GAMBI, Lucio
Nacque a Ravenna il 20 marzo 1920 dall’ingegnere Domenico, discendente da una famiglia di spiccate tradizioni liberali e risorgimentali, e da Lina Pelagatti. Adolescente si trasferì a Forlì, dove il padre operò presso l’amministrazione provinciale (sue sono la realizzazione dell’edificio della locale Cassa di Risparmio e la progettazione del balcone con balaustra del Palazzo della Provincia), e qui si diplomò presso il Liceo classico Morgagni.
Si iscrisse poi alla facoltà di Lettere e Filosofia dell’Università di Roma, dove si laureò nel 1940 in geografia con Riccardo Riccardi, ma in realtà sotto la guida di Roberto Almagià, che era stato estromesso dai ruoli universitari in seguito alle leggi razziali e che in quegli anni operava presso la Biblioteca apostolica Vaticana. Sotto la guida di quest’ultimo, riammesso nell’Università nel 1943, conseguì nel novembre del 1946 il diploma di specializzazione e tre anni dopo divenne borsista del CNR presso il Centro di studi per la Geografia Antropica istituito e diretto dallo stesso Almagià presso l’istituto di Geografia dell’Università di Roma, collaborando anche in qualità di redattore all’Enciclopedia italiana.
Datano a questi anni le due prime, importanti monografie date alla luce da Gambi, L’insediamento umano nella regione della bonifica romagnola (Roma 1949 e Bologna 2008, con introduzione di Francesco Micelli) e La casa rurale nella Romagna (Firenze 1950 e Bologna 2011, con uno studio di Francesco Micelli), entrambe precedute da numerosi articoli consegnati sulle pagine de L’Universo, della Rivista geografica italiana, del Bollettino della Società geografica italiana.
La prima, dedicata ad un’analisi storica delle trasformazioni indotte nella regione dalle bonifiche sul territorio e sugli insediamenti umani dalla tarda età imperiale ai suoi giorni, anticipa in medias res le posizioni che qualche anno più tardi Gambi espliciterà in maniera palese: un sapere geografico dove il territorio è strettamente legato alla storia, e dove le strutture territoriali trovano senso se queste riflettono il lento travaglio degli uomini rivolto ad adattare e trasformare i quadri naturali. In filigrana è riconoscibile sia l’insegnamento crociano di una storia intesa come pensiero e azione, sia le posizioni ‘possibiliste’ – perché aperte all’inesauribile creatività dell’uomo – espresse da Lucien Febvre in La terre et l’évolution humaine (1922), che funsero da apripista per Gambi alle successive letture della scuola delle Annales. La seconda monografia si stagliava invece all’interno dei contemporanei studi geografici per ridimensionare la staticità dei ‘tipi rurali’, offrendo un mosaico cangiante di case al crocevia tra quadri ambientali, tradizioni edilizie, nuove necessità economiche e sociali.
Ottenuta la libera docenza del 1951 e vinta la cattedra universitaria due anni dopo – nel frattempo aveva dato alle stampe uno scritto meno innovativo, La media e alta val Trigno: studio antropogeografico, Roma 1951 – insegnò all’Università di Messina fino al 1960, innovando profondamente i contenuti del sapere geografico, come dimostrano i programmi di esame stilati nei diversi anni accademici, e dedicati, ad esempio, per la parte monografica alla questione meridionale (1952-53), agli uomini e la montagna (1953-54), alle strutture economico-sociali come problema geografico (1954-55) e dove a partire dall’anno accademico 1953-1954 venne consigliata la lettura di Fernand Braudel, Civiltà e imperi nel Mediterraneo, tradotta da Einaudi proprio in quell’anno.
