ANDRONICO, Lucio Livio (L. Livius Andronīcus)
Da Taranto condotto schiavo a Roma nel 272 entrò, come litterator, nella casa di un Livio da cui fu affrancato. Il prenome T (Titus), dato da alcune fonti, è dovuto a scambio con il prenome dello storico patavino. Che il patrono sia stato un Livio Salinatore risulta da S. Girolamo sotto l'anno 1830 da Abramo, cioè 187 a. C. (p. 137 Helm); ma ad identificarlo con il vincitore di Sena Gallica, oltre alla difficoltà del prenome L e non M - difficoltà non insormontabile, poiché un liberto poteva talora assumere un prenome diverso da quello del patrono - si oppone la cronologia. M. Livio Salinatore, console la prima volta nel 219 e la seconda nel 207, difficilmente avrebbe potuto essere il padrone dello schiavo giunto a Roma, sia pure in giovane età, nel 272. Le fonti antiche (Accio?) hanno forse confuso M. Livio Salinatore, console nel 207 (anno in cui si cantò il partenio di A.) con il patrono del poeta. Per i modesti bisogni della sua scuola, A. volse nell'"orrido" saturnio gli episodî più interessanti dell'Odissea: opera rozza, ma importantissima come primo tentativo di schiudere ai Romani la bellezza dei capolavori greci. Nel 240 (cfr. Cic., Brut., 18, 72), A. rappresentò rifacimenti d'una tragedia e di una commedia greca (cfr. Cassiod., Chron., p. 128 Mommsen), adattando alla lingua latina i metri ellenici. Accio riferiva al 197 questa prima rappresentazione, con evidente errore combattuto validamente da Cicerone (loc. cit.). La struttura del dramma latino, costituito da diverbia e cantica, presenta divergenze sensibilissime in confronto con la tecnica greca, e non è da escludere l'influenza etrusca. Dall'Etruria venivano gl'istrioni (cfr. Vollmer, Römische Metrik, nell'Einleitung in die Altertumswissenschaft di Gercke e Norden, 3ª ed., I, 8, p. 2). L'aneddoto che Livio, nel recitare un suo dramma, abbia perso la voce e si sia fatto sostituire nel canto da un giovanetto riducendosi alla mimica, è un mito etiologico per spiegare un uso che era generalmente seguito nel teatro latino (cfr. Liv., VII, 2, 8). Delle tragedie si hanno nove titoli: Achilles, Aiax Mastigophorus, Equos Troianus, Aegisthus, Hermiona, Andromeda, Danae, Ino, Tereus; delle commedie tre: Gladiolus, Ludius, Verpus (?). Nel 207, dopo spaventosi prodigi, un coro di ventisette fanciulle cantò, per ordine dei pontefici, un partenio in onore di Giunone Regina, composto dal nostro A. (cfr. Liv., XXVII, 37, 7). Gli eventi da quel giorno volsero propizî, e i Romani, per riconoscenza verso il poeta i cui versi avevano placato le divinità corrucciate, istituirono il "collegio degli scrittori e degli istrioni" nel tempio di Minerva sull'Aventino (cfr. Fest., p. 446, 29 Lindsay). Che Livio nei ludi tarentini del 249 abbia composto un carme in onore di Proserpina è arguta, ma non dimostrabile ipotesi del Cichorius (Römische Studien, Lipsia 1922, p. 1. segg.). Secondo il Cichorius stesso (ibid., p. 7), la morte di A. cadrebbe tra il 207 e il 200. Infatti nel 200 fu cantato solennemente un carme espiatorio di P. Licinio Tegula. Ma l'onore di comporre il carme, dice il Cichorius, sarebbe certo toccato a Livio A., se fosse stato ancora in vita: argomento che è ben lungi dall'essere perentorio.
Per i frammenti dell'Odyssia v. W. Morel, Fragmenta poetarum latinorum, Lipsia 1926, pp. 7-17; per quelli delle tragedie, Ribbeck, Tragicorum romanorum fragmenta, 3ª ed., Lipsia 1897, pp. 2-7; per quelli delle commedie: Ribbeck, Comicorum romanorum fragmenta, 3ª ed., Lipsia 1898, pp 3-5.
Bibl.: Leo, Geschichte der röm. Literatur, I, Berlino 1913, pp. 55-70; Schanz-Hosius, Geschichte der röm. Litteratur, I, Monaco 1927, pp. 45-49; E. Curcio, Storia della letteratura latina, I, Napoli 1920, pp. 121-130; P. Lejay, Hist. de la litt. latine des origines à Plaute, Parigi 1923, pp. 205-227.