Luci e ombre sul contributo unificato
La sentenza della C. giust. 6.10.2015, C. 61/14 in rassegna analizza la questione pregiudiziale sollevata dal TRGA Trento sotto un duplice profilo: il primo concernente la commisurazione del contributo da versare, per un ricorso in materia di contratti pubblici, al valore dell’appalto; il secondo concernente la pluralità di contributi unificati da versare in caso di proposizione di motivi aggiunti e ricorsi incidentali.
Il Giudice europeo assume, quali parametri di riferimento, i principi di equivalenza e di effettività nonché l’effetto utile della direttiva 89/665/CEE e conclude affermando che non contrasta con il diritto dell’Unione europea la norma nazionale che impone il versamento del contributo unificato risultando, altresì, legittima la previsione di più contributi unificati in uno stesso giudizio purché il ricorso incidentale e i motivi aggiunti amplino considerevolmente l’oggetto della controversia.
3.1 Le prime applicazioni giurisprudenziali
Il sistema di diritto interno che fissa gli importi di contributo unificato da versare per la proposizione di un ricorso dinanzi al giudice amministrativo in materia di appalti pubblici, il cui importo è sensibilmente più elevato che negli altri settori, è stato infine sottoposto al vaglio della Corte di giustizia UE, quanto alla compatibilità con il principio di effettività e con il principio di equivalenza.
Con la sentenza1 in rassegna la Corte di giustizia, quanto al primo aspetto fa leva sul carattere degressivo delle tre fasce di importi previste dalla normativa italiana evidenziando che la partecipazione di un’impresa ad un appalto pubblico presuppone, già di per sé, una capacità economica e finanziaria adeguata.
In ordine al secondo profilo la Corte osserva che il principio di equivalenza non impone che si equivalgano le norme processuali nazionali applicabili ai contenziosi dinanzi ai diversi plessi della giurisdizione, ossia civile e amministrativo, ovvero a contenziosi che ricadono in due differenti settori del diritto.
Fra le principali questioni esaminate dalla sentenza in esame si segnalano: a) il tema della soglia di accettabilità del tributo da versare per l’accesso alla giustizia; b) l’utilità della predeterminazione per legge in misura fissa del tributo da versare; c) la compatibilità con i principi di equivalenza e di effettività del sistema nazionale che impone il versamento di tributi giudiziari multipli e cumulativi.
Oggetto di censura è l’art. 13, d.P.R. 30.5.2002, n. 115 come modificato dalla l. 24.12.2012, n. 228 il quale al co. 1 ha introdotto un regime di tassazione degli atti giudiziari, costituito da un contributo unificato fissato in proporzione al valore della controversia e al co. 6 bis, a differenza di quanto previsto per i processi civili, per i processi amministrativi fissa l’importo del contributo unificato senza ancorarlo al valore della controversia in misura pari a € 650.
La stessa disposizione, per specifiche materie, stabilisce importi diversi, che possono essere ridotti o aumentati.
Tale comma, alla lett. d), determina il contributo unificato per ricorsi in materia di appalti pubblici in misura fissa per scaglioni di valori dell’appalto; il co. 1 bis della stessa norma stabilisce che, per i procedimenti in materia di appalti pubblici, tali importi sono maggiorati del 50% e il co. 1 quater prevede che quando l’impugnazione, anche incidentale, è respinta integralmente o è dichiarata inammissibile o improcedibile, la parte che l’ha proposta è tenuta a versare un ulteriore importo, a titolo di contributo unificato, pari a quello dovuto per la stessa impugnazione, principale o incidentale.
Infine, l’art. 3, co. 11, dell’All. 4 al codice del processo amministrativo, in vigore a partire dal 16.9.2010, modificando il co. 6 bis dell’art. 13 in rassegna, ha stabilito che il contributo unificato deve essere versato non solo all’atto del deposito del ricorso introduttivo del giudizio, ma anche per il ricorso incidentale e per i motivi aggiunti che introducono domande nuove («Per ricorsi si intendono quello principale, quello incidentale e i motivi aggiunti che introducono domande nuove»).
Il tema della “eccessiva onerosità” del contributo unificato da versare per la proposizione di ricorsi in materia di appalti pubblici è stato più volte portato all’attenzione della Corte costituzionale, essendosi avanzati dubbi circa la conformità a Costituzione di una normativa nazionale che, imponendo un certo tipo di tassazione, rischia di limitare l’accesso del cittadino alla tutela giurisdizionale.
Tuttavia, i giudizi promossi innanzi alla Consulta, tanto in via principale quanto in via incidentale, si sono quasi sempre conclusi, per diverse ragioni, con pronunce di mero rito, in alcune delle quali, peraltro, la Corte non ha mancato di lanciare, in obiter, significativi segnali sul merito delle questioni.
Si segnalano, sul tema, le seguenti pronunce.
