BECCADELLI, Ludovico
Nacque a Bologna il 29 genn. 1501 in una antica famiglia cittadina da Pomponio e da Prudenza Mammellini, e come primogenito fu avviato allo studio delle leggi, alla scuola di Carlo Ruini, Giovanni Grotto e Ludovico Gozzadini. Tale curriculum non corrispondeva però all'inclinazione dello spirito del giovane, il quale nel 1526 decise di dedicarsi esclusivamente alle discipline umanistiche. Maturò tale risoluzione insieme all'intimo amico Giovanni Della Casa e con lui si ritirò in una villa di questo a Pian del Mugello, dove per circa un anno e mezzo studiarono i classici latini. Il bisogno di allargare i loro studi all'antichità greca spinse poi i due giovani amici ad interrompere il loro splendido ritiro per trasferirsi a Padova, i cui ambienti accademici ed umanistici esercitavano una forte attrattiva. Il B. vi giunse tra la fine del 1527 e l'inizio del 1528, stringendo presto amicizia col Bembo, il Lampridio, Trifon Gabriele e il loro circolo. Il soggiorno padovano fu interrotto dalla morte del padre, in occasione della quale il B. dovette rientrare per vari mesi a Bologna, tra la fine del 1528 e l'inizio dell'anno successivo. Anzi forse il suo ritorno a Padova sarebbe stato rinviato indefinitamente se egli non fosse stato invitato ad accompagnarvi Cosimo Gheri, giovane pistoiese, creato vescovo di Fano all'inizio del 1530. Comunque la parentesi bolognese gli consentì di seguire un ciclo di lezioni di Romolo Amaseo. Tra il 1529 e il 1534 Padova divenne la sua residenza principale, salvo durante le estati, che venivano trascorse dal B. col Gheri e vari amici nell'amena villa di Pradalbino, proprietà dei Beccadelli, alla quale il B. dedicò premurose cure.
In questi anni la fisionomia umanistica e il gusto letterario del B. si consolidano e si affinano, la cerchia delle sue conoscenze si dilata, allaccia amicizie solide ed intense che l'accompagneranno per il resto della vita, né breve né tranquilla. Il futuro biografo del Petrarca fa tesoro in questi anni giovanili dell'insegnamento ed ancor più dell'ambiente e della tradizione padovana. Invece l'affermazione dei suoi biografi su un dottorato in leggi conseguito in questo periodo non convince. Piuttosto l'attenzione del B., al di là dei problemi, delle dispute e delle esercitazioni letterarie, andava ai vivaci fermenti religiosi che in quegli anni erano presenti nell'area veneta con singolare concentrazione. A Verona infatti Matteo Giberti dava saggio di un rinnovamento profondo della cura pastorale e a Venezia il gruppo del Contarini, del Giustiniani e dei loro amici aveva segnato una svolta significativa nel modo di concepire e di vivere l'impegno cristiano. Il B. non trascurò di entrare in contatto con tali ambienti, verso i quali lo spingeva il suo personale bisogno di una solida dimensione religiosa. D'altronde il contatto di questi gruppi con i circoli umanistici cari al giovane bolognese era molto frequente. Certo in questi anni egli conobbe a Padova Giovanni Campese, biblista di fama, che era stato invitato in Italia dal Giberti e che più tardi sarebbe entrato a far parte della famiglia del card. Contarini. Tale rapporto ebbe certamente un peso notevole nel dilatare lo spazio dedicato dal B. alla S. Scrittura nella propria formazione e, più tardi, nell'azione pastorale.
Questo periodo sereno e tranquillo della vita del B., durante il quale egli fece anche le sue prime prove poetiche, terminò bruscamente all'inizio del 1535, quando il Bembo e Alvise Priuli lo segnalarono a Gasparo Contarini, creato cardinale il 21marzo di quell'anno, come possibile suo segretario. La proposta sorprese il B., il quale oppose inizialmente resistenza, ma finì poi per accettare l'incarico che per sette anni l'avrebbe intimamente associato ad una delle figure più significative della cristianità. Forse i suoi amici avevano saputo cogliere, meglio di quanto non potesse fare egli stesso, che la fase degli studi e degli ozi letterari era per lui conclusa e che, d'altronde, l'incarico che gli era offerto si attagliava assai bene alla sua fisionomia interiore, alla docilità del suo carattere e alla versatilità del suo ingegno. Così nell'agosto si recò a Venezia e poi, col Contarini, a Roma, prendendo il posto - come suo segretario - di Girolamo Negri. A Roma allargò facilmente la cerchia delle sue amicizie e si legò soprattutto con i due segretari del card. Alessandro Farnese: Bernardino Maffei e Marcello Cervini.
