DORIA, Luciano
Nacque a Genova nella prima metà del secolo XIV.I secondo alcuni genealogisti da Ugolino.
Scarse sono le notizie su di lui. Eglì dovette avere alle sue dipendenze una piccola flotta, forse destinata esclusìvamente al trasporto di merci, perché non risultano sue azioni navali degne di nota prima del comando affidatogli nel 1378. Quattro anni prima il governo genovese, tormentato da gravi problemi di approvvigionamento cerealicolo, spedi in Sicilia un mercante con l'incarico di acquistare 7.500 mine di grano, da trasportare in città sulla nave "S. Giovanni", di cui il D. era proprietario.
Nel frattempo erano maturate le condizioni per uno scontro decisivo tra la Repubblica ligure e Venezia. Per appoggiare lo sforzo bellico genovese si creò una vasta coalizione, comprendente il re Ludovico d'Ungheria, il patriarca di Aquileia e Francesco da Carrara, signore di Padova; con Venezia si schierarono Pietro Il di Cipro e Bernabò Visconti, desideroso di recuperare al suo controllo il porto ligure. Il governo genovese decise di compiere un ulteriore sforzo finanziario, benché le sue casse fossero ormai stremate, per tentare di assestare un colpo definitivo alla potenza nemica: il 5 giugno 1378 venne lanciato un prestito di 71.500 lire genovine per finanziare la flotta.
Il comando della flotta venne affidato al Doria. I motivi della nomina (certo molto delicata, data la importanza cruciale che veniva attribuita alla spedizione) non possono essere precisati, proprio perché non si hanno notizie sul D., che, ovviamente, doveva aver maturato una notevole esperienza marinara e militare. La flotta, composta da 17 galere, salpò da Genova il 25 agosto, senza che Vittore Pisani, incaricato di bloccarne la rotta, riuscisse ad intercettarla. Infatti, l'ammiraglio veneziano, direttosi su Napoli, fu informato che le navi del D. avevano già superato la città, preferendo la navigazione in alto mare. Temendo che le intenzioni genovesi fossero quelle di un attacco diretto a Venezia, il Pisani decise di inseguire il nemico. A Taranto il D. fece scalo per rifornirsi di acqua, mentre il comandante veneziano gettò l'ancora a Santa Maria di Leuca, per affrontare la flotta genovese, che, però, evitò la battaglia e si diresse su Zara, controllata dal re d'Ungheria. Qui il D. trovò ad attenderlo le navi comandate da Pietro Picone, che da tempo operava con azioni corsare nell'Adriatico; il D. poté, così, contare su un totale di trenta galere.
Il Pisani fece immediatamente rotta su Zara, ma giunse al largo del porto quando il D. si era già trasferito a Traù; si limitò perciò ad occupare Sebenico e cercò successivamente di bloccare - senza successo - le galere genovesi inviate in Puglia per rifornimenti. Dopo aver fallito anche il tentativo di occupare Traù, il Pisani fu costretto a ritornare su Zara, che tenne sotto la minaccia delle sue bombarde, per impedirvi il ritorno della flotta nemica. Alla fine le due flotte arrivarono allo scontro diretto, nel maggio del 1379 (per alcuni cronisti il giorno 5, per altri il 6), al largo di Pola; la battaglia fu sfavorevole al Pisani, che, iniziato il combattimento nella convinzione di essere superiore, fu sorpreso dall'arrivo della retroguardia genovese e perse gran parte delle sue navi. Furono inoltre catturati 2.000 nemici, trasferiti a Zara, dove la flotta genovese poté far ritorno.
Nello scontro, tuttavia, perse la vita lo stesso Doria. Per evitare che la morte dell'ammiraglio gettasse il panico tra i marinai, si fecero prontamente indossare i suoi abiti ad un luogotenente, permettendo in tal modo il felice esito della battaglia.
Anche sul D. furono diffusi aneddoti, di dubbia autenticità, che contribuirono ad alimentare la leggenda doriana. Di lui nelle cronache genovesi (non contemporanee, però, agli avvenimenti) si mettono in luce la grande umanità e la profonda stima goduta presso i marinai; trovandosi la sua flotta nei mari di Schiavonia ed avendo disperato bisogno di vettovaglie, egli non avrebbe esitato a distribuire la sua argenteria personale ai soldati più bisognosi; essendosi poi uno dei rematori, stremato dalla fame, gettato ai suoi piedi, il D. gli avrebbe donato la fibbia d'oro e d'argento della sua cintura, che era tutto ciò che di prezioso gli restava. È certo che alla sua morte gli eredi si trovarono in difficoltà economiche, perché la Repubblica intervenne in loro favore, dotando i figli con beni appartenenti al Fisco. Il suo corpo fu riportato a Genova nel 1381 dall'ammiraglio Gaspare Spinola e fu tumulato nella chiesa di S. Domenico, oggi distrutta. Il D. aveva sposato (secondo alcuni genealogisti) Valentina Centurione, da cui ebbe Luciano e Gerolamo.
La flotta genovese, rimasta priva dell'ammiraglio, scelse a successore del D. il fratello Ambrogio, nell'attesa che il governo provvedesse all'invio di un nuovo comandante. Ad essere chiamato a questa carica fu un altro membro della famiglia, Pietro.
