VALENTINI, Lucia
VALENTINI, Lucia (Lucia Valentini Terrani). – Nacque a Padova, il 29 agosto 1946, primogenita di Pietro, economo dell’Istituto degli esposti, e di Amelia Morellato; ebbe due fratelli, Paolo e Giuseppe.
Fin dai primi anni fu avviata alla musica, entrò giovanissima nel coro della basilica di S. Antonio, compì gli studi dapprima con Giovanni Argenti, Elena Fava Ceriati e Adriana Rognoni nel conservatorio della città natale, poi con Adriano Lincetto e con il celebre soprano Iris Adami Corradetti, che l’aiutarono a individuare la vera natura della sua voce, indirizzandola verso il repertorio a lei più congeniale.
Nel 1969 debuttò nel ruolo eponimo della Cenerentola di Gioachino Rossini al teatro Grande di Brescia. Nel 1972 partecipò e vinse il primo premio al concorso internazionale per voci rossiniane, indetto dalla RAI-TV, che le diede un’immediata notorietà. Nel 1973, dopo aver cantato nelle Cinesi di Christoph Gluck (nella parte di Tangia) alla Piccola Scala, ottenne uno strepitoso successo nella Cenerentola diretta da Claudio Abbado nello storico allestimento di Jean-Pierre Ponnelle. Iniziò così un felice sodalizio con il teatro milanese e con il celebre direttore, destinato a durare fino al 1985. Il 7 dicembre 1973 inaugurò la stagione scaligera con L’italiana in Algeri. Nel 1974 riprese La Cenerentola prima a Milano e in tournée a Mosca, poi nel 1975 a Milano e in tournée al Covent Garden e a Washington. Il 7 dicembre 1979 Abbado, impegnatala nel Boris Godunov di Modest Musorgskij per la piccola parte dell’Ostessa, la volle come Marina in luogo della prevista Elena Obrazcova. Nel 1981 fu Rosina nel Barbiere di Siviglia di Rossini nella tournée al Nippon Hōsō Kyōkai (NHK) di Tokyo. Con i complessi della Scala cantò in numerosi concerti, eseguendo tra l’altro l’Aleksandr Nevskij di Sergej Prokof′ev, la Petite messe solennelle di Rossini e la Messa da requiem di Giuseppe Verdi.
Nel 1971 si era fatta conoscere al Liceu di Barcellona nell’Italiana in Algeri, mentre nel 1974 aveva debuttato all’Opera di Roma nella Gazza ladra di Rossini, alla Carnegie Hall e al Metropolitan di New York, rispettivamente con Alcina di Georg Friedrich Händel e L’italiana in Algeri. Riconosciuta specialista del repertorio buffo rossiniano si era prodotta, nel 1975 al Massimo di Palermo, nel Barbiere di Siviglia, e nel Comte Ory al Regio di Torino; nel 1976 cantò L’italiana in Algeri al Petruzzelli di Bari, Il barbiere di Siviglia al S. Carlo di Napoli, partecipò alla prima esecuzione moderna del Torvaldo e Dorliska di Rossini (Carlotta), diretta da Alberto Zedda alla RAI di Milano. Nel 1977 debuttò al Comunale di Firenze nel Matrimonio segreto di Domenico Cimarosa (Fidalma). Nel gennaio del 1978 il teatro fiorentino le offrì la parte di Charlotte nel Werther di Jules Massenet, direttore George Prêtre, con Alfredo Kraus nel ruolo eponimo: lo spettacolo, memorabile per l’esito artistico, fu un primo riuscito tentativo di ampliare il repertorio. Nello stesso anno a S. Cecilia eseguì L’enfance du Christ di Hector Berlioz, e in novembre al Comunale di Firenze cantò Das klagende Lied di Gustav Mahler, direttore Christoph von Dohnányi.
Negli anni Ottanta ampliò ulteriormente il proprio repertorio. Riprese Werther al Regio di Torino nel marzo del 1980, lo cantò di nuovo a Firenze nel 1981 e a Parigi nel 1984. Fu splendida Dulcinée alla Lyric Opera di Chicago nel 1981, nel celebre allestimento di Don Quichotte di Massenet firmato da Pier Luigi Samaritani, e nel 1983 riprese la parte all’Opéra di Avignone. Nel novembre dello stesso anno al Comunale di Firenze fu Mignon in una rara ripresa dell’omonima opera di Ambroise Thomas, mentre nell’aprile del 1986 debuttò nella Carmen di Bizet a Bonn. In dicembre, per una crisi nervosa da stress, abbandonò all’antigenerale l’allestimento del S. Carlo di Napoli, con la regia di Lina Wertmüller. Riprese l’opera di Bizet nel 1988 a Torino e allo Sferisterio di Macerata, dove la cantò per l’ultima volta nel 1994. Nel 1987 si produsse nel Boris Godunov al Comunale di Firenze, direttore Myung-Whun Chung.
