LUCIOLI OTTIERI DELLA CIAJA, Ottiero (Ottiero Ottieri)
Nacque a Roma il 29 marzo 1924, figlio unico di Alberto e Ida Paci, da una famiglia di nobile origine che dopo la fine della prima guerra mondiale si era trasferita nella capitale dalla nativa Chiusi. Compiuti gli studi superiori presso i gesuiti, al collegio Massimo, si iscrisse, sempre a Roma, alla facoltà di lettere dove si laureò a soli 21 anni con una tesi sulle operette amatorie giovanili di L.B. Alberti. L'attività letteraria del L. iniziò presto: già dal 1946 collaborava con La Fiera letteraria e saltuariamente con altre riviste e quotidiani; l'anno seguente, con il racconto L'isola, pubblicato nella rivista Mercurio diretta da Alba De Cespedes, vinse il premio Mercurio. Nel 1948, abbandonando l'agiata vita di famiglia, decise di trasferirsi a Milano - che sentiva come l'epicentro della vita attiva del Paese - dove trovò lavoro presso l'Ufficio stampa della casa editrice Mondadori; simpatizzante del Partito socialista italiano (PSI), divenne collaboratore dell'Avanti!. Nel 1950 sposò una nipote di Valentino Bompiani, Silvana Mauri, figlia di Umberto, presidente delle Messaggerie italiane, da cui ebbe i due figli Maria Pace e Alberto. Dal 1951 collaborò come giornalista all'Anonima periodici internazionali, e in seguito assunse la direzione della rivista mensile La Scienza illustrata.
Tale incarico, che lo avvicinava più concretamente al mondo della tecnica e dell'industria, si rivelò utile sia per le successive esperienze professionali sia per quella parte della produzione narrativa in cui il L. avrebbe analizzato il rapporto tra uomo e macchina e il fenomeno dell'alienazione nella società capitalistica, sulla scorta anche di approfondite letture dell'opera di K. Marx.
Nel 1953, subito dopo essere stato assunto alla Olivetti presso l'ufficio per la selezione del personale - nel gruppo di intellettuali che Adriano Olivetti aveva coinvolto nella sua attività industriale -, venne colpito da una forte meningite che lo costrinse a un ricovero di quattro mesi. A guarigione avvenuta gli venne confermato il precedente incarico, presso una nuova fabbrica della società sorta a Pozzuoli, dove il L. si trasferì con la famiglia nel 1955.
Egli proseguiva intanto la sua collaborazione a riviste e quotidiani; dalla metà degli anni Cinquanta alla metà degli anni Sessanta scrisse per Il Contemporaneo, Il Mondo, e poi, più a lungo, fino al 1975, per Il Giorno, dove tenne una rubrica fissa in forma di diario con articoli che prendevano in esame differenti aspetti della società italiana con particolare riguardo al mondo del lavoro. Parallelamente veniva crescendo l'interesse del L. - che già si era sottoposto a un trattamento di psicoterapia con C. Musatti - per la psicologia del profondo; la competenza acquisita in questo campo gli consentì di collaborare anche alla rivista specialistica Psiche.
Il primo romanzo del L., pubblicato da E. Vittorini nella collana "I gettoni" della Einaudi, Memorie dell'incoscienza (Torino 1954), è di fatto un'"analisi generazionale [(] un'autocoscienza [(] privata ed esistenziale" (Barberi Squarotti, p. 213).
Il libro, ambientato nell'Italia fascista dell'estate 1943, dopo il 25 luglio, è incentrato sulla crisi esistenziale del protagonista, Lorenzo, un giovane di provincia preso a emblema di una intera generazione giunta impreparata, appunto per ignoranza e incoscienza, a quel momento storico caotico e complesso; l'incapacità di comprendere la realtà, e quindi di prendere posizione dinanzi agli eventi, non si riscatta nell'azione ma porta Lorenzo all'abulia e infine a un vero e proprio stato depressivo. Il L. esordì dunque cimentandosi in un ritratto psicologico, con evidenti connotazioni autobiografiche, che mira alle profondità dell'inconscio, pur rimanendo ancorato a una struttura narrativa di impianto naturalistico.
Nel successivo Tempi stretti (Torino 1957) il L. sembra voler uscire dalla sfera del privato per sperimentare un differente approccio, almeno apparentemente più oggettivo, alla letteratura come strumento di conoscenza e di contatto con il reale, cui però sottende un'urgenza di partecipazione sentimentale che non riesce tuttavia a esplicitarsi.
Vi sono presi in esame i meccanismi che regolano la vita di una grande fabbrica attraverso personaggi inseriti in questa realtà produttiva, nei quali sembra prevalere l'impossibilità di stringere relazioni affettive. Il fenomeno industriale porta dunque, per il L., all'alienazione dei sentimenti ma viene tuttavia accettato come dato insostituibile del progresso, per raggiungere il quale non esistono di fatto strumenti alternativi all'organizzazione scientifica del lavoro.
