MALVEZZI, Lucio
Nacque a Bologna nel 1462 dal conte Lodovico di Gaspare del ramo della Ca' grande, che fu comandante al servizio di vari signori, e dalla nobile Teodosia, figlia di Marco Del Carretto.
Ben poco si sa della sua giovinezza, se non che, rimasto orfano assai presto del padre (1467), si dedicò a sua volta alla professione militare. Poco più che ventenne, nell'estate del 1483, in occasione della guerra di Ferrara, era al comando di 100 cavalieri al servizio di Venezia; allora gli fu ordinato di tentare un colpo di mano contro il duca Ercole I, che si era recato a una festa fuori città. La manovra fallì e il M., accusato di disobbedienza, fu licenziato con i suoi uomini. Riparò presso Roberto Sanseverino, duca di Caiazzo, luogotenente generale delle truppe venete operanti nel Bresciano, ottenendo il perdono della Serenissima, di cui figurava nuovamente al soldo nel settembre 1483, con 145 cavalieri aumentati a 180 il 5 genn. 1484. Qualche mese dopo sposò una figlia del Sanseverino, Ginevra, e con il suocero era presente, il 6 e 7 febbr. 1485, ai festeggiamenti tenuti a Venezia per celebrare la conclusione della guerra.
Ancora al servizio della Repubblica il M. prese parte alla guerra di Rovereto, combattuta contro Sigismondo d'Austria nel 1487; il 2 luglio egli si trovava a Venezia, per negoziare la condotta del suocero al comando delle truppe della Serenissima, ma di lì a qualche giorno era nella zona delle operazioni, dove partecipò alla conquista di Calliano. La pace comportò la cessazione dell'ingaggio del M., che rientrò a Bologna, dove le tensioni fazionarie tra i Bentivoglio e gli esponenti della sua numerosa famiglia, che avevano organizzato una congiura, sventata, sarebbero culminate nel saccheggio delle case dei Malvezzi, il 1( dic. 1488; evento seguito da persecuzioni, bandi e relegazioni.
A detta del Ghirardacci (p. 251), nella circostanza il M. tenne un atteggiamento defilato, suggerendo moderazione; di fatto, egli riparò a Milano presso Ludovico Sforza detto il Moro. Qui però lo raggiunse la vendetta di Giovanni Bentivoglio, ormai saldamente al potere a Bologna, che riuscì a farlo bandire sia dallo Sforza sia da Venezia. A questo punto le fonti tacciono sulle vicende del M.: possiamo presumere che seguissero anni difficili.
Negli sconvolgimenti della politica italiana suscitati dalla discesa di Carlo VIII, ritroviamo, nel 1495, il M. nel suo ruolo di condottiero al servizio dello Sforza (fu presente allo scontro di Fornovo), quindi di Pisa, minacciata dai Fiorentini ma sorretta finanziariamente e militarmente da Milano e Venezia. Al comando del contingente sforzesco egli ottenne alcuni successi tra l'aprile e il maggio 1496 ma, insoddisfatto dei compensi che gli venivano corrisposti, si astenne da ulteriori operazioni, tentando invece di approfittare delle aderenze che la mutata situazione gli offriva per indebolire la posizione dei Bentivoglio a Bologna, dove il 30 ott. 1495 gli erano stati confiscati i beni. I suoi sforzi non sortirono però esito positivo.
Ottenne invece dai Pisani l'investitura del feudo di Vaiana, e così prese nuovamente parte alle operazioni contro i Fiorentini collaborando con gli stradiotti veneziani, condotti da Giustiniano Morosini, al saccheggio di Borgo Bolzano (28 giugno 1496). L'ambigua condotta allora tenuta dal M. verso gli alleati ebbe in risposta l'ingaggio, da parte della Serenissima, di Annibale Bentivoglio, "inimigo mortal de Lucio Malvezzo, capitano del duca de Milan" (Malipiero, p. 467), col duplice fine di punire il M. e di scoraggiare le mire di Massimiliano I d'Asburgo, che condizionava i suoi aiuti a Pisa all'insediamento di un suo governatore nella città toscana.
Il 10 ott. 1496, annota Sanuto, il M. "si era partito et andato verso i castelli di marchesi Malaspina" (I, col. 358), donde poi riparò a Milano presso lo Sforza, che nel gennaio 1497 lo inviava a Savona in difesa della Repubblica genovese, minacciata dai Francesi.
Per alcuni mesi il M. si spostò tra Savona, Genova e Alessandria, di cui il Moro lo nominò governatore il 22 novembre; in seguito fu col cognato Giovanni Francesco Sanseverino nuovamente a Savona, per sventare i tentativi dei Francesi di impadronirsi della città.
Il 18 giugno 1498 fu inviato dal Moro a Pisa, "a conzarsi con fiorentini" (Sanuto, I, col. 991), onde prevenirvi un intervento degli svizzeri di Massimiliano, ma il 12 ottobre si trovava di nuovo ad Alessandria.
