LOPRESTI, Lucia (pseudonimo Anna Banti)
Nacque a Firenze il 27 giugno 1895, da Luigi Vincenzo, calabrese ma di origini siciliane, avvocato delle Ferrovie, e da Gemma Benini, originaria di Prato.
Dell'infanzia e dell'adolescenza, al di là di quello che si può indovinare dalle successive trasfigurazioni della memoria narrativa, la L. ricorda esplicitamente la passione per il "raccontare storie" e l'itinerario delle letture, C. Goldoni, A. Dumas, J. Verne, H. de Balzac, A. Manzoni, G. Leopardi: "Infine il coup de foudre, Proust" (v. lettera a G. Leonelli del 4 febbr. 1973, in Arch. Leonelli).
Dopo un soggiorno bolognese, la famiglia si trasferì a Roma, dove la L. frequentò il liceo Tasso e dove, nel 1913-14, in terza liceo, ebbe come insegnante, per l'allora sperimentale corso di storia dell'arte, R. Longhi.
"Non sapevamo di ascoltare una specie di rivoluzionario, ma chi fra noi lo capì gli rimase fedele al punto che bellezza, grazia, forza, maestosità acquistarono per lui un nuovo significato" (A. Banti, Premessa, in R. Longhi, Breve ma veridica storia della pittura italiana, Milano 2001, p. 3).
L'ammirazione per l'insegnante divenne, nel passaggio dal liceo all'università, l'amore intenso testimoniato dalle lettere inedite conservate a Pavia.
L'epistolario è lo specchio di un rapporto tenero e appassionato, fatto anche di vezzeggiativi e di lacrime, di appuntamenti clandestini, di sotterfugi postali, di scambi di disegni e di giochi, ma dal quale è possibile ricavare anche altri dati non insignificanti per la storia della L.; come dalla lettera del 21 genn. 1917, in cui, raccontando della sua visita ad A. Venturi per l'assegnazione della tesi di laurea, scrive di aver scelto la tesi su M. Boschini suggeritale da Longhi. E affiorano anche alcuni interessi cui la L. sarebbe rimasta lungamente fedele: quello per Giovanni da San Giovanni (Giovanni Mannozzi; lettere del 1916, in particolare quella del 7 febbraio), quello per L. Lotto (lettere dell'agosto 1915 e del 28 ag. 1917), quello, infine, per Colette, suggestivamente definita, in una lettera della fine del 1916, una Artemisia Gentileschi della letteratura moderna.
Sono i primi anni degli studi universitari, compiuti nella facoltà di lettere dell'Università di Roma, dove si laureò, avendo come relatore A. Venturi. Nella rivista diretta dallo stesso Venturi, L'Arte (XXII [1919], 1-2), apparve poi il saggio Marco Boschini, scrittore d'arte del secolo XVII, apprezzato da B. Croce nella Critica. Altri scritti di storia dell'arte la L. pubblicò nella stessa rivista (Di alcuni affreschi pregevoli tra il secolo decimosesto e il decimosettimo, ibid., XXIII [1920], 1-2; Pietro Testa, incisore e pittore, ibid., XXIV [1921], 1-2; Una raccolta di xilografie cinesi, ibid.; Un appunto per la storia di Michelangelo da Caravaggio, ibid., XXV [1922], 2-3; Sul tempo più probabile della "Madonna dei Pellegrini" a S. Agostino, ibid., 4; Tre sculture di un siciliano a Roma, ibid., XXX [1927], 2) e in Pinacotheca, diretta da Longhi e da E. Cecchi (Matteo Toni, I [1928], 3; Francesco Cozza, II [1929], 2).
Se la scelta degli argomenti e certi vezzi lessicali e stilistici rimandavano a Longhi, i saggi su Matteo Toni e Francesco Cozza presentavano già "una provetta professionista. La crescita mentale e l'autonomia di procedimenti di questi saggi […] vanno tenute presenti come una ineludibile premessa della sua successiva attività di scrittrice" (M. Gregori, Gli scritti di critica d'arte di Anna Banti, in L'opera di A. Banti, p. 22). Tale osservazione non deve far dimenticare che la L., quando "era ancora Lucia Lopresti, fu, oltre il resto, una archivista eccellente, e fece alcune scoperte fondamentali sulla cronologia di Caravaggio" (cfr. Diligenza e voluttà. L. Ripa di Meana interroga G. Contini, Milano 1989, p. 105).