Con ordinanza 6.5.2010, n. 164, la Corte costituzionale, pur dichiarando manifestamente inammissibile, per contraddittorietà del petitum, la questione sollevata dalla Comm. trib. prov. di Milano di legittimità costituzionale dell’art. 13, co. 6 bis, d.P.R. n. 115/2002, come modificato dall’art. 1, co. 1307, l. 27.12.2006, n. 296, che prevede nella misura fissa di € 2.000 l’ammontare del contributo unificato per i ricorsi innanzi al giudice amministrativo concernenti le controversie in materia di affidamento di lavori, forniture e servizi pubblici, in riferimento agli artt. 3, 81, co. 3, e 97 Cost., ha comunque sottolineato che, nella materia della determinazione delle spese processuali poste a carico degli utenti della giustizia e nella materia tributaria, vige il principio della discrezionalità e dell’insindacabilità delle opzioni legislative che non siano caratterizzate da una manifesta irragionevolezza, ritenuta nella specie non sussistente.
Con ordinanza n. 61 del 16.4.2015, la Corte ha dichiarato estinti i processi relativi alla questione di legittimità costituzionale dell’art. 1, co. 25, lett. b), n. 4), e 28, della l. n. 228/2012, in conseguenza della rinuncia ai ricorsi delle ricorrenti Province autonome di Trento e di Bolzano, in ottemperanza ad un accordo intervenuto il 15.10.2014 tra le stesse e il Governo, resistente nel giudizio in oggetto.
Con sentenza 7.4.2016, n. 782, la Consulta ha dichiarato inammissibili, per mancanza di un tertium comparationis, tutte le questioni di legittimità costituzionale sollevate dalla Comm. trib. prov. di Campobasso in ordine all’art. 14, co 3 bis, d.P.R. n. 115/2002, la quale aveva basato la sua ordinanza di rimessione sulla non ragionevolezza costituzionale di una determinazione dell’imponibile del contributo unificato in base «a ciascun atto impugnato», in caso di domanda di giustizia tributaria cd. cumulativa3.
In tale pronuncia la Corte esclude che nella fattispecie potesse essere invocata la ragionevolezza, sub specie tributaria (art. 53 Cost.), e che il principio di capacità contributiva, inteso «come limite alla potestà di imposizione», possa «operare con riguardo alle spese di giustizia».
Da ultimo, con sentenza 30.5.2016, n. 120 la Corte ha dichiarato inammissibile la questione di legittimità costituzionale dell’art. 13, co. 1 quater, d.P.R. n. 115/2002 sollevata dalla Corte d’appello di Firenze, in riferimento all’art. 53 Cost., e ha dichiarato non fondata, in riferimento all’art. 3 Cost., la questione di legittimità costituzionale della stessa norma, nella parte in cui, nel prevedere, per l’impugnazione integralmente respinta o dichiarata inammissibile o improcedibile, l’obbligo per la parte proponente di versare un ulteriore contributo unificato pari a quello dovuto per la stessa impugnazione, ne estende l’applicabilità anche al caso in cui l’appello sia dichiarato improcedibile ex art. 348 c.p.c., per mancata comparizione dell’appellante alla prima udienza e a quella successiva di cui gli sia stata data comunicazione.
Tale ultima questione è stata dichiarata infondata per la mancata omogeneità delle situazioni messe a confronto: l’asserita ingiustificata discriminazione tra detta fattispecie e quella di cui all’art. 181 c.c. (in cui il giudice ordina la cancellazione della causa dal ruolo e dichiara l’estinzione del processo a seguito della mancata comparizione delle parti per due udienze di seguito) non sussiste in quanto, nonostante il dato comune rappresentato dalla mancata comparizione, le due fattispecie non sono equiparabili4.
L’incidente di pregiudizialità dinanzi alla Corte di giustizia5 è originato da un contenzioso promosso da Orizzonte Salute, associazione che fornisce servizi infermieristici a favore di enti pubblici e privati, la quale con ricorso, integrato più volte con motivi aggiunti, ha contestato dinanzi al TRGA Trento le successive attribuzioni della gestione dei servizi infermieristici da parte dell’Azienda Pubblica di Servizi alla persona San Valentino – Città di Levico Terme all’Associazione Infermieristica D & F Care, nonché altre decisioni adottate dall‘Azienda.
Orizzonte Salute ha pagato il contributo unificato di € 650, corrispondente al costo di un ricorso ordinario.
Con nota del 5.6.2013, il Segretario generale del TRGA Trento ha invitato Orizzonte Salute a integrare il pagamento fino a € 2.000, ritenendo che, in ragione dei motivi aggiunti, la controversia ricadesse ormai nell’ambito della materia degli appalti pubblici.
Con un nuovo ricorso Orizzonte Salute ha impugnato tale decisione, facendo valere la violazione dell’art. 13, co. 6 bis, del decreto nonché l’illegittimità costituzionale di detta disposizione.
