Ludovico Antonio Muratori
La più ampia antologia di scritti muratoriani tuttora disponibile (Opere, a cura di G. Falco, F. Forti, 1964), che non trascura nessuno dei molteplici interessi del vignolese, su circa 2050 pagine complessive ne dedica più di ottocento alle «grandi opere sul Medioevo» (Rerum italicarum scriptores e Antiquitates / Dissertazioni, con il prologo di Piena esposizione e Antichità estensi), cinquecento agli Annali, oltre duecento all’integrale dell’unico trattato politico edito in vita dall’autore, la Pubblica felicità: avallo autorevole alla definizione di Muratori «padre della storia» consolidatasi in epoca risorgimentale, comoda in sede divulgativa ma da inquadrare nella cultura e ideologia del tempo.
Nato il 21 ottobre 1672 a Vignola, nel piccolo ducato estense, dopo la laurea in legge fu ordinato sacerdote nel settembre 1695 a Milano, dove risiedette, come ‘dottore’ della Biblioteca Ambrosiana, fino all’agosto 1700. Un primo impulso verso la storia ecclesiastica, secondo i metodi di critica delle fonti elaborati dai benedettini francesi di S. Mauro, ebbe dall’abate Benedetto Bacchini (1651-1721), a Modena dal 1691; un avviamento all’«erudizione profana» confessò di aver ricevuto dalle opere di Giusto Lipsio (1547-1606) e del concittadino Carlo Sigonio. A Milano compì importanti scoperte antiquarie e strinse legami, per via diretta o epistolare, con vari eruditi d’Italia (dal poeta milanese Carlo M. Maggi, al bibliofilo fiorentino Antonio Magliabechi) e d’Europa (dai maurini Jean Mabillon e Bernard de Montfaucon – conosciuto di persona in Ambrosiana –, ai lipsiensi Otto Mencke e il di lui figlio Johann Burchard, editori degli «Acta Eruditorum»). Richiamato a Modena con mansioni di archivista e bibliotecario del duca Rinaldo I, fu presto impegnato nella disputa sul possesso di Comacchio (tolto agli Este dalla Chiesa nel 1598 insieme con Ferrara, ma nel 1708 rioccupato dall’impero) e nella stesura di una storia estense. Entrambe le imprese furono affrontate in sinergia con Gottfried Wilhelm von Leibniz (1646-1716), storico della casa di Hannover (dall’origine comune con gli Este): ne uscirono la Piena esposizione dei diritti imperiali ed estensi sopra la città di Comacchio (anonima, ma di Muratori, 1712), indi le Antichità estensi ed italiane (1° vol., 1717; 2° vol., 1740).
Poco dopo Muratori diede avvio a una grandiosa raccolta di cronache risalenti agli anni 500-1500, che sfociò nei Rerum italicarum scriptores (27 volumi tra il 1723 e il 1738, più uno postumo) e nei sei volumi delle Antiquitates italicae Medii Aevi (1738-1742). Queste saranno compendiate e tradotte in italiano, apparendo nel 1751 come Dissertazioni sopra le antichità italiane; mentre la collezione di storici medievali costituì il fondamento per i nove tomi degli Annali d’Italia dal principio dell’era volgare sino all’anno 1500 (1744), accresciuti nel 1749 di tre tomi che giungevano all’età presente.
Altri interventi riguardarono i settori del culto e della vita associata: il vignolese (titolare dal 1716 al 1733 della prepositura di S. Maria Pomposa nel centro di Modena) dedicò all’amico papa Benedetto XIV il trattato Dei difetti della giurisprudenza (1742); seguirono scritti di orientamento religioso, tra cui Della regolata divozion de’ cristiani (1747), inviso ai cattolici conservatori. Già precettore del principe ereditario estense, poi duca Francesco III, Muratori nell’ultimo anno di vita portò alle stampe la summa del suo riformismo civile, Della pubblica felicità, oggetto de’ buoni prìncipi (1749). La morte lo colse a Modena il 23 gennaio 1750.
A Milano il giovane Muratori si immerse nei tesori della Biblioteca Ambrosiana dove «dissotterrò» (eruit, secondo il termine nel sottotitolo della sua prima pubblicazione a stampa, gli Anecdota latina del 1697-1698) varie testimonianze del cristianesimo delle origini, come quattro poemetti inediti di san Paolino da Nola, e il testo oggi noto come «canone muratoriano», la più antica lista dei libri del Nuovo Testamento accettati come ‘canonici’ verso il 170 d.C. e trascritti in un codice dell’8° secolo. Se questo sarà pubblicato solo nelle Antiquitates del 1740, gli scritti paoliniani e altri documenti antichi furono stampati negli Anecdota e corredati da ampie «dissertazioni» che si estendevano alla storia milanese dell’alto Medioevo, affrontando anche temi spinosi quali l’autenticità delle reliquie e, per es., la genuinità della corona ferrea monzese (su cui Muratori sollevò fondati dubbi). Da notare pure l’edizione della storia milanese del cronista trecentesco Giovanni da Cermenate, antesignana delle cronache medievali poi divulgate con i Rerum italicarum scriptores (nel cui tomo IX l’opera sarà riproposta).