La relazione con Longhi era continuata, intanto, con alti e bassi, fin quando i rapporti fra i due si avviarono decisamente verso quella che sarebbe stata la loro difficile e ricca simbiosi, superando le resistenze di Longhi, "restio non a lei ma alle nozze in genere" (ibid.). Negli anni immediatamente successivi al matrimonio, celebrato il 31 genn. 1924, la L., malgrado le eccellenti premesse, interruppe la sua attività di studiosa professionale di storia dell'arte. Poco si conosce della vita e dell'attività della L. fino alla metà degli anni Trenta, quando pose fine al suo silenzio critico e creativo. Certo contarono le relazioni di Longhi nell'ambiente culturale e artistico di Roma, in particolare l'amicizia con E. Cecchi, verso il quale la L. nutrì sempre grande stima e affetto, per la sua "lezione stimolante, un vento di tramontana che asciugava le tante sbavature postdannunziane" (A. Banti, La presenza di E. Cecchi, in Paragone, 1966, n. 200, pp. 179 s.), riconoscendogli il ruolo di un "maestro che [la] aveva liberata dal concepire la letteratura in forma di vacuo esercizio retorico" (L'Approdo letterario, 1967, n. 40, p. 87).
Particolarmente intensa fu anche l'amicizia con Leonetta Cecchi Pieraccini, moglie di Emilio, consolidata, nel 1928, in una comune villeggiatura a Quercianella. Agli anni Trenta risale anche l'amicizia con Gianna Manzini e Maria Bellonci, con la quale i rapporti si guastarono intorno al 1970.
I due rimasero a Roma fino al 1934, quando Longhi andò a ricoprire la cattedra di storia dell'arte a Bologna, dove la coppia prese casa al n. 45 di strada Maggiore, pur continuando a dividersi con la capitale. Attirati dal fascino di Longhi, comparvero tra i suoi studenti letterati come G. Bassani, P.P. Pasolini, A. Bertolucci, il quale fu anche il tramite per una triangolazione culturale fra Bologna, Parma e Forte dei Marmi, dove negli anni Trenta, e anche in seguito, le estati avevano una forte caratterizzazione culturale, in particolare nell'ambiente che frequentava il caffè Roma.
Fu così, per esempio, che la L. conobbe il parmense P. Bianchi, ammirato come estroverso uomo di cultura e appassionato di cinema, che sarebbe divenuto collaboratore di Paragone e, a sua volta, avrebbe ospitato contributi della L. in riviste quali L'Illustrazione italiana, Palatina e Settimo Giorno.
Nel 1934 uscì su Occidente, anticonformistica rivista diretta da A. Ghelardini, editore nello stesso 1934 di Officina ferrarese di Longhi, il primo testo narrativo della L., Cortile, firmato Anna Banti.
Il nome d'arte, quello di una bellissima signora, parente della famiglia della madre, la cui immagine le era rimasta impressa nella memoria sin da bambina, se "lo era conquistato da sé, con amarezza e audacia, avendo rifiutato la sua nascita e il suo stato civile: se falliva, il suo insuccesso non avrebbe coinvolto nessuno" (Un grido lacerante, Milano 1981, p. 50), in particolare il marito.