A questo romanzo seguì uno dei suoi lavori più noti, Donnarumma all'assalto (Milano 1959), che lo fece apprezzare come uno fra i principali esponenti della narrativa di tematica aziendale.
Si tratta di una sorta di quaderno, o di diario, in cui, sulla base dell'esperienza acquisita come selezionatore del personale, il L. affronta, ma soprattutto descrive con uno stile volutamente distaccato, quasi saggistico, i problemi legati all'industrializzazione e alla disoccupazione nel Mezzogiorno, dove la ricerca del lavoro in una zona arretrata e sottosviluppata sembra comportare una sorta di forzato stravolgimento della scientifica razionalità che dovrebbe presiedere alla selezione.
Il successo del libro e l'impegno sempre più pressante in ambito narrativo e giornalistico convinsero il L. a rinunciare al ruolo di direttore del personale della fabbrica di Pozzuoli. Rientrò dunque a Milano, mantenendo con la Olivetti solo un rapporto di consulenza part-time. Nel 1960 pubblicò una commedia, I venditori di Milano (Torino), andata anche in scena a Milano, al teatro Gerolamo, con la regia di V. Puecher, in cui, sempre ispirandosi alla vita di fabbrica, compie di fatto un raffinato studio sul linguaggio della nuova borghesia "efficientista". L'anno successivo, con il titolo di Taccuino industriale, vennero pubblicati nel Menabò, la rivista di E. Vittorini e I. Calvino, lunghi brani di un diario che il L. aveva tenuto dal 1948 al 1958 a Pozzuoli: pubblicato, poi, integralmente (La linea gotica, Milano 1962), il libro ottenne il premio Bagutta nel 1963.
I rapporti fra letteratura e industria furono in quegli anni al centro di un acceso dibattito culturale che vide il L. fra i principali protagonisti. Tuttavia, nel successivo L'impagliatore di sedie (Milano 1964), la tematica industriale e sociologica, privilegiata fin qui, scivola nell'analisi delle nevrosi che insorgono nell'individuo - negli "spazi cosmici" fra "la disperazione e la ragione" - dopo che le difese costituite dal controllo razionale degli eventi siano state travolte.
Nato dalla rielaborazione di una precedente sceneggiatura cinematografica, il romanzo è anch'esso di chiara matrice autobiografica e quasi un diario, di fatto il genere letterario che sottende a tutta la produzione del L.; protagonista è un dirigente industriale, colto nell'automatismo nevrotico di gesti quotidiani dietro cui si celano il vuoto e l'alienazione.
La solitudine e l'incomunicabilità dell'uomo nel mondo contemporaneo costituiscono anche il tema della sceneggiatura del film L'eclisse di M. Antonioni, cui il L. collaborò insieme con T. Guerra ed E. Bartolini. D'ora in avanti l'indagine del L. si sarebbe concentrata sulla descrizione, sia pure metaforizzata e trasferita nei personaggi creati di volta in volta, del proprio disagio psichico, affidando alla scrittura un ruolo quasi terapeutico, senza tuttavia abbandonare l'osservazione attenta e ironica della realtà sociale.
L'irrealtà quotidiana (Milano 1966; premio Viareggio per la saggistica di quell'anno), saggio romanzesco tra il sociologico e l'introspettivo, dallo stile impervio, di cui è protagonista l'alter ego Vittorio Lucioli (il L. firmò sempre come Ottiero Ottieri, e con tale nome fu conosciuto), affronta in modo sistematico il problema della depersonalizzazione dell'individuo e il progressivo distacco dal reale provocato dalla nevrosi. Seguì I divini mondani (ibid. 1968), un romanzo breve strutturato come un conte moral che narra, con una sorta di crudele e ludica partecipazione, i riti snobistici, le fatuità e i fasti della "società" altoborghese e intellettuale, dove tuttavia si avverte costantemente la presenza del medesimo vuoto e della medesima insensatezza che pervadevano il mondo della fabbrica.
Il pensiero ossessivo, la disamina della nevrosi, il legame con l'analisi psicoanalitica, l'angoscia del mondo esterno, sempre più avvertito come una minaccia, ritornano con tutta evidenza nella prima prova poetica, Il pensiero perverso (ibid. 1971).
Lo stile poetico del L., che in seguito avrebbe spesso usato la scrittura in versi (tra gli altri: il poemetto satirico La corda corta, ibid. 1978; la raccolta Vi amo, Torino 1988), parte da un registro espressionista, contenuto ed epigrammatico, per approdare a una sorta di poema continuo in cui la libertà stilistica e il tono colloquiale sfiorano talvolta la trasandatezza.