Nel 1981 al Regio di Torino si era accostata per la prima volta all’opera seria di Rossini, sostenendo con successo la parte di Arsace nella Semiramide, che riprese nel 1982 al Verdi di Trieste e all’Opera di Roma, nel 1983 a Las Palmas e ad Avignone, nel 1985 al Liceu di Barcellona. L’anno dopo iniziò la collaborazione con il Rossini opera festival (ROF) di Pesaro, protagonista nel Tancredi; nel 1983 fu Malcolm nella Donna del lago; nel 1985 la Marchesa Melibea nella sensazionale riscoperta moderna del Viaggio a Reims, direttore Abbado e regista Luca Ronconi (lo riprese nel 1985 alla Scala, nel 1989 alla Staatsoper di Vienna, nel 1992 di nuovo al ROF e alla Philharmonie di Berlino, sempre diretta da Abbado), e Calbo nel Maometto II; nel 1992 partecipò a un nuovo allestimento di Tancredi. Nel 1981 aveva affrontato la parte di Giocasta nell’Oedipus rex di Igor′ Stravinskij a Chicago, direttore Abbado, e mise in repertorio, eseguendola in più occasioni, la Rapsodia per contralto, coro e orchestra op. 53 di Johannes Brahms. Nel 1982 aveva debuttato come Quickly nel Falstaff di Verdi a Los Angeles, direttore Carlo Maria Giulini, nel 1988 Orfeo ed Euridice di Gluck al S. Carlo, nel 1989 Dido and Aeneas di Henry Purcell alla Fenice di Venezia.
All’inizio degli anni Novanta si manifestarono i segni del declino vocale, forse dovuti alla frequentazione delle parti di contralto profondo tipiche della produzione seria di Rossini. L’insorgere della leucemia la costrinse a interrompere la carriera nell’inverno del 1994 dopo un giro di concerti a Parma, Padova, Parigi e Montecarlo.
Morì a Seattle, l’11 giugno 1998, il giorno dopo il trapianto di midollo. La morte prematura di un’artista così sensibile e intelligente, molto amata dal pubblico, destò un’ondata di commozione e alimentò un’ammirazione che perdura tuttora intatta.
Nel 1972 aveva conosciuto Alberto Terrani (nome d’arte di Alfredo Bolognesi, nato nel 1935), attore teatrale di successo, con importanti collaborazioni, che godeva di grande popolarità grazia alla felice partecipazione ad alcuni sceneggiati televisivi (memorabile l’interpretazione di Uriah Heep in David Copperfield, 1965-66, programma nazionale): sposatala l’8 gennaio 1973 in S. Tomaso Cantuariense a Padova, abbandonò l’attività teatrale per dedicarsi in toto alla carriera della moglie, contribuendo a mantenere viva la memoria della sua arte e della sua persona.
A Padova, per volontà di alcuni amici, subito dopo la morte della cantante è sorta la Fondazione Lucia Valentini Terrani onlus, che ha per obiettivi il «sostegno alla formazione e alla qualificazione di giovani musicisti» e «iniziative benefiche e di sensibilità particolarmente mirate all’aiuto di persone affette da malattie incurabili».