Sugli argomenti Muratori si consigliò con Magliabechi e con altri eruditi europei: oltre ai sopra citati, l’olandese Gisbert Cuper (1644-1716) e i bollandisti di Anversa Daniel van Papenbroeck (1628-1714) e Konrad Janninck (1650-1723). Un problema delicato era la revisione delle tradizioni medievali (martirologi, miracoli ecc.) che, se condotta a oltranza come nella critica protestante di un Hermann Conring (1606-1681), minava seriamente la credibilità della Chiesa, mettendo in discussione secolari privilegi fondati su carte dall’opinabile autenticità. Su questo punto l’erudizione cattolica oscillava tra lo scetticismo dei bollandisti (intenti a compilare gli Acta sanctorum), la mediazione maurina (e bacchiniana) che tentava di salvare ciò che si potesse difendere senza intaccare il depositum fidei, e l’ostinata difesa dello status quo affidata alle argomentazioni fragili ma polemiche di curiali come Giusto Fontanini o Lorenzo Alessandro Zacagni (1657-1712).
I primi studi segnalarono Muratori all’attenzione della ‘Repubblica letteraria’ e (più prosaicamente) della corte estense, convinta della necessità di quel riordino dell’archivio ducale che Bacchini non pareva in grado di fare. Giunse così il richiamo a Modena, che dipendeva, alla lontana, dalle visite di Leibniz e di suoi emissari, incaricati dal loro sovrano, l’elettore Ernesto Augusto di Hannover, di scrivere la storia della dinastia di Brunswick-Lüneburg; su essa Leibniz aveva pubblicato, in occasione delle nozze nel 1695 di Rinaldo con la principessa Carlotta Felicita (figlia di un defunto fratello dell’elettore), una Lettre sur la connexion des maisons de Brunsuic et d’Este apparsa anche in versione italiana. Ma la risistemazione doveva pure sortire effetti pratici, rintracciando documenti che sancissero la legittimità delle pretese estensi, anzitutto sui territori perduti con la cosiddetta devoluzione alla Santa Sede di Ferrara e, secondariamente, su aree limitrofe come Mirandola, Parma, Massa, cui Modena puntava per accrescere il minuscolo e debole ducato.
La questione esplose nel 1708, quando le truppe imperiali di Giuseppe I si impossessarono di Comacchio: le trattative diplomatiche (chiuse nel 1725 con la restituzione del distretto alla Santa Sede) furono costellate da una serie di libelli che suffragavano con documenti d’archivio le ragioni dell’una o dell’altra parte. Il primo a pubblicare fu Fontanini per conto della Chiesa, il cui possesso di Comacchio era detto legittimo a partire da una restituzione del 755 a opera di Pipino il Breve dell’Esarcato, già usurpato dai Longobardi; con il corollario che gli Estensi sarebbero stati sino al 13° sec. sudditi del comune di Padova, e giunti alla signoria solo in tempi relativamente recenti. Delle repliche furono incaricati Leibniz e Muratori, ai quali spettava di provare l’antichità della casa d’Este, il suo essere feudataria dell’impero quanto a Comacchio, a sua volta feudo indipendente da Ferrara (di cui Muratori riconosceva il possesso papale, contestando solo la legittimità della spoliazione del 1598). La perizia filologica e soprattutto giuridica che Muratori stava rafforzando alla scuola leibniziana (e, più indietro, di giuristi-diplomatisti germanici come il Conring o Melchior Goldast, 1576 ca.-1635) servì per mettere in dubbio, o talora rigettare come false, donazioni o conferme imperiali di beni in mani ecclesiastiche: il che rischiava di allargarsi a territori molto più estesi di Comacchio, innescando una contesa giurisdizionalistica capace di affermare la sovranità dell’impero su vaste parti d’Italia (come farà nei primi anni Venti un Gottfried Philipp Spannagel, 1675-1748, in relazione con Muratori dal 1710, che, proclamandosi suo discepolo, rivendicherà Parma, Piacenza e la Toscana alla casa d’Austria). Il vignolese scontò il suo rigore storico e politico con accuse di luteranesimo o almeno di giansenismo, con le quali si tentava di svalutare «la spregiudicata libertà dei suoi giudizi», a sua volta responsabile di «drammatiche antitesi nella coscienza del Muratori» (Falco 1960, pp. 150-51, poi in Opere, 1964, pp. XX-XXI).
La Piena esposizione del 1712 (tradotta in francese a Utrecht nel 1713 con il titolo Les droits de l’empire sur l’estat ecclésiastique) segnò il passaggio del suo autore dall’approccio erudito a quello compiutamente storico; egli apprese da Leibniz i vantaggi della disponibilità di fonti antiche plurime (come quelle raccolte negli Scriptores rerum Brunsvicensium del tedesco, 1707-1711) e la necessità di un approccio anche giuridico alle istituzioni medievali onde interpretare correttamente i termini che le designavano nei diplomi. Con ciò non solo giunse a conclusioni politiche sempre più ostili al potere temporale dei papi (sebbene inizialmente il cattolico Muratori si proponesse di non toccare argomenti generali e pericolosi per l’istituzione ecclesiastica), ma pose le basi per un metodo storiografico che, comprendendo la società medievale nella sua interezza, ne illustrasse anche l’evolversi (talora naturale, talora forzoso o artefatto) verso la situazione politica attuale. Con quest’opera (ha osservato Franco Venturi, 1969), e con quelle poco più tarde di Pietro Giannone e Nicola Forlosia (1690 ca.-1758), entrambi in contatto con Muratori stesso, si inaugura il pensiero giurisdizionale italiano, che influenzerà la Vienna di Carlo VI e i suoi successori.
