SANSEVERINO, Lucio
– Nacque nel 1564 molto probabilmente a Saponara, figlio di Giovanni Giacomo, quarto conte di Saponara, e di Cornelia Pignatelli. Fece parte del grande casato dei Sanseverino di Bisignano, di cui la linea dei conti di Saponara rivendicò il titolo e i beni. Suoi fratelli furono Fabrizio, Ascanio, Vittoria, Delia e il primogenito Ferdinando, che ereditò il titolo di conte.
Alla morte del padre nel 1582, fu avviato alla carriera ecclesiastica. A Roma ricoprì brevemente la carica di referendario delle due Segnature. Appena ventenne, Filippo III lo designò vescovo della diocesi regia di Rossano, alla quale Clemente VIII lo preconizzò il 2 dicembre 1592. L’11 gennaio ricevette il pallio vescovile. Appartenne quindi alla schiera di vescovi di regio patronato, i quali, grazie al potere del lignaggio di appartenenza, occuparono nel corso dell’età spagnola importanti sedi diocesane. Un vescovado regio era infatti un prestigioso e rilevante beneficio, con il quale la Corona ricompensava le famiglie più meritevoli per fedeltà al sovrano.
Sanseverino, nel corso di un ventennio, acquisì una rilevante esperienza nel governo diocesano, come avrebbe poi dimostrato nel successivo incarico vescovile. A Rossano nel 1593 inaugurò il seminario adattando il palazzo della famiglia Adimari e nel 1598 celebrò il sinodo diocesano. Si adoperò per arricchire la chiesa metropolitana di preziose suppellettili e commissionò l’elegante soffitto a cassettoni della cattedrale. Grazie alla sua origine aristocratica, poté svolgere un ruolo di mediazione sulla concessione in feudo di Rossano, quando la città venne ceduta nel 1610 al principe di Scilla, Tiberio Carafa, provocando un grave scontro tra i partigiani di Carafa e coloro che vi si opponevano. Per non cadere sotto il controllo di Carafa, la città incaricò Sanseverino di avviare contatti con il cardinale Pietro Aldobrandini, interessato a investire risorse economiche in feudi nel Regno di Napoli, perché fosse lui ad acquistare Rossano dalla Corona. La mediazione di Lucio andò in porto.
Sanseverino ambì a sedi più prestigiose di Rossano. Nel 1602 risultò tra i nomi della terna formulata per la successione al più autorevole vescovado di Taranto, per il quale fu però scelto Ottavio Mirto Frangipane. Nel 1612 riuscì a conseguire la nomina di arcivescovo dell’ancora più prestigiosa e rilevante diocesi regia di Salerno, di cui restò titolare fino alla morte.
Nel 1613, a due mesi dal suo ingresso nella diocesi, realizzò la visita pastorale. Il primo sinodo diocesano sotto la sua direzione ebbe luogo nel 1614. Nel maggio del 1615 celebrò il sinodo provinciale, pubblicando gli atti nel 1618, con dedica a Paolo V.
Nonostante gli atti non presentino spiccati caratteri di originalità il sinodo fu considerato tra i più rilevanti dell’epoca. Sanseverino, in piena continuità con i suoi predecessori, deplorò energicamente l’uso nella diocesi del lamento funebre e di rituali superstiziosi da parte dei fedeli, condannando gli incantesimi per curare o procurare malattie a uomini e bestiame, le arti divinatorie e l’astrologia per conoscere il futuro e le arti «diaboliche» per provocare o sedare venti e tempeste.
Nel 1622, poco prima di morire, celebrò un secondo sinodo diocesano. Anche a Salerno fu prodigo nell’abbellire la cattedrale, portando a termine il progetto di tumulare nell’altare centrale il corpo di Gregorio VII, di cui fu anche completata una statua marmorea e la teca per la reliquia del capo. Il santo fu traslato il 4 maggio 1614.
Come accadeva di frequente per vescovi e cardinali di rilevanti famiglie aristocratiche del Regno di Napoli, Sanseverino svolse anche la funzione di nunzio apostolico. Venne infatti incaricato di tale missione nelle Fiandre dal 2 giugno 1619 al maggio 1621, presso l’arciduca Alberto e l’infanta di Spagna, Isabella Clara Eugenia. Alla nunziatura di Bruxelles era sottoposta anche la giurisdizione dei territori dei ribelli olandesi. Per questo motivo nelle istruzioni rilasciate dal cardinale Camillo Borghese si ricordava al nunzio che le province cattoliche delle Fiandre non presentavano particolari criticità da affrontare, grazie alla pietà e alla bontà della coppia dei principi. In quella parte del Paese Sanseverino aveva l’incombenza soprattutto di risolvere questioni di natura amministrativa e dirimere liti giudiziarie nelle quali erano implicati rilevanti luoghi di culto.
Ben diversa era, invece, la situazione che presentavano le province ribelli protestanti. La missione ebbe luogo, infatti, a ridosso della conclusione della tregua di 11 anni stabilita tra le Sette province unite e la Spagna. Si raccomandava quindi al nunzio di vigilare, prima ancora che sulla parte cattolica, sull’Olanda protestante, poiché a Roma si attendeva con preoccupazione l’approssimarsi della conclusione della tregua. Egli doveva accuratamente rendersi conto della situazione politica degli olandesi, nonché prendere accurate informazioni sui loro progetti, essendo in quegli anni cresciuta la potenza delle Sette province unite. Le stesse istruzioni facevano presente che, nonostante gli interessi commerciali della repubblica avessero preso soprattutto la direzione dell’India in competizione con i portoghesi, si aveva il sospetto che gli olandesi volessero svolgere un ruolo attivo anche nel Mediterraneo.
Non siamo a conoscenza di quanto effettivamente fosse stata fruttuosa la missione di Sanseverino. Al suo ritorno tuttavia papa Gregorio XV nel Concistoro del 21 luglio 1621 lo elevò al rango di cardinale prete di S. Stefano al Monte Celio, lasciandogli però l’incarico pastorale di arcivescovo di Salerno. Lucio partecipò successivamente al conclave del 1623 che elesse Urbano VIII e per il quale era tra i nomi dei papabili. Sulla sua candidatura tuttavia si appuntò la ferma opposizione del cardinale Borghese e dei rappresentanti della Spagna, con la quale, evidentemente, i rapporti si erano guastati, anche in relazione alla rivendicazione della propria famiglia del titolo di principe di Bisignano.
Fu giudicato uomo di santi costumi, colto ed erudito anche nella teologia. Morì il 25 dicembre 1623 a 58 anni e fu sepolto nella cattedrale di Salerno, nella cappella delle Reliquie sotto una lapide posta dal nipote Luigi Sanseverino, che in quegli anni stava conducendo una durissima battaglia legale per ereditare il titolo di principe di Bisignano.
Fonti e Bibl.: Synodus provinciali salernitana a L. S. archiepiscopo, Romae 1618.
Memorie storiche degli scrittori nati nel Regno di Napoli compilate da Camillo Minieri Riccio, Napoli 1844, p. 318; G. Moroni, Dizionario di erudizione storico-ecclesiastica, LXI, Venezia 1853, p. 53; A. Cauchie - R. Maere, Recueil des instructions générales aux nonces de Flandre (1596-1635), Bruxelles 1904, pp. XXXII s., 75-100; B. Katterbach, Referendarii Utriusque Signaturae, Città del Vaticano 1931, p. 172; G. Crisci, Il cammino della chiesa salernitana nell’opera dei suoi vescovi, I, Napoli 1976, pp. 694-710; A. Gradilone, Storia di Rossano, Cosenza 1980, pp. 415 s.; P. Prodi, Il sovrano pontefice. Un corpo e due anime: la monarchia papale nella prima età moderna, Bologna 1982, p. 334; M. Spedicato, Il mercato della Mitra. Episcopato regio e privilegio dell’alternativa nel Regno di Napoli in età spagnola (1529-1714), Bari 1996, p. 86; A. Cestaro, L’arcidiocesi di Salerno prima e dopo Seripando, in Geronimo Seripando e la chiesa del suo tempo, nel V centenario della nascita, a cura di A. Cestaro, Roma 1997, pp. 381-400 (in partic. p. 397); P. Elia, Ceglie Messapica. La storia, Latiano 2000, p. 55; M. Miele, I concili provinciali del Mezzogiorno in età moderna, Napoli 2001, pp. 322-327; G.M. Viscardi, Tra Europa e ‘Indie di quaggiù’. Clero, religiosità e cultura popolare nel Mezzogiorno (secoli XV-XIX), Roma 2005, pp. 158, 168, 181; P. Elia, L. S., il cardinale, http://www.ideanews.it/ antologia/elia/sanseverinolucio.htm (28 settembre 2017).