LUCIO VERO (L. Aelius Aurelius Gommodus e, come imperatore, L. Aurelius Verus Augustus)
Imperatore romano. Nacque il 15 dicembre del 130 da Lucio Ceionio Commodo. Per effetto dell'adozione del padre nel 136 per parte di Adriano assunse il nome di Lucio Elio Vero Commodo.
Morto il padre nel 138 fu per volontà dello stesso imperatore adottato, unitamente a M. Annio Vero (v. marco aurelio), dal nuovo successore designato Antonino Pio. Dal 161 al 169 divise il potere con il fratellastro del quale sposò la figlia Lucilla. Nel 166 celebrò con M. Aurelio il trionfo sui Parthi. Morì nel gennaio del 169, durante il viaggio di ritorno da una spedizione contro i Marcomanni. Fu divinizzato con il nome di Divo Vero Parthico Massimo. ".... Un fratello tale che per il suo carattere continuamente mi incitava a prendere cura di me stesso, mentre mi rallegrava l'animo coi suoi riguardi affettuosi" (Εἰς ἑαυτός, i, 17, 4, traduzione Mazzantini): la natura schiva di problemi e superficiale di L. V. è nobilitata dal calore umano e dalla simpatia di Marco Aurelio. Ma i cronisti pettegoli hanno tramandato di lui l'aspetto negativo, mostrandoci il principe solamente preoccupato di vita dissoluta a Roma e nelle città dell'Oriente. La Fortuna sola, mettendogli al fianco abili generali, avrebbe salvato lui e l'Impero da irreparabili disastri.
L. V. fu di figura grande. Il volto pieno di ombre con i capelli e la barba folti e ricciuti, acconciati secondo la moda, si prestarono in maniera particolare alle interpretazioni baroccheggianti degli artisti dell'epoca, raffinati nel gusto dei facili contrasti pittorici, un po' teatrali, tra levigatezza di superfici nude e ombre profonde di masse, dalle quali il trapano corrente traeva piacevoli effetti chiaroscurali.
Come per M. Aurelio anche per L. V. è giunta a noi un'ampia documentazione iconografica dall'infanzia alla maturità, ma con netta prevalenza della produzione degli anni del principato.
Sul rilievo da Efeso con scena di adozione, nel fanciullo alla sinistra di Antonino Pio si è concordi nel riconoscere L. V. di appena Otto anni. Un freschissimo ritratto dall'esedra di Erode Attico nel santuario di Olimpia ce lo mostra adolescente dai sedici ai diciotto anni: il leggero strabismo degli occhi e l'espressione corrucciata del volto sono già inconfondibili. Un altro ritratto giovanile, creato probabilmente poco dopo il 150, si riconosce nella statua eroica del Vaticano, Sala a Croce greca n. 564, da Preneste. Dei primi anni della virilità, forse databile al primo consolato (154), è l'originale da cui deriva la buona replica n. 286 della Sala dei Busti al Vaticano, da Porta Maggiore. Il giovane ostenta già una voluminosa chioma ricciuta, in armonia con la corta barba ben curata e due piccoli baffi, che ombreggiano il labbro superiore. Del 160 è il busto a rilievo dalla tenuta Aldobrandini di Ostia, il cui tipo fornì probabilmente il modello per le creazioni ufficiali posteriori.
Le emissioni monetali sono limitate al periodo del principato oltre ad un piccolo gruppo postumo coniato al divo Vero. In Otto anni si alternano due tipi ufficiali, sempre i medesimi senza preoccupazione di rinnovamento. Il conio più antico, battuto su monete dal 162 al 164, è ripreso per monete più recenti, quando già era apparso il secondo, creato verisimilmente subito dopo il 166, in un periodo di sosta dell'imperatore a Roma.
Questo repertorio limitato di prototipi ufficiali riscontra particolarmente nella plastica a tutto tondo. Si è giustificato con le scarse apparizioni di L. V. a Roma e troppo brevi per permettere agli artisti di arricchire con nuove creazioni il repertorio. Così con una monotonia straordinaria viene ripetuto uno stesso tipo ufficiale, creato probabilmente verso il 161. Il principe vi è rappresentato nella piena virilità con gran chioma pittorica, barba voluminosa e corti baffi. Le repliche migliori sono il busto del Louvre n. 1101 e il busto al Museo Capitolino, Sala Imperatori, n. 41.
Un piccolo gruppo offre una variante di questo tipo: L. V. appare con barba maggiormente voluminosa e baffi più lunghi. La replica migliore è al Museo Vaticano, Braccio Nuovo, n. 123.
Nelle più recenti derivazioni iconografiche del tipo si nota una particolare compiacenza nel rendere la voluminosità frastagliata della barba, dei capelli e delle stoffe nei busti: il trapano è guidato da una nuova sensibilità, che ricerca impressioni di colore. Questo studio è vivo nel busto di Londra, British Museum, n. 1911, con corazza e paludamento che, per le sue caratteristiche, è stato avvicinato all'analogo busto di Marco Aurelio nei Musei Capitolini, Sala Imperatori, n. 38, datato intorno al 170.
Da una variante del tipo consueto deriva il busto colossale da Acqua Traversa (Louvre, n. 1170), opera notevole del tardo barocco antonino. Il busto argenteo da Marengo traduce in un metallo prezioso le stesse forme che sono alla base delle repliche di marmo.
Unica nel suo genere la bella testa da un alto rilievo di ignota provenienza, conservata con il n. 687 (inv. n. 58561) nel Museo Nazionale Romano. Creazione intensamente drammatica, rivela la mano di un artista raffinato, certamente ellenico, che, sublimando il modello stesso vivo o trasfigurando un modello ufficiale, scolpì l'opera nel 162-163 durante il soggiorno ateniese del principe, o nel 166.
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