Contigua e parallela, quantunque separata nelle intenzioni di principio dalla disputa comacchiese, rimase l’indagine sulle Origines Guelficae, ovvero il ceppo comune delle dinastie d’Este e Brunswick (risalenti al capostipite Alberto Azzo II, morto nel 1097, e ai suoi figli Guelfo, divenuto duca di Baviera, e Folco, marchese d’Este), già ravvisato da Leibniz. Rimanevano da cercare altri documenti per completare irrefutabilmente la genealogia, e negli anni 1714-16 Muratori compì con il suo allievo e segretario Pietro Ercole Gherardi (1679-1752) ripetute incursioni in archivi emiliani, veneti, lombardi, liguri, toscani, trovando – nonostante impedimenti posti dal potere ecclesiastico – non solo quanto gli serviva, ma molto altro, che gli permise di allargare lo sguardo sulla storia dell’Italia intera. Da qui il titolo della prima grande opera dichiaratamente storica di Muratori, le Antichità estensi ed italiane, il cui 1° volume uscì nel 1717, un anno dopo la morte di Leibniz, che aveva tenuto a lungo in esame l’abbozzo muratoriano inviando minute osservazioni. Al di là del puntuale accertamento dei singoli fatti, va notata l’impostazione ideologica, la filosofia che da qui in avanti starà alla base delle ricostruzioni muratoriane: la rivalutazione dei ‘barbari’, in particolare dei Longobardi, e l’indicazione dei Franchi come perturbatori degli equilibri della penisola, soprattutto per le troppe cessioni di potere alla Chiesa.
Il 2° volume, che giungeva all’età presente, sarà stampato solo nel 1740; e qui, trattando dei duchi estensi recenti o attuali (il titolo sarà ‘ridotto’ alle sole Antichità estensi), Muratori si lascerà andare a qualche encomio di troppo, temperando verità storica e convenienze di corte: entrambi i fattori saranno alla base delle 125 pagine del cap. XIV sulla devoluzione del 1598 e del più breve consuntivo della vicenda comacchiese nel cap. XIX, pp. 649-56, chiuso a p. 667 da una citazione da Giovanni Villani: «quello che i chierici prendono, tardi sanno rendere», e da una dichiarata reticenza circa «i mezzi de’ quali si servì in tal congiuntura per ottenere il suo intento la Corte Pontificia».
All’aprirsi degli anni Venti si andò precisando in Muratori l’idea di descrivere le vicende italiane nel millennio meno esplorato dalla storiografia rinascimentale e barocca: quella che inizialmente (secondo quanto aveva confidato a Leibniz fin dal 1714) doveva essere solo una «appendice diplomatica», ossia un corredo di diplomi e documenti, alle Estensi, si trasformò gradualmente in un compiuto affresco della civiltà medievale, secondo un progetto delineato in una lettera autobiografica a Giovanni Artico di Porcìa del 1721:
esporre i costumi e riti dell’Italia, dopo la declinazione del romano imperio sino al 1500, disegno forse troppo vasto per le mie forze, giacché vi si dovrebbe trattare dei diversi e vari governi di que’ tempi, delle leggi, de’ giudizi, de’ contratti, delle forme del guerreggiare, de’ vescovati, delle badie, delle donazioni pie, degli spedali, delle repubbliche, delle fazioni, delle monete, dei feudi, degli allodi e simili altre innumerabili notizie, che tutte insieme formassero un’intera dipintura dell’Italia d’allora.
Nel sottotitolo delle Antiquitates italicae Medii Aevi, uscite a partire dal 1738, leggiamo la versione latina di quelle antiche parole:
dissertationes de moribus, ritibus, religione, regimine, magistratibus, legibus, studiis literarum, artibus, lingua, militia, nummis, principibus, libertate, servitute, foederibus, aliisque faciem et mores Italici populi referentibus post declinationem Romani Imperii ad annum usque MD.
In mezzo ci stette (per usare ancora le parole muratoriane del 1721) un’altra «grandiosa» iniziativa, di «unire in un corpo, che abbraccerà più tomi, tutte le storie d’Italia composte dall’anno 500 dell’era volgare sino al 1500, sì stampate come inedite». Sono i Rerum italicarum scriptores, per sostenere la stampa dei quali (e più tardi, delle Antiquitates e altro) fu fondata a Milano la Società Palatina (cioè avente sede nel Palazzo reale), gestita dall’editore d’origine bolognese Filippo Argelati (1685-1755) sotto la protezione imperiale. Un piano del genere era accarezzato da tempo negli ambienti culturali in cui si riconosceva Muratori: Apostolo Zeno (1668-1750) glielo aveva esposto per lettera fin dal 1699-1701, ribadendolo poi nel «Giornale de’ letterati d’Italia» (periodico dalla chiara impronta muratoriana pubblicato da Zeno stesso e Scipione Maffei); partito Zeno per Vienna, nel 1718, il compito fu passato a Muratori, cui era nel frattempo giunta da Leida una richiesta di collaborazione da parte degli editori del similare Thesaurus antiquitatum et historiarum Italiae, diretto prima da Johann Georg Graeve (Graevius) poi da Pieter Burmann (corrispondente di Muratori dal 1721). Ma il modello primo fu la storiografia germanica e leibniziana, come si vede dall’impianto dei RIS simile alle raccolte di cronache medievali curate un secolo prima da Goldast, poi da Leibniz e dal suo successore quale storico della casa di Hannover, Johann Georg Eckhart (1664-1730).
Un iniziale elenco di cronache da pubblicare fu stilato nell’aprile 1721 e risentiva delle dirette indagini di Muratori, comprendendo in primo luogo manoscritti conservati all’Ambrosiana e all’Estense, più altri cronisti a stampa; mentre un secondo progetto, stilato dopo meno di un anno e vicino a quella che sarà la veste definitiva dell’opera, incrementava il numero sia degli inediti sia delle cronache già pubblicate in raccolte specialmente francesi e tedesche. Il carteggio muratoriano mostra l’assiduità nella ricerca di manoscritti (rigorosamente anteriori al 16° sec. e possibilmente coevi ai fatti narrati) sia presso biblioteche pubbliche o monastiche sia in archivi di famiglie nobiliari; indi la cura con cui il vignolese seguì il lavoro editoriale dei suoi collaboratori locali e milanesi, creando «una vera e propria scuola di erudizione» che «sprovincializzò la nostra cultura storica» (Bertelli 1960, p. 361). Muratori si riservò il diritto di espungere dalle cronache le parti inattendibili perché troppo lontane dall’epoca del cronista, o superflue perché trattate meglio da altri autori; come sintetizza ancora Sergio Bertelli (pp. 322 e 348; analogamente Forti, in Opere, 1964, p. 482), la sua intenzione era storica e non di carattere letterario e filologico: alla «preoccupazione diplomatica» dei maurini subentrò «l’urgenza del quadro storico», creare «piuttosto una storia “attraverso” le fonti, che non una raccolta di fonti “per” la storia». Tagli minori furono praticati per ragioni di opportunità, soprattutto onde evitare interventi della censura ecclesiastica (che tuttavia, poco dopo l’uscita del 1° volume nel 1723, revocò l’imprimatur originariamente concesso, rendendo necessario un intervento di Carlo VI per garantire il proseguimento della stampa).
E se le storie pubblicate avevano quasi tutte un carattere locale, la sintesi nazionale si preparava con le Antiquitates, in allestimento da almeno un decennio prima della stampa, tanto che Bertelli (1960, pp. 359-61) attribuisce una certa trasandatezza negli ultimi volumi dei RIS dovuta al crescente impegno per la nuova opera. Sul valore fondante delle Antiquitates sono d’accordo pressoché tutti gli studiosi, a cominciare da Benedetto Croce che le definì «una vera e propria Kulturgeschichte Italiens im Mittelalter» (il giudizio, del 1918, è ripreso da molta letteratura critica, per es. Bertelli 1960, p. 364, e Tabacco, in L.A. Muratori storiografo, 1975, p. 5); semmai con riserve sulla minore accuratezza di certe sezioni, come quelle relative al feudalesimo e ai comuni, e il ridotto interesse mostrato verso gli ultimi secoli (cfr. Giarrizzo 1962, pp. 35 e 41; Tabacco, in L.A. Muratori storiografo, 1975, pp. 13-17). Le invasioni barbariche sono viste come evento decisivo per la nuova era, segnata dalla frantumazione dell’impero romano; già si è detto della rivalutazione dei Longobardi, mentre al racconto della fondazione del Sacro Romano Impero, delle elezioni di re e imperatori e dell’assegnazione dei feudi è sotteso un giudizio limitativo sui carolingi, nonostante il loro ruolo di difensori del papato. Dell’Italia si illustrano le autorità civili e religiose, gli apparati di vertice (leggi, monetazione, imposte, tribunali, milizie, la cavalleria e i duelli), ordinamenti di comuni e signorie; vita privata e associata della popolazione (demografia, ruolo della donna, evoluzione del costume, mestieri, mercati, giochi e spettacoli, arte, letteratura e lingua); fenomeni e istituti religiosi (gerarchia ecclesiastica, abbazie, parrocchie, monasteri, confraternite, culti e superstizioni), senza sottacere le prevaricazioni della Chiesa, il suo potere politico ed economico (il «costante atteggiamento di sospetto verso l’attività temporale della Santa Sede» accomuna, secondo Falco 1960, prefazione, p. 16, Muratori a un Giannone o a un Denina; cfr. però Continisio 1999, p. 134 per la maggior cautela del vignolese). Il tutto esaminato con un corredo fin troppo vasto di pezze d’appoggio, non solo cronistiche, ma da contratti, atti pubblici, monete, iscrizioni, talora a scapito del disegno unitario (Fasoli, in L.A. Muratori storiografo, 1975, pp. 31, 34, 37-39).
È opinione di alcuni critici che, dopo la fine delle Antiquitates, Muratori abbia ripiegato su posizioni meno coraggiose (secondo Giarrizzo 1962, p. 27, «nella storia egli non cerca ormai più un senso, un’unità, un problema», ma solo «un pretesto per divagazioni moralistiche»). Eppure da quegli anni di febbrile attività nacque un altro prodotto esemplare: una storia nazionale, in italiano e dunque accessibile a tutti, secondo il medesimo intento divulgativo applicato anche con la traduzione-riduzione italiana delle Antiquitates nelle Dissertazioni. La copertura cronologica si estese, includendo dapprima l’impero romano, per un complesso di nove tomi degli Annali d’Italia dal principio dell’era volgare sino all’anno 1500 pubblicati nel 1744 dall’editore veneziano Pasquali; infine, giungendo alla contemporaneità con i tre ultimi tomi usciti nel 1749. Non cambiano metodo, filosofia e giudizi storici: vaglio delle fonti tale da giungere, se non al «vero», quanto meno al «probabile» e al «verisimile» (dunque, rifiuto del «pirronismo» in favore di un approccio galileiano e newtoniano), ridimensionamento delle interpretazioni finalistiche o provvidenziali care agli storici di ascendenza umanistica non meno che ai cattolici, condanna della ragion di Stato, difesa «delle prerogative dello Stato contro l’invadenza dei privilegi ecclesiastici» (Morghen, in Miscellanea di studi muratoriani, 1951, p. 298), riconoscimento delle qualità politiche di Goti e Longobardi rispetto ai loro oppositori Bizantini e Franchi esaltati invece dalla storiografia confessionale (ma quanto agli italiani, sembra un’anticipazione del primo coro del manzoniano Adelchi l’osservazione, a proposito della sconfitta gotica del 541 contro i Bizantini, sul «disinganno» che capita ai «popoli soliti a lusingarsi, col mutar governo e padrone, di migliorare i propri interessi»). Ai carolingi è ascritto il merito della riunificazione europea, ma di nuovo il colpevole avallo alle mire territoriali della Chiesa, poi dissimulate anche sotto la veste delle crociate; del protestantesimo sono individuate le ragioni nelle colpe morali e nella condotta politica pontificia, dal Trecento della cattività avignonese al Quattrocento delle lotte tra papi e antipapi e del nepotismo, fino agli eccessi di mondanità nella corte romana del primo Cinquecento.
È stata rilevata (cfr. Giarrizzo 1962, pp. 40-42, e Cochrane, in L.A. Muratori storiografo, 1975, pp. 239-40) una certa svalutazione dell’epoca medievale rispetto alla maggior «felicità» dei secoli seguenti: visione, piuttosto che illuministica, da collegare alla Teodicea leibniziana per un progresso determinato da una Provvidenza immanente (Bertelli 1960, p. 445); mentre dell’età moderna, coronata da quella pace di Aquisgrana del 1748 che sembrò porre termine a secoli di devastazioni, Muratori appare «il miglior interprete e cronista degli anni Quaranta» (Venturi 1969, p. 68), sebbene le vicende degli ultimi tempi siano viste attraverso la lente delle sue passioni, politicamente ben definite e semmai, in campo religioso, declinanti verso un troppo «caldo zelo di ortodossia» (G. Falco, cit. in Bertelli 1960, p. 467): ne consegue l’appoggio dato agli Asburgo e alla causa dell’impero contro i Borboni e i francesi in genere (compreso Luigi XIV, condannato – come già da Leibniz – per le sue mire egemoniche e liberticide), e un crescere delle istanze patriottiche, sia nell’apprezzamento per gli Stati italiani retti da un principe «naturale», sia, ad es., con il partecipe racconto dei moti genovesi del 1746-47. «Gli Annali sono, dai tempi del Guicciardini, il primo grande tentativo di una storia d’Italia, che servirà di trama a una grande parte della storiografia successiva», anche grazie «all’aperta battaglia per il trionfo della ‘verità’, al costante riferimento del passato ai problemi e agl’ideali del presente, che collocano l’opera in maniera inequivocabile nel momento storico del pensiero illuminato» (Falco 1960, p. 162, poi in Opere, 1964, p. XXXI). La lezione storica di Muratori, frutto del suo «illuminismo cattolico», produsse un’«età muratoriana» bandita ora (1740-1769) dalle «Novelle letterarie» di Giovanni Lami, in quella Toscana che (accanto alla Campania e al Veneto) fu la più vicina allo spirito del vignolese; le cui «ansie di riforma etico-religiosa e il metodo e il gusto storico-erudito» continuarono a vivere in pubblicazioni degli anni Cinquanta-Sessanta firmate da Lami, da Giuseppe Maria Mecatti (1700?-1790 ca., continuatore degli Annali fino al 1789) e da altri (Rosa 1969, pp. 22-45).
Un primo approccio complessivo alla scienza del buon governo, vista nella sua stretta connessione con l’etica, Muratori compì stendendo per il principe ereditario estense Francesco (III) nel 1713-1714 i Rudimenti di filosofia morale, la cui seconda parte s’intitola esplicitamente Del governo politico e pone come scopo di esso il «cercare sopra tutto i vantaggi, i comodi e la felicità del suo popolo» (Scritti politici postumi, a cura di B. Donati, 1950, p. 75): anticipazione del trattato Della pubblica felicità, oggetto de’ buoni prìncipi del 1749.
Parallelamente, Muratori proseguiva per le strade di una revisione ‘illuminata’ della tradizione cattolica che, pur lasciando intatti i capisaldi dogmatici della Controriforma, non trascurasse le reali condizioni di vita dei fedeli: una decisa presa di posizione espressa con il trattato Della carità cristiana in quanto essa è amore del prossimo (1723), nato dall’esperienza di prevosto (che vide in Muratori anche il promotore di una «Compagnia della carità» a sostegno dei poveri), altro capitolo di quella «sfida contro pregiudizi, superstizioni, abusi inveterati», congiunta all’«energica esortazione al rinnovamento» caratteristica del suo pensiero in ogni campo (Falco 1960, p. 132). Un quarto di secolo dopo, il pensiero religioso (e insieme politico) di Muratori, improntato a «prudenza, giustizia e carità» (Continisio 1999), sarà esposto in modo sistematico con il volume Della regolata divozion de’ cristiani, diffuso in sei edizioni tra il 1747 e il 1748, e in molte traduzioni all’estero: quella tedesca del 1751 fu letta e meditata da Maria Teresa, che vi si ispirò per le sue direttive ai vescovi (C. Donati, in Cattolicesimo e lumi nel Settecento italiano, 1981, pp. 84-85); suo figlio Giuseppe II, combinando le istanze muratoriane e quelle dei lumi, avrebbe poi sancito la forte limitazione dei poteri della Chiesa etichettata come giuseppinismo.
Dalla Regolata divozion si diramarono le Scritture concernenti la diminuzione delle feste di precetto (1748), con il coinvolgimento delle autorità religiose e politiche perché, riducendo i giorni festivi, da un lato moderassero gli eccessi cultuali, dall’altro consentissero un incremento dei redditi per gli occupati in lavori ‘servili’. Insomma il vignolese aveva scelto di «imboccare senza remore la strada dell’analisi politico-sociale» (C. Donati, in Cattolicesimo e lumi nel Settecento italiano, 1981, p. 91), e nell’ultimo venticinquennio della sua operosità non si astenne da notevoli pronunciamenti in materia. Basti una menzione per gli scritti giuridici, inaugurati dall’abbozzo De codice Carolino, destinato nel 1726 all’imperatore Carlo VI con l’auspicio di una drastica semplificazione legislativa (ma fu Muratori stesso a lasciar cadere l’idea, forse nel timore – come suppone Benvenuto Donati, in Scritti politici postumi, cit., p. XXV – che paresse una lesione dell’«autonomia giuridica degli stati italiani»); indi organicamente sviluppati nella monografia Dei difetti della giurisprudenza (1742, più volte ristampata), dedicata a papa Benedetto XIV perché varasse una riforma capace di mettere ordine nella congerie di leggi e pareri legali che si ritorcevano sui ceti umili.
Si arrivò infine alle oltre 400 pagine Della pubblica felicità, oggetto de’ buoni prìncipi, edite (quasi alla macchia) a Venezia e a Lucca, verosimilmente anche a Modena, nel 1749, e da ritenersi, con i Difetti della giurisprudenza, «l’espressione più matura di tutto il pensiero riformatore in Italia durante la guerra di successione austriaca» (Venturi 1969, p. 161), dove il pensiero civile rampollava dalla «sollecitudine di onesta e felice convivenza fra gli uomini» (Falco 1960, p. 134), di un intellettuale assurto a «guida di un movimento italiano e poi, in parte, europeo, dalle sfumature rigoriste e giansenisteggianti» (Rosa 1969, p. 16). Vi si trattano gli argomenti che la nuova cultura illuministica stava proponendo ai governanti: mantenimento della pace, giustizia, istruzione e salute pubblica, assistenza ai bisognosi, agricoltura, commercio, controllo dei prezzi e del debito statale, tasse (incluso il lotto), tutti discussi con un equilibrio interpretabile come rispetto dell’ordine costituito, che tuttavia lascia trapelare l’esigenza delle riforme. È suggestiva la contiguità temporale, e in parte ideologica, tra la Pubblica felicità (pronta nel marzo 1748) e l’Esprit des lois (dello stesso anno) di Montesquieu, che nel 1729 aveva fatto visita a Muratori: come osserva Chiara Continisio (1999, pp. 180-82), in Muratori gli accenni alle «teorie contrattualiste relative alla convivenza ordinata sono […] giustapposti ai canoni più tradizionali», «fra l’idea della necessità del consenso dei sudditi al detentore del potere e l’incontestabilità dello stesso»; il suddito deve obbedienza al principe, il quale però viene ammonito, fin dalle prime pagine del trattato (Opere, 1964, p. 1508), dell’obbligo di «procacciare al popolo qualunque comodo, vantaggio e bene che sia in mano sua».
Rimane pacifico che il vignolese, nel suo «paternalismo cristiano», non può essere considerato un «grande novatore» in campo teoretico, politico o economico (Morghen, in Miscellanea di studi muratoriani, 1951, p. 298), limitandosi a tradurre «in termini di carità ciò che altri trattava in termini d’economia politica» (Falco 1960, p. 141); eppure, la sua lucida visione, alimentata ugualmente dai libri e dall’esperienza viva, consegna «alla nuova generazione un ampio inventario delle esigenze, dei problemi, dei bisogni dell’Italia» (Venturi 1969, p. 186).
Anecdota latina, tt. 1-2, Mediolani 1697-1698, tt. 3-4, Patavii 1713.
Piena esposizione de i diritti imperiali ed estensi sopra la città di Comacchio, in risposta alle due difese del Dominio e alla Dissertazione istorica. S’aggiunge una tavola cronologica, con un’appendice d’investiture cesaree, e d’altri documenti spettanti alla controversia di Comacchio, s.l. [ma Modena] 1712.
Delle antichità estensi ed italiane. Parte prima, Modena 1717; Delle antichità estensi. Continuazione, o sia Parte seconda, Modena 1740 (rist. anast. con testi introduttivi di A. Vecchi e M. Vellani, 2 voll., Vignola-Bologna 1987-1988).
Rerum italicarum scriptores ab anno aerae Christianae quingentesimo ad millesimum quingentesimum, 1°-24° vol. in 27 tomi, Mediolani 1723-1738, 25° vol., Mediolani 1751.
Antiquitates italicae Medii Aevi, sive Dissertationes de moribus, ritibus, religione, regimine, magistratibus, legibus, studiis literarum, artibus, lingua, militia, nummis, principibus, libertate, servitute, foederibus, aliisque faciem & mores Italici populi referentibus post declinationem Rom. Imp. ad annum usque MD, 6 voll., Mediolani 1738-1742 (rist. anast., Bologna 1965).
Dei difetti della giurisprudenza, Venezia 1742 (rist. anast. con introduzione di C.E. Tavilla, Sala Bolognese 2001), Venezia 17432; poi a cura di A. Solmi, Roma 1933; a cura di G. Barni, Milano 1958.
Annali d’Italia dal principio dell’era volgare sino all’anno 1500, 9 voll., Milano [ma Venezia] 1744.
Della regolata divozion de’ cristiani, Venezia 1747 (due edizioni); poi Della regolata devozione dei cristiani, a cura di P. Stella, Cinisello Balsamo 1990.
Raccolta di scritture concernenti la diminuzione delle feste di precetto. Si aggiunge la risposta di Lamindo Pritanio ad una lettera dell’eminentissimo signore cardinale Querini intorno al medesimo argomento, Lucca 1748 (contiene la rist. del cap. XXI della Regolata divozion, pp. 128-43, e la Difesa di quanto ha scritto Lamindo Pritanio in favore della diminuzion delle troppe feste, pp. 153-232).
Della pubblica felicità, oggetto de’ buoni prìncipi, Lucca 1749; quattro diverse edd. s. n., attribuite a Venezia e forse Modena, 1749; poi a cura di B. Brunello, Bologna 1941; in Opere di Lodovico Antonio Muratori, a cura di G. Falco, F. Forti, Milano-Napoli 1964, pp. 1502-1718; a cura di C. Mozzarelli, Roma 1996.
Dissertazioni sopra le antichità italiane, già composte e pubblicate in latino dal proposto Lodovico Antonio Muratori, e da esso poscia compendiate e trasportate nell’italiana favella, opera postuma data in luce dal proposto Gian-Francesco Soli Muratori suo nipote, 3 voll., Milano [ma Venezia] 1751, «seconda edizione accresciuta di prefazioni e note opportune dall’abate Gaetano Cenni con indice più copioso», 3 voll. in 6 tomi, Roma 1755, da cui generalmente dipendono le successive edizioni.
Opere del proposto Lodovico Antonio Muratori, 13 voll. in 19 tomi, Arezzo 1767-1773.
Scritti giuridici complementari del trattato del 1742 “Dei difetti della giurisprudenza”. I. De codice Carolino. II. Pareri legali, a cura di B. Donati, Modena 1942.
Scritti politici postumi. Di un nuovo codice di leggi. Rudimenti di filosofia morale per il principe, a cura di B. Donati, Bologna 1950.
Opere di Lodovico Antonio Muratori, a cura di G. Falco, F. Forti, Milano-Napoli 1964.
Miscellanea di studi muratoriani, Atti e memorie del Convegno di studi storici in onore di L.A. Muratori, Modena (14-16 aprile 1950), Modena 1951 (in partic. R. Morghen, La visione storica di L.A. Muratori, pp. 292-99; F. Collotti, Sul pensiero politico e sociale di L.A. Muratori. Sguardo d’insieme alla più recente letteratura critica, pp. 400-10).
«Muratoriana», 1952, 1-1988, 16; ora «Muratoriana online», 2011-2012, http://www.centrostudimuratoriani.it (dove è disponibile la versione pdf dell’intera collezione cartacea della rivista; 2 giugno 2013).
S. Bertelli, Erudizione e storia in Ludovico Antonio Muratori, Napoli 1960 (con bibl. prec.).
G. Falco, Il pensiero civile di L.A. Muratori e Momenti e motivi dell’opera muratoriana, in Id., Pagine sparse di storia e di vita, Milano-Napoli 1960, rispettivamente pp. 131-42, 143-64 (poi come Introduzione a Opere di Lodovico Antonio Muratori, a cura di G. Falco, F. Forti, Milano-Napoli 1964, pp. XIV-XXXIII).
G. Giarrizzo, Alle origini della medievistica moderna (Vico, Giannone, Muratori), «Bullettino dell’Istituto storico italiano e Archivio muratoriano», 1962, 74, pp. 1-43.
M. Rosa, L’età ‘muratoriana’ nell’Italia del Settecento, in Id., Riformatori e ribelli nel ’700 religioso italiano, Bari 1969, pp. 9-47 (con bibl. prec.).
F. Venturi, Settecento riformatore, 1° vol., Da Muratori a Beccaria, Torino 1969, 19982.
L.A. Muratori storiografo, Atti del Convegno internazionale di studi muratoriani, Modena 1972, Firenze 1975 (in partic. G. Tabacco, Muratori medievista, pp. 3-20; G. Fasoli, Vitalità delle “Antiquitates”, pp. 21-39; E. Cochrane, L.A. Muratori e gli storici italiani del Cinquecento, pp. 227-40).
Cattolicesimo e lumi nel Settecento italiano, a cura di M. Rosa, Roma 1981 (in partic. M. Rosa, Introduzione all’Aufklärung cattolica in Italia, pp. 1-47; C. Donati, Dalla ‘regolata devozione’ al ‘giuseppinismo’ nell’Italia del Settecento, pp. 77-98).
C. Continisio, Il governo delle passioni. Prudenza, giustizia e carità nel pensiero politico di Lodovico Antonio Muratori, Firenze 1999 (con bibl. prec.).
