una conferenza su Silone alla Gaigodoi University, Bunkyo-ku. L’esperienza in estremo Oriente torna nel romanzo dell’anno successivo, Ultima luna (Milano 1993), articolata narrazione sulla vecchiaia e sulla morte. Nel rapporto tra l’ottantenne Alfonsina e il figlio Bruno, da poco rientrato dal Giappone, si intrecciano i fili di sentimenti e valori cari all’Autrice, la solitudine della senescenza, oltre che la testarda donazione di una madre che nega se stessa per la realizzazione del figlio e per il suo matrimonio. Se il tema del matrimonio e della relazione è al centro anche del romanzo Un’estate difficile (ibid. 2001; rimasto inedito e apparso postumo a un mese dalla sua morte), è ancora sul filo dell’attenzione al diverso e dell’invito alla comprensione dell’altro, nel segno di una denuncia, che può leggersi il successivo Si prega di non disturbare (ibid. 1995), un romanzo scritto durante il soggiorno a Parigi, nel quale l’Autrice cerca di penetrare la psicologia di un neofascista omicida, nel desiderio di comprendere le radici dell’odio e dell’intolleranza. Ne vien fuori un affresco severo di una società perfusa di segni di intolleranza e intransigenti rifiuti, che sembra cedere al torpore di un benessere distruttore di coscienze. Diversità come follia è invece al centro di Una strana fortuna (ibid. 1997), dove l’indagine sul rapporto tra normalità e patologia viene osservato attraverso le vicende interiori di due donne, Clara e sua zia Edda, ritratte allo specchio di un confronto generazionale rispetto al decisivo spartiacque del fascismo.
Nel 1999 Luce d’Eramo riunì per Mondadori i Racconti quasi di guerra, scritti tra il 1943 e il 1956 e all’epoca ancora parzialmente inediti. In quello stesso anno uscì Io sono un’aliena, che può considerarsi il vero ‘testo ultimo’, che smentisce ancora una volta la sua reticenza all’autorappresentazione, intesa quest’ultima come lucida auto-analisi. L’opera, che contiene preziose indicazioni di poetica e fa luce sul suo scrittoio e sulle ragioni segrete dell'ispirazione, raccoglie una lunga intervista e tre scritti che restituiscono, a quasi vent’anni dall’autobiografia ‘storica’ – si direbbe – di Deviazione, quello che può considerarsi un testamento spirituale e artistico, oltre che morale.
La sua ricerca, mai conclusa, si traduce anche in un preciso metodo di scrittura. Sul piano strutturale, infatti, la narrazione si costruisce spesso come intarsio di testi, quasi a tematizzare una ricerca filologica, condotta intorno alla centralità della scrittura e alla sua sopravvivenza nel «rammendo».
Torna pertanto quella attività del «rammendo» che, in senso proprio, d’Eramo non esitava a rivelare a Silone, in una lettera del 31 luglio 1966. La missiva fa luce sul profilo dell’intellettuale e insieme della donna che non si premura di nascondere i tratti più intimi della sua dimensione familiare, in una disinvolta sovrapposizione di ruoli. Rammendo come "attitudine", che l’Autrice trasferisce al suo personaggio Clara, protagonista di Una strana fortuna. Clara, come Luce, compie un doloroso percorso alla scoperta del proprio passato. Lei, che ha «un’anima di rammendatrice» (p. 310) trova che la zia, con quei quaderni che ora non tocca più, le «ritesse il presente», l’aiuta a «rammendare» se stessa (p. 289).
Questi anni di febbrile attività erano, in realtà, preludio della fine, già prossima. «Come faccio a sapere che muoio?» fu una delle ultime domande rivolte all’amica di sempre, la critica letteraria Corinne Lucas Fiorato. È sulle tracce dell’alienazione, come condizione del sapere, che l’Autrice giunge al duplice sentiero, della scrittura e della morte: «il bisogno di scomparire è lo scopo inconscio, il motivo di fondo, la molla dello scrivere. Siamo arrivati all’osso: scrivo per scomparire, per accettare la morte. Come se fossi morta […] nell’intimo mio più segreto scrivo per i posteri: a momenti mi pare di leggere con gli occhi del futuro le mie storie trascorse, trapassate, datate, superate» (cfr. Io sono un’aliena, cit., pp. 18-20).
La morte le si avvicinava veloce, ma non inattesa; e giungeva quasi a compimento di quel distacco da sé che l’Autrice aveva sempre con tenacia ricercato; per divenire definitivamente, e compiutamente, «aliena». Può forse dirsi che la sua vita si snodava come costante dialogo con una morte che sin da bambina Lucette aveva esaminato, cercato, simulato, come rivela La mia storia con la morte (in Gesù di Nazareth: il ‘caso’ non è chiuso, Assisi 1984), un denso capitolo di personalissime riflessioni teologiche, o anti-teologiche, definite con auto-ironia «sfacchinate dell’anima» (ora in Io sono un’aliena, cit., p. 74).