Vi rimase quasi un anno; poi, nell'agosto del 1499, all'avvicinarsi dei francesi di Luigi XII, riparò a Milano, abbandonando la città che gli era stata affidata e che fu preda di terribili violenze; il 31 agosto seguì lo Sforza che intendeva riparare nel Tirolo presso Massimiliano I, ma a Rovereto venne catturato dai Veneziani, alleati di Luigi XII. Il 23 settembre il podestà della cittadina informava il Senato di aver liberato il M., che "si ha offerto esser servitor di la Signoria nostra" (Sanuto, II, col. 1354), e di averlo lasciato partire alla volta di Milano, dove nel febbraio 1501 riceverà ordine dal duca, temporaneamente rientrato in Lombardia alla testa di truppe svizzere, di provvedere alla custodia di Vigevano. Qualche settimana dopo, però, era nuovamente prigioniero dei Veneziani, che con i Francesi loro alleati si erano impadroniti del Ducato sforzesco; il 16 apr. 1500, infatti, il rettore di Cremona informava il Senato che il M. "fo preso da li nostri provisionati a una hostaria, vestito da frate" (Sanuto, III, col. 242). Ancora una volta il M. si offrì di servire la Serenissima, ma inutilmente; evitò tuttavia di essere consegnato al suo nemico capitale, Giovanni Bentivoglio, che aveva offerto 2000 ducati "per averlo in le man": rimase custodito a Cremona sino al 23 agosto, quindi fu portato nella fortezza di Castelvecchio, a Verona. La relegazione ebbe termine solo nell'aprile 1501, per intercessione pontificia; dopo di che il M. si recò a Roma e di lì in Romagna, agli ordini di Cesare Borgia, duca del Valentinois, di cui per qualche anno seguì le sorti. Poi, dopo il tracollo del Borgia, passò a servire papa Giulio II, che intendeva strappare Bologna a Giovanni Bentivoglio.
Troviamo così il M. nel corteo pontificio che l'11 nov. 1506 fece un trionfale ingresso in città. Le vendette dei Malvezzi, e di altri fuorusciti, contro i Bentivoglio non furono inferiori a quelle subite qualche anno prima, ma del pari inefficaci a mettere fine al conflitto.
Per parare una riscossa dei Bentivoglio, il 30 apr. 1507 il M. venne nominato dal Senato bolognese capitano generale, e in questa veste, secondo il Ghirardacci (pp. 370 s.), avrebbe cercato di salvare dalla distruzione il palazzo di famiglia dei suoi nemici: un atto che appare coerente con l'atteggiamento prudente che fu tipico del Malvezzi. Di sicuro, il 28 maggio ottenne la restituzione dei beni che erano stati confiscati a lui e a tutta la famiglia.
Un mese dopo Venezia armava, in previsione di una discesa di Massimiliano in Italia; in data 30 sett. 1507 Sanuto annota: "Vene a Venecia do condutieri nuovamente conducti [(], videlicet domino Lucio Malvezo, partito di Bologna, qual ha la compagnia in Veronese" (VII, col. 156). Il 4 genn. 1508 fu inviato a Brentonico, quindi seguì a Valeggio il provveditore generale in campo, Giorgio Emo, al comando di 400 cavalieri.
Per tutto quell'anno continuò a operare contro gli Imperiali, prendendo parte alla trionfale cavalcata in Cadore di Bartolomeo d'Alviano, governator generale dell'esercito veneziano. Nell'aprile 1509, quando iniziava la guerra della lega di Cambrai, il M. si trovava con l'Alviano a Nogara, nel Veronese, donde si portò nel Mantovano per prevenire le mosse di Francesco II Gonzaga. Il M. non prese parte direttamente all'infausta giornata di Agnadello (14 maggio 1509), e finì perciò per ritrovarsi nel novero dei condottieri del suo tempo tenuti in maggior considerazione, dal momento che aveva conservata intatta la sua reputazione.
Nei frenetici mesi che seguirono la disfatta, il M. operò al servizio della Repubblica a Treviso, Padova, Legnago, onde por freno al dilagare dei collegati vittoriosi; quindi, l'8 agosto riuscì a conseguire quello che fu il più brillante successo della sua carriera militare: la cattura, avvenuta a Isola della Scala, del marchese di Mantova, Francesco II Gonzaga. Il colpo di mano sortì l'effetto di galvanizzare i Veneti e deprimere i collegati, sicché il 22 settembre il governo marciano gli rinnovò la condotta per 17.000 ducati d'oro, con cento uomini d'arme e altrettanti balestrieri a cavallo. Questa generosità era motivata anche dall'opportunità di confermare il M. nella fedeltà alla Serenissima, vanificando un concomitante tentativo del neoeletto imperatore Massimiliano I di guadagnare il condottiero al suo servizio. Qualche tempo dopo (25 genn. 1510) morì il comandante delle truppe venete, Niccolò Orsini, conte di Pitigliano, e il comando dell'esercito passò al M., che ricevette le insegne di capitano generale nel duomo di Padova, l'11 ag. 1510.