Le amministrazioni statali intimate hanno preliminarmente eccepito il difetto di giurisdizione del giudice amministrativo sulla considerazione che il contributo unificato è una prestazione fiscale la cui contestazione ricadrebbe nella competenza del giudice tributario; nel merito hanno contestato la fondatezza del ricorso.
Il TRGA Trento, con l’ordinanza in rassegna6, pur riconoscendo che il contributo unificato possiede il carattere di una tassa, ha rilevato che, nel caso di specie, non si verteva in tema di opposizione a cartelle esattoriali di pagamento emesse a seguito dell’iscrizione a ruolo del contributo unificato, sicché era inconferente la giurisprudenza della Cassazione invocata dalle amministrazioni statali resistenti, bensì era impugnato un atto emanato dal suo Segretario generale, avente perciò natura di atto amministrativo, come tale assoggettabile al controllo di legittimità del giudice amministrativo.
Il giudice rimettente ha ricordato che, per i processi amministrativi, contrariamente a quanto è previsto per i processi civili, l’importo del contributo unificato non è vincolato al valore della lite e, per particolari materie di diritto amministrativo, sono fissati importi specifici ed ha rilevato che, nell’ambito delle procedure di aggiudicazione di appalti pubblici, il contributo unificato da versare è considerevolmente più elevato degli importi da versare per le controversie amministrative assoggettate al procedimento ordinario.
Posto che il beneficio dell’impresa si presume sia pari, in genere, a circa il 10% dell’importo dell’appalto, il Tribunale rimettente ritiene che il versamento anticipato di un contributo unificato superiore all’importo di detto beneficio possa indurre gli amministrati a rinunciare a taluni meccanismi processuali ponendo problemi di conformità della normativa italiana con i criteri e i principi dell’ordinamento giuridico dell’Unione.
Secondo il giudice del rinvio, la normativa nazionale censurata limiterebbe il diritto di agire in giudizio, inciderebbe sull’effettività del controllo giurisdizionale, discriminerebbe gli operatori che possiedono una debole capacità finanziaria rispetto a quelli che dispongono di un’elevata capacità finanziaria e li porrebbe in una situazione svantaggiosa rispetto a coloro che, nell’ambito delle proprie attività, adiscono i giudici civili; senza che, peraltro, il costo sopportato dallo Stato ai fini del funzionamento della giustizia amministrativa in materia di appalti pubblici, possa dirsi sensibilmente differente, distinto o più elevato di quello relativo ai procedimenti legati ad altri tipi di contenzioso.
Trattandosi di appalto il cui valore, globalmente calcolato, è superiore al limite previsto dalla direttiva 2004/18 il TRGA Trento ritiene che alla fattispecie dedotta in ricorso siano applicabili i principi di effettività, celerità, non discriminazione e accessibilità, di cui all’art. 1 della direttiva 89/665/CEE e che la normativa nazionale censurata si ponga in contrasto con tali principi e con il diritto alla tutela giurisdizionale effettiva, ribadito dall’art. 47 della CEDU.
Sulla base delle superiori considerazioni il TRGA Trento ha sospeso il giudizio e ha sottoposto alla Corte la seguente questione pregiudiziale: «Se i principi fissati dalla direttiva 89/665 ... ostino ad una normativa nazionale ... che [ha] stabilito elevati importi di contributo unificato per l’accesso alla giustizia amministrativa in materia di contratti pubblici».
L’Avvocato Generale Niilo Jääskinen, nelle conclusioni depositate il 7.5.20157, ha esordito con un richiamo di significativa coloritura: «Si dice che il giudice del XIX secolo Sir James Matthew abbia affermato che “in Inghilterra la giustizia è aperta a tutti, come l’Hotel Ritz”. La causa in esame fornisce alla Corte l’opportunità di considerare se lo stesso valga per i procedimenti giurisdizionali relativi all’aggiudicazione di appalti pubblici in Italia disciplinati dal diritto dell’Unione sugli appalti pubblici».
All’esito di puntuale analisi della normativa, denunciata di contrasto con gli obiettivi della direttiva 89/665/CEE, l’Avvocato Generale ha affermato: «La direttiva 89/665/CEE del Consiglio, del 21/12/1989, che coordina le disposizioni legislative, regolamentari e amministrative relative all’applicazione delle procedure di ricorso in materia di aggiudicazione degli appalti pubblici di forniture e di lavori, come modificata, interpretata alla luce dell’art. 47 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea, e dei principi di equivalenza ed effettività, non osta ad una normativa nazionale che stabilisce un tariffario di contributi unificati applicabili solo ai procedimenti amministrativi in materia di contratti pubblici, purché l’importo del tributo giudiziario non costituisca un ostacolo all’accesso alla giustizia né renda l’esercizio del diritto al sindacato giurisdizionale in materia di appalti pubblici eccessivamente difficile. Non è compatibile con la direttiva 89/665, interpretata alla luce dell’art. 47 della Carta, la riscossione di più tributi giudiziari cumulativi in procedimenti giurisdizionali in cui un’impresa impugna la legittimità di un’unica procedura di aggiudicazione di un appalto ai sensi dell’art. 2, paragrafo 1, lett. b della direttiva 89/665, a meno che ciò possa essere giustificato ai sensi dell’art. 52 paragrafo 1, della Carta, il che deve essere valutato dal giudice nazionale del rinvio».