Mentre avviava un progetto di scrittura su Etty Hillesum, quasi in una simbolica circolarità di temi col ritorno alla letteratura della persecuzione nazifascista del suo esordio, Luce d’Eramo – dopo l’ennesimo ricovero per aggravamento – morì a Roma il 6 marzo 2001. È sepolta, accanto ai suoi amici Dario Bellezza e Amelia Rosselli, nel cimitero acattolico di Roma.
Racconti e romanzi: Idilli in coro (Milano 1951); La straniera (ibid. 1955); Finché la testa vive (ibid. 1964); Deviazione (ibid. 1979; con introd. di M. Spinella, ibid. 2000; con introd. di N. Fusini e postf. con un profilo biobibliografico di M. d’Eramo, ibid. 2012); Nucleo Zero (ibid. 1981); Partiranno (ibid. 1986); Ultima Luna (ibid. 1993); Si prega di non disturbare (ibid. 1995); Racconti quasi di guerra (ibid. 1999); Io sono un’aliena (Roma 1999); Un’estate difficile (Milano 2001); Tutti i racconti, a cura di C. Bello Minciacchi (Roma 2013). Saggistica: Raskolnikov e il marxismo. Note a un libro di Moravia e altri scritti (Milano 1959; poi, con una nuova introd. dell’autrice, Catania 1997); L’opera di Ignazio Silone. Saggio critico e guida bibliografica, Milano 1971 (e successive edizioni); Cruciverba politico. Come funziona in Italia la strategia della diversione (Rimini 1974); Ignazio Silone (ibid. 1994); Ignazio Silone, a cura di Y. Saito (Roma 2014; Il volume raccoglie tutti gli scritti su Ignazio Silone, preceduti da un’intervista a Daniella Ambrosino).
Le carte d’autore sono conservate in Roma, Arch. del Novecento - Università degli studi di Roma «La Sapienza», Fondo d’Eramo . Una bibliografia degli scritti di Luce d'Eramo, insieme a una bibliografia critica, a cura di Marco d’Eramo, si legge in L. d’Eramo, Deviazione, Milano 2012, cit., pp. 397-413. A questo utile strumento, che offre anche saggi apparsi in volume, introduzioni e postfazioni a firma dell’autrice, vanno aggiunti i numerosi scritti e articoli giornalistici apparsi in riviste e quotidiani, dei quali un primo elenco è offerto nel blog iosonounaliena.worldpress.com. Nel rimandare più diffusamente alla bibliografia critica di Marco d’Eramo ora cit., ci si limita qui a segnalare: D. Ambrosino, Temi, strutture e linguaggio nei romanzi di L. d'E., in Linguistica e letteratura, XXVI (2001), pp. 195-251; «Speciale Luce d’Eramo», in Prospettiva Persona, XXII (2003), n. monografico (a cura di M. d’Eramo - P. Vanzan); C. Lucas Fiorato, Des colonnes d’Hercule à Nnoberavez: l’art du déplacement dans l’œuvre de L. d’E., in Mélanges offerts à Pierre Laroche, a cura di Denis Ferraris - Danièle Valin, in Chroniques italiennes, 2002, n. 69-70, pp. 113-127; D. Ambrosino, Televisione e terrorismo nel romanzo «Nucleo Zero» di L. d’E., a cura di L. Scotto d’Ardino, in Littérature et nouveaux médias, in Cahiers d’études italiennes, 2010, n. 11, pp. 53-62; Dossier L. d’E. Come intendersi con l’altro, a cura di A.M. Crispino - M. d’Eramo, in Leggendaria, 2013 n. 99 (marzo); M.S. Palieri Spalieri, Un’aliena di sinistra, in l'Unità, 1° marzo 2013; C. Venturini, «Non miro più allo scrivere, ma invece al resistere». Sei lettere di Amelia Rosselli a L. d’E., in Avanguardia. Riv. di letteratura contemporanea, 2008, n. 38, pp. 19-52; A. Scarparo, Romanzi del cambiamento. Scrittrici dal 1950 al 1980, prefaz. di D. Marcheschi, Roma 2014, pp. 327-355; G. Parisi, Extraterrestri entro i confini della realtà, in Il Sole-24ore, 24 luglio 2016; L. d'E.: une oeuvre plurielle à la croisée des savoirs et des cultures, Colloque international organisé à l’occasion de la célébration des quatre-vingt-dix ans de la naissance de L. d’E., Atti di convegno, Paris 15-17 giugno 2016, a cura di C. Lucas Fiorato - M.-P. De Paulis - A. Tosatti (in corso di stampa).