AFRANIO, Lucio
AFRANIO, Lucio. 2 (L. Afranius A[uli] f[ilius]). Era di umile origine e fu tolto dall'oscurità da Pompeo, che ne fece una sua creatura ed ebbe in lui un seguace devoto ed uno strumento fedele della sua politica. Afranio ci è noto per la prima volta come legato di Pompeo nella Spagna nel periodo della guerra sertoriana. Nella battaglia del Sucrone (75 a. C.), mentre Pompeo era battuto all'ala destra, Afranio rompeva il nemico all'ala sinistra e s'impadroniva degli accampamenti, riparando le sorti della giornata. Al termine della guerra ebbe il compito di sottomettere una delle città più ostinatamente ribelli, Calagurris, ch'egli prese e distrusse (72). In seguito fu di nuovo al fianco di Pompeo, come legato, nelle grandi campagne d'Asia (66-62); presidiò l'Armenia, cacciò i Parti dalla Gordiene, sottomise le tribù arabe dell'Amano assicurando allo esercito romano i passi della Siria. Nel 61 Afranio poté finalmente porre a Roma la sua candidatura al consolato sotto il patrocinio di Pompeo. Gli sdegni che fremevano in Senato contro quest'ultimo, si rovesciarono naturalmente anche sul suo candidato; ciononostante, Afranio riuscì ad essere eletto e fu console insieme con Metello Celere, nel 60. Non aveva però né animo né prestigio da vincere l'opposizione del Senato, né poté ottenere che fossero ratificati i provvedimenti presi da Pompeo in Asia od approvata la concessione di terre ai veterani. Questo fu compito di Cesare nell'anno seguente. Afranio continuò dopo il consolato a fare nel senato il custode e il portavoce degli interessi politici di Pompeo; nel 55 questi lo mandò nella Spagna, come legato insieme con Marco Petreio, mentre egli rimaneva a Roma. Allo scoppiare della guerra civile (49) la Spagna era così in mano ai pompeiani. Afranio aveva tre legioni, Petreio due, oltre a diverse altre milizie: entrambi si fortificarono sotto Ilerda, facendo grandi provvigioni.
Quivi furono investiti dall'esercito cesariano, di cui venne presto ad assumere il comando Cesare medesimo. Tuttavia, la sorte delle armi fu favorevole ad Afranio e Petreio, e il cattivo tempo sopravvenuto mise Cesare in una posizione estremamente difficile, impedendogli di ricevere gli attesi rifornimenti. I due pompeiani si tenevano sicuri della vittoria, mandavano a Roma lettere riboccanti di particolari sui loro successi. Le cose però mutarono inaspettatamente. Cesare ricevette rinforzi e fu in grado di stringere vigorosamente le forze nemiche. Intanto alcune città di Spagna si ribellavano e nel campo di Afranio cominciavano a manifestarsi sintomi gravi della poca fedeltà dell'esercito; e le provviste erano agli estremi. In tali condizioni Afranio chiese a Cesare un colloquio e venne a patti: il suo esercito fu sciolto e i soldati lasciati liberi (9 giugno). Nel breve giro di una sessantina di giorni la Spagna era stata perduta. La reputazione militare di Afranio ne ebbe un grave colpo, e quand'egli si unì a Pompeo, sotto Dirrachio, seguito da poche coorti, non mancò chi lo accusasse di tradimento. Egli fu lasciato da parte e i suoi consigli non furono punto ascoltati. Alla battaglia di Farsalo Pompeo lo tenne con sé, a guardia dell'accampamento. Dopo quell'infausta giornata (6 giugno 48) Afranio passò in Africa ove le forze pompeiane si andavano concentrando, ed ebbe il comando di una parte di esse. Nella battaglia di Tapso il suo accampamento cadde in mano di Cesare, come quello di Scipione e quello di Giuba. Afranio fuggì col proposito di ridursi di nuovo nella Spagna; ma cadde in mano di Sittio, e fu messo a morte. Il partito senatorio registrò il nome di Afranio nel suo martirologio accanto a quello di Scipione e di Lentulo.
Per la vita di Afranio prima del 49, fonte principale è Plutarco, nella Vita di Pompeo. Preziose sono le lettere di Cicerone per gli accenni pungenti che contengono riguardo alla persona e all'opera di Afranio, ed esprimono gli umori del partito senatorio. Delle operazioni militari di Afranio e Petreio in Spagna, informa ampiamente Cesare (Bell. civ., I).
Bibl.: V. Drumann-Groebe, Geschichte Roms, ecc., I, Berlino 1889, p. 26 seg.; Klebs, in Pauly-Wissowa, Real-Encycl., I, coll. 710-712.