DAVID, Ludovico Antonio
Nacque a Lugano il 13 giugno 1648. Le poche notizie sulla sua vita derivano dalle lettere e dal "ristretto" biografico che il D. stesso mandò a P. Orlandi nel 1703 e 1704 (Frati, 1907 e 1912). "Uscito dagli studi umani..., si è applicato alla pittura in Milano sotto la disciplina del Cav. Francesco del Cairo l'anno 1666, e morto questo maestro, passò sotto la direzione d'Ercole Procaccini. Un anno dopo si portò a Venezia, trattenendosi a copiare le opere di Tiziano, Paolo Veronese, Tintoretto, ecc. Di là passò a Bologna, invitatovi dal Colonnello Bati Rospigliosi, e vi si trattenne tutta la sede vacante, finché fu creato papa Clemente X [il conclave durò dal 20 dic. 1669 al 29 apr. 1670], nel qual tempo disegnò tutta la sala Magnani de' Carracci, parte del claustro di S. Michele in Bosco, e le tavole d'altare principali de' medesimi e d'altri loro famosi discepoli, con documenti benignissimi del sig. Carlo Cignani, di cui si Pregia di essere il minimo de' suoi discepoli. Ritornò poi a Venezia e un anno dopo andò a Mantova, ove disegnò tutte le opere di Giulio Romano, gli arazzi di Raffaello ed altre cose; poi ritornò a Venezia, e vi si è trattenuto sino al giugno 1684...".
A Venezia il D. riuscì ad acquistare una certa reputazione come pittore, tanto da ricevere un costante flusso di commissioni: ritratti dei "principali senatori e dame" oltre a "opere in pubblico".
Di quello che doveva essere un nutrito numero di opere veneziane sono stati identificati ben pochi quadri: in S. Maria del Carmelo una grande tela con la Madonna che consegna a Giovanni XXII la bolla salatina è firmata col monogramma del David (cfr. F. Mondini, Carmelo il favorito, Venezia 1675, p. 163; Pallucchini, 1981, I, p. 280).
Nella stessa chiesa gli è stata attribuita su basi stilistiche (Pallucchini, 1981, II, fig. 942) una Tentazione di s. Alberto. A ancora nella cappella dei Lombardi in S. Maria dei frari il S. Carlo Borromeo che distribuisce l'elemosina agli appestati, che il D. stesso menziona una sua lettera del 1691 (Bottari Ticozzi, 1822, III); è dipinto nello stile pienamente barocco, scuro, drammatico, del Cairo (ill. in Mason Rinaldi, 1979., p. 276).
Una grande mediocre tela, indifferentemente intitolata come Apelle che dipinge le Grazie o La scuola del nudo o Lo studio di un pittore (Ivanoff, 1957. figg. 1-3; Pallucchini, 1981, 11, fig. 941) è conservata nel pal. Albrizzi a S. Aponal (Apollinare). Infine una Sacra Famiglia, già nella coll. Mario Nono, è stata attribuita al D. per ragioni stilistiche (Ivanoff, 1957, p. 252, fig. 4).
Nel 1815Moschini descriveva nella chiesa di S. Silvestro una Natività, che "per addatarla a questo sito dall'altro, è crudelmente tutto intorno tagliato"; non ne resta traccia, né si riescono a identificare quelle opere che nelle sue lettere all'Orlandi e al Bottari il D. dice erano un tempo in S. Alessandro dei Bergamaschi, S. Aponal, S. Maria della Salute, nel monastero di S. Giorgio Maggiore ("un gran quadro"), o l'Allegoria del patriarca Morosini sul soffitto di un salone del palazzo della famiglia, o i dipinti, dei quali il D. non dà il titolo, nella chiesa di S. Mattia a Murano.Sempre secondo il resoconto autobiografico riportato da Frati (1907, p. 71), da Venezia l'artista "s'invogliò d'andare in Roma; ma non avendo veduto né studiato l'opere del Correggio, si risolse di passare per Parma" dove, oltre a copiare il Correggio, avrebbe anche dipinto "di propria invenzione la tavola di S. Teresa in S. Maria Bianca" (oggi non reperibile).