L’Avvocato Generale, segnatamente, argomenta le proprie tesi seguendo due direttrici: la prima inerente la valutazione generale della compatibilità, con il diritto comunitario, del contributo unificato fissato dalla normativa italiana per i ricorsi in materia di appalti pubblici. Su tale tema l’Avvocato Generale, pur ammettendo che uno Stato membro possa prevedere, al proprio interno, un sistema di tassazione diversificato per il contenzioso amministrativo in materia di appalti pubblici, non rientrando essi nella politica sociale e potendo il pagamento di un più alto contributo unificato costituire un sistema di finanziamento dei costi della giustizia ed un freno alle azioni temerarie, tuttavia obietta che l’importo dovuto non debba essere talmente alto da ostacolare di fatto l’esercizio del diritto di difesa, riconosciuto e tutelato anche dall’art. 47 della Carta di Nizza8. La seconda direttrice riguarda la previsione dell’obbligo di versare un ulteriore contributo unificato in caso di ricorso incidentale o di motivi aggiunti. Su tale seconda questione l’Avvocato Generale ritiene che il pagamento dell’ulteriore contributo sia un fattore dissuasivo eccessivo e sproporzionato, traducendosi di fatto in un ostacolo significativo all’esercizio del diritto di difesa, come tale, dunque, in contrasto con il diritto comunitario.
L’Avvocato Generale, pur non sottovalutando l’autonomia degli Stati membri nel dettare le modalità procedurali per i ricorsi in materia di appalti pubblici, ricorda che tale autonomia soffre limitazioni imposte dal principio di equivalenza e, soprattutto, dal principio di effettività della tutela giurisdizionale, come garantita dalla direttiva 89/665 e dall’art. 47 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione.
Se l’obbligo di pagare tributi per accedere alla giustizia non può essere considerato di per sé incompatibile con l’art. 6, par. 1, CEDU e, quindi, con il diritto al “sindacato giurisdizionale”, tuttavia l’importo del contributo unificato, cumulativo, può costituire un ostacolo che «impedisce alla parte contendente di ottenere una decisione della sua causa nel merito da parte del giudice competente»9.
La Corte inquadra innanzitutto il diritto dell’Unione invocabile nel caso sottoposto al suo vaglio. L’art. 1 della direttiva 89/665, intitolato «Ambito di applicazione e accessibilità delle procedure di ricorso», dispone tra l’altro, che gli Stati membri: adottano i provvedimenti necessari per garantire che, per quanto riguarda gli appalti disciplinati dalla direttiva 2004/18/CE, le decisioni prese dalle amministrazioni aggiudicatrici possano essere oggetto di un ricorso efficace e quanto più rapido possibile; garantiscono che non vi sia alcuna discriminazione tra le imprese suscettibili di far valere un pregiudizio nell’ambito di una procedura di aggiudicazione di un appalto, a motivo della distinzione tra le norme nazionali che recepiscono il diritto dell’Unione e le altre norme nazionali; provvedono a rendere accessibili le procedure di ricorso, disciplinandone le relative modalità, a chiunque abbia o abbia avuto interesse a ottenere l’aggiudicazione di un determinato appalto e sia stato o rischi di essere leso a causa di una presunta violazione.
Tanto premesso, la Corte passa ad esaminare la questione posta dal TRGA Trento, ossia se l’art. 1 della dir. 89/665 nonché i principi di equivalenza e di effettività debbano essere interpretati nel senso che essi ostano a una normativa nazionale, quale quella censurata nel procedimento principale, che impone, per la proposizione di un ricorso in materia di appalti pubblici, il versamento di tributi giudiziari più elevati che in altre materie.
In linea generale la Corte osserva che la richiamata dir. 89/665 riconosce agli Stati membri un potere discrezionale nella scelta delle garanzie procedurali e delle formalità ad esse relative ma non contiene alcuna disposizione attinente specificamente ai tributi giudiziari da versare per proporre ricorso avverso gli atti di una procedura di aggiudicazione di appalti pubblici.
Richiamando precedenti pronunce, la Corte afferma che, in assenza di una disciplina dell’Unione in materia, spetta a ciascuno Stato membro stabilire le modalità delle procedure, amministrativa e giurisdizionale, intese a garantire la tutela dei diritti spettanti agli amministrati in forza del diritto dell’Unione.