Fece però cattiva prova, perché non seppe, o non volle, approfittare delle difficoltà causate alle truppe francesi dalla calata degli Svizzeri nell'ottobre seguente, limitandosi a un debole tentativo di assedio contro Verona. Durissimo il commento nelle fonti veneziane, a cominciare da P. Bembo: "Sed inerat in Lucio incredibilis omnium rerum, etiam non magnopere timendarum, suspensio animi et cordis gelidus quidam pavor, qui eum retinebat, ne quid egregium atque altum auderet" (p. 393).
Di fatto, allo scadere della condotta fu nominato in suo posto il perugino Giampaolo Baglioni. Di lì a poco (3 sett. 1511) il M. morì a Padova, tormentato da febbri e sifilide.
L'indomani Sanuto così annotava: "hanno fato l'inventario di tutte sue robe [(]. Non à fioli, solum uno nepote, nì moglie etc.; arzenti per ducati 1.000, XV boni cavali [(]. Item, fo scrito che il corpo [(] sia posto in uno deposito lì a San Beneto, senza far altre exequie. E nota, che dito domino Lucio morite con pessima fama" (XII, col. 461). Tuttavia, alla fine del XVIII secolo, in Prato della Valle a Padova gli fu eretta una statua, con una iscrizione.
Uomo d'arme, esponente di quella nobiltà che, nell'Italia del Rinascimento, scelse il mestiere militare anche come opportunità politica per la propria famiglia, il M. appare condizionato nelle sue scelte dall'inimicizia con i Bentivoglio. Seppe, però, sempre valutare con attenzione i rapporti di forza, rinunciando all'azione quando mancavano i presupposti del successo; la qual cosa gli valse, in più di una occasione, l'accusa di eccessiva prudenza.
Fonti e Bibl.: Arch. di Stato di Venezia, Senato, Secreti, regg. 31, c. 120v; 42, cc. 35v-36r; C. Ghirardacci, Della historia di Bologna parte III, in Rer. Ital. Script., 2a ed., XXXIII, 1, a cura di A. Sorbelli, pp. 251, 253, 288, 356, 369 ss.; G. Priuli, I diarii, ibid., XXIV, 3, vol. I, a cura di A. Segre, pp. 54 s.; D. Malipiero, Annali veneti dall'anno 1457 al 1500, a cura di F. Longo - A. Sagredo, in Arch. stor. italiano, s. 1, 1843, t. 7, parte 1a, pp. 435, 467; 1844, t. 7, parte 2a, 2, p. 960; M. Sanuto, I diarii, I-XII, Venezia 1879-86, ad indices; I Libri commemoriali della Repubblica di Venezia. Regesti, a cura di R. Predelli, V, Venezia 1901, p. 306; VI, ibid. 1903, pp. 105 s.; M. Sanuto, Le vite dei dogi. 1423-1474, a cura di A. Caracciolo Aricò, II, Venezia 2001, pp. 372 s., 385, 485 s., 573; P. Bembo, Historiae Venetae, in Degl'istorici delle cose veneziane, II, Venezia 1718, pp. 99, 101, 238, 321 s., 355, 381, 392 s., 419 s., 425; E.A. Cicogna, Delle inscrizioni veneziane, II, Venezia 1827, p. 263; V, ibid. 1842, p. 280; VI, ibid. 1853, p. 16; S. Romanin, Storia documentata di Venezia, V, Venezia 1856, pp. 218, 243, 250 ss., 269; J. Nardi, Istorie della città di Firenze, a cura di A. Gelli, Firenze 1858, I, pp. 85, 355 s.; P. Zanetti, L'assedio di Padova del 1509 in correlazione alla guerra combattuta nel Veneto dal maggio all'ottobre, in Nuovo Arch. veneto, II (1891), pp. 79 s., 138, 141-145, 151 s., 161; R. Cessi, La cattura del marchese Francesco Gonzaga di Mantova e le prime trattative per la sua liberazione, ibid., n.s., XXV (1913), 1, pp. 147 s., 150-157; P. Pieri, Il Rinascimento e la crisi militare italiana, Torino 1952, pp. 370, 472, 480 s.; F. Guicciardini, Storia d'Italia, in Id., Opere, a cura di V. De Caprariis, Verona 1953, pp. 483, 505, 518, 544, 546, 711, 722, 725, 733; G. Coniglio, Francesco Gonzaga e la Lega di Cambrai, in Arch. stor. italiano, CXX (1962), pp. 19, 30; M.E. Mallett - J.R. Hale, The military organisation of a Renaissance State. Venice c. 1400 to 1617, Cambridge 1984, pp. 58, 269, 286 s., 292, 295; Malvezzi. Storia, genealogia e iconografia, a cura di G. Malvezzi Campeggi, Roma 1996, pp. 157 s., 177, 398; Enc. biografica e bibliografica "Italiana", C. Argegni, Condottieri, capitani, tribuni, p. 175.