La scelta di mantenere separati i campi di lavoro fu probabilmente decisiva per la vita della coppia, anche se sulle sue ragioni e implicazioni la L. non avrebbe cessato di interrogarsi. Con l'autorevole avallo di Cecchi (Omnibus, 17 apr. 1937, p. 6) uscì nel 1937 Itinerario di Paolina, raccolta di prose autobiografiche sull'infanzia e sull'adolescenza dell'autrice, influenzate, forse, "dalla prosa di Cecchi e - naturalmente - di Longhi. Non credevo di "far sul serio" e mi sentivo legata. Penso che Il coraggio delle donne sia stato il mio primo gesto di libertà" (lettera a G. Leonelli, 4 febbr. 1973, in Arch. Leonelli). Il coraggio delle donne è il titolo eponimo della raccolta di racconti (Firenze 1940), alla quale seguirono il primo romanzo Sette lune (Milano 1941) e le prose di Le monache cantano (Roma 1942). Importante, negli anni che vanno dal 1939 al 1941, la collaborazione a L'Italia letteraria, a Bellezza e, in particolare, al settore culturale del rotocalco Oggi, diretto da A. Benedetti e M. Pannunzio, con ritratti storici e letterari, articoli di costume e alcuni racconti.
Gli ironici articoli di costume aprono in qualche modo la strada alle future eroine bantiane, colpendo una femminilità oziosa e schiava delle mode, delineata in "figure rabbiosamente mute che corrodono internamente la radiosa immagine muliebre cara al Ventennio" (B. Montagni, Donne in grigio. A. Banti scrittrice di costume, in Paragone, 1991, n. 500, p. 31). Come ebbe a scrivere anni più tardi la L., la formula dei settimanali di gusto longanesiano, "sottoscritta da un gruppo molto ristretto di collaboratori", era quella di "un antifascismo sottopelle, giocato fra ironia e scetticismo, al riparo di note di costume alquanto nostalgiche delle vecchie cose di pessimo gusto" (rec. a L'esplosione di A. Benedetti, in Paragone, 1967, n. 224, p. 130; v., in proposito, S. Fiori, Negli anni del fascismo. Un rotocalco anomalo: "Oggi" 1939-1942, in Rass. della letteratura italiana, 1986, n. 1-2, in partic. pp. 162 s.).
Dalla fine del 1938, dopo l'acquisto della villa Il Tasso, in via Benedetto Fortini 30, la residenza dei Longhi fu a Firenze, mentre avrebbero trascorso le vacanze estive (ospitando anche amici, fra cui i Cecchi) nella villa La Turchina, in località Poveromo (Marina di Massa), sequestrata nel 1943 dai Tedeschi. Nel 1939 la L. accompagnò il marito al congresso storico-artistico di Londra; il 3 ott. 1942 i Longhi erano a Roma per il matrimonio di Giuditta Cecchi, figlia di Emilio e Leonetta, con il pittore A. Bartoli Natinguerra.
Il matrimonio fu una parentesi negli anni di guerra, duri, soprattutto gli ultimi, anche perché Longhi, rifiutatosi di prestare servizio nella Repubblica di Salò, fu sospeso dall'insegnamento: "la vita, naturalmente, è limitatissima, un nero pozzo" (a L. Cecchi Pieraccini, 5 dic. 1943), "non mi ricordo altro che del ripetersi dei medesimi gesti animaleschi di mangiare e dormire, un giorno dopo l'altro" (alla stessa, 8 febbr. 1944).
Nel 1944 i Longhi si trasferirono nella piccola casa di borgo S. Jacopo, da dove furono costretti a rifugiarsi, insieme con migliaia di altri sfollati, in palazzo Pitti a causa dell'ordine di evacuazione emanato il 29 luglio dal comando tedesco. Nella notte fra il 3 e il 4 agosto, borgo S. Jacopo, insieme con la zona intorno al ponte Vecchio e agli altri ponti fiorentini, fu minato e fatto saltare in aria dai Tedeschi in fuga: nella rovina della casa andarono persi anche i manoscritti dei romanzi Artemisia e Il bastardo.
Il segno di queste esperienze è inciso, oltre che nelle note pagine di Artemisia, nelle prose di Le veglie di Pitti (datate 1944, pubblicate in Paragone, 1982, n. 384, pp. 3-11), così struggenti nella rievocazione dell'improvvisa solidarietà tra gli sfollati, così amare nel dover constatare, all'arrivo degli Alleati, che "La repubblica di Pitti [era] stata un sogno" (p. 11).