G. Imbruglia, Muratori Ludovico Antonio, in Dizionario biografico degli Italiani, Istituto della Enciclopedia Italiana, 77° vol., Roma 2012, ad vocem.
F. Marri, Lodovico Antonio Muratori, «Nuova informazione bibliografica», 2012, 3, pp. 457-93 (con bibl. prec.).
Si veda inoltre il sito http://www.centrostudimuratoriani.it, in partic. nelle sezioni Carteggio, Muratori, Muratoriana online, Strumenti.
Su Giovanni Domenico Mansi:
Carteggi con Mansi… Marmi, Ed. nazionale del carteggio di L.A. Muratori, 28° vol., a cura di C. Viola, Firenze 1999, pp. 7-26.
F. Vannini, Mansi Giovanni Domenico, in Dizionario biografico degli Italiani, Istituto della Enciclopedia Italiana, 69° vol., Roma 2007, ad vocem.
Su Giuseppe Agostino Orsi:
A. Prandi, La “Istoria ecclesiastica” di P. Giuseppe Orsi e la sua genesi, «Rivista di storia della Chiesa in Italia» 1980, 34, 2, pp. 430-50.
Si veda inoltre:
P. Delpiano, Il governo della lettura. Chiesa e libri nell’Italia del Settecento, Bologna 2007 (con bibl. prec.).
La Toscana, vivente ancora Muratori, fu la più ‘muratoriana’ delle regioni italiane, nel campo sia degli studi storici sia delle loro implicazioni politico-religiose; e se, dalla fine degli anni Trenta, fu Giovanni Lami (1697-1770) ad applicare il metodo del vignolese, una schiera di eruditi aveva accompagnato le ricerche di Muratori fin dai tempi della raccolta dei materiali per le Antichità estensi, poi per i Rerum italicarum scriptores: citiamo, nella scia del più anziano Antonio Magliabechi, Anton Francesco Marmi (1665-1736), Anton Francesco Gori (1691-1757), Alessandro Pompeo Berti (1686-1752). Un certo rilievo assunse il lucchese Giovanni Domenico Mansi (1692-1769, arcivescovo di Lucca dal 1768), il cui impegno fu decisivo per la stampa nei RIS (11° vol., 1727, coll. 1315-44) della biografia di Castruccio Castracani stesa dall’umanista Niccolò Tegrimi e conservata nell’archivio civico di Lucca. L’introduzione muratoriana al Tegrimi ricalca le notizie che gli fornì il corrispondente; altri documenti di minor estensione Mansi estrasse dall’Archivio capitolare lucchese. Il carteggio con Muratori, dopo una prima fase del 1727-28, riprese nel 1747-49, spostandosi sui temi di storia ecclesiastica e teologia che Mansi veniva trattando (dall’edizione accresciuta degli Annales ecclesiastici del Baronio, 1738-1759, alla Historia ecclesiastica di Noël Alexandre, 1749, alla Sacrorum Conciliorum nova et amplissima collectio, dal 1748), e in particolare sulle dispute con i domenicani Daniello Concina (1686-1756) e Tommaso Maria Mamachi (1713-1792), nelle quali Muratori tentò di mediare. Negli anni successivi, Mansi si fece garante dell’edizione lucchese dell’Encyclopédie (1758 e segg.), munendola di annotazioni che però, sotto il nuovo papa Clemente XIII, furono fatte sospendere in quanto non sufficientemente ortodosse.
Le opposizioni più forti a Muratori vennero dalla curia romana: dopo le battaglie ingaggiate da Giusto Fontanini (1666-1736) per la questione comacchiese e proseguite con censure agli scritti religiosi (attenuate solo durante il pontificato di Benedetto XIV), furono le opere storiche a divenire oggetto di reprimende, soprattutto per l’ostilità alle ingerenze temporali della Chiesa, comune a tutta la pubblicistica muratoriana dalle Antiquitates agli Annali. Si collegò a Fontanini il domenicano Giuseppe Agostino Orsi (1692-1761), maestro di Mamachi in S. Marco a Firenze, dal 1732 a Roma, segretario della Congregazione dell’Indice dal 1738 (infine cardinale nel 1759), pubblicando nel 1742 il trattato Dell’origine del dominio e della sovranità temporale dei romani pontefici sopra gli stati loro temporalmente soggetti, che conobbe una nuova edizione (1754) accresciuta d’alcune note, e dell’esame del diploma di Lodovico Pio a cura di un altro oppositore di Muratori, Gaetano Cenni (1698-1762), che dal 1746 aveva dedicato, sul «Giornale de’ letterati» romano, pungenti rassegne ai volumi degli Annali, e qui riprese un antico oggetto della contesa da parte filoimperiale, ribattendo le accuse di falsità mosse da Muratori e da altri. Ma lo stesso Muratori, in risposta a Cenni nella Conclusione degli Annali, citò l’opera principale di Orsi, la Storia ecclesiastica in corso di stampa a Firenze dal 1747 (il cui intento era di opporsi alla gallicana Histoire ecclésiastique di Claude Fleury), e la recensione apparsane sul «Giornale de’ letterati», per ribadire il diritto di giudicare liberamente anche gli uomini di Chiesa. Più tardi Orsi, già in prima linea nella lotta a giansenisti e gallicani, ebbe parte nella condanna all’Indice dell’Encyclopédie che coinvolse anche Mansi.