ROSELLO, Lucio Paolo
– Nacque a Padova da una nobile famiglia di giureconsulti di origine aretina.
Le notizie iniziali sulla sua vita sono carenti: divenne prete nel 1522 e si addottorò in diritto canonico e civile nello Studio di Padova tra il 1522 e il 1525. Fu editore di numerosi libri di argomento letterario, filosofico e giuridico, alcuni dei quali ristampati più volte: nel 1520 il Dictionarium di Ambrogio Calepino, nel 1522 il Novellino di Masuccio Salernitano, gli Opera di Virgilio, poi Federicus Nausea, In artem poeticen [...] primordia, nel 1525 Giovanni Boccaccio, Laberinto d’amore e Jean de Jandun, Quaestiones [...] in duodecim libros Metaphysice e nel 1526 il De bellis civilibus Romanorum di Appiano d’Alessandria. Gli emendamenti di Rosello ai testi non sono realizzati ope codicum, ma ope ingenii, seguendo il proprio gusto linguistico, secondo l’uso del tempo. Il maggior successo arrise però alle opere giuridiche: nel 1522 pubblicò l’Apparatus [...] Innocentii papae [...] super V. libros decretalium e i commentari di Francesco Accolti, Super I et II ff. [Digesti] novi (ripubblicata la seconda parte), Super I et II C[odicis] Comm[entaria], Super I et II infor[tiati partem] e Baldo degli Ubaldi, Repertorium Innocentii. Margarita, nel 1523 sempre di Accolti, Repertorium solenne, nel 1525 Giovanni Crotto, Repetitiones e, nel 1532, i Flores legum secundum ordinem alphabeti. Nel 1524 Rosello compose il manoscritto Dialogi de deorum antiquis involucris, dedicati a Giovanni Argentino, poi al cardinale Ercole Gonzaga.
La vita di Rosello fu molto condizionata dalle idee religiose. Già nel 1521 pubblicò gli scritti di Angela da Foligno e nel 1525 una propria dedica premessa a Marco Mantova Benavides, L’heremita, overo della predestinatione. A Padova negli anni Venti conobbe l’umanista Friedrich Grau, detto Nausea, che lo introdusse alle concezioni di Erasmo. Aderì molto presto alle dottrine della Riforma, come rivelano tre lettere del 1530. Abitò a Padova e a Venezia e dal 1529 al 1532 fu cappellano del vescovo di Concordia Giovanni Argentino.
Dal 15 aprile 1532 al 26 ottobre 1548 fu parroco di Maron di Brugnera, nella contea di Porcia. Le date si ricavano da un registro autografo della fabbriceria. Risiedette nella parrocchia e curò la dignità del culto, riordinando anche la parte economica. Nel 1537 fece costruire un battistero in pietra, ora pila dell’acqua santa, con la scritta «Qui crediderit et baptizatus fuerit, salvus erit. I.D.XXXVII», probabile allusione alla preminenza della fede. Le idee della Riforma erano peraltro molto note nella diocesi di Concordia e nella confinante diocesi di Ceneda. Vi aderirono alcuni conti di Spilimbergo e altri di Porcia, alcuni preti, ma soprattutto un gruppo di artigiani purliliesi, tra cui spicca il cognato di Rosello, Antonio «de l’oio», tessitore, processato poi dall’Inquisizione. Rosello fu in contatto con molti personaggi rilevanti del movimento riformatore nella Repubblica di Venezia come Pier Paolo Vergerio, Andrea Arrivabene, Vincenzo Valgrisi, Girolamo Donzellino e il fratello Cornelio, Giovanni Andrea Ugoni, Costantino Cato, Francesco Stella, Vincenzo Maggi, pre Francesco Bertoldo, Girolamo Amalteo e il fratello Giovanni Battista, Zuane de Honestis, Orazio Brunetto e altri a Venezia, Oderzo, Portobuffolè, Serravalle. Le idee della Riforma che circolavano erano quelle tipiche della Serenissima: le dottrine luterane fondamentali, alcune concezioni di Calvino, la nozione zwingliana dell’eucarestia, il pensiero spiritualista di Juan de Valdés.