Ciononostante la nostalgia degli anni padovani, accentuata dalla profonda differenza tra l'ambiente curiale e quello umanistico veneto, rese questo primo contatto romano del B. particolarmente difficile, senza che neppure la consuetudine col Contarini potesse sopire il disagio, reso più acuto dalla lontananza del Gheri, amico e pupillo ad un tempo.
Tra la fine di aprile e l'inizio di maggio del 1536 il B. lascia con un pretesto Roma e, dopo una breve sosta bolognese, rientra a Padova per riprendervi la vita di studio col Gheri.
In realtà l'esperienza padovana era irreversibilmente conclusa; le premurose insistenze del Contarini da un lato, la decisione del Gheri di recarsi a Fano nella propria diocesi dall'altro, convinsero il B. a riprendere le sue mansioni presso il cardinale veneziano. Tale decisione è suggellata dalla repentina morte del Gheri stesso sopravvenuta a Fano il 24sett. 1537. IlB. riesce ad assisterlo negli ultimi giorni di vita con una esperienza umana e cristiana molto incisiva, che più tardi esprimerà nella vita del Gheri, scritta alla fine dello stesso anno e dedicata a Donato Rullo.
Tra il 1536 e il 1537 il B. resta quasi ininterrottamente a Roma a fianco del Contarini in una posizione di assoluto privilegio per conoscere da vicino e in modo diretto sin nelle pieghe più recondite il grande tentativo di riforma della Chiesa che in quei mesi viene impostato dal Contarini stesso con la piena solidarietà di Paolo III. Non è perciò senza fondamento far risalire a tali anni la chiarificazione e il consolidamento delle sue fondamentali convinzioni in materia di riforma della Chiesa, quelle cioè che ne avrebbero poi caratterizzato l'azione e la testimonianza durante tutta la vita e soprattutto al concilio di Trento e nell'attività pastorale. Sopra tutti gli altri motivi spiccano quelli della riforma della curia romana e della creazione di vescovi all'altezza della loro missione e perciò impegnati nella residenza. Intorno a questi due poli si intreccia il contributo ecclesiale del B. in tutti i decenni successivi, così che queste convinzioni costituiscono la chiave per comprenderne i filoni dominanti.
Basti a questo proposito rileggere un passo della vita dello stesso Contarini, scritta dal B. tra l'agosto e l'ottobre del 1558, nel quale, riferendosi alla commissione per la riforma - creata nel 1536da Paolo III - che si concluse con la redazione del Consilium de emendanda ecclesia, dice "quei signori, fedelmente congregandosi quasi ogni giorno alle stanze del cardinale Contarini, essequirono la commissione di Sua Beatitudine, come anche oggi si vede in alcuni libri, et dati li suoi ricordi con ogni secretezza al papa, fece il nimico della gloria di Dio, et bene nostro che altri consigli et faccende del mondo disviorno il buon proposito del pontefice dalla esecutione di quelli, proponendosegli, che meglio saria con un concilio generale trattare quelle, et molte altre cose, c'hoggi dì erano mal intese" (Monumenti 1/2, 26-27). Nonostante fossero trascorsi più di vent'anni (ma si era in pieno pontificato di Paolo IV) il B. non prova alcuna incertezza a esporre l'opinione, che nel 1536-37doveva essere stata corrente nel suo ambiente, che il concilio, lungi dall'essere l'occasione migliore per provvedere ai mali della Chiesa, fosse addirittura opera del "nimico della gloria di Dio, et bene nostro". D'altronde ancora qualche anno più tardi, formulando a Trento un documento sulla riforma nella Chiesa, per quel che riguarda la curia romana egli si limita significativamente a suggerire che si dia attuazione a quanto proposto nel De emendanda ecclesia (Concilium Tridentinum, XIII, 612).