Operava, in questo tentativo di innovare lo studio e l’insegnamento della geografia, una forte passione etica e politica, che neo-laureato lo aveva visto attivo nella Resistenza nelle file del Partito d’azione e a fondare in Romagna nell’immediato dopoguerra una radio popolare per seguire in diretta i processi ai gerarchi fascisti. Questa stessa passione civile lo portò al centro di una polemica che coinvolse l’Università di Messina tra il 1953 e il 1954, quando Gambi propose di affidare la cattedra di Storia del cristianesimo al libero docente valdese Giovanni Gonnet: accettata in un primo tempo, la proposta venne annullata dal Senato accademico per pressioni esercitate dall’ex-docente di Storia della filosofia, Carlo Giacon S.J., sul rettore dell’Ateneo, Gaetano Martino. In nome della laicità della pubblica istruzione, riuscì a mobilitare a favore della sua causa quanto di meglio offriva la cultura laica e liberale dell’Italia d’allora: Luigi Salvatorelli ne scrisse su Il Mondo (Una lettera, 15 dicembre 1953), Gaetano Salvemini su Il Ponte (Il gesuita e il liberale, n. 1, X, 1954, pp. 7-10), dopo che lo stesso Gambi aveva denunciato l’accaduto sulle pagine della Voce Repubblicana (E’ arrivato il gesuita, 24 dicembre).
L’anno successivo si unì in matrimonio con Ornella Vergnano, fitopatologa dell’Università di Firenze, dalla quale ebbe due figli, Davide e Nicola, e venne a vivere a Firenze.
La volontà di riformare in senso liberale e democratico la società italiana, di realizzare fino in fondo i valori che avevano animato la Resistenza, è manifesta anche nelle sue iniziali proposte in merito alla riforma universitaria: discutendo il progetto del ministro Giuseppe. Medici nel 1960 si oppose alla distinzione tra corsi di studi a carattere professionale e corsi di studi indirizzati all’attività di ricerca, poiché «la preparazione professionale [doveva] essere impartita a livello scientifico e [doveva] diventare un elemento fondamentale della stessa preparazione scientifica». Così come si dimostrò contrario all’istituzione di un corso propedeutico finalizzato a raccordare le discipline del liceo con quelle dell’università, fiducioso nella capacità dello studente di sapersi orientare tra corsi di indirizzo diverso al fine di permettergli «di scegliere con più maturità un indirizzo particolare» (Istituzione Biblioteca Classense, Ravenna, Fondo G Vergnano, Carte G, b. 5, fasc. 2/11, verbale dell’Assemblea di docenti e studenti della Facoltà di Lettere di Messina del 17 gennaio 1960).
La lunga permanenza nell’ateneo siciliano gli consentì di entrare in contatto e di intrattenere poi fecondi rapporti con il gruppo di intellettuali raccolti intorno alla rivista Nord e sud, a partire dal suo fondatore e direttore, Giuseppe Compagna. La rivista fu una delle poche in Italia che accolsero gli scritti ‘eretici’ di Gambi sulla geografia: nel 1959 pubblicò una circostanziata e radicale denuncia dello stato arretrato del suo insegnamento in Italia (La geografia nell’insegnamento delle università italiane, poi in Questioni di geografia, Napoli,1964, pp. 63-65, scritti raccolti per interessamento di Giuseppe Galasso), mentre la maggior parte dei saggi più polemici volti a svecchiare una geografia italiana ancora adagiata su premesse positivistiche vennero in quegli anni stampati quasi in proprio, perché affidati ai torchi degli amici Fratelli Lega di Faenza.
