CAVALCANTI, Lucrezia
Figlia di Bartolomeo e Dionora o Leonora Gondi, nacque poco dopo il loro matrimonio (avvenuto nel 1523), così da poter seguire, data la sua età, Caterina de’ Medici in Francia nel 1533 in occasione del suo matrimonio col duca di Orléans, secondogenito di Francesco I, il futuro re Enrico II.
A partire dal 1543 la C. è citata come dama d’onore di Caterina, con cui è stata “allevata e nutrita”. In data imprecisata, ma senza dubbio vicina al 1543, sposò Albizzo Del Bene, di origine fiorentina membro di una famiglia di banchieri stabilitisi a Lione, creditori del re, e che non disdegnavano l’esercizio di cariche regie. Incaricato della gestione dei fondi inviati dalla Francia in Italia, egli ebbe il titolo di sovrintendente delle finanze fuori del regno. La C. viveva sia alla corte della delfina (poi regina), sia a Lione dove la coppia, strettamente legata alla colonia fiorentina, possedeva una casa, sia a Parigi. Ma una casa in città, secondo i costumi del tempo, non poteva essere sufficiente al loro tenore di vita. Così nel 1555 acquistarono dal loro parente Antonio Gondi, per la somma di 11.500 lire, il castello del Perron a Oullins, nell’attuale dipartimento del Rodano, senza trascurare peraltro un'altra diffusa forma d’investimento: le rendite dell’Hôtel de Ville di Parigi. Nel 1561, ad esempio, fu impiegato in questo modo un capitale di 16.800 lire, che assicurava alla C. vita natural durante, poiché l’operazione era stata effettuata a suo nome, una rendita annua di 1.400 lire. Quanto al castello del Perron, esso ebbe l’onore di una visita dei sovrani francesi: il 5 luglio 1564, nel corso di un lungo viaggio attraverso il regno, il giovane Carlo IX, accompagnato dalla madre, dai fratelli e da un numeroso seguito, pranzò al castello di Beauregard, proprietà della famiglia Guadagni (Albizzo era stato tutore dei piccoli Guadagni dopo la morte di Thomas, uno dei più ricchi banchieri dell’epoca), da dove si trasferì al Perron: qui gli fu offerta una magnifica ospitalità. La C., vedova da un anno e mezzo, fece da sola gli onori di casa.
Albizzo Del Bene era morto infatti a Parigi nel gennaio 1563, al ritorno da una missione presso il duca di Firenze. Già nel 1562, durante il viaggio d’andata, a Lons-Le-Saunier, egli si era preoccupato di stendere il suo testamento. Fu sepolto presso gli agostiniani di Parigi.
Il luogo scelto per la sepoltura fa pensare che la coppia avesse vissuto nella casa in cui la C. doveva continuare ad abitare fino alla morte, in rue de Tournon, nel quartiere di Saint-Germain-des-Près, e che nel 1579 cercava di ampliare (un atto notarile di quell’anno fa menzione dell’affitto di un “piccolo corpo di fabbrica, tettoia, cortile e giardino nel luogo anticamente chiamato “il prato infangato””). In questa casa la C. si ritrovò con sei figli minorenni (quattro maschi e due femmine) da allevare e una sostanziosa fortuna da amministrare. Recuperò i crediti dai debitori del marito, tra i quali figurava Raymond de Fourquevaux, allora governatore di Narbona. Investì anche del denaro: nel 1567, 1569 e 1570 acquistò rendite rispettivamente per 173, 158 e 120 lire, impegnando cioè dalle otto alle novemila lire. Diminuendo poi il credito della monarchia con il progressivo instaurarsi in Francia di un clima d’insicurezza a causa delle guerre civili, la C. si dimostrò un’accorta donna d’affari: si associò infatti a parecchi compatrioti nell’acquisto degli appalti delle imposte regie, secondo una formula che avrebbe ottenuto un grande successo nei due secoli seguenti. Dalla lettera di un ambasciatore datata 1582 risulta che il fiorentino Raffaello Martelli e il torinese Sebastiano Rametti avevano preso l’appalto del sale per nove anni al prezzo di un milione e centomila scudi l’anno e che “i soci del Martelli erano la signora Del Bene e Mario Bandini...”.
Questo documento conferma quello che gli altri affari conclusi dalla C. lasciavano intravvedere: che trovava amici, consiglieri e servitori in seno alla colonia fiorentina. Suo marito si era servito, come domestico o segretario, di Pierre-François Della Robbia, signore di Puteaux, figlio del celebre scultore Girolamo. Grazie forse alla protezione del Del Bene, Pierre-François era contemporaneamente controllore delle proprietà reali a Parigi. In esecuzione delle volontà del marito la C. gli donò prima in usufrutto, poi in nuda proprietà una rendita di 125 lire (1571 e 1572). Aveva dato anche come mentore a uno dei suoi figli, entrato nella carriera militare, André Della Robbia, figlio del predetto, che gratificò anche di una rendita di 300 lire dopo la morte del giovane, “in segno di riconoscenza per “...servizi... da lui resi” (16 nov. 1573). Nel 1583 il letterato Giacomo Corbinelli, chiamato in Francia da Caterina de’ Medici per sovrintendere all’educazione del futuro Enrico III, le chiese di far da madrina al figlio Pietro. Ma forse con i Gondi, suoi parenti per parte di madre, i suoi rapporti furono più stretti: Girolamo Gondi riscattò l'appalto del sale dai diversi soci; Alexandre, terzo figlio della C., fu segretario del vescovo di Parigi Pierre de Gondi. In occasione del matrimonio della figlia Geneviève con Jacques de Bouchon il re donò alla sposa la somma assai ragguardevole di 30.000 lire, il che dimostra il favore goduto dalla C. non soltanto presso la regina Caterina, alla quale era rimasta sempre attaccata, ma anche presso lo stesso Enrico III. Secondo un ambasciatore fiorentino la C. sarebbe stata all’occasione anche la confidente degli amori del sovrano.
