DORIA, Luchetto
Figlio di Ansaldo, uno dei due comandanti della flotta genovese che aveva partecipato alla crociata del 1270, nacque nella seconda metà dei sec. XIII in data non precisabile. Degli anni della sua giovinezza abbiamo poche notizie sicure. Sappiamo che era impegnato in attività commerciali con l'Oriente mediterraneo: il 31 ott. 1274 vendette, tramite un suo procuratore, un carico di allume proveniente da Aleppo e nel 1281 risulta proprietario di una casa a Pera.
Non sembra che il D. abbia ricoperto incarichi importanti prima della primavera del 1289, quando il Comune di Genova lo nominò vicario generale in Corsica, affidandogli il comando di un corpo di spedizione composto di 175 cavalieri e 700 fanti (tra i quali erano 200 balestrieri e 200 lancieri). La flotta, formata da quattro galere e da un galeone e guidata da Michele Doria, sbarcò il corpo di spedizione a maggio nel golfo di Valinco, sulla costa sudoccidentale dell'isola, nei pressi di Propriano. Raggiunte nella piana di Baraci da un rinforzo di 25 cavalieri giunti dalla Sardegna, le truppe del D. si misero in marcia, il 30 maggio, alla volta dei domini di Sinucello Della Rocca, il signore corso ribelle e filopisano che aveva assunto il titolo di giudice di Cinarca.
Di fronte all'avanzata del D. Sinucello, senza nemmeno tentare di affrontare l'esercito genovese, numeroso e ben organizzato, abbandonò il castello di Rocca di Valle (Olmeto), suo luogo natale e centro principale della pieve di Valle, riuscendo in tal modo ad evitare la cattura. Ebbe allora inizio quell'inseguimento dei sostenitori di Simicello che doveva prolungarsi per mesi e doveva portare i Genovesi del D. ad inoltrarsì nelle montagne dell'isola. Alla strategia devastatrice adottata dal D., Sinucello opponeva, alternandole, la tattica della fuga, quella dell'imboscata e quella di lunghe ritirate che si concludevano con ritorni offensivi. Tale comportamento era dovuto non soltanto all'imponenza del corpo di spedizione genovese, ma anche alla situazione di isolamento e di debolezza del ribelle; prima dell'inizio della spedizione il D., infatti, era riuscito ad ottenere la sottomissione dei parenti più strettì dello stesso giudice, in particolare del genero, Ranieri di Cinarca, del nipote Guglielmo, figlio di Ranieri, e del suocero, Latro Biancolaccio, i qualì avevano giurato fedeltà a Genova. In queste condizioni il D. poté avanzare senza incontrare ostacoli: devastò il villaggio di Olmeto, più in basso verso la pianura costiera e poi risali ad assediare il castello di Rocca di Valle, la cui guarnigione si arrese l'8 giugno. La guarnigione che presidiava il castello d'Istria (sopra Sollacaro) fuggì all'improvviso, così come fece, due giorni dopo, quella di Ornano, un potente castello che il D. occupò per conto di Genova. Proseguendo nella sua fuga, Sinucello dette fuoco ai due castelli di Contondola (Aullène) e Litala per renderli inutilizzabili. Il D. stabilì di rioccuparli e decise la definitiva distruzione del secondo solo dopo che il primo era stato ricostruito e munito di una guarnigìone di corsi fedeli a Genova. Il D. soggiornò a Litala per otto giorni, allontanandosene solo per colpire i villaggi fedeli all'avversario (pieve di Scopamène e, verosimilmente, parti delle pievi vicine di Carbini, Attallà e Cruscaglia). Rientrò infine a Bonifacio alla testa dei suoi uomini.
Il 1º luglio successivo il D. ripartì all'attacco in direzione della costa orientale. Non dovette lottare per entrare ad Aleria, dato che il vescovo della città e i suoi nipoti appartenevano alla famiglia dei Cortinchi, avversaria di Sinucello. Così il 4 luglio il D., accompagnato da questo fece il suo ingresso nella piccola sede vescovile e vi si fermò quattro giorni. Ma poi, dubitando della fedeltà di Ugo, uno dei Cortinchi, il D. penetrò con i suoi armati nel feudo di quest'ultimo: risalì la valle del Tavignano, il cuore di quel dominio, attraversò il territorio del castello di Petr'Ellerata (Piedicorte di Gaggio) e infine si impadronì dei castelli di Pietraserena e di Altiani, ad oriente della pieve di Rogna. La famiglia di Ugo Cortinchi fu costretta a sottomettersi e ad innalzare sul castello di Petr'Ellerata lo stendardo del Comune di Genova. Ritornato ad Aleria, il D. ripartì il 30 luglio verso nord. Il 1º agosto prese il castello di San Iacopo dei Cortinchi di Lumitu (Scata) e ricevette il giuramento di fedeltà di quanti risiedevano in quello di Belfioritu (Vescovato) appartenente al vescovo di Mariana. Nei giorni successivi sottopose alla sua autorità i Bagnaninchi, signori dei castelli di Belgudè di Bagnaia (ora Bastia) e di Biguglia nonché il marchese di Verde del ramo degli Obertenghi i cui domini erano a nordovest di Aleria: tutti gli consegnarono ostaggi. Dopo aver distrutto alcuni castelli nella pieve di Rostino e aver fatto un'incursione, nella zona del Giussani, rientrò in Aleria e di là si spostò a Bonifacio, avendo avuto cura di mettere a capo delle pievi sottoposte alla giurisdizione genovese gonfalonieri assistiti da vicari, e di congedare il grosso del corpo di spedizione, che del resto era ormai giunto al termine della condotta.