Datano infatti a questo periodo gli scritti di Gambi dove, facendo tesoro delle numerose ricerche condotte sul campo e della maturità teorica raggiunta attraverso l’approfondita conoscenza dei dibattiti che interessavano diverse scienze sociali, delineò la propria particolare declinazione di ‘geografia umana’, del tutto distinta sia dalla geografia fisica, volta ad analizzare i fenomeni naturali della terra, sia da quella ecologica, che indaga l’ambientazione sulla terra degli esseri organici: per ‘geografia umana’, invece, bisognava intendere «la storia della conquista economica e della organizzazione strumentale della terra da parte degli uomini» (Geografia regione depressa [1962], poi in Questioni di geografia, cit., p. 72). Ambiti pertanto del tutto distinti, sia dal punto di vista metodologico che da quello delle strumentazioni, che frantumavano la declinazione omnicomprensiva e integrale della geografia egemone ai suoi giorni. Facendosi scudo dietro la nutrita schiera di geografi che avevano attinto alle lezioni di Vidal de la Banche (Pierre George, innanzi tutto, ma anche Max Sorre, André Siegfried, Jean Gottmann) combatté la propria battaglia solitaria, ricevendo al momento pochissimi consensi all’interno del mondo accademico della disciplina, quasi che declinare storicamente la geografia significasse dissolvere il proprio autonomo statuto disciplinare. In questo percorso all’iniziale storicismo di impianto crociano venne man mano sostituendo un’attenzione più avvertita per le indagini territoriali e ambientali condotte da diversi esponenti del nostro Illuminismo, riletti alla luce di un’idea di responsabilità civile della ricerca scientifica e con i quali sembrava condividere l’atteggiamento critico e propositivo dello studioso.
Gli anni del magistero messinese furono anche contrassegnati dalla pubblicazione dell’ampia ricerca storica dedicata all’introduzione in Italia della coltivazione della bietola, Geografia delle piante da zucchero in Italia (Napoli 1955) e dalla ideazione e direzione dei Quaderni di geografia umana per la Sicilia e la Calabria (1956-1960), dove oltre a pubblicare studi di giovani studiosi a lui vicini per impostazione metodologica, consegnò alcuni lavori preparatori della successiva monografia Calabria (Torino 1965), inserita nella collana Le Regioni d’Italia diretta da Almagià. Destinata a un notevole successo commerciale – nel 1970 fu necessario approntare una nuova edizione, considerato che la prima tiratura di diecimila copie si era già esaurita – la Calabria di Gambi si distanziò dagli altri volumi della collana per destrutturare la regione accolta acriticamente dai costituenti e per offrire da un canto la genesi e l’affermazione delle diverse ‘unità strutturali’ che connotano la regione, vale a dire le articolazioni territoriali caratterizzate da un’identità di fattori della vita sociale e culturale, e dall’altra prefigurando una regione metropolitana dello Stretto, a cavallo tra la costa messinese e quella reggina, distinguibile per caratteristiche sociali dal resto della Sicilia e dalla rimanente Calabria.
Del resto, qualche anno prima era già intervenuto sull’assetto regionale, probabilmente in vista dell’auspicata attuazione del dettato costituzionale (Compartimenti statistici e regioni costituzionali [1963], poi in Questioni di geografia, cit., pp. 153-187). Sconfessando quanto egli stesso aveva scritto nel 1949 riferendosi alla Romagna – una regione che tale si definiva per essere un’ ‘entità culturale’ – in questo scritto proponeva una declinazione diversa di regione, un’unità funzionale per quanto attiene valori economici e demografici, maglie di insediamenti e istituzioni sociali, che tale poteva definirsi per gravitare intorno a un polo urbano, in grado con il suo dinamismo di rendere vitale il proprio spazio gravitazionale. Una realtà a cui i nostri costituenti, in maggioranza giuristi, rimasero sostanzialmente estranei, intendendo la regionalizzazione nei meri termini di un decentramento politico-territoriale, e recuperando per inerzia la ripartizione regionale introdotta a fini statistici da Pietro Maestri nel lontano 1864.
Questi furono anche gli anni che lo videro impegnato politicamente all’interno di un partito: membro a partire dal maggio 1959 della commissione nazionale scuola del Psi (e nel febbraio successivo entrò a far parte anche del comitato centrale dell’Associazione di difesa e sviluppo della scuola pubblica in Italia, fondata in quell’anno da Carlo Ludovico Ragghianti), riconsegnò la tessera del partito al seguito delle trattative precedenti la formazione del governo Moro, facendo proprie le perplessità di Lelio Basso (che di lì a poco avrebbe dato vita al Psiup) e rifiutando categoricamente la disciplina di partito – «leviatanica, [cioè] stupida e potente insieme» – in nome dell’insopprimibile coscienza individuale (Carte G, b. 28, fasc. 28/ 5, lettera di G a Pietro Nenni, Milano 20 dicembre 1963).