Donna accorta negli affari, sembra dunque che si sia anche immischiata negli intrighi di corte, fatto che ben si accorda con la sua intimità con i Gondi. La prosperità materiale e il successo mondano non le risparmiarono tuttavia i dispiaceri domestici: nel 1581, a conclusione della sua tutela, sopravvivevano soltanto tre dei suoi sei figli.
Il maggiore, François, gentiluomo di camera del re e alfiere nella compagnia del duca di Mayenne, dopo aver partecipato alle battaglie di Dreux, Saint-Denis, Moncontour ed essere andato a combattere fino in Ungheria, morì all’assedio di La Rochelle nel 1573. Albert, nato verso il 1552, e Catherine, che aveva sposato il signor di Buncau, erano anch’essi già morti al momento del matrimonio della sorella Geneviève, avvenuto il 24 marzo 1578. Geneviève sposò Jacques de Bouchon, signore di Vers e Cerderon, siniscalco di Beaucaire ed alfiere nella compagnia di Albert de Gondi. La C. le aveva assicurato un’ottima dote, di circa 50.000 lire (40.000 di capitale e una rendita di 300 lire), oltre “vestiti e gioielli”. Il futuro maritò, da parte sua, assicurava alla sposa una rendita vedovile di 1.200 lire. La C. dovette anche ottenere che la terra di Vers fosse eretta a baronia. Il matrimonio, vista l’importanza delle fortune implicatevi, richiese di certo complessi negoziati, tanto che il contratto conservato menziona un contratto precedente dichiarandolo nullo.
Grazie all’influenza della madre anche i due maschi rimasti si sistemarono brillantemente. Pierre aveva preso gli ordini: elemosiniere del re, aveva ottenuto tra gli altri i benefici delle abbazie di Belleville-en-Beaujolais e di La Celle-en-Brie. Inviato in missione presso Enrico di Navarra e il papa, si mantenne costantemente fedele alla causa del re durante gli ultimi, difficili anni del secolo. Alexandre, nato a Lione nel 1554, seguì il futuro Enrico III in Polonia nel 1573 ed abbracciò la carriera militare. Fu anche segretario del cardinal Gondi, che accompagnò a Roma nel 1589 ed ebbe l’onore di portare ad Enrico IV la bolla d’assoluzione.
La C. visse abbastanza per assistere al successi dei figli, ma doveva comunque avvertire il peso dell’età se il 14 luglio 1588, con atto notarile, concesse una rendita annua di 50 lire al maggiordomo Philippe Collot a condizione che restasse al suo servizio. Tuttavia, secondo la lettera di un ambasciatore (che la definisce “mala lingua”), ancora nel 1600 la C. avrebbe brigato per un posto di dama di compagnia della giovane regina Maria de’ Medici. Non si conosce la data esatta della sua morte, che dovette avvenire nei primi anni del sec. XVII.
Fonti e Bibl.: Parigi, Arch. nat., Y 102, ff. 302-305; Y 113, f. 122; Y 115, f. 137; Y 119, f. 138; Y 123, ff. 127v-128v; Y 130, f. 293v; Ibid., Minutier central, Et. XLIX, 1. 154, 6 genn. 1579; Parigi, Bibl. nat., Cabinet des manuscrits, ms. Fr. 7856, pp. 1077, 1133; Ibid., Dossiers bleus, 160, Généal. Cavalcanti; Ibid., Pièces orig. 626, Dossier Cavalcanti. Cfr. inoltre: Négoc. dipl. de la France avec la Toscane, a cura di G. Canestrini-A. Desjardins, Paris 1859-1866, IV., pp. 152, 202, 420, 543; V, p. 410; Lettres de Catherine de Médicis, a c. di H. de la Ferrière-G. Baguenault de Puchesse, Paris 1880-1895, I, pp. 7, 37; III, pp. 13, 511; J.-B. de L’Hermite de Soliers, La Toscane françoise, Paris 1661, pp. 239 s.; B. Gamurrini, Ist. geneal. delle fam. nobili toscane, Firenze 1668-1685, III, p. 64; J. Lebeuf, Histoire de la ville et de tout le diocèse de Paris, a cura di H. Cocheris, Paris 1863-1870, II, p. 286; A. Jal, Dictionnaire critique de biographie et d’histoire, Paris 1872, p. 426; A. Jouan, Voyage du Roi, in Archives historiques et statistiques du département du Rhóne, t. II (1865), p. 288; H.-A.-S. de Charpin-Feugerolles, Les Florentins à Lyon, Lyon 1893, pp. 36, 98, 194; B. Picot, Les Italiens en France au XVIe siècle, Bordeaux 1901-1918; J. Tricou, Armorial et répertoire lyonnais, V, Lyon 1972, p. 13.