Sinucello ne approfittò per riprendere l'offensiva e rioccupare i castelli di Contudine e Litala. Il D. reagì immediatamente e, dopo aver distrutto molti villaggi della pieve di Scopamène, pose l'assedio ai due castelli riconquistandoli entrambi, il primo dopo aver massacrato la guarnigione, il secondo senza colpo ferire dato che i difensori avevano preferito fuggire.
Messi a ferro e fuoco numerosi altri centri della pieve di Scopamène, tra cui Serra, Quenza, Zerubia e Aullène, il D. raggiunse quelle di Taravo e di Ornano. Dubitando che Ranieri di Cinarca avesse intenzione di far guerra allo zio Sinucello, puntò verso le regioni nordoccidentali ed entrò nel dominio dei signori cinarchesi, procedendo simbolicamente alla spartizione del feudo indiviso che Ranieri e il fratello Arriguccio avevano ricevuto dal Comune di Genova. Passato, poi, nella Banda di Dentro, arrivò nel dominio di quei Cortinchi che, a cominciare da Ugo, erano sospettati di aver violato il trattato di sottomissione e alleanza aiutando Sinucello. Alla fine di ottobre distrusse villaggi e castelli nel Campoloro, e soprattutto nella pieve di Rogna, in particolare Noceta, Riventosa, Tusani (Piedicorte di Gaggio), Reghjone (tra Piedicorte e Zuani) ed Erbajolo. Discendendo la valle del Tavignano, prima giunse ad Aleria, poi mise l'assedio a Petr'Ellerata, il castello più importante del suo avversario del momento, Ugo Cortinchi. Davanti alla forte resistenza del castello dovette trattare con Guglielmo, figlio di Ugo, che sottoscrisse un accordo con il quale si impegnava a rispettare gli ordini del Comune di Genova e a non aiutare più il giudice di Cinarca. Tolto l'assedio, il D. rientrò ad Aleria e da lì a Bonifacio, via Conca, apparentemente in veste di vincitore.
Il D., quindi, dopo aver preso tutte le precauzioni, si incontrò con il suo grande avversario Sinucello Della Rocca a Porto Favone. L'8 dicembre 1289 essi si accordavano per un armistizio che doveva durare fino al 14 febbr. 1290. Il negoziato pero non risolse i punti nodali dei problema, cosicché, incoraggiata senza dubbio dal signore di Cinarca, ben presto scoppiò nuovamente la rivolta antigenovese. Il D. riprese l'opera di repressione: in particolare il 18 dic. 1289 incendiò il villaggio di Falcanu e, preso tutto il bestiame, rientrò a Bonifacio il 23. Il 2 gennaio inviò il fratello Ingo (Inghetto) con un seguito di soldati per tentare una pacificazione con i signori corsi, nella regione d'Istria e di Ornano, sulla costa settentrionale del golfo di Valinco (pieve di Valle), comprendente tutta la valle del Taravo. Al rientro a Bonifacio, il 29 dello stesso mese, la spedizione trovò il D. colpito da una grave malattia. Chiesto e ottenuto il rimpatrio a Genova, egli lasciò il comando dell'armata genovese ad Ingo (Inghetto).
Partì da Bonifacio il 20 maggio 1290, senza che si sapesse ancora chi dovesse succedergli, e mori negli ultimi giorni del mese, poco dopo l'arrivo a Genova.
Lasciava un corpo di spedizione genovese concentrato a Bonifacio e abituato a successi militari all'apparenza facili ma sempre provvisori e non decisivi. D'altro canto anche la coesione interna del partito filogenovese in Corsica era stata scossa dalla spedizione del D., poiché questi, ricoprendo il titolo ufficiale di "vicario generale del Comune di Genova nell'isola di Corsica" aveva finito per limitare la precedente autorità del podestà di Bonifacio.
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