L’approdo alla facoltà di Lettere e Filosofia dell’Università di Milano avvenuto nel 1960 aprì la stagione più intensa e di maggiore visibilità dello studioso. Lo vide coinvolto in prima persona nell’organizzazione di un convegno rivolto agli storici italiani che si tenne a Milano nel settembre 1962, dove insieme a Giorgio Spini stese una relazione finalizzata all’istituzione di un’autonoma facoltà di Scienze storiche (proposta che nel corso della discussione venne poi ridimensionata ad un più modesto e fattibile corso di laurea) (L. Gambi e G. Spini, Storia, geografia, università, Nord e sud, n. 35, 1962, pp. 59-70). Nell’istituendo corso la geografia umana, cioè la ‘geografia delle strutture economiche sociali’, sarebbe stata accolta con un apposito curriculum dove insieme allo specifico insegnamento sarebbero stati attivati corsi di storia economica, sociologia, storia delle scienze, demografia, geografia regionale, topografia storica, storia delle esplorazioni. Di fronte alle perplessità espresse da un geografo tradizionale in merito a questo assorbimento della geografia all’interno della storia, Gambi poté tranquillamente ribattere che la geografia umana doveva considerarsi una ‘scienza storica’ (anche se nella sua denominazione l’aggettivazione ‘storica non figura) con una «sua chiara individualità, al pari della storia politica» (Carte G, b. 10 n. 10/8, lettera a Roberto Pracchi, Milano 3 ottobre 1962).
Frutto di questo incontro tra storia e geografia all’interno del congresso milanese (che darà vita l’anno seguente alla Società degli storici italiani) fu l’idea di un Atlante storico italiano, il cui impianto venne messo a punto nei due anni successivi ad opera di un comitato che oltre allo stesso Gambi vide impegnati Marino Berengo, Mario Bendiscioli, Giuseppe Martini, Giuseppe Tibiletti, a cui si aggiunse Carlo Guido Mor, in rappresentanza della neo-istituita Società degli storici. Per un decennio il laboratorio dell’Atlante fu una fucina di vivaci discussioni metodologiche e di tirocinio per tutta una generazione di giovani studiosi, introducendo una tecnica di rappresentazione dei fenomeni storici all’epoca pressoché sconosciuta in Italia. E Gambi vi partecipò non in quanto «la cartografia storica [fosse] una specialità pertinente ai geografi», ma in quanto cultore di quella specifica declinazione della geografia che sapeva discernere, nei fenomeni indagati, la lunga sedimentazione da cui erano originati e riusciva pertanto a distinguere quelle ‘strutture’ dotate di sufficiente stabilità che meritavano di essere cartografate (si veda la sua relazione al I Congresso nazionale di scienze storiche di Perugia del 1967, Per un atlante storico d’Italia, in Una geografia per la storia, Torino 1973, pp. 175-196). Legata al supporto finanziario del CNR, l’impresa dopo un decennio fallì (le rocambolesche vicende della sua cessazione, che inizialmente si sarebbe voluto assorbire in un Atlante tematico d’Italia, furono descritte dallo stesso Gambi in Un atlante da 7 miliardi, in Quaderni storici, n. 38, 1978, pp. 732-747). Rivoli di questo minuzioso e innovativo lavoro di ricerca confluiranno poi nell’Atlante tematico d’Italia edito dal Touring Club Italiano (1989-1992) e soprattutto nell’Atlante edito per le sue cure come sesto volume della Storia d’Italia einaudiana (Torino1976), nel quale sono riconoscibili, specie nelle carte relative all’Italia unita, il calco dei precedenti lavori condotti per l’Atlante storico. Ma non fu l’unico contributo consegnato all’interno della Storia d’Italia: Gambi ebbe anche l’onore di aprire il primo volume con un saggio che condensa già nel titolo – I valori storici dei quadri ambientali – la rivoluzione da lui compiuta all’interno degli studi geografici: infatti la lettura di questo millenario affresco della relazioni tra l’uomo e l’ambiente si risolve in una ricostruzione storica, differenziata nel tempo e nello spazio, del valore che è stato attribuito alle medesime condizioni naturali e di come questa stessa dinamica dei valori abbia nel tempo e nelle differenti regioni ri-costruito e ri-modellato gli stessi ambienti e i relativi paesaggi (I, Torino 1972, pp. 3-60). Suo, inoltre, è il saggio Da città ad area metropolitana inserito nel quinto volume I documenti (pp. 368-424), dove il passaggio epocale viene letto in termini funzionalisti, portato di una necessaria modernizzazione. Frutto della collaborazione con la casa editrice guidata da Giulio Einaudi, oltre alla promozione di diverse opere di argomento geografico nel catalogo dell’editore, fu anche il volume Una geografia per la storia, forse la sua opera più nota, dove vennero raccolti i contributi più significati dal punto di vista metodologico scritti nel decennio precedente. Rispetto al precedente volume del 1964 è palese l’angolazione militante che connota i diversi saggi, condensata nell’aforisma che apre la prefazione: «Fare cultura è impegnarsi per la società» (p. viii).