A Roma del suo lavoro sopravvive ancora meno. Due belle, grandi tele con l'Adorazione dei magi e l'Adorazione dei pastori, commissionate dal card. Pietro Ottoboni, nipote di Alessandro VIII, dopo il 1691, sono nella prima cappella a sinistra in S. Andrea al Quirinale (Titi, 1761 p. 303; Haskell, 1980, p. 88; Turner, 1976, figg. 209 s.): rivelano un forte influsso del Baciccio, la cui Morte di s. Francesco Saverio era stata collocata poco prima nella stessa chiesa con grande successo. Nel 1688 per la cappella dei collegio Clementino (distrutta nel 1936), che era stata costruita su progetto di C. Fontana, il D. dipinse la pala d'altare con l'Incoronazione della Vergine (perduta) e, nel 1694, la cupola con la Madonna in Gloria contornata da santi e angeli (ill. in Donati, 1942, p. 611; Ter, 1976, fig. 213), della quale si dovrebbero essere salvati Adamo, Eva e il Battista (Donati, 1942, p. 608), oggi irreperibili.
Tra le opere del periodo romano, anch'esse attualmente irreperibili, si ricordano: I fondatori dell'Ordine dei pii padri del riscatto per S. Dionigi areopagita e un quadro di Animali ("pavoni, conigli, galline"), nominato nell'inventario del cardinale Imperiali del 14 febbr. 1737 (Arch. di Stato di Roma, Notai segretari cancellieri Regia Camera apostolica, 398, c. 114, 14 febbr. 1737).
Mentre era a Venezia, il D. istituì in competizione con Pietro della Vecchia - senz'altro più famoso del D. come pittore - un'accademia che sembra essere stata di grafide successo. Nel 1732 V. da Canal nella sua Vita di Gregorio Lazzarini (Venezia 1809, pp. 25 s.) racconta che questi dapprima frequentò la scuola del della Vecchia, dove studiò disegno, prospettiva, anatomia e ottica, "ma più gradito rendeasi da Lodovico David, profondo di mente e di molto talento in quelle scienze, e passabile nell'arte. Ei contradiceva al Vecchia in ogni punto; il che rendeva più sottile le quistioni e più dibattute le ragioni, con grande piacere degli ascoltanti, sicché Gregorio non prendeva momento d'intervenirvi, trascurando i per lo più il disegno, per istabilirsi in quelle cognizioni...". Questa citazione è importante perché rivela come già a quest'epoca (prima del 1686) il D. avesse cominciato a sminuire l'importanza del disegno, che era allora considerato fondamentale per l'educazione dell'artista, e perché, oltre a documentare una naturale disposizione del D. alla controversia, è illuminante per gli ulteriori sviluppi della vita del D., in particolare in merito alla questione con l'Accademia di S. Luca.
Per molti anni, probabilmente decenni, il D. lavorò a una monumentale storia dell'arte italiana, che l'Orlandi nel 1704 (p. 394) annunciava col titolo "Ildisinganno delle principali notizie, e erudizioni dell'arti più nobili del disegno, diviso in tre parti: la prima sopra la scuola di Toscana, e di Roma; la seconda sopra quella di Venezia: e la terza sopra l'altra di Lombardia"; proseguiva dicendo che il "Libro promesso alle stampe"; intendeva "confutare le menzogne del Vasari e d' altri sì intorno all'opere, come alle vite de' principali fondatori delle scuole italiane..."; come Malvasia, il D. aveva il dente avvelenato col Vasari che considerava la fonte di errori di fatto e di giudizio: per lui la scuola lombarda era la migliore e il Correggio il sommo degli artisti: "Vado ricercando a gloria di Lombardia" (Campori, 1866, p. 519).
Non riuscendo a pubblicare il suo manoscritto, il D. lo fece circolare tra gli amici; alla sua morte, passò al figlio Antonio che lo negò a quanti lo chiesero, ivi compreso il Bottari: già a metà del secolo scorso era considerato perduto. D'altra parte sappiamo, dalla sua corrispondenza col Muratori (Campori, 1866), che il D. usava metodi storici moderni, ricercando negli archivi parrocchiali atti di nascita, di matrimonio o di morte; metteva costantemente in dubbio le notizie basate soltanto Su tradizione orale. Era anche saggiamente dubbioso sulle attribuzioni date dai proprietari: "Ho gran motivo di dubitame", scrisse in una lettera del 23 maggio 1703, "per rispetto del donatore che crede aver posseduto non un'opera ma quasi una galleria d'opere dell'Allegri tra pitture e disegni, e sono sempre state copie" (Campori, 1866, pp. 522 s.).