Il periodo romano fu interrotto brevemente nella seconda metà del 1538 (luglio-settembre) in occasione del viaggio a Nizza del papa, dato che il Contarini e il B. fecero parte del suo seguito. Una pausa più lunga si ebbe l'anno successivo, quando il B. accompagnò il card. Pole nella sua missione in Spagna presso Carlo V e rimase poi bloccato col medesimo cardinale a Carpentras presso il Sadoleto per circa sei mesi. La sosta non solo consolidò la sua amicizia col cardinale inglese e con lo stesso Sadoleto, ma gli fornì l'occasione per una conoscenza personale di molti luoghi carichi di memorie petrarchesche. Il rientro a Roma avvenne nell'ottobre con una sosta a Verona presso il Giberti. Dopo aver trascorso un altro anno, il 1540, a Roma, a proposito del quale non abbiamo notizie particolari, si apre per lui una nuova parentesi di eccezionale interesse quando egli accompagna in Germania il Contarini, legato papale al colloquio di religione di Ratisbona del 1541. Tra il gennaio e l'agosto conosce al vivo il protestantesimo ed alcuni dei suoi esponenti più autorevoli e vive insieme col Contarini l'ansia della ricomposizione religiosa, l'amarezza delle incomprensioni e infine la delusione del fallimento. Si può presumere che egli non fosse digiuno di problemi teologici e soprattutto di quelli, come la giustificazione, che erano dibattuti a Ratisbona, ma probabilmente l'esperienza tedesca contribuì ad acuire la sua sensibilità in tale direzione, come testimonia anche la lettura, avvenuta appunto nel 1541, del manoscritto del Beneficio di Cristo, inviatogli probabilmente dall'amico M. A. Flaminio. Terminata la missione tedesca, vi sono ancora alcuni mesi romani, poi la residenza in curia si conclude definitivamente con la nomina del Contarini a legato per Bologna, dove il B. lo segue con le consuete funzioni di segretario. Dal marzo all'agosto 1542 egli rientra così a Bologna con un incarico ufficiale e conosce da vicinò la routine amministrativa dello Stato pontificio. Ma l'esperienza più forte di questo semestre è costituita dalla familiarità, più intima che mai, col Contarini, ormai prossimo alla morte, nel quale delusione, umiliazione, allontanamento dai grandi affari della cristianità hanno provocato un ulteriore affinamento spirituale, che si esprime nella cura minuziosa, caritatevole ed instancabile dedicata alle questioni locali, e spesso meschine, della legazione. Il B., ancora una volta, segue con piena ed intima adesione l'esempio del grande cardinale.
La scomparsa di Contarini lascia il B. disorientato e sgomento. Si parla di un suo passaggio al servizio del Sadoleto o del Pole; uno degli amici romani, il card. Maffei, gli offrì di entrare nella propria famiglia o in quella del Cervini, divenuto nel frattempo lui pure cardinale. In realtà non pare che la decisione sia stata presa dal B., ma piuttosto gli fu amorevolmente imposta dal medesimo Cervini, il quale, poche settimane dopo la fine del Contarini, nominò il B. proprio vicario generale nella diocesi di Reggio Emilia, dove la situazione ecclesiastica era particolarmente tesa ed inquietante. Con la docilità che sarebbe divenuta una caratteristica sempre più dominante della sua personalità, il B. accetta di buon grado e alla fine di novembre inizia il suo nuovo ufficio. In questo modo egli assume per la prima volta una diretta responsabilità di cura d'anime e perciò si risolve a ricevere gli ordini minori, compiendo così una svolta definitiva del proprio stato, che diviene formalmente ecclesiastico. Malgrado si sappia ben poco del suo governo a Reggio, pare che i risultati fossero lusinghieri, dato che, quando nel marzo 1544 il Cervini fu trasferito alla diocesi di Gubbio, il capitolo cattedrale di Reggio chiese ed ottenne la conferma del B. a vicario generale. Ma anche questo ufficio non era destinato a durare a lungo perché nell'aprile successivo il card. Morone, nominato legato di Bologna, rivolse un insistente invito al B. a riprendere le funzioni che già aveva svolto nel 1542 a fianco del Contarini. Dopo qualche esitazione, il B. accetta e dal settembre 1544 è a Bologna, dove può assistere alla morte della madre. In realtà l'incarico presso il Morone non prende