Anche su Pietro (indicato nelle genealogie come figlio di Dorino) possediamo scarse notizie anteriori a tale incarico. Forse fu lui l'omonimo membro della famiglia che nel 1353 venne eletto dal governo genovese vicario di Alghero e che ebbe il compito di seguire le complesse trattative che portarono alla cessione della città sarda a Genova da parte dei Doria. Nel 1379 egli fu messo al comando di una flotta formata da quindici galere ed inviata a rinforzare il corpo di spedizione genovese a Zara; qui assunse il comando delle operazioni. Il 6 agosto lasciò il porto dalmata con circa trenta galere per attaccare Venezia nel suo stesso territorio lagunare; dopo aver occupato varie località in Terraferma (tra cui Grado e Caorle), sbarcò nel sito detto Due Castelli presso uno degli accessi alla laguna. Qui ottenne rinforzi da Francesco da Carrara e poté in tal modo prendere il monastero di S. Niccolò, senza tuttavia riuscire ad occupare la località fortificata e validamente difesa. Pietro decise allora di attaccare Chioggia, centro di notevole importanza strategica, per stabilire contatti via terra con l'alleato padovano. La città, difesa da 3.000 soldati e 300 cavalieri, fu assalita anche dal da Carrara, mentre Pietro vi giunse il 13 agosto. Dopo un primo tentativo fallito, Chioggia fu occupata il 16 con grande spargimento di sangue. La Repubblica di S. Marco, minacciata mortalmente, intavolò trattative di pace, senza porre condizioni, ma l'intransigenza di Pietro e del da Carrara le fece fallire, spingendo Venezia ad un supremo sforzo per respingere il pericolo genovese. In seguito Pietro saccheggiò il litorale ed occupò San Lazzaro, assediando poi Malamocco e sbarcando nell'isola di Poveglia, dove fu sottoposto a bombardamento il monastero di S. Spirito.
Fallito un tentativo veneziano di rioccupare Chioggia (rimasta parzialmente sprovvista di navi, inviate in Puglia per rifornimenti) ed egualmente non riuscito un colpo di mano genovese per forzare uno degli ingressi alla laguna, si arrivò ad una situazione di stallo. Le galere genovesi, rimaste imbottigliate a Chioggia, furono sottoposte ad una guerra di logoramento da parte delle agili barche nemiche; l'anno seguente, nel gennaio, Pietro fu impegnato dagli ammiragli Carlo Zeno e Vittore Pisani nella difesa della città, attaccata con violenza. Per alleggerire la pressione, Pietro assalì il monastero di Brandolo; il 22 genn. 1380, durante la battaglia, egli fu colpito da alcune pietre cadute dal campanile, che era stato centrato dalla artiglieria nemica, e rimase ucciso. La sua morte contribuì al fallimento della spedizione genovese. Secondo il Battilana, egli aveva sposato Selvaggia, figlia di Filippo Doria, da cui ebbe Raffaele, Andrea, Isabella, Corrado e Giovanni.
Fonti e Bibl.: Genova, Bibl. d. Società ligure di storia patria, P. P. M. Oliva, Ascendenza paterna e materna di Francesco Maria Doria (ms. sec. XVIII), c. 103v; G. Stellae Annales genuenses, in Rer. Italic. Script., 2 ed., XVII, 2, a cura di G. Petti Balbi, ad Indicem; A. Giustiniani, Annali della Repubblica di Genova, Genova 1537, CCCXLIv, CXLIIr; U. Folietac Clarorum Ligurum elogia, Romae 1572, pp. 68 s.; N. Battilana, Genealogie delle famiglie nobili di Genova, I, Doria, Genova 1825, p. 71; Elogi di liguri illustri, acura di L. Grillo, I, Genova 1846, pp. 138-147; J. Doria, La chiesa di S. Matteo in Genova, Genova 1860, pp. 50-54, 109 s., 301; L. A. Casati, La guerra di Chioggia e la pace di Torino, Firenze 1866, pp. 34, 45-48, 50 s., 61, 63; H. Sieveking, Studio sulle finanze genovesi nel Medioevo, in Atti della Soc. ligure di storia patria, XXXV (1905), ad Indicem; L. M. Levati, Dogi perpetui di Genova, Genova s. d. [ma 1928], pp. 80 s.; V. Vitale, Breviario della storia di Genova, Genova 1955, ad Indicem; W. Piastra, Storia della chiesa e del convento di S. Domenico in Genova, Genova 1970, ad Indicem; G. Petti Balbi, Genova e Corsica nel Trecento, Roma 1976, ad Indicem; M. Balard, La Romanie génoise (XIIe -dèbut du XVe siècle), Roma 1978, ad Indicem; B. Z. Kedar, Mercanti in crisi a Genova e Venezia nel '300, Roma 1981, ad Indicem; P. Luxardo Franchi, Genovesi ed istituzioni genovesi in Dalmazia sul finire del sec. XIV, in Atti del Convegno di studi sui ceti dirigenti nelle istituzioni della Repubblica di Genova, II, Genova 1982, p. 282; G. Pistarino, Genova e la Sardegna: due mondi a confronto, ibid., IV, ibid. 1984, p. 223 (per Pietro).