Dalla metà degli anni Settanta Valentini Terrani si accostò spesso alla sala d’incisione. Oltre a registrazioni ufficiali di titoli del suo repertorio (L’italiana in Algeri, Acanta, 1975; Orlando furioso di Antonio Vivaldi, Erato, 1977; La Cenerentola, Sony, 1980; La donna del lago, Sony, 1984; Falstaff, DGG, 1992; Il viaggio a Reims, Sony, 1992) affrontò lavori mai cantati in teatro: La fedeltà premiata di Joseph Haydn (Clelia), Philips, 1975, diretta da Antal Doráti; Aida e Don Carlos di Verdi, DGG 1981 e 1983: Abbado la volle da un lato per la piccola parte della Sacerdotessa, dall’altro per Eboli nella prima registrazione della versione francese; cantò Fenena in Nabucco, DGG, 1982, chiamata da Giuseppe Sinopoli. Sul versante della musica sacra o spirituale: Messiah di Händel, Europa Musica, 1989; Stabat mater di Giovan Battista Pergolesi, 1978 Erato e 1983 DGG con Abbado; Stabat mater di Rossini, DGG, 1981, direttore Carlo Maria Giulini, e la pregevolissima edizione della Petite messe solennelle, Decca, 1977, direttore Romano Gandolfi; infine il fondamentale recital Arie di Rossini, Cetra, 1980, diretto da Zedda. Numerose le testimonianze live in CD e in video.
Voce di rara bellezza, dal timbro vellutato, particolarmente adatto alla vocalità del mezzosoprano e del mezzocontralto dell’opera buffa rossiniana e settecentesca (Rosina, Angelina, Isabella, Fidalma), che seppe affrontare con giuste competenze tecnico-stilistiche, sfoggiando canto sul fiato, gioco di colori, fluida coloratura nei passi fioriti, in aggiunta a una nitida dizione, un vivido fraseggio e uno slancio emotivo che conquistava il pubblico e che in ispecie nella Cenerentola offrì un’interpretazione esemplare, non meno efficace di quella, delicatissima, di Teresa Berganza. Nel seguito della carriera affrontò le principali parti per contralto dell’opera seria rossiniana (Tancredi, Malcolm, Arsace, Calbo), con un timbro più brunito e un registro grave conquistato in forza di una caparbia applicazione. Si trovò così a essere protagonista privilegiata del belcanto italiano e della cosiddetta Rossini Renaissance, rivaleggiando con Marilyn Horne: se l’artista americana la vinceva sotto il profilo meramente vocale, Valentini Terrani la superava in espressività, in coerenza drammatica con in più quelle doti di attrice che seppe dimostrare sia nel repertorio russo – la sua Marina in Boris fu fenomenale – sia in quello francese. La sua Charlotte del Werther dev’essere considerata esemplare per l’intima adesione alla vocalità e allo stile specifici di quest’opera, e per l’originale patina di malinconia che la contrassegnava. Leonardo Pinzauti, su La Nazione del 28 gennaio 1979, commentando la sua esibizione al Comunale di Firenze, scrisse che «grazie a una educazione musicale esemplare Lucia Valentini Terrani seppe cantare con passione e esuberanza, ma senza cedimenti veristici, anzi toccando con delicatezza le vene di un sottile intimismo». La Dulcinée del Don Quichotte brillava invece per lo charme di un canto volutamente studiato fin quasi al manierismo.
Musicista raffinata, sorretta da un innato buon gusto, si mise in luce nel repertorio cameristico sia sacro sia profano. Tra i risultati più significativi figurano la Petite messe di Rossini e la Rapsodia di Brahms, intonata con un canto di levigata bellezza, ispirato per omogeneità alla sempre ammirata Kathleen Ferrier, il celeberrimo contralto inglese, cui sempre guardò come a un modello, specie per l’interpretazione di Orfeo nell’Orfeo ed Euridice. Gli esiti raggiunti da Valentini Terrani erano frutto di un’intelligenza umana e artistica fuori dal comune, sorretta da una grande spiritualità; essa dava alle sue interpretazioni una particolare profondità che le permetteva di trascendere la mera dimensione vocale delle pagine che affrontava.
Fonti e Bibl.: S. Franchi et al., L. V.-T., in Lirica, Milano 1988, n. 56; S. Segalini, L. V.-T., Padova 1995; K.J. Kutsch - L. Riemens, Großes Sängerlexikon, V, Bern-München 1997, p. 3560; R. Celletti, Storia dell’opera Italiana, II, Milano 2000, p. 697; L. Arruga, Medaglie incomparabili. Vent’anni di storia del Rossini Opera Festival, Milano 2001, ad ind.; P. Padoan, Voci venete nel mondo. I cantanti lirici veneti nella storia dell’opera e del canto, Taglio di Po 2001, pp. 301-305; R. Allegri, Il segreto del suo sorriso: L. V. T., Padova 2003; M. Beghelli - R. Talmelli, Ermafrodite armoniche. Il contralto nell’Ottocento, Varese 2011, pp. 107, 139, 141 s., 160, 180-182, 191, 193.