consistenza, poiché sopraggiunge alla fine di giugno un breve di Paolo III che lo incarica di provvedere alla riforma del convento domenicano dei SS. Giovanni e Paolo a Venezia. Assolto nel migliore dei modi lo scabroso incarico il B. stava riprendendo il suo posto accanto al Morone accompagnandolo a Worms, quando lo raggiunse una lettera del 14 agosto con la quale il Cervini gli comunicava il desiderio del papa di incontrarlo a Perugia ai primi del successivo settembre, per conferirgli di persona un incarico di fiducia. In tale occasione Paolo III gli affidò l'educazione del giovane nipote Ranuccio, in vista della sua elevazione al cardinalato. Il mandato implicava una grande fiducia e riportava il B. agli anni iniziali della sua maturità, quando assisteva il Gheri. Ora l'allievo, anche se ben meno dotato del giovane vescovo di Fano, offriva l'occasione per riprendere la vita di studio proprio nel preferito ambiente di Padova. Ma ancora una volta le necessità della situazione storica e l'esiguità del personale che costituiva il gruppo dirigente accanto a Paolo III impose un nuovo incarico al B., probabilmente per suggerimento del Cervini, che appare in questi anni il regista dei destini del Beccadelli. Si tratta questa volta di una mansione di eccezionale responsabilità: la segreteria del concilio convocato a Trento, a presiedere il quale sono stati scelti tre legati, due dei quali - Cervini e Pole - antichi estimatori del Beccadelli. L'ordine del card. Farnese è dell'11 apr. 1545 e il 24 il B. è già a Trento.
Di questi giorni è un biglietto affettuoso ed incisivo del Della Casa, il quale commenta il nuovo incarico scrivendogli da Venezia: "Non si giocarà più a trovare a quante cose è bona la saliva, o la paglia, ma a quanti mestieri è adoperato M. Ludovico, ed in quanti è riuscito mirabile. Scalco, maestro di casa, secretario, lettore, soprastante di frati, compagno di studio, poeta, medico e presidente del Concilio. Or vada via la S. V. e riformi una volta questa povera Chiesa diformata". (Opere, II, Venezia 1752, p. 261, n. XXXIV).
Da Trento il B. fu inviato a Roma (17 ag-24 sett.) dai legati per chiarire col papa le questioni insorte in merito all'apertura del concilio. Al ritorno però egli recava con sé l'ordine di Paolo III di riprendere l'incarico presso Ranuccio. Fosse l'effetto di una richiesta del B., o l'egoistica decisione del papa, dettata anche dalla convinzione che il concilio non si sarebbe per ora aperto, o il risultato di un intrigo, sta di fatto che in questo modo egli fu allontanato dal concilio in modo definitivo sino al 1561. Il 7 ottobre - poco più di due mesi prima della solenne apertura dell'assemblea - lasciò Trento per Roma, donde, si recò quasi subito a Macerata. Il giovane Farnese era stato nominato legato per la Marca e il B., forte dell'esperienza bolognese, ne dirigeva gli affari appunto da Macerata, dove rimase per circa due anni. L'incarico presso Ranuccio continuò ancora e quando questi vide approssimarsi la fine del grande uomo, cercò di ottenere, all'insaputa del B., la sua elezione all'episcopato. Se ne parlò invano nel settembre 1548 in occasione della vacanza del vescovato di Lucera, ma la nomina sopravvenne il 27 maggio successivo per Ravello, una piccola diocesi nel Regno di Napoli.
Il proposito del B. di recarvisi fu frustrato prima da Paolo III e poi da Giulio III, il quale lo designò subito (4 marzo 1550) per l'ambita nunziatura di Venezia e gli impedì di resignare Ravello, come egli avrebbe voluto dato che, non poteva risiedervi; anzi gli assegnò anche la commenda dell'abbazia di Val Lavino, già posseduta da M. A. Flaminio.
A Venezia il B. giunse il 17 marzo 1550 restandovi fino a metà del 1554. Qui dopo poche settimane assunse come segretario Antonio Giganti da Fossombrone che avrebbe collaborato con lui sino alla morte. L'equilibrio, la cultura e lo zelo del B. gli acquistarono molta stima e ancora prima della scadenza dell'incarico biennale la Signoria ne chiese spontaneamente la conferma, mentre da parte sua egli sollecitava dal Cervini il richiamo, soprattutto per poter provvedere al governo della sua diocesi. Da Roma venne la riconferma nella nunziatura per un secondo biennio.
A Venezia il B. oltre ad adempiere ai suoi uffici quotidianamente intessuti di questioni inquisitoriali e giurisdizionali, si occupò di studi di vario genere. Tra l'altro inviò alla fine del 1553 al giurista Guido Panciroli a Padova la traduzione del testo di alcune novelle di Giustiniano, Giustino e Leone, edite poi l'anno successivo a Basilea.
Una nuova richiesta del B. per essere richiamato da Venezia ebbe esito positivo nel 1554 e un breve del 16 giugno lo nominò vicario in spiritualibus per la diocesi di Roma. Ancora una volta egli si vedeva impedita la residenza nella propria diocesi, sia pure a causa di un'incarico di grande fiducia, nel quale però non poté impegnarsi a fondo. Rientrato infatti a Roma all'inizio del settembre 1554 nel marzo successivo ne partì insieme al card. Morone verso la dieta imperiale di Augusta, dove egli avrebbe dovuto rappresentare il papa anche dopo la breve permanenza del cardinale. In realtà a causa della morte di Giulio III entrambi non si fermarono ad Augusta che una settimana, iniziando il viaggio di ritorno non appena ricevuta la notizia. A Verona il B. ebbe, graditissimo, l'annuncio dell'elezione a papa del Cervini, al quale si affrettò a scrivere il 17 aprile tutta la propria gioia. Rimessosi in viaggio fu raggiunto dalla comunicazione della scomparsa di Marcello II e della rapida elezione di Gian Pietro Carafa.
Ciò significava anche per il B., come per tutti gli altri membri della tendenza riformatrice della Chiesa, un radicale cambiamento di condizioni. È significativo che la sua lettera di congratulazioni a Paolo IV del 30 maggio da Bologna sia seguita di pochissimi giorni dal suo netto allontanamento da Roma e da ogni posizione di responsabilità. Nonostante egli fosse ancora vicario di Roma, trovò al proprio rientro che l'ufficio era già stato dato ad altri e "che mi hanno destinato a Ragusa, sotto nome di farmi arcivescovo, cosa che dà da ragionare perché se bene il titolo è specioso, et la città nobile, tuttavia è come un relegarmi fuori d'Italia", come lui stesso scriveva da Roma il 15 giugno a Francesco Vargas, l'autorevole oratore imperiale (Monumenti I/1, 112-113).Sin dalle primissime battute il nuovo pontificato non lasciava dubbi sull'orientamento di fondo e preannunciava in modo trasparente la persecuzione che avrebbe poi colpito tanti amici del B., dal Morone al Pole al Foscarari. E già sin da quei primi giorni non sfuggiva al suo occhio attento ed esercitato l'influsso che su Paolo IV cominciavano ad avere "alcuni signori c'hanno avuto sospetto ch'un giorno l'ombra della Cesarea Maestà non mi facesse grande...", come scriveva ancora nella citata lettera, cogliendo lucidamente la speciosa mistificazione, che sarebbe divenuta caratteristica del regno di Paolo IV, tra motivi anti-imperiali e lotta contro la riforma cattolica.
Il B. accetta comunque la destinazione a Ragusa come una "disposizione della divina Maestà" e, ottenuto il pallio nel concistoro del 20 settembre, già nel novembre successivo inizia il viaggio che, dopo 37 giorni di perigliosa navigazione, l'avrebbe portato, il 9 dic. 1555, a Ragusa in Dalmazia.
Qui il suo arrivo fu accolto entusiasticamente dai fedeli, delusi dall'assenteismo del predecessore, il card. G. A. Medici. Al contrario il clero, e in particolare il capitolo cattedrale, prese una posizione aspramente polemica, vedendo minacciati i propri privilegi. Il B. si applicò con grande sollecitudine al riordino dell'organizzazione ecclesiastica e alla promozione della vita religiosa e culturale della diocesi. Eseguì una visita pastorale, riorganizzò la città dividendola in parrocchie, chiese ed ottenne l'invio del gesuita Bobadilla e cercò anche, ma invano, di far istituire a Ragusa un collegio della Compagnia. Durante i lunghi anni di questo esilio mantenne rapporti epistolari con i molti amici rimasti in Italia, tra i quali Michelangelo, concluse la stesura della vita del Petrarca, che dedicò al fedele Giganti il 28luglio 1559, e soprattutto ripensò il significato dell'esperienza dei gruppi di riforma cattolica. Questa riflessione fu espressa nella vigorosa biografia del Contarini e in quella parallela del Pole, scritte entrambe nel 1558, quando infuriavano al massimo "gli intrighi contro i vivi e contro i morti" (H. Jedin, Il tipo ideale di vescovo..., p. 53).
