ADIMARI, Ludovico
Figlio di Zanobi di Ludovico e di Allegra di Pietro di Bivero Tassis, nacque a Napoli il 3 sett. 1644. Venuto da giovane in Toscana, studiò a Pisa sotto la guida di Luca Terenzi e quindi passò a Firenze rendendosi noto per l'abilità di improvvisatore di versi, e anche per la scurrilità di alcuni argomenti. Fu esiliato per tre anni, secondo F. Settimanni, per aver offeso Luigi XIV in una disputa poetica con un francese, che se ne sarebbe lamentato col granduca; ma era già tornato a Firenze il 4 dic. 1669, quando fu accettato come socio nell'Accademia degli Apatisti.
Non fu assiduo frequentatore delle sedute accademiche, ma pubblicò tre volumi di sonetti (1672, 1675, 1677) e si interessò a studi eruditi, collazionando due codici della Cronica del Compagni. Dedicatosi alla composizione di drammi, ne pubblicò tre (Le gare dell'amore e dell'amicizia, Firenze 1679; Il carceriere di se medesimo, Firenze 1681; L'amante di sua figlia, Firenze 1683), di gusto mediocre, rifacimento e, in parte, mera traduzione il primo del Duelo de Honor y Amistad dello spagnolo Jacinto de Herrera; il secondo de Le geôlier de soi même del francese Thomas Corneille. Di questo dramma, Il carceriere di se medesimo,va ricordato che fu messo in musica da A. Melani e, col sopratitolo di Roberto, rappresentato al teatro Malvezzi di Bologna il 29 genn. 1697. Venne poi di nuovo musicato da "vari virtuosi al servizio imperiale" e rappresentato alla corte di Vienna nel 1702. Nell'ottobre 1683 scrisse due canzoni in occasione della vittoria del Sobieski sotto le mura di Vienna, pubblicate nelle Poesie sacre e morali (Firenze 1696).
Nominato, da Cosimo III di Toscana, per aiutarlo in talune difficoltà finanziarie, capitano di Pietrasanta (novembre 1683), si mostrò inadatto alla carica: fu anche diffusa la voce di un suo tentato uxoricidio, per poter convivere con una donna, da cui avrebbe avuto un figlio, soppresso da lui appena nato. Ne seguì un processo e l'A., esiliato nel 1685, fuggì a Lucca. Espulso per dubbia moralità il 6 nov. 1687, passò a Genova, poi a Ravenna, dove fu ricevuto fra i soci dell'Accademia dei Concordi, e quindi a Mantova, il cui duca, Ferdinando Carlo, lo accolse fra i gentiluomini di camera, concedendogli il titolo marchionale. Trasferitosi a Bologna, fu ricevuto dalle principali famiglie dell'aristocrazia, ed in particolar modo dai Calderini.
Nel frattempo non aveva abbandonato la poesia; e le rime gli valsero l'ingresso in Arcadia (Temisto Marateo) ed il perdono di Cosimo III, in seguito al quale poté tornare a Firenze (6 sett. 1692). Due anni dopo (28 luglio 1694) era accettato nella Crusca; fu membro (1696) della commissione dei Diciotto incaricata di pubblicare le opere del Petrarca e la quarta ristampa del Vocabolario.Nel 1696 dedicò a Cosimo III le Poesie sacre (Firenze 1696 e Lucca 1711), così come gli aveva dedicato i Sonetti amorosi (Firenze 1693), e ne fu compensato con la nomina a successore del Redi nella cattedra di lingua toscana e poco dopo con l'incarico dell'insegnamento di scienza cavalleresca nell'Accademia dei Nobili.
Tra il 1690 e il 1700 aveva composto i versi delle Satire (Amsterdam, Roger, 1716 e 1764, Londra - ma Livorno - 1788) rivolte contro l'adulazione, e, con maggior efficacia di discorso, contro i vizi delle donne, in particolare delle cantanti, ed in genere contro i costumi femminili.
Nel 1706 pubblicò ancora un volume di Prose sacre. Morì il 22 giugno 1708.
Fonti e Bibl.: Arch. di Stato di Firenze, F. Settimanni, Diario, ms., vol. XIV, pp. 318-319 e 487 (22 giugno 1708); D. Provenzal, Quando furono scritte le Satire di L.A., Rocca S. Casciano 1900; Id., La vita e le opere di L.A., Rocca S. Casciano 1902; A. Belloni, Il Seicento, Milano 1943, pp. 294-297; C. Schmidl, Diz. univer. dei Musicisti, I, p. 7.