Artemisia, riscritta, uscì a Firenze nel 1947, Il bastardo nel 1953 (ibid.; ed. riv., con il titolo La casa piccola, Milano 1961), preceduto dai racconti di Le donne muoiono (Milano 1951, premio Viareggio 1952), tra cui il bellissimo Lavinia fuggita, e seguito dal romanzo Allarme sul lago (ibid. 1954, premio Marzotto 1955) e dalla raccolta La monaca di Sciangai e altri racconti (ibid. 1957, premio Veillon 1957). Dopo la guerra l'abitazione dei Longhi restò la villa Il Tasso, mentre residenza estiva fu la villetta Il Cancello rosso di Ronchi (Marina di Massa), acquistata nel 1955.
Tra il 1945 e il 1948 l'attività giornalistica della L. - collabora con Il Mondo di A. Bonsanti, Mercurio di A. De Céspedes, La Patria di A. Giovannini -, oscilla ancora, sia pure con diversa consapevolezza storica, fra il pezzo di costume e la notazione autobiografica, mentre, dalla fine del 1948, si orienta, dapprima nell'Illustrazione italiana, poi in Paragone, su una intensissima attività di lettrice e rilettrice di novità e di testi classici. Nel 1949, infatti, Longhi era stato chiamato a insegnare a Firenze, dove, nel 1950, fondò la rivista Paragone, che, nell'originale formula dell'alternanza di un numero mensile dedicato all'arte e di uno dedicato alla letteratura, sembrava ratificare pubblicamente la coesistenza delle due vocazioni della coppia.
Certo, l'esperienza di Paragone fu fondamentale per la L., come attesta la sua assidua presenza di redattrice, autrice e direttrice (dal 1970), attraverso momenti anche difficili per dissensi culturali e difficoltà finanziarie, e il lancio o la difesa di scrittori come Bassani, C. Cassola, G. Testori, Pasolini, B. Fenoglio, G. Tomasi di Lampedusa e tanti altri: "è difficile, a rileggerli oggi, che i giudizi e le riserve di valore, sempre intonati al criterio del gusto e della sensibilità personali, in anni di spaventoso conformismo culturale, appaiano avventati" (Leonelli, 1994, p. 163). Significative, poi, alcune presenze nella "Biblioteca di "Paragone"", edita a Firenze da Sansoni e che, tra i suoi 17 numeri, vide La capanna indiana di A. Bertolucci (1951), Casa d'altri di S. D'Arzo (1953), Cortile a Cleopatra di Fausta Cialente (1953) e La meglio gioventù di P.P. Pasolini (1954).
Nel 1950 la L. aveva partecipato, con una relazione sul cinema, al convegno su Cultura e Resistenza (Venezia, 22-24 aprile), sottoscrivendo anche l'appello ai valori della Resistenza che ne scaturì. L'esperienza della guerra e quella, sia pur indiretta, della Resistenza diedero un nuovo spessore alla scrittura della L., nella coscienza di un mondo di valori da difendere, come il voto alle donne, ricordato nel 1955, a dieci anni dalla concessione, nelle prose Un anniversario turbato e Un anniversario (pubblicate rispettivamente in Noi donne, 13 febbr. 1955, e Il Nuovo Corriere - La Gazzetta, 6 marzo 1955, sulle quali si veda Biagini, 2004).
Come scrisse, nel 1957, nella premessa a La monaca di Sciangai, anche "i problemi narrativi mi si sono svolti e illuminati nella misura che quelli umani e civili, cioè morali, sono mutati. La stessa essenza delle cose, la poesia, sembra da guadagnarsi e raggiungersi in tutt'altro modo da quello che, alle soglie del '40, garantiva e pretendeva una schiva delibazione" (Al lettore, p. 6).
Della accresciuta consapevolezza critica della L. è prova anche l'originale contributo Storia e ragioni del "romanzo rosa" (in Paragone, 1953, n. 38, pp. 28-34), preparato dai ritratti di costume femminile pubblicati su Oggi. La riflessione sul genere da parte della L. va letta ricordando il suo interesse per i media in generale, in particolare per il cinema.
Se è interessante registrare la partecipazione della L. alla stesura della sceneggiatura di Sissignora di R. Poggioli (1941) - e che dal racconto I velieri G. Amelio trasse un film per la televisione dall'omonimo titolo (1962) e dall'inquietante Le donne muoiono M. Ponzi ricavò il poco fortunato Equinozio (1970) -, l'attenzione della L. per il cinema è, però, prevalentemente consegnata alle sue recensioni per la trasmissione radiofonica L'Approdo, che coprono l'arco di un venticinquennio (1952-77). Dalla rilettura dei testi apparsi nell'Approdo letterario, al di là dei giudizi di valore su registi e opere di cui è impossibile dar qui cenno, quel che colpisce è l'analisi del film come documento storico e morale, strumento di indagine e conoscenza dei mutamenti della società e della cultura, dal neorealismo alla nouvelle vague, dalle aspirazioni al cambiamento del primo dopoguerra alla crisi della borghesia.
Il volume Opinioni (Milano 1961) raccolse parte significativa della sua attività critica degli anni dal 1942 al 1961: dai saggi goldoniani a quelli su Manzoni, ai saggi e agli appunti di lettura usciti su L'Illustrazione italiana e su Paragone. Anche gli interessi artistici trovarono nuova manifestazione nelle monografie su L. Lotto (Firenze 1953; poi, con il titolo Rivelazione di L. Lotto, ibid. 1981), Fra Angelico (Milano 1953), D. Velázquez (ibid. 1955), C. Monet (ibid. 1956) e, più tardi, realizzazione di un sogno giovanile, su Giovanni da San Giovanni, pittore della contraddizione (Firenze 1977).
Soprattutto nell'opera su Lotto la L., tenendo "i piedi ben piantati nella più solida preparazione tecnica che possa aversi oggigiorno", offre "una traduzione scaltrita, in una prosa molto viva e complessa, dei valori figurativi del pittore" (M. Praz, Lettura di quadri, in Id., Bellezza e bizzarria, Milano 1960, p. 46).
Entrata sin dal dopoguerra nell'orbita della Mondadori, la produzione narrativa della L. venne presentata, secondo il gusto di Arnoldo Mondadori, nella sezione "Opere", all'interno della collana dei "Narratori italiani". Si susseguirono, così: Corte Savella (1960), trasposizione teatrale di Artemisia, rappresentata nel 1963 al Politeama di Genova (regia di L. Squarzina, scene e costumi di G. Polidori, interpretazione di Paola Pitagora); il già ricordato La casa piccola (1961); il romanzo Le mosche d'oro (1962), in cui la novità dell'apertura sulla realtà contemporanea richiese un complementare, strenuo lavoro di stile, l'edizione in volume singolo de La monaca di Sciangai (1963); Campi Elisi (1963), che comprende, oltre al racconto nuovo che dà il titolo al volume, quasi tutti i racconti precedenti. La biografia dedicata a Matilde Serao (Torino 1965) rappresentò uno dei punti più alti dell'operosità della L., momento conclusivo di precedenti approcci, in particolare dell'antologia di scritti della Serao, da lei curata e introdotta, L'occhio di Napoli (Milano 1962).
Come è stato felicemente ravvisato si tratta di "una biografia esemplare dove le distanze sono sempre mantenute costanti e l'occhio può abbracciare tutto intero il panorama" guardando oltre le vicende individuali: "L'Italia della coppia Serao-Scarfoglio è descritta con una conoscenza storica e politica sbalorditiva che non viene mai sbandierata, non "pesa", ma è il robusto scheletro di tutta la biografia" (R. Loy, A. Banti e M. Serao, in L'opera di A. Banti, p. 108).
La stessa cura documentaria è sottesa al romanzo Noi credevamo (Milano 1967, premio Asti d'Appello 1968), che narra le vicende di un proavo dell'autrice, rivoluzionario deluso dall'esito del processo risorgimentale, e che, come nel caso della biografia della Serao e di altre opere della L., non è il frutto improvviso di un'ispirazione del momento ma il punto di arrivo di meditate riflessioni.
Il romanzo è anche il sigillo di "quel processo di […] costruzione di un vero e proprio "libro di famiglia" alla cui formazione Anna Banti incomincia ad attendere nel 1937, tra le righe del suo primo testo narrativo, Itinerario di Paolina" (A. Nozzoli, A. Banti e il Risorgimento senza eroi, in L'opera di A. Banti…, p. 183 e, per gli estremi di tale "costruzione", anche p. 184).
Nel 1956 aveva convinto i genitori a trasferirsi a Firenze, dove il padre morì il 9 maggio 1959, causandole un dolore tanto più intenso quanto più dissimulato. Il 2 giugno 1961 fu nominata commendatore al merito della Repubblica. Nel 1970 fu operata agli occhi a Roma, proprio durante l'aggravarsi delle condizioni di salute del marito, che morì il 3 giugno dello stesso anno. Nel 1971, su precise disposizioni del critico, fu costituita la Fondazione di studi di storia dell'arte R. Longhi, di cui la stessa L. fu presidente dal 1980 fino alla morte.
L'attività narrativa continuò con i racconti riuniti in Je vous écris d'un pays lointain (Milano 1971, premio Bagutta 1972), storie che provengono dai paesi lontani della tarda antichità e del futuro; proseguì con il romanzo La camicia bruciata (ibid. 1973, premio D'Annunzio) e con il racconto Tela e cenere (ibid. 1973, premio Il Ceppo 1974), ritorni al Seicento di sorprendente efficacia, e con la nuova raccolta Da un paese vicino (ibid. 1975). L'ultimo romanzo è Un grido lacerante (ibid. 1981).
Qui trovano espressione, nelle forme del verosimile narrativo più che in quelle dell'autobiografia, la sua vocazione per la storia dell'arte e la letteratura, il complesso rapporto con il marito e il dolore ancora vivissimo per la sua scomparsa.
Nel settembre 1981 furono rubate trenta tele della collezione Longhi, non tutte recuperate. Nel 1982 la L. fu insignita del premio Feltrinelli. Nello stesso anno uscì Quando anche le donne si misero a dipingere (ibid. 1982), raccolta di ritratti di pittrici precedentemente pubblicati sul Corriere della sera.
Memore, forse, di quanto aveva scritto su Marcel Proust in mostra (in Paragone, 1965, n. 190, pp. 158-162), rimpiangendo che la morte non avesse permesso allo scrittore "di sgombrare i suoi cassetti e munirsi contro l'indiscrezione dei posteri" (p. 159); memore, appunto, di questa e di altre significative considerazioni svolte nello stesso articolo, la L. provvide alla fine della sua vita a distruggere moltissime sue carte, facendo una pulizia, che "consisteva nello strappare la maggior parte di quei fogli, senza discrimine, quasi con ferocia, molti senza averli nemmeno riletti" (M.L. Strocchi, Conoscenza di A. Banti, in L'opera di A. Banti…, p. 152). Nel marzo 1985 stese il testamento, con cui lasciò ogni suo avere alla Fondazione Longhi.
La L. morì a Ronchi di Marina di Massa il 2 sett. 1985.
Una forte tensione morale è sottesa alla vita, all'arte, alla critica, alla continua operosità della Lopresti. Si è già detto della distruzione del manoscritto di Artemisia durante la guerra; il recupero del testo dalla memoria dell'autrice produce un singolare processo di interrelazione fra l'io narrante e il personaggio, in un alternarsi dei rispettivi piani temporali, così che nella storia della Gentileschi si è potuto leggere non solo "la descrizione di una condizione femminile irrisolta, tema ricorrente della Banti e univocamente riconosciuto come tale dalla critica bantiana", ma anche "un'autoanalisi della scrittrice" (S. Bergius, Il risarcimento della scrittura: "Artemisia" di A. Banti, in Rass. europea di letteratura italiana, 1996, n. 8, p. 56). Il dolore, la diversità, l'orgoglioso riserbo e il contegno virile, volti a mascherare una certa insicurezza, sono sia del personaggio, sia dell'autrice: "Trecento anni di maggiore esperienza non mi hanno insegnato a riscattare una compagna dai suoi errori umani e a ricostruirle una libertà ideale, quella che la affrancava e la esaltava nelle ore di lavoro, che furono tante" (Artemisia). A questo riscatto mira la L., a una scrittura che serva a "non far morire" e "per non morire" (Biagini, 1978, p. 47), il cui risarcimento, insomma, "non vale solo per i personaggi, ma anche per l'autrice stessa" (Bergius, p. 59), parte, in quanto donna, di "quel curioso proletariato che, a tutt'oggi, non ha ancora ottenuto una completa integrazione nelle prerogative dell'uomo civile" (A. Banti, Il testamento di Virginia Woolf, in Paragone, 1963, n. 168, p. 101).
La riflessione sui destini femminili, che appare come la "struttura unitaria" sottesa al lavoro della L., tuttavia "non si esaurisce in essi" (Pagliano, p. 69), aprendosi a quello che lei considerava "più una forma di umanesimo che vero e proprio femminismo" (intervista di S. Petrignani, in Il Messaggero, 8 nov. 1983). Ancor più, questo sguardo largo sulla vita, sia pure da un angolo visuale preciso, rinvia "alla ricerca, così spesso evocata da Anna Banti, di quella "verità della Storia", che deve, cioè, essere ricostruita tra le pieghe del vissuto, dalla cronaca del quotidiano, nel contorno di realtà che non hanno valore puramente descrittivo" (E. Biagini, nota introduttiva, in A. Banti, Verità di Beatrice, in Paragone, 1996, n. 552-554, pp. 128 s.). Dar vita a "gente perduta" (Promessi sposi, XI) sembra essere, insomma, il compito che la L. si è assegnato ("Passi perduti, segni labili che il tempo non ha raccolto additavano lacune da colmare, rammendi da tessere coi fili delle giornate apparentemente senza eventi", in La camicia bruciata, p. 9), in una dimensione che non è quella del gioco letterario ma quella etica: "il romanzo vero altro non è che moralità, scelta morale in un tempo determinato: la suprema ambizione della storia, scienza, appunto, morale" (Romanzo e romanzo storico, in Opinioni, p. 41).
Per le opere della L. si veda: L. Desideri, Bibliografia degli scritti di A. Banti, in Paragone-Letteratura, 1990, n. 490, pp. 73-123, cui si rimanda anche per le traduzioni effettuate dalla L. e per la cronologia dettagliata delle opere, in particolare per le entrate e le uscite di testi dalle varie raccolte di racconti. A essa si aggiungano Un'impresa rischiosa, prefaz. a L. Crespi, Vite de' pittori bolognesi non descritte nella Felsina pittrice. Indici ragionati, a cura di M.L. Strocchi, Pisa 1986, pp. 7 s. e i seguenti articoli, pubblicati in Settimo Giorno: L'occhio di Manet (21 sett. 1957); Il "metodo" di Seurat (6 marzo 1958); Il coraggio di B. Morisot (29 maggio 1958); La vera A. Gentileschi (14 ag. 1958); L'eleganza del Settecento nelle miniature di R. Carriera (11 dic. 1958); Una storia dell'impressionismo nelle sale del Castello Sforzesco (18 febbr. 1959); Per S. Valadon la pittura si chiamava Utrillo (4 giugno 1959); Dieci giorni a Parigi. Il capodanno del franco pesante (14 genn. 1960); S. Anguissola ritrattista della corte di Spagna (31 marzo 1960); Vi conduciamo per mano in una casa elegante (12 dic. 1961); Il miracolo delle cattedrali (23 genn. 1962); Ricordo di Beppe Fenoglio (26 febbr. 1963).