Tali modalità procedurali non devono, tuttavia, essere meno favorevoli di quelle che riguardano ricorsi analoghi previsti per la tutela dei diritti derivanti dall’ordinamento interno (principio di equivalenza), né devono rendere praticamente impossibile o eccessivamente difficile l’esercizio dei diritti riconosciuti dall’Unione (principio di effettività).
Tanto premesso in linea generale, la Corte passa a verificare se la normativa italiana censurata possa essere considerata conforme ai principi di equivalenza e di effettività nonché all’effetto utile della dir. 89/665.
Chiarito che la suddetta direttiva si applica agli appalti (di cui alla dir. 2004/18) il cui valore stimato al netto dell’IVA è pari o superiore alla soglia di € 193.000, la Corte ricorda che il regime italiano dei tributi giudiziari oggetto di censura prevede tre importi fissi di contributo unificato e possiede, complessivamente inteso, carattere degressivo tant’è che il contributo unificato da versare, espresso in percentuale dei valori limite delle tre categorie di appalti
pubblici, varia in misura inversamente proporzionale all’aumento del valore dell’appalto.
Ciò posto, osservato che i tributi in questione non sono superiori al 2% del valore dell’appalto, ritiene che essi non siano tali da rendere praticamente impossibile o eccessivamente difficile l’esercizio del diritto di difesa.
Segnatamente, per quanto riguarda la fissazione del contributo unificato in funzione del valore dell’appalto, anziché in funzione del beneficio che l’impresa può legittimamente attendersi dall’appalto stesso, la Corte ricorda, da un canto, che diversi Stati membri riconoscono la possibilità di commisurare i tributi processuali al valore della controversia; dall’altro che, in tema di appalti pubblici, un sistema che imponga calcoli specifici per ogni procedura e per ogni impresa, il cui risultato potrebbe essere contestato, risulterebbe complicato e imprevedibile.
In ordine alla doglianza per cui l’applicazione del contributo unificato italiano pregiudicherebbe gli operatori che possiedono una debole capacità finanziaria, la Corte rileva innanzitutto che tale contributo è imposto indistintamente a tutti coloro che intendano proporre ricorso avverso una decisione delle amministrazioni aggiudicatrici, sicché tale sistema non crea una discriminazione tra gli operatori che esercitano nello stesso settore di attività. Inoltre osserva che la partecipazione di un’impresa ad una gara per un appalto pubblico presuppone di per sé una capacità economica e finanziaria adeguata.
Infine ricorda che, sebbene la parte ricorrente abbia l’obbligo di anticipare il contributo unificato all’atto di proposizione del ricorso, la parte soccombente è tenuta, in linea di principio, a rimborsare i tributi giudiziari anticipati dalla parte che risulta vincitrice10.
Alla luce delle superiori considerazioni la Corte ritiene che la normativa italiana, sospetta di contrasto con il diritto dell’Unione, rispetti il principio di effettività.
Quanto al principio di equivalenza, secondo la Corte la circostanza che, per i ricorsi in materia di appalti pubblici, il contributo unificato da versare è considerevolmente più elevato rispetto, sia agli importi da versare per le altre controversie amministrative, sia rispetto ai tributi giudiziari dovuti nei giudizi civili, non può, di per sé, dimostrare una violazione di detto principio, il quale postula un pari trattamento dei ricorsi fondati su una violazione del diritto nazionale e di quelli, simili, fondati su una violazione del diritto dell’Unione, ma non già l’equivalenza delle norme processuali nazionali applicabili a contenziosi di diversa natura, quali il contenzioso civile, da un lato, e quello amministrativo, dall’altro, o a contenziosi che ricadono in due differenti settori del diritto. Ciò chiarito, poiché nella fattispecie sottoposta al suo esame non è prospettata alcuna disparità, in tema di contributo unificato italiano, fra i ricorsi che denunciano violazione dei diritti riconosciuti dal diritto dell’Unione in materia di appalti pubblici e quelli che denunciano violazione del diritto interno nella stessa materia, la Corte conclude che il sistema del contributo unificato, fissato dalla legge italiana per la proposizione di un ricorso davanti al giudice amministrativo in materia di appalti pubblici, non lede né l’effetto utile della direttiva 89/665 né i principi di equivalenza e di effettività.
A conclusioni solo parzialmente diverse giunge la sentenza in rassegna per quanto riguarda il cumulo di contributi unificati da versare per la proposizione di gravami che confluiscano all’interno di un unico giudizio.
