Catilina, Lucio Sergio
C. (108-62 a.C.) deve la sua fama alla ‘congiura’ che avrebbe ordito contro la Repubblica romana. Questo evento è ripreso da M. nel capitolo Delle congiure, il più lungo dei Discorsi (III vi). Il tema era delicato, entrava nel vivo della storia e della attualità fiorentina (si pensi all’episodio cruciale della congiura dei Pazzi (→), nel 1478, che spianò la strada al pieno dominio di Lorenzo de’ Medici), non senza forti implicazioni autobiografiche, dato che M. stesso fu accusato, nel febbraio 1513, di avere congiurato contro i Medici, di nuovo signori di Firenze. Interessante è la menzione esplicita di Sallustio (→), non solo perché lo storico romano ne emerge come una delle fonti predilette dall’autore dei Discorsi, ma anche come riprova di un’ampia ricezione nella cultura del tempo («Ciascuno ha letto la congiura di Catilina scritta da Sallustio»).
Per M. la congiura di C. rientra fra gli esempi di quelle perpetrate «contro alla patria», differenza essenziale rispetto a quelle fatte contro un principe, poiché la libertà garantita in una repubblica consente, a chi aspiri alla tirannide, una maggiore possibilità di tessere le proprie trame. C. infatti, nonostante il suo disegno criminale fosse stato scoperto, «non solamente stette in Roma ma venne in Senato, e disse villania al Senato ed al Consolo; tanto era il rispetto che quella città aveva ai suoi cittadini». E se non ci fossero state prove certe, come le lettere che dimostravano l’intrigo eversivo, la Repubblica non avrebbe potuto procedere contro i congiurati. Più rapido è l’accenno a C. in Discorsi I x: qui, in una sola battuta, M. accosta il patrizio ribelle a Giulio Cesare, «dissipatore» della Repubblica romana. Lapidariamente, M. mette a confronto il giudizio degli storici sul vinto Catilina e sul vittorioso Cesare: «Ma chi vuole conoscere quello che gli scrittori, liberi, ne direbbono, vegga quello che dicono di Catilina».