Fonti e Bibl.: Come si è accennato, negli ultimi anni della sua vita la L. distrusse molta della documentazione esistente presso di lei. Le carte superstiti, conservate a Firenze presso la Fondazione di studi di storia dell'arte R. Longhi, non sono state ancora riordinate. Circa 170 pezzi di corrispondenza inviata a R. Longhi sono conservati presso il Fondo manoscritti dell'Università di Pavia (G. Agosti, Primi cenni sul fondo di R. Longhi: l'inventario della sezione epistolare, in Autografo, 1992, n. 26, pp. 87-99); 99 pezzi, compresi fra il 5 dic. 1930 e il 6 apr. 1969, indirizzati a L. Cecchi Pieraccini, sono conservati presso il Fondo Cecchi dell'Archivio contemporaneo A. Bonsanti del Gabinetto G.P. Vieusseux di Firenze: 17 di essi, datati fra il 9 luglio 1943 e il 30 ag. 1948, sono stati pubblicati in M. Ghilardi, Il quaderno salvato. A. Banti a L. Cecchi Pieraccini, in Il Vieusseux, V (1992), pp. 83-110; presso lo stesso Archivio contemporaneo sono altresì conservati altri importanti gruppi di lettere, in particolare a E. Cecchi (85 pezzi) e a P.P. Pasolini (45 pezzi). Un'ampia documentazione sui rapporti con la casa editrice è conservata nell'archivio della Fondazione Mondadori.
Si vedano inoltre: E. Biagini, A. Banti, Milano 1978 (con bibl. della critica fino al 1976); Paragone-Letteratura, 1990, n. 490 (Dedicato a A. Banti); B. Buscaroli-Fabbri, La porta chiusa. Cercando A. Banti, in Paragone, 1993, n. 516-518, pp. 64-72; L'opera di A. Banti. Atti del Convegno di studi,… 1992, a cura di E. Biagini, Firenze 1997 (su cui si veda il pungente commento di B. Montagni, Io la conoscevo bene, in Paragone-Letteratura, 1997, n. 564-566, pp. 141-144). G. Leonelli, La critica letteraria in Italia, 1945-1994, Milano 1994, pp. 162-165; B. Ballaro, A. Banti, in Italian women writers. A bio-bibliographical sourcebook, Westport, CT-London 1994, pp. 35-43; D. Valentini, Anna and her sisters: the idyll of the convent in A. Banti, in Forum Italicum, XXX (1996), pp. 332-350; G. Luti, Banti, A., in E. Ghidetti - G. Luti, Diz. critico della letteratura italiana del Novecento, Roma 1997, pp. 40 ss.; E. Biagini, Prefazione, e M. Ghilardi, Nota biobibliografica, in A. Banti, Le donne muoiono, Firenze 1998; G. Pagliano, Galleria di A. Banti, in Id., Fra norme e desideri. Ricerche di sociologia della letteratura, Roma 1998, pp. 69-72; G. Leonelli, Introduzione, Nota bibliografica e Cronologia, in A. Banti, Artemisia, Milano 2001; M.L. Di Blasi, L'altro silenzio. Per leggere "Un grido lacerante" di A. Banti nel segno di una trascendenza femminile, Firenze 2001; Contemporary Authors, 2003, n. 202, pp. 209 ss.; D. Valentini, Beyond Artemisia: female subjectivity, history and culture in A. Banti, a cura di D. Valentini - P. Caru, Chapell Hill 2003; I. Scharold, "… ogni giorno la fulminea genialità del compagno l'arricchiva e, insieme, la cancellava". A. Banti e R. Longhi, in Das literarische Paar - Le couple littéraire. Intertextualität der Geschlechterdiskurse - Intertextualité et discours des sexes, Bielefeld 2003, pp. 331-354; C. Daniels, Weibliche Emanzipation und historischer Roman. Untersuchungen zu A. Banti Roman Artemisia…, Düsseldorf 2003; P. Guida, Itinerario di A. Banti, in Italienisch, 2004, n. 51, pp. 30-43; L. Parisi, Una rilettura de "Le donne muoiono" di A. Banti, ibid., pp. 44-57; A. Bravo, Il fotoromanzo, Bologna 2004, pp. 114-116 e passim; E. Biagini, Con sguardo di donna: i "racconti di costume" di A. Banti, in Donne e giornalismo. Percorsi e presenze di una storia di genere, a cura di S. Franchini - S. Soldani, Milano 2004, pp. 276-291.