Premesso che, secondo la normativa nazionale, il contributo unificato deve essere versato non solo all’atto del deposito del ricorso introduttivo del giudizio, ma anche per i ricorsi incidentali e i motivi aggiunti che introducono domande nuove nel corso del giudizio e che, ai sensi di una circolare del Segretario generale della Giustizia Amministrativa del 18.10.200111, solo l’introduzione di atti processuali autonomi rispetto al ricorso introduttivo del giudizio e intesi ad estendere considerevolmente l’oggetto della controversia dà luogo al pagamento di tributi supplementari, la Corte afferma che, in linea di principio, la corresponsione di tributi giudiziari multipli e cumulativi nello stesso giudizio non si pone in contrasto né con l’art. 1 della direttiva 89/665, letto alla luce dell’art. 47 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea, né con i principi di equivalenza e di effettività. Tale gettito tributario, infatti, contribuisce al buon funzionamento del sistema giurisdizionale, in quanto costituisce una fonte di finanziamento dell’attività giurisdizionale degli Stati membri e dissuade l’introduzione di domande manifestamente infondate o dilatorie. Segnatamente, secondo la sentenza in rassegna, tali obiettivi possono giustificare un’applicazione multipla di tributi giudiziari solo se gli oggetti dei ricorsi o dei motivi aggiunti sono effettivamente distinti e costituiscono un ampliamento considerevole dell’oggetto della controversia già pendente. Viceversa, se la situazione non è in tali termini, la proposizione di un ricorso incidentale o di motivi aggiunti non può assurgere di per sé sola a presupposto per richiedere tributi aggiuntivi, in quanto ciò comporterebbe un aggravio significativo e ingiustificato del costo di accesso alla giustizia amministrativa, tale da arrecare un vulnus al principio di effettività e da compromettere l’effetto utile della dir. 89/665.
La Corte osserva che quando una persona propone diversi ricorsi giurisdizionali o presenta diversi motivi aggiunti nell’ambito dello stesso giudizio, la sola circostanza che il suo obiettivo sia quello di conseguire l’aggiudicazione dell’appalto (ossia il bene della vita cui aspira), non comporta necessariamente che i ricorsi proposti o i motivi formulati abbiano identico oggetto. Pertanto, in caso di contestazione circa la debenza del contributo unificato per ciascun atto ulteriore (ricorso incidentale o motivi aggiunti), spetta al giudice nazionale esaminarne l’oggetto e dispensare l’amministrato dall’obbligo di pagamento di tributi giudiziari cumulativi ove accerti che i singoli atti impugnatori non abbiano effettivamente oggetto diverso o non costituiscano un ampliamento considerevole dell’oggetto della controversia già pendente.
La tassazione italiana riguardante il contributo unificato da versare all’atto della presentazione di un ricorso dinanzi al Giudice amministrativo in materia di appalti pubblici esce sostanzialmente indenne dal vaglio della Corte di giustizia.
Assumendo come parametro la misura percentuale di incidenza del tributo e considerato ragionevole l’ammontare percentuale che ne risulta, ossia in misura inferiore al 2% del valore degli appalti considerati dalla normativa, la Corte si avvale di un criterio quantitativo che, da una parte, giustifica l’imposizione tributaria in termini di equità e sostenibilità finanziaria e, dall’altra, salvaguarda le esigenze di bilancio degli Stati membri e gli impegni da ciascuno assunti di riduzione del debito pubblico.
Tuttavia l’indubitabile discrezionalità del legislatore nazionale in subjecta materia, nella ricostruzione della Corte, subisce un temperamento nell’ipotesi in cui si richieda un cumulo di tributi, idoneo come tale ad incidere in modo pregnante sull’accesso alla giustizia amministrativa. In tale ipotesi la Corte subordina la legittimità della pretesa tributaria dello Stato alla verifica giudiziale del considerevole ampliamento dell’oggetto della controversia.
Le conclusioni cui giunge la Corte evidenziano diversi profili problematici.
La sentenza innanzitutto fissa due paletti di tipo processuale: il primo è che la verifica sia attivata a impulso di parte, è cioè necessaria una contestazione della parte interessata circa l’esigibilità dell’ulteriore contributo; il secondo è che il soggetto cui è demandato lo scrutinio, in ordine al considerevole ampliamento della controversia, è il giudice nazionale.
Quanto al criterio che il giudice nazionale deve seguire per valutare se la proposizione dell’ulteriore gravame ampli il thema decidendum e, dunque, giustifichi il pagamento dell’ulteriore tributo, la sentenza nulla dice, limitandosi a fornire soltanto un elemento in negativo: ha infatti escluso che l’unicità del bene della vita cui aspira il ricorrente, ossia l’aggiudicazione dell’appalto, possa costituire il discrimine per stabilire se un ricorso incidentale o per motivi aggiunti abbia considerevolmente ampliato l’oggetto della controversia.
A parere di chi scrive, un primo profilo problematico è rappresentato dal fatto che, secondo la soluzione prescelta dalla Corte, l’automatismo tipico della prestazione tributaria, ricollegata al verificarsi del presupposto fissato per legge, viene meno laddove la parte, richiesta del versamento del contributo unificato aggiuntivo, ne contesti la debenza, poiché l’accertamento del presupposto impositivo viene demandato, in tal caso, al giudice.
Un secondo profilo risiede nel non avere la Corte chiarito il parametro che dovrà utilizzare il giudice nazionale per la necessaria verifica.