La fine del pontificato di Paolo IV (15 ag. 1559) fece sperare ed auspicare il rientro del B., ma l'elevazione del card. Medici non pose fine alla sua difficile situazione, per un certo rancore che quest'ultimo gli riservò, a causa della felice riuscita del suo governo a Ragusa. Così il B. si risolse a lasciare la diocesi solo dopo averne avuta formale autorizzazione da Pio IV, nel luglio del 1560. Trascorsi circa sei mesi a Bologna, verso la fine dell'anno si recò a Roma, donde il papa lo invitò ad intervenire all'imminente riapertura del concilio a Trento. Giuntovi il 21 sett. 1561, prese parte attiva ed impegnata ai lavori conciliari, battendosi soprattutto perché fosse sancito l'obbligo dei vescovi alla residenza e il suo fondamento nel diritto divino. Tale posizione, parallela a quella dell'episcopato spagnolo, suscitò notevole malumore soprattutto a Roma. Se ne fece interprete il card. Morone in una lettera al B. del 20 giugno 1562: essa era il segno di quanto la situazione ecclesiale fosse mutata durante il lungo inverno del pontificato di Paolo IV. Ciononostante il B. non desistette dal suo impegno, al punto da avere uno svenimento durante la congregazione del 23 ag. 1562. Ne seguì un periodo di malattia trascorso a Pradalbino (24 settembre-9 novembre). Fu di nuovo al concilio durante la prima metà del 1563, ma sin dal febbraio fu avvicinato da Giovanni Strozzi, oratore fiorentino a Trento, il quale gli comunicò la richiesta di Cosimo de' Medici perché assistesse il figlio Ferdinando, che avrebbe dovuto essere elevato al cardinalato, sia nella sua educazione sia nel governo della diocesi di Pisa, che doveva essergli assegnata.
L'atteggiamento tenuto dal B. di fronte a questo invito fu molto sereno e dignitoso. Da un lato la battaglia conciliare doveva sembrargli ormai persa - anzi forse la sua ulteriore presenza a Trento avrebbe potuto intralciare la grande operazione diplomatica del Morone -, da un altro lato la prospettiva del rientro a Ragusa non gli sorrideva certo, così che consentì alla richiesta di Cosimo, ponendo l'unica condizione che potesse resignare Ragusa, dato che non vi poteva risiedere, e che la diocesi fosse assegnata a persona di sicuro impegno pastorale.
Ottenute assicurazioni a questo proposito ed il consenso del papa, il B. lasciò Trento il 10 maggio 1563 e il 7 luglio - dopo una sosta a Bologna - raggiunse Firenze. I mesi che seguirono vennero angustiati sia dall'impossibilità di vedere sistemata la sua successione a Ragusa, sia dal fatto che in effetti Pisa non fu assegnata al giovane card. Medici. A Roma non si era evidentemente troppo benevoli verso di lui e nel maggio del 1565 il papa si lamentò addirittura con l'oratore fiorentino che egli non facesse residenza a Ragusa. Infine Cosimo risolse la precaria situazione che si era venuta a creare nominandolo nel luglio del 1564 preposto di Prato; alla fine dello stesso anno si ebbe finalmente anche la nomina del benedettino Crisostomo Calvini ad arcivescovo di Ragusa, come il B. desiderava, e nell'aprile 1565 anche la designazione a Prato fa alla fine ratificata da Roma. L'8 apr. 1565 il B. fu colto da un primo attacco di paralisi, ma poté riprendersi per l'ingresso solenne a Prato, che avvenne il 24 successivo. Da quel momento egli si stabilì definitivamente nella cittadina toscana, allontanandosene solo due volte (nel 1566 e nel 1570) per brevi visite a Pradalbino. La medesima infermità lo colpì nuovamente nel maggio e più gravemente nel settembre 1572 sino a condurlo a morte il 17 ottobre successivo. Lo aveva assistito sino alla fine il fedele Giganti, il quale poté poi in tutta semplicità scriverne la vita, "sendo veramente cosa degna di grande ammiratione, che un uomo della nostra età habbia finito il corso di molti anni non sostentato dal favore della fortuna, et degli amici, ma semplicemente appogiato alla virtù, et all'aiuto di Dio" (Monumenti I/1,2).