Rosello si stabilì quindi a Venezia, dove si dedicò alla produzione di libri che cercavano di diffondere in modo nicodemitico le nuove idee religiose: nel 1549 il Discorso di penitenza [...] a un ragionamento del [...] cardinal Contareno, pieno di una concezione spiritualistica del cristianesimo, ma non apertamente eretico, dedicato al vescovo eterodosso Andrea Centani, nel 1551 (tip. Comin da Trino) le Considerationi devote intorno alla vita e passione di Christo e la traduzione dei sermoni di Teodoreto di Ciro, Della provvidenza di Dio. Partecipò anche al gruppo che preparò a Venezia (s. t. [Jean Frellon?]) il Nuovo Testamento tradotto da Massimo Teofilo, Le semenze de l’intelligenza del Nuovo Testamento dello stesso, Le dotte e pie parafrasi sopra le Pistole di Paolo a’ Romani, Galati ed Ebrei di Gian Francesco Virginio (pseudonimo di Cornelio Donzellino) e il libretto Come Christo è il fine della legge (s. t. [Jean Frellon?]), traduzione della prefazione di Calvino alla Bibbia. Era stata inoltre preparata la traduzione del Trattato della santa Cena di Calvino, ma fu sequestrata. I libri uscirono a Lione nel 1551, segno evidente che stampare a Venezia opere del genere era diventato pericoloso. Nel 1549 Rosello pubblicò due libri sulla nobiltà: una riedizione del Discorso di nobiltà di Marco della Frata e Montalban (s. n. t.; poi Venezia, V. Valgrisi, 1551) e Due dialoghi (tip. Comin da Trino), in cui sostenne tra l’altro la liceità della simulazione. Il secondo dei Due dialoghi è un plagio del De patientia di Celio Calcagnini con poche aggiunte ed espurgazioni. Rosello conosceva bene il clima letterario, argomenti e stili del periodo e se ne approfittò. Gli fu anche attribuita da uno storico una figlia, la «sua diletta figliola Clementia», ma è un’interpretazione infondata di una lettera delle Considerationi devote, perché con ogni evidenza si tratta di una figliolanza unicamente spirituale.
Il 18 giugno 1551 un commerciante di libri sotto processo da qualche mese, Bonifacio Milion (o Emilione), per ingraziarsi il S. Uffizio rivelò la presenza di molti libri proibiti in casa del patrizio Pietro Cocco, presso cui Rosello abitava. Il 22 e 23 giugno a Rosello fu sequestrato un ingente numero di opere proibite, tra le più rilevanti nella storia della Riforma in Italia. Parecchi sono gli autori luterani, Lutero stesso, Brentz, Osiander, Urbanus Rhegius, Johann Spangenberg, ma in numero leggermente superiore sono i riformati, ossia Ecolampadio, Zwingli, Butzer, Calvino e un gruppo di strasburghesi: Otto Brunfels, Anton Corvinus e Willich Jodocus. L’ultimo terzo di libri è in italiano, tra cui quelli di Girolamo Galateo, Juan de Valdés, una dozzina di titoli di Pier Paolo Vergerio, Pietro Martire Vermigli, il Sommario della Sacra Scrittura, il Beneficio di Cristo, un Nuovo Testamento tradotto da Antonio Brucioli.