La soluzione, ragionevolmente, andrà ricercata all’interno delle regole processuali, valutando caso per caso la quantità e qualità delle censure poste a fondamento del ricorso incidentale o dei motivi aggiunti ma, a parere di chi scrive, non potrà spingersi, proprio perché assenti parametri oggettivi e predeterminati, fino a far dipendere l’insorgenza del presupposto dell’imposizione tributaria, che per definizione deve essere predeterminato per legge, dall’apprezzamento del giudice circa il maggiore o minore aggravio, nel pervenire alla decisione del ricorso principale, che deriva dalla intervenuta proposizione del ricorso incidentale o dei motivi aggiunti.
Un terzo profilo problematico riguarda il nodo, lasciato irrisolto dalla sentenza, se l’accertamento spetti al giudice amministrativo adito ovvero al giudice tributario.
Su tale ultima questione si registrano, in giurisprudenza, diversi orientamenti.
Innanzitutto, come si è visto, il TRGA Trento, giudice rimettente nella fattispecie in esame, ha ritenuto la propria giurisdizione sull’impugnazione dell’atto del Segretario Generale che richiedeva il versamento dell’ulteriore contributo unificato, ritenendolo un atto amministrativo, sebbene diretto ad esigere una prestazione tributaria.
Il Consiglio di Stato12, interpellato, incidentalmente, sulla necessità di corrispondere il contributo unificato, rileva che ancorché la questione pregiudiziale esaminata dalla sentenza della C. giust. UE, sez. V, 6.10.2015, in C-61/14 – che ha affermato che la legge italiana che prevede contributi multipli in caso di ricorsi avverso la medesima aggiudicazione non contrasta col diritto comunitario, ma anche che spetta al giudice nazionale accertare se gli oggetti dei ricorsi «non sono effettivamente distinti o non costituiscono un ampliamento considerevole dell’oggetto della controversia già pendente», e, nel caso, di «dispensare l’amministrato dall’obbligo di pagamento di tributi giudiziari cumulativi» – fosse nata con riferimento all’ipotesi dei successivi ricorsi per motivi aggiunti, la pronuncia esprime un principio idoneo a comprendere anche la duplicità degli appelli incidentali. Ciò posto la sentenza afferma che l’esenzione dal contributo unificato non spetta se la duplicità è dovuta ad una scelta dell’appellante incidentale, che avrebbe potuto difendersi con semplice memoria e, di conseguenza, ha respinto la relativa domanda. In questa circostanza, dunque, il giudice amministrativo si è fatto carico della domanda di esonero posta da una delle parti, facendo diretta applicazione del criterio interpretativo fornito dal giudice comunitario, pur in assenza di un provvedimento adottato dalla Segreteria dell’organo giurisdizionale adito (la parte aveva versato il contributo soltanto per uno dei due appelli incidentali).
Di diverso avviso la giurisprudenza più recente13, secondo cui l’istanza per il rimborso del contributo unificato deve essere rivolta alla Segreteria Generale del Tribunale, essendo questa competente a determinare l’obbligo di pagamento di tale contributo e la sua quantificazione. La Segreteria dovrà valutare, anche alla luce della decisione della C. giust. UE n. 61/2015, la sussistenza del presupposto impositivo, consistente nell’ampliamento della domanda proposta con i ricorsi per motivi aggiunti rispetto alla domanda proposta con il ricorso introduttivo; in sostanza, deve valutare l’assoggettabilità dei ricorsi per motivi aggiunti ad ulteriore contributo.
Ne discende che le eventuali contestazioni in ordine all’operato impositivo del predetto organo amministrativo vanno considerate di natura tributaria14 e, quindi, esulano dalla cognizione del giudice amministrativo per rientrare in quella del giudice tributario. In questo caso la giurisprudenza, come nel caso del TRGA Trento rimettente alla Corte di giustizia, postula, per l’ottenimento di una pronuncia giudiziale, l’interposizione di un atto amministrativo, ma ritiene che la giurisdizione spetti al giudice tributario15.
Si tratta di una impostazione ermeneutica non perfettamente in linea con quanto statuito dalla Corte di giustizia, che ha espressamente demandato al giudice nazionale, e non già all’organo amministrativo, la valutazione in ordine alla sussistenza del presupposto impositivo in termini di ampliamento della domanda.
Note
1 C. giust., 6.10.2015, C-61/14, Orizzonte Salute c. Azienda Pubblica di Servizi alla Persona San Valentino. Per un commento v. Vuolo, A., La decisione della Corte di Giustizia in materia di contributo unificato: ovvero dell’impossibilità di pervenire ad assestamenti definitivi nella tutela multilivello dei diritti, in www.federalismi.it, XXIII, 2015; Savarese, E., Contributo unificato in materia di appalti pubblici: la Corte di Giustizia propende per una legittimità…condizionata, in www.iurisprudentia.it, II, 2016. Più in generale, sulle misure di deflazione del contenzioso, v. Sandulli, M.A., Le nuove misure di deflazione del contenzioso amministrativo: prevenzione dell’abuso di processo o diniego di giustizia?, in www.federalismi.it, 24.10.2012.