Opere: L'opera letteraria del B. è vasta e copre ininterrottamente tutta la sua vita: v. l'elenco completo delle sue opere edite ed inedite nei Monumenti di varia letteratura tratti dai manoscritti originali di mons. L.B., arcivescovo di Ragusa, a cura di G. Morandi, 2 tomi in 3 voll., Bologna 1797-1804, dove sono pubblicate anche, di particolare importanza, le biografie degli uomini ai quali il B. fu più legato: il Gheri, il Contarini, il Bembo ed il Pole; le biografie del Contarini e del Pole, oltre ad essere ristampate separatamente, furono pubblicate anche in Epistolarum Reginaldi Poli... collectio, ed. A. M. Querini, III, Brixiae 1748, XCVII-CXLI; V, ibid. 1757, 355-391; il Morandi ristampò anche la biografia del Petrarca, già pubblicata da G. F. Tommasini nel suo Petrarcha redivivus, Patavii 1601, pp. 213-241: di quest'opera del B. l'edizione più recente è quella a cura di A. Solerti in Le vite di Dante, Petrarca e Boccaccio scritte fino al sec. XVII, Milano 1904, pp. 477-481. Non meno importante, sia per la biografia del B., sia per la storia della vita religiosa e letteraria dei decenni centrali del sec. XVI, è l'immenso epistolario sostanzialmente conservato, ma disperso in una gran quantità di fondi e codici disparati, il cui inventario completo non è ancora possibile. Il nucleo centrale delle carte Beccadelli infatti è ora custodito nella Biblioteca Palatina di Parma, ove esistono sia una quarantina di codici di carte del B., sia molti altri codici provenienti dalla sua biblioteca: di questo fondo dà notizia A. Vital, Tre lettere inedite di L. B. a M. Buonarroti ed alcune notizie intorno ai carteggi Beccadelli della Palatina di Parma, Conegliano 1901. Carte provenienti dal fondo principale sono conservate anche nella Biblioteca Estense di Modena, nella Comunale di Forlì e nella Nazionale di Napoli (cfr. O. Kristeller, Iter Italicum..., I, London-Leiden 1963, sub voce), alla Marciana di Venezia, alla Bodleiana di Oxford e al British Museum (cfr. C. Dionisotti, Monumenti Beccadelli, in Miscellanea Paschini, II, Roma 1949, pp. 251-268), alla Biblioteca Apostolica Vaticana (Vat. lat. 4104, 6752, 6694, 10447, 12909; Urb. lat. 814, 856), all'Archivio Segreto Vaticano (Concilio 145, 150, 151), alla Laurenziana di Firenze (v. A. M. Bandini, Catalogus, I, 550 s.; II, 518-524; III, 274 s.).
Numerose lettere del B. sono state pubblicate, non sempre con l'esattezza desiderabile, nei Monumenti del Morandi; parecchie altre sono sparse in molte pubblicazioni contemporanee o in raccolte e studi posteriori: v. in particolare la citata ed. delle lettere del Pole (II, Brixiae 1745, LXXXVIII, 22, CIV-CV, CII-CIII, CXXII, CLXXXIII, CLXXXVI; III, XLVI-XLIX; V, 345-354); A. Casadei, Lettere del cardinale Gasparo Contarini durante la sua legazione di Bologna (1452), in Arch. stor. ital., CXVIII(1960), pp. 77-130, 220-285, che pubblica stralci di 13 lettere inedite del B. conservate nell'Autografoteca Campori della Biblioteca Estense di Modena e segnala in due note anche i carteggi del B. con Lazzaro Buonamico e Battista Egnazio; V. Cian, Un medaglione del rinascimento: Cola Bruno messinese e le sue relazioni con Pietro Bembo, Firenze 1901, pp. 20, 32-34, 57-59, 86-93; S. Debenedetti, Gli studi provenzali in Italia nel Cinquecento, Torino 1911, pp. 223-226, 265 s., 268; G. Tommasino, Un epistolario inedito del sec. XVI: G. Florimonte e L. B., in Bollettino Aurunco, III (1937), pp. 113-137. Dei vari trattatelli scritti dal B. è stata edita la Lettera di mons. L.B. sull'ammogliarsi per la prima volta pubblicata per le nozze Silvestrini-Celotti