Ed è anche percepibile una diversa angolazione, che si potrebbe definire epistemologica, in base alla quale ogni scienza (e dunque anche la geografia) non è strutturabile in modo sistematico o istituzionale, ma ha valore ed è efficace solo se riesce a risolvere problemi, adottando una prospettiva verticale, genetica e quindi storica, senza sezionare quegli stessi problemi in base alle articolazioni disciplinari ricevute in eredità dalla tradizione. Una modalità d’indagine che Gambi attribuiva alla stagione più vivace della storia della geografia italiana, quella compresa tra l’Illuminismo e la prima metà dell’Ottocento, che aveva al suo apice la poliedrica figura di intellettuale di Carlo Cattaneo, uomo di scienza e politico allo stesso tempo, in cui non aveva difficoltà a identificarsi. Fra le opere progettate e non portate a termine, ma a cui lavorò intensamente in quegli anni, figurano non a caso un’antologia di testi degli scienziati illuministi da inserire nella collana Ricciardi La letteratura italiana. Storia e testi, e nel 1974 una collana di saggi, da inserire nella serie Readers di Einaudi, dedicate alle statistiche napoleoniche e di «alcuni prefetti di estrazione politica democratica dell’Italia unita» (Carte G, bb.1-5 e 10, fasc. 8/3).
Nel frattempo l’Università italiana, e quella di Milano in primo luogo, era stata travolta dal movimento studentesco, rispetto al quale fu tra gli accademici uno dei pochi convinti sostenitori. Ai suoi occhi la sollevazione degli studenti rappresentò l’occasione «per riplasmare in termini radicalmente nuovi le strutture della disciplina» e per consentire alla geografia di conseguire il ruolo da lui auspicato nelle scienze sociali. Lo confortavano in questa prospettiva le risposte fornite dagli studenti ad un questionario da lui predisposto nel novembre 1968 circa il ruolo che avrebbe dovuto svolgere la geografia nella cultura del tempo: la maggioranza degli studenti ritennero che la geografia dovesse essere una disciplina impiantata storicamente, volta a esaminare i grossi temi economico-politici della società odierna – già nel marzo precedente, del resto, durante la prima occupazione, aveva inaugurato con gli studenti un seminario rivolto alla città nelle sue varie fasi storiche dal punto di vista architettonico, urbanistico, sociale ed economico (si veda il suo Geografia e contestazione 1968, Faenza 1968). Ma, superando i confini della geografia, è plausibile che Gambi vedesse nel movimento il volano per riformare la società tutta intera, fedele in questo al suo originario credo azionista, in base al quale democrazia equivale in primo luogo a partecipazione. Significativo in tal senso ciò che dichiarò nel Consiglio di facoltà del 24 aprile 1969, quando, discostandosi dalla maggioranza favorevole a richiedere l’intervento della polizia, affermò che fosse «ripugnante la denuncia dei giovani del Movimento studentesco», poiché il Movimento era «una forza largamente rappresentativa dei fenomeni sociali del paese (che si ricongiungono inevitabilmente alle istanze rivoluzionarie abortite dopo la fine della Resistenza)» (Carte G, b. 7, fasc. 4). E secondo direttive assembleari e partecipative estese a tutti gli universitari (studenti compresi) immaginava la nuova forma organizzativa che avrebbe dovuto assumere l’università all’indomani del 1968: per quanto non si nascondesse le difficoltà decisionali che ciò avrebbe comportato riteneva che fosse l’unica soluzione per rendere «l’Università più efficiente sul piano culturale e più moderna sul piano sociale» (Geografia e contestazione, cit., p. 10).
