BOLLERI (de Bolleris), Ludovico (Luigi)
Nato probabilmente alla fine del sec. XIV, appartenne ad una nobile famiglia piemontese.
I Bolleri, la cui signoria si estendeva sulla valle della Stura con centro in Demonte e Centallo, erano vassalli della casa d'Angiò ed erano riusciti a conservare i propri possedimenti principali indipendenti dalla casa Savoia dalla quale, tuttavia, riconoscevano di derivare il minor feudo di Salmour. Tale politica aveva potuto essere perseguita anche in virtù della divisione dei Savoia tra il ramo primogenito e quello degli Acaia, divisione che aveva reso meno sensibile il contrasto tra i conti sabaudi e i Bolleri, perché le terre di questi ultimi venivano quasi a separare il dominio, fossanese degli Acaia da quello cuneese dei Savoia. Ma nel 1418 i due rami si fondevano: Amedeo VIII, ricevuta dall'imperatore Sigismondo la signoria ducale su Savoia e Piemonte, dava inizio ad una politica interna tendente a imporre la sua supremazia su ogni zona di quelle regioni.
Proprio in tale nuova situazione il B. succedeva al padre, probabilmente nel 1419, dato che il 13 ottobre di quell'anno riceveva da Iolanda, madre e tutrice di Luigi III d'Angiò, l'investitura dei feudi paterni. Subito Amedeo VIII pose in atto una serie di molestie nei suoi confronti, in ciò facilitato dal fatto che il B. era suo vassallo per il feudo di Salmour.
Il duca approfittava di una situazione particolarmente favorevole. Luigi III d'Angiò era infatti troppo occupato dalla questione del Regno napoletano per interessarsi attivamente ai problemi piemontesi; né, d'altro canto, poteva desiderare di condurre a fondo una lotta contro il duca sabaudo che gli poteva essere utile per la posizione preminente da lui assunta nella diplomazia europea.
Quando perciò il B. chiese all'Angiò l'aiuto necessario per difendersi contro le pretese di Amedeo VIII sul feudo di Centallo, Luigi III non poté - o non volle - far altro che raccomandare la causa del suo "fedele vassallo" a Filippo Maria Visconti con una lettera del 25 luglio 1423, di cui dette notizia al B. con lettera di pari data.
Filippo Maria si era allora schierato a favore dell'Angiò per la questione napoletana specialmente per difendere gli interessi antiaragonesi di Genova, di cui era diventato signore nel 1421. E d'altro canto desiderava inserirsi nelle vicende piemontesi per acquistare l'influenza che in quella regione avevano esercitato i suoi predecessori. Ma anch'egli, al pari di Luigi III e per motivi analoghi, non era disposto a scontrarsi frontalmente con Amedeo VIII.
È evidente che in questa situazione al B. non poteva venire che un aiuto ben scarso. E infatti Amedeo VIII proseguì nella sua politica tanto che il 15 genn. 1432 Luigi III era costretto a intervenire di nuovo - questa volta personalmente - presso il Savoia. Anche in questa occasione l'intervento non riuscì a modificare l'atteggiamento del duca sabaudo, il quale, anzi, due anni dopo, durante le trattative che dovevano portare ad una alleanza con il Visconti, si rifiutò di riconoscere il B. tra gli aderenti a Milano.
Non per questo il prestigio del B. venne meno, come dimostra il fatto che il marchese Ludovico di Saluzzo nel luglio 1427 gli affidò il compito di risolvere alcune controversie che erano sorte tra gli abitanti di Caraglio e di Valgrana. Nello stesso anno il B. approvava i nuovi statuti di Centallo, nei quali viene ricordato come signore, oltreché di Demonte e Centallo, anche di Reillane, in Provenza, segno evidente che si era già unito in matrimonio con Eleonora di Saluzzo, erede appunto della viscontea di Reillane. Quasi a premiare la fedeltà del B. alla casa d'Angiò il 15 maggio 1433 Luigi III eresse Demonte in viscontea. Alla morte di Luigi il figlio Renato gli confermò l'investitura dei feudi con diploma del 3 febbr. 1437 e in seguito lo nominò suo ciambellano, titolo con cui il B. compare nel 1442.
La politica di Amedeo VIII veniva intanto ripresa dal successore Ludovico, sotto il quale la lotta tra il B. e i Savoia raggiunse la fase più acuta. Già nel 1450 una corte composta da commissari di Renato d'Angiò e del duca Ludovico aveva dovuto risolvere la vertenza tra il B. e gli abitanti di Vinadio, Pietraporzio, Sambuco e altri centri, i quali, sudditi del Savoia, si erano rifiutati di pagare un pedaggio preteso dal Bolleri. Questi riuscì nel 1454 ad ottenere un temporaneo successo, quando il suo nome venne compreso tra quelli degli aderenti a Milano nel trattato stipulato tra Ludovico e lo Sforza. Ma due anni dopo l'ostilità, fino ad allora manifestatasi con azioni di disturbo, scoppiò in lotta aperta. Pretesto fu forse un litigio, dovuto a motivi di confine, fra un vassallo dei duca di Savoia, Amedeo Faletti, ed il Bolleri. Essendo i contendenti vassalli di due diