Lucrezio
Il poeta filosofo della natura
Noi moderni riteniamo comunemente che la scienza si fondi su dati di fatto, che sia obiettiva e del tutto priva di abbellimenti letterari e poetici, ma per gli antichi non era così. Lucrezio, infatti, scrittore latino del 1° secolo a.C. sceglie di scrivere un’opera di argomento filosofico e scientifico in forma poetica, affidando la forza dell’argomentazione e della persuasione al potere delle immagini evocate dalla poesia
Della vita di Tito Lucrezio Caro non si hanno notizie certe: egli è nato, forse nelle vicinanze di Napoli, intorno al 95 a.C. ed è morto intorno al 50 a.C. La sua opera, intitolata De rerum natura («Sulla natura»), è un poema didascalico, ossia è un poema che ha come principale obiettivo quello di informare e insegnare. Il poema di Lucrezio è, più in particolare, l’esposizione in sei libri dei temi centrali dell’epicureismo, a cui il poeta stesso aderisce e al quale vuole convertire il pubblico dei suoi lettori romani.
Per lui, infatti, la grandezza di Epicuro sta proprio nell’aver dimostrato con il suo insegnamento che la felicità è alla portata di tutti, e che la paura, fondata per lo più su basi irrazionali, può essere sconfitta in modo definitivo.
Ma Lucrezio sa anche che, per poter raggiungere la sospirata felicità, i suoi lettori dovranno passare attraverso la difficoltà di un’esposizione tecnica e arida.
È per questo che sceglie di addolcire la sua trattazione con la poesia, compiendo verso il suo pubblico un piccolo inganno a fin di bene: in un passo famoso, ;Lucrezio si paragona a un medico che cosparge di miele gli orli del bicchiere in cui è contenuta una medicina amara, affinché il bambino malato, ingannato dal sapore dolce, non la rifiuti e possa così guarire.
Il tema esposto nel De rerum natura è proprio la descrizione della natura dell’Universo secondo la concezione di Epicuro. L’opera si compone di sei libri, a loro volta articolati in gruppi di due, ciascuno dei quali tratta un argomento della filosofia epicurea. I primi due libri si occupano della fisica, il terzo e quarto trattano della natura dell’anima, gli ultimi due libri espongono la cosmologia.
Lucrezio non nega l’esistenza degli dei, ma ritiene che essi conducano le loro esistenze perfettamente tranquille in un mondo del tutto separato e che non si interessino minimamente delle vicende umane.
Secondo Lucrezio, l’uomo saggio è innanzi tutto un uomo tranquillo: non solo non deve essere turbato dalle paure irrazionali legate alla religione, ma neppure deve lasciarsi sconvolgere dalle passioni intense.
Nel celebre finale del quarto libro, Lucrezio attacca violentemente anche la passione d’amore, che è considerata come una fonte di affanno e di angoscia dalla quale il buon epicureo dovrà tenersi prudentemente lontano.
Lucrezio, inventando qualcosa di sostanzialmente nuovo, un’opera che insegni la filosofia e sia poetica allo stesso tempo, deve inventarsi anche un nuovo linguaggio. La principale difficoltà che Lucrezio incontra è data da quella che lui chiama «la povertà della nostra lingua patria». Egli si trova infatti a dover definire per la prima volta in latino concetti della dottrina epicurea, finora espressi sempre in greco, e per ovviare a questa difficoltà sceglie una strada nuova e originale: ricorre a parole già esistenti in latino, assegnando loro un significato nuovo in senso tecnico epicureo (un caso indicativo è l’espressione semina «semi», usata per designare in latino gli atomi).
Pur dovendo ricorrere spesso a formulazioni di tono prosastico, la lingua di Lucrezio si caratterizza senz’altro come una lingua raffinatissima, che raggiunge punte di elevato livello stilistico grazie all’impiego di figure retoriche, di forme linguistiche arcaiche (cioè tipiche del latino più antico e ormai passate in disuso) e di immagini fortemente suggestive, soprattutto quando la narrazione si addentra negli argomenti più complessi della dottrina epicurea.