Il manoscritto del Disinganno èandato perduto (il D. ne traccia un sommario nell'introduzione del suo trattato L'amoredell'arte); èperciò impossibile determinare il contributo del D. alla storiografia artistica. Una lettera che il pittore fiorentino A. Franchi gli scrisse (Baldinucci, 1730 c., pp. 49-51) ci offre un esempio della considerazione di cui era oggetto il suo Disinganno. Franchi, al quale il D. aveva mandato una copia manoscritta, gli professa "tutto l'ossequio dovuto a un gran virtuoso suo pari", scrive che ha "letto gran parte e goduto a gran segno dei... libro" ed è "rimasto ammirato della fatica fatta, delle tante erudizioni trovate e delle forti ragioni che porta in prova delle sue proposizioni". Afferma inoltre di aver "copiato molte di quelle erudizioni attenenti al... mio Trattato della Teorica pittoresca",del quale espone il contenuto, dichiarandosi pronto a ricevere qualsiasi suggerimento.
Il D. è anche considerato il primo studioso moderno di Leonardo, vale a dire la prima persona che abbia cercato informazioni vere sull'artista attraverso lo studio dei suoi manoscritti. Anche se il saggio su Leonardo è perduto, come tutto il resto del Disinganno, possiamo avere idea del suo modo di lavorare dalle sue stesse lettere. Sappiamo inoltre che egli studiò seriamente la matematica., scienza che valutava altamente, e anche l'astronomia, ed era quindi in una posizione di vantaggio rispetto agli altri artisti e scrittori per afferrare il significato degli studi scientifici di Leonardo. Egli ebbe l'opportunità di studiare l'originale del manoscritto, oggi chiamato Codice Leicester, che allora si trovava a Roma in possesso di G. Ghezzi. "Credo benissimo le difficoltà del leggerli col mezzo ancora dello specchio, per la scabrosità del carattere dal tempo inoltre corroso, mentre io la provo almeno un giorno la settimana, ne' quali, assai lontano dalla mia abitazione, mi porto a leggere l'accennato ms., e mi sembra di fare assai quando in 4 ore continue posso leggere ed intendere una facciata" (Canipori, 1866, p. 535).
Benché a quei tempi non fossero molto ricercati gli altri mss. di Leonardo conservati nella Biblioteca Ambrosiana, come il grande Codice Atlantico e una dozzina di volumi più piccoli (poi dispersi nel periodo napoleonico), David era molto interessato ad essi. Scriveva in continuazione al Muratori, che era stato bibliotecario all'Ambrosiana, per avere informazioni, ma ogni volta veniva da lui scoraggiato e consigliato a ritornare ai suoi studi sul Correggio.Tra le varie attività del D. durante la sua vita, quella che più facilmente ne manterrà vivo il nome è il contributo alla teoria e all'educazione artistica. Esso è fornito dal trattato sulla materia intitolato L'amore dell'arte, del 1704 circa che, come il Disinganno, circolò manoscritto tra i suoi amici, ma non venne mai pubblicato (due esemplari mss. si conservano rispettivamente nella Biblioteca Estense di Modena e nell'Arch. dell'Accad. di S. Luca a Roma; per il contenuto e una incisiva analisi del suo significato si veda Tumer, 1976).