Tra gli anni Settanta e Ottanta la malattia consentì al L., tra alti e bassi, di continuare a scrivere; uscirono: Campo di concentrazione (Milano 1972), diario clinico di un ricovero in casa di cura; Contessa (ibid. 1976), una delle sue più riuscite prove narrative, in cui il dato autobiografico è trasposto nella protagonista femminile, Elena, affetta da gravissime crisi di ansia che le devastano la vita; Di chi è la colpa (ibid. 1979), dialoghi in cui ci si interroga sulle cause dell'attuale male di vivere; I due amori (Torino 1983); Il divertimento (Milano 1984); Improvvisa è la vita (ibid. 1987).
La prolifica attività letteraria subì poi una battuta d'arresto a causa dell'aggravarsi della depressione. Dopo aver tentato negli anni varie terapie, nel 1991 il L. fu ricoverato a Pisa presso la clinica psichiatrica San Rossore, nella quale rimase per un lungo periodo; da questa esperienza nacque l'opera in versi L'infermiera di Pisa (ibid. 1991; premio Mondello nello stesso anno). Successivamente il L. pubblicò Il palazzo e il pazzo (ibid. 1993), un poemetto in cui la nevrosi è raccontata in tono tragicomico, e Storia del PSI nel centenario della sua nascita (ibid. 1993), sorta di autobiografia politica, in cui ripropone il proprio percorso politico in chiave psicoanalitica, soffermandosi in particolare sul sofferto rapporto con il padre, di dichiarata fede fascista.
Nella produzione degli anni Novanta l'autoanalisi, vero Leitmotiv della poetica del L., diviene ossessiva fino a rasentare il narcisismo: La psicoterapeuta bellissima (Parma 1994), Il diario del seduttore passivo (Firenze 1995), Il poema osceno (Milano 1996) sono incentrati esclusivamente sulla propria patologia e sulle fantasie malate che ne derivano. Il disagio di vivere e il desiderio di solitudine rendevano sempre più difficile il rapporto con la realtà e con l'ambiente intellettuale e mondano di cui tuttavia il L., sia pure in funzione apertamente critica e irridente, era stato partecipe e il fastidio che si avverte nei romanzi Una tragedia milanese (Parma 1998) e Cery (ibid. 1999) esplode in una rabbia lucida e violenta nell'ultima prova narrativa: Un'irata sensazione di peggioramento (ibid. 2002).
Il L. morì a Roma il 25 luglio 2002.
Fra le opere del L. si ricordano ancora: Il divertimento (Milano 1984); Tutte le poesie (Venezia 1986) e De morte (Parma 1997).
Fonti e Bibl.: Per recensioni e articoli fino al 1972 cfr. G. Spagnoletti, O. O., in Letteratura italiana (Marzorati), I contemporanei, VI, Milano 1974, pp. 1603-1624 (in partic. pp. 1623 s.). Vedi ancora: G. Barberi Squarotti, La letteratura italiana dopo il 1945, I-II, Rocca San Casciano 1968, ad indices; F. Camon, Il mestiere di scrittore. Conversazioni critiche, Milano 1973, pp. 144-161; G. Iadanza, L'esperienza meridionalistica di O.: lettura critica del "Donnarumma all'assalto", prefaz. di G. Pampaloni, Roma 1976; G.C. Ferretti, La letteratura del rifiuto e altri scritti, Milano 1981, p. 174; I. Vergine, Gli ultimi eccentrici, Milano 1990, pp. 231-237; V. Coletti, La sintassi della follia nella narrativa italiana del Novecento, in Nevrosi e follia nella letteratura moderna. Atti del Seminario internazionale, Trento( 1992, a cura di A. Dolfi, Roma 1993, pp. 267-279; A. Zanzotto, Aure e disincanti, Milano 1994, pp. 55-58; T. Puccianti, O. O.: une écriture sur soi?, in Scritture di sé. Autobiografismi e autobiografie, a cura di F. Pappalardo, Napoli 1994, pp. 215-248; M. Cucchi - S. Giovanardi, Poeti italiani del secondo Novecento, 1945-1995, Milano 1996, p. 1271; F. Monterosso, La dolorosa intelligenza: testimonianze e saggi fra il romanticismo e la fine del Novecento, Viareggio 1997, pp. 251-257; P. Mauri, L'opera imminente. Diario di un critico, Torino 1998, pp. 176-179; S. Tomaiuolo, O. O.: il poeta osceno, Napoli 1998; P.P. Pasolini, Saggi sulla letteratura e sull'arte, a cura di W. Siti - S. De Laude, Milano 1999, I, pp. 588-591; II, pp. 2318 ss., 2566-2569; E. Malato, in Storia della letteratura italiana (Salerno), IX, Letteratura del Novecento, Roma 2000, pp. 1006-1009. Per le interviste e lo scambio epistolare con I. Calvino cfr. O. O.: le irrealtà quotidiane (catal.), a cura di M.I. Gaeta - E. Minnai - M.P. Ottieri, s.l. 2004 (in occasione della mostra si è tenuto a Roma, il 2-3 marzo 2004, un convegno sulla figura del Lucioli Ottieri).