Rosello fu arrestato alla fine di giugno in data non registrata e fu interrogato subito e poi il 1° luglio, 26 settembre, 8, 10 e 16 ottobre da Rocco Cattaneo, auditore del nunzio, e dall’inquisitore fra Nicolò da Venezia. Sfruttando le sue conoscenze giuridiche, tenne un atteggiamento prudentemente nicodemita: negò di aver creduto dottrine eretiche sull’eucarestia, il purgatorio, la confessione, le scomuniche, la fede, le opere, i cibi proibiti, le tradizioni umane. Aggiunse anzi di ritenere che nessun sacerdote potesse avere più di un beneficio e che fosse obbligato a fare la residenza, ma si corresse: a meno che non ne fosse dispensato. I due giudici della fede decisero allora di far esaminare un manoscritto autografo sequestrato: Della fede et verità christiana, 138 carte, dedicato al cardinale Ercole Gonzaga. Fu incaricato l’ex inquisitore fra Marino da Venezia, detto il Zotto, che elencò una serie di idee in parte scandalose, sospette e bisognose di spiegazione, in parte totalmente eretiche: la salvezza si ha per la sola misericordia o grazia di Dio, i prelati sono simoniaci, il numero degli eletti è noto solo a Dio e non ai prelati, non si deve temere la scomunica, i frati sono la rovina di tutta la Chiesa, tutto va attribuito alla fede e all’autorità di Paolo, le opere supererogatorie (quelle che vanno oltre ai precetti) sono cattive e condannate da Cristo come farisaiche, i cristiani possono soddisfare solo per le pene temporali e non possono farlo per gli altri, le opere umane non sono degne della vita eterna, i meriti dei giusti e dei santi non esistono, le immagini dei santi sono idoli, non si deve credere nulla che non sia espresso nella parola di Dio, non si devono proibire i cibi. Rosello a questo punto non riuscì più a tergiversare e accettò di ritrattare, riconoscendo di aver avuto libri proibiti e idee eretiche. Il 3 novembre abiurò le eresie più gravi e fu assolto con una sentenza di riconciliazione del tutto mite, che comportava 25 ducati di multa, secondo le leggi statali sui libri proibiti, il rogo delle opere sequestrate, il domicilio coatto a Venezia e l’obbligo di presentarsi una volta alla settimana al tribunale. Il 10 novembre l’editore Vincenzo Valgrisi, aderente alla Riforma, fece la fideiussione per la liberazione dal carcere e il 17 dicembre versò 20 ducati in ottemperanza alla sentenza. Nel fascicolo ci sono inoltre 16 lettere sequestrate, scritte da personaggi noti e meno noti tra il 1522 e il 1551, che illustrano aspetti interessanti della vita di Rosello.
Il 27 luglio 1551 fu processato Pietro Cocco, che negò ogni coinvolgimento nel commercio dei libri, dichiarando che li credeva buoni, anche se ammise che gliene aveva mandati dall’estero Vergerio. Pur avendo confessato di aver letto delle opere proibite, tra cui il Beneficio di Cristo, il patrizio non subì alcuna condanna. Infine, il 30 dicembre 1552 Rosello fu sentito come testimone sul conto di Cornelio Donzellino, il fratello Girolamo e Zuane de Honestis e fece ampie rivelazioni.
Dopo l’abiura interruppe l’intensa attività di produzione letteraria. L’unico libro, pubblicato nel 1552 da Andrea Arrivabene, fu Il ritratto del vero governo del prencipe, privo di riferimenti espliciti a dottrine religiose, rivolto a Cosimo I de’ Medici e dedicato al figlio Francesco. Rosello vi parla degli atteggiamenti degli intellettuali verso i mutamenti politici in corso, cercando di rivestire il crudo realismo politico di Machiavelli con l’idealismo pacifista di Erasmo. Erano due concezioni differenti, ma entrambe malviste dai difensori dell’ortodossia. In più, l’opera si chiude con la traduzione di due orazioni di Isocrate, di cui la prima tratta un tema erasmiano, l’educazione del principe. Per noi è chiara l’intenzione di Rosello di sottostare solo apparentemente alla sentenza inquisitoriale, convogliando in modo coperto ancora nell’ultima opera un messaggio di rinnovamento religioso.
Non si conoscono il luogo e la data esatta della morte, avvenuta certamente prima del 22 aprile 1556, come attestato dal cognato Antonio nel processo.
In edizione moderna è Il ritratto del vero governo del prencipe (1552), a cura di M. Salvetti, Milano 2008.
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