La simpatetica partecipazione alle aspirazioni delle più giovani generazioni rese l’insegnamento di Geografia umana tenuto da Gambi a Milano il cantiere in cui si formò tutta una nuova leva di geografi: molti di loro trovarono accoglienza per le loro prime pubblicazioni, insieme a prestigiosi nomi della geografia internazionale, nella collana Geografia umana fondata da Gambi presso l’editore Franco Angeli nel 1971. Agli anni milanesi corrispose inoltre l’avvio della sua intensa collaborazione con le istituzioni del Canton Ticino, dove riuscì a varare l’introduzione dei ‘programmi integrati’ di geografia e storia per la scuola media che invano aveva cercato di introdurre in Italia.
Fallito il tentativo di mediare tra le posizioni dell’Ateneo milanese e il Movimento studentesco, nel 1976 si trasferì tramite concorso presso l’Ateneo bolognese, dove fino al 1990 tenne la cattedra di Geografia politica ed economica. Due anni prima, era stato al fianco di Andrea Emiliani, allora direttore della Pinacoteca nazionale di Bologna, nel predisporre le finalità e le modalità operative dell’Istituto per i Beni artistici, culturali e naturali dell’Emilia Romagna, fondato dalla neo-istituita regione nel fervido clima programmatorio di quegli anni. Assunta la presidenza dell’istituto nel maggio 1975, diede le proprie dimissioni neanche un anno dopo, motivandole con «una particolare riluttanza, anzi repulsione e incompatibilità, a vedere disgiunti o a concepire isolatamente l’agire scientifico e l’agire politico, e anche dalla pochissima disposizione ai compromessi» (Relazione inviata al Presidente della Regione Emilia-Romagna, 12 luglio 1976, consultabile al sito http://ibc.regione.emilia-romagna.it/parliamo-di/lucio-gambi/scritti-di-lucio-gambi). Con il suo arrivo a Bologna, incominciò a radunare intorno a sé, sotto l’insegna di Geografia democratica, e con l’intento di continuare quel lavoro di gruppo iniziato con l’Atlante della Storia d’Italia einaudiana, un gruppo di giovani geografi, destinati a rinnovare profondamente, secondo i suoi intendimenti, gli ambiti di ricerca della geografia. Si può ricondurre al lavoro svolto per l’approntamento dell’Atlante la riflessione vieppiù costante per le forme di rappresentazione cartografica e iconografica del territorio che per quanto riguarda la città culminò nel volume Milano scritto a quatto mani con Cristina Gozzoli (Bari 1982, nella collana Le città nella storia d’Italia): un volume che, più che essere una storia urbanistica della città in senso stretto si presenta come un’indagine sulle forme di figurazione urbana e sulla loro contestualizzazione storica. Gli anni bolognesi si connotarono però soprattutto per una serie di interventi puntuali (che superano le centinaia) sui nuclei problematici che egli stesso aveva profondamente innovato negli anni precedenti: la geografia dell’insediamento e del fenomeno urbano e urbanistico; la valorizzazione antropica dei quadri ambientali e la loro partizione politico-amministrativa; il concetto di paesaggio e le sue possibili declinazioni dal punto di vista analitico e operativo. L’ultimo suo lavoro di ampio respiro è stata l’edizione, curata insieme ad Antonio Pinelli, della Galleria delle carte geografiche in Vaticano (Modena 1993-1994, 3 voll.), quasi un omaggio postumo al suo maestro Almagià che alle collezioni cartografiche del Vaticano aveva dedicato uno dei suoi più importanti lavori.