di Treviso, Venezia 1828; per le poesie latine: I carmi latini inediti di mons. L.B., a cura di G. Tommasino, S. Maria Capua Vetere 1923; quelle volgari sono ancora quasi completamente inedite, salvo alcune inserite in raccolte varie e tre sonetti pubblicati nel sec. XVI in Pistola e sonetti di L. B. da Bologna poeta laureato, s. d. Per le sue funzioni come per i suoi rapporti personali, il B. ebbe occasione di raccogliere una ricca documentazione relativa al concilio di Trento, soprattutto per la discussione sulla residenza episcopale svoltasi nel 1562-63. Larga parte di tali documenti è stata pubblicata nel terzo volume dei Monumenti, ivi compreso uno scarno giornale dei lavori conciliari relativo al periodo 15 genn. 1562-6 dic. 1563 e steso personalmente dal B., salvo che per il periodo della sua assenza nella seconda metà del 1562, e completato poi, dopo la definitiva partenza del B. da Trento, dall'amico Muzio Calini, arcivescovo di Zara. Nel sec. XVIII la scoperta del cod. 386 della Biblioteca del convento di S. Salvatore di Bologna, contenente una copia del sec. XVII di tale documentazione, unita a testi di ispirazione antitridentina e di epoca decisamente posteriore, ha aperto il problema di una utilizzazione del dossier beccadelliano, o di una parte di esso, ad opera del Sarpi per la stesura della sua Istoria. Il Morandi si diede premura, nella prefazione al citato III vol. dei Monumenti, di smentire qualsiasi rapporto tra le carte dell'arcivescovo di Ragusa e la documentazione utilizzata dal servita veneziano. In realtà un esame del codice, ora posseduto dalla Biblioteca del Seminario diocesano di Bologna, ed un confronto del suo contenuto con la documentazione edita nell'ultimo volume dei Monumenti conferma la provenienza del materiale orginale del sec. XVI dal fondo Beccadelli, sollevando anzi il problema se proprio il cod. ex S. Salvatore non sia di provenienza sarpiana. Sull'importanza delle carte Beccadelli per la storia del concilio, ma senza alcun cenno a quest'ultima questione, si veda: H. Jedin, Das Konzil von Trient. Ein Ueberblick ueber die Erfoschung seiner Geschichte, Roma 1948, pp. 160 s.
Fonti e Bibl.: Concilium Tridentinum, ed. Soc. Goerresiana, Friburgi Br. 1901-1963, I-XIII, ad Indicem; Die römische Kurie und das Konzil von Trient unter Pius IV, a cura di J. Šusta, II, Wien 1909, pp. 321, 331, 359; III, ibid. 1911, pp. 33, 52, 323, 423; IV, ibid. 1914, p. 13; M. Calini, Lettere conciliari, a cura di A. Marani, Brescia 1963, passim; Il carteggio degli ambasciatori e degli informatori medicei da Trento nella terza fase del concilio, in Arch. stor. ital., CXXII(1964), pp. 266 s., 268 s., 271 s., 277-279, 279-281, 285 s., 287-289, 301 s.; A. Bonfioli, Elogio di L. B., Bologna 1790; G. Mazzuchelli, Gli Scrittori d'Italia, II, 2, Brescia 1760, pp. 576-581; G. Fantuzzi, Notizie degli scrittori bolognesi, II, Bologna 1782, pp. 5-26; III, ibid. 1783, p. 370; IX, ibid. 1794, p. 43; D. Farlati, Illyrici sacri tomus sextus, Venetiis 1800, pp. 230-242; F. Dittrich, G. Contarini, Braunsberg 1885, passim; P. Paschini, Un amico del card. Pole: Alvise Priuli, Roma 1921, passim; Id., L'inquisizione a Venezia e il nunzio L. B., in Arch. d. Soc. romana di storia patria, LXV, (1942), pp. 61-152 (ora in Venezia e l'inquis. romana da Giulio III a Pio IV, Padova 1959, pp. 31-114); H. Jedin, Il tipo ideale del vescovo secondo la riforma cattolica, Brescia 1950, pp. 49-61; Storia della compagnia di Gesù in Italia, III, M. Scaduto, L'epoca di Giacomo Lainez. Il governo 1556-1565, Roma 1964, pp. 86, 243, 528 s.