Il trattato, dedicato a Clemente XI, il papa regnante, si presenta sotto forma di attacco virulento, un po' nello stile di Salvator Rosa, all'organizzazione artistica ufficiale della Roma del tempo, quale era rappresentata dall'Accademia di S. Luca. là diviso in tre parti. La prima è la più importante e in essa il D. attacca la posizione dominante che il disegno dal vero e gli studi di drappeggio avevano nei programmi dell'Accademia per i giovani artisti. Il D. riteneva invece che bisognasse dare la preminenza alla matematica e in particolare alla geometria euclidea, dal cui studio sarebbe potuto derivare un senso generale di unità pittorica. Come Turner fa notare, la sua posizione lascia una traccia ben più profonda di quanto possa apparire a prima vista: si inizia così a colpire il cuore del sistema educativo dell'Accademia e di conseguenza, come lo stesso D. tiene a far notare, dell'educazione artistica in tutte le istituzioni, dove, dopo il successo dell'Accademia dei Carracci a Bologna, il disegno dal vivo era diventato preminente nella formazione dei giovani artisti.
Ma le implicazioni erano più ampie: il D. attacca direttamente la tradizione classica secondo la quale il realismo, o meglio l'idealizzazione del reale, è capace di esprimere le emozioni più profonde ed è quindi la forma più nobile dell'arte. Le sue idee riflettono sia la grande considerazione in cui nell'epoca dell'illuminismo era tenuta la scienza, sia l'insoddisfazione verso la glorificazione del disegno, preliminare alla controversia sul disegno contrapposto al colore e in questo modo anche un apprezzamento di valori più astratti, cari all'epoca rococò.
Nella seconda sezione del suo Amore dell'arte ilD. attacca l'Accademia di S. Luca in quanto responsabile in gran parte del declino della scuola di Roma. Declino causato, secondo lui, dall'abbandono crescente dell'apprezzamento di Raffaello e dalla tendenza degli accademici a preferire gli artisti stranieri ai propri. Queste valutazioni devono essere lette sullo sfondo del crescente predominio francese all'interno della vita artistica romana nell'ultima parte del XVII sec. e nella prima di quello successivo. Predominio favorito dall'Accademia stessa, che a un certo punto elesse principe il Le Brun, e da accademici importanti, come il Bellori, che considerava Poussin come il suo artista ideale e che dedicò il suo opus magnum a Colbert.
La terza parte, che a noi oggi pare la più superficiale, è quella che al momento suscitò le maggiori controversie. Si tratta di un attacco all'impresa che G. Ghezzi inventò nel 1704 perché fosse usata, nel concorso Clementino di quell'anno, dall'Accademia di San Luca, impresa che consiste in un triangolo formato da pennello, scalpello e compasso. Questi simboli dovevano affermare l'eguaglianza tra pittura, scultura e architettura, premessa dell'armonia che doveva regnare nell'Accademia. Effettivamente durante il principato di F. Zuccari erano state proibite tutte le discussioni su questo delicato argomento. Il D., invece, arrivò al punto di suggerire che l'architettura fosse eliminata completamente nel curriculum dell'Accademia; non meraviglia che egli ritenesse la pittura superiore alle altre arti. Si scaldava in particolare per l'importanza che avevano gli architetti all'intemo degli affari dell'Accademia e arrivò ad attaccare Carlo Fontana, del quale non stimava l'architettura. Dato che il Fontana era una specie di dittatore nel mondo artistico e che attraverso le sue mani passavano gran parte delle commissioni, l'attacco dovette suscitare un grande interesse e in qualche ambiente persino una risposta positiva. Quanto all'impresa, furono scritti due saggi in difesa, da G. Terzi e da B. Nappini, e nonostante l'attacco del D., anzi forse proprio a causa di esso, l'Accademia usò l'impresa del Ghezzi per quasi un secolo.
Nonostante il tono querulo e alcuni aspetti meschini, il trattato del D. è importante in quanto anticipa, di oltre mezzo secolo l'atteggiamento romantico che affermava che l'artista doveva essere libero di seguire il proprio genio, svincolato da ogni regolamento considerato come un ostacolo e anche dalle strettoie dell'istituzione.
Si conoscono del D. altri due scritti pubblicati a Roma: Dichiarazione della pittura della cappella del collegio Clementino (1695) e Illustrissimo & Eccellentissimo principi coeterisque divi Lucae Academicis artium graphidis... duo problemmata (1705).
Il D. risulta vivo ancora nel 1709,, come risulta in una sua lettera del 6 luglio indirizzata al Muratori (Campori, 1866, p. 549). Si ignorano luogo e data di morte.
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