Nel 1992 venne nominato socio corrispondente dell’Accademia nazionale dei Lincei e nel 1995 socio nazionale.
Morì a Firenze il 20 settembre 2006.
La biblioteca di Gambi e di Ornella Vergnano, ricca di 19.000 volumi e di un’ingente raccolta di materiale cartografico e iconografico, così come il suo archivio privato (solo in parte riordinato al settembre 2019) sono stati donati all’Istituzione Biblioteca Classense di Ravenna dallo stesso G. nel 2005. Si veda inoltre Istituto storico toscano della Resistenza e dell’età contemporanea, Firenze, Archivio Gaetano Salvemini, III, 34/5 e Archivio Tristano Codignola, b. 34, fasc. 3, b. 37, fasc. 6, b. 104, fasc.1; Fondazione Centro studi sull’arte Licio e Carlo Ludovico Ragghianti, Lucca, Archivio Carlo Ludovico Ragghianti, Carteggio generale, ad vocem; Archivio di Stato di Torino, Archivio Giulio Einaudi editore. Corrispondenza con autori e collaboratori italiani, b. 89, fasc. 1357 (dell’intensa attività di collaborazione con Einaudi sono stati pubblicati due pareri di lettura: Centolettori. I pareri di lettura dei consulenti Einaudi, a cura di T. Munari, Torino 2015, pp. 295-296 e 322-323); A. Schiavi, Carteggi, II, 1927-1965, a cura di C. De Maria, Manduria-Bari-Roma 2004, pp. 544-545, lettera di G. a Schiavi, Milano 4 giugno 1956.
La bibliografia degli scritti di Gambi è stata curata da M. Rossi, Per una bibliografia di Lucio Gambi, presentata alla Giornata di studio sul paesaggio dedicata a Lucio Gambi, a cura della Fondazione Benetton Studi Ricerche, Luoghi di valore. Valore di luoghi, Treviso, 5-6 febbraio 2009, consultabile on-line all’indirizzo http://www.fbsr.it/wp-content/uploads/2009/02/Per-una-bibliografia-di-Lucio-Gambi-a-cura-di-Massimo-Rossi-2009.pdf. Si veda inoltre Nei cantieri della ricerca: incontri con Lucio Gambi, a cura di F. Cazzola, Bologna 1997; A. Tanter-Toubon, Régionalisme et régionalisation dans l’œuvre du géographe italien Lucio Gambi, in Revue d’histoire des sciences humaines, 2003, 9, pp. 103-40; Una geografia per la storia. Dopo Lucio Gambi, a cura di M. Quaini, in Quaderni storici, 127, 2008; La cognizione del paesaggio. Scritti di Lucio Gambi sull’Emilia Romagna e dintorni, a cura di M. P. Guermandi e G. Tonet, Bologna 2008 (con interventi delle curatrici, di E. Raimondi, F. Farinelli, M. Foschi e S. Venturi): altri testi di Gambi, oltre a diversi materiali iconografici, sono consultabili sul sito http://ibc.regione.emilia-romagna.it/parliamo-di/lucio-gambi; Gli anni milanesi di Lucio Gambi, a cura di T. Isenburg - A. Treves - A. Visconti, Storia in Lombardia, 1-2, 2009, dove sono riprodotti alcuni suoi scritti del periodo milanese con una Presentazione di T. Isenburg, pp. 9-21; Lucio Gambi, il Ticino, la geostoria. Gli apporti di un geografo contro corrente, in Gea. Paesaggi territori geografie, n. 28, 2012; F. Farinelli, Lucio G, in Il contributo italiano alla storia del pensiero. Storia e politica, Roma 2013; Lucio Gambi, Ravenna e la Romagna. Un geografo per la storia, a cura di D. Bolognesi e C. Giovannini, Bologna 2018; Natura, storia, uomini. Giornata di studi in onore di Lucio Gambi, Roma 2019.