2 Scalinci, C., Contributo unificato per la domanda “cumulativa” di giustizia tributaria, tertium comparationis e sindacato di ragionevolezza costituzionale (nota a Corte cost., sent. 7 aprile 2016, n. 78), in Riv. dir. trib., supplem. on line, V, 2016.
3 In tema di elusione degli obblighi fiscali in caso di ricorsi cumulativi, v. Cons. St., A.P., 27.4.2015, n. 5; anche: TAR Toscana, 27.4.2016, n. 709.
4 Marino, G., La disciplina del raddoppio del contributo unificato nel giudizio di appello è incostituzionale?, in Dir. giust., XXVI, 2016, 18 ss.
5 TRGA Trentino Alto Adige, Trento, 29.1.2014, n. 23; questione analoga è stata rimessa dallo stesso Tribunale, con ordinanza 23.10.2014, n. 366.
6 V. Daidone, A., L’effettività della tutela giurisdizionale e la misura del contributo unificato nella materia dei contratti pubblici (nota a TRGA Trento, ordinanza 29 gennaio 2014, n. 23), in Riv. it. dir. pubbl. com., 2014, II, 478 ss.; Satta, F., Appalti pubblici e infrastrutture: per una maggiore efficacia della giurisdizione amministrativa, in Foro amm., 2014, V, 1643 ss.; Presutti, L., L’incompatibilità del contributo unificato negli appalti pubblici con la direttiva ricorsi (nota a TRGA, Trento, ord. 29 gennaio 2014, n. 23), in Urb. app., 2014, VI, 708 ss.; Gili, L., Avvocato ma quanto mi costi? Note e divagazioni sull’attuale diritto alla difesa in materia di affidamento di contratti pubblici, in Dir. econ., 2012, II, 355 ss.
7 Reperibili sul sito istituzionale della C. giust. UE nonché su www.lexitalia.it, V/2015.
8 Il Trattato di Lisbona, entrato in vigore l’1.12.2009, sebbene non abbia incorporato il testo della Carta dei diritti, la include sotto forma di allegato, conferendole così carattere giuridicamente vincolante all’interno dell’ordinamento dell’Unione, secondo quanto disposto dall’art. 6: «L’Unione riconosce i diritti, le libertà e i principi sanciti nella Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea del 7/12/ 2000, adottata il 12/12/2007 a Strasburgo, che ha lo stesso valore giuridico dei trattati».
9 C. eur. dir. uomo, 5.12.2013, Omerović c. Croazia.
10 Per l’applicazione del principio: TAR Campania, Napoli, 27.5.2016, n. 2759; Cons. St., 23.10.2015, n. 4887.
11 A puntualizzazione della materia, dopo la pronuncia della Corte di giustizia in commento, si veda la circolare del Segretario Generale della Giustizia Amministrativa del 23.10.2015, in www.giustizia-amministrativa.it.
12 Cons. St., 10.11.2015, n. 5128.
13 TAR Campania, Napoli, 4.5.2016, n. 2212; TRGA Trentino Alto Adige, Trento, 6.4.2016, n. 181; TAR Sicilia, Catania, 28.1.2016, n. 295; TAR. Puglia, Bari, 18.12.2015, n. 1649.
14 Sulla natura tributaria del contributo unificato v. C. cost., 11.2.2005, n. 73, secondo cui la natura giuridica del contributo unificato è di “entrata tributaria erariale” indipendentemente dal nomen iuris utilizzato dalla normativa che lo disciplina, in quanto: 1. è stato istituito in forza di legge a fini di semplificazione e in sostituzione di tributi erariali gravanti anch’essi su procedimenti giurisdizionali, quali l’imposta di bollo e la tassa di iscrizione a ruolo, oltre che dei diritti di cancelleria; 2. si applicano al contributo unificato le stesse esenzioni previste dalla precedente legislazione per i tributi sostituiti e per l’imposta di registro sui medesimi procedimenti giurisdizionali; 3. si configura quale prelievo coattivo volto al finanziamento delle spese degli atti giudiziari; 4. Ancorché connesso alla fruizione del servizio giudiziario, è commisurato forfetariamente al valore dei processi e non al costo del servizio reso o al valore della prestazione erogata.
15 Dello stesso avviso, sebbene con formulazione meno esplicita, l’orientamento che ha escluso la giurisdizione del giudice amministrativo in ordine alla domanda di accertamento di non debenza del contributo unificato per gli atti giudiziari con specifico riferimento ad atto per motivi aggiunti (TAR Sicilia, Catania, 16.3.2016, n. 813; Cass., S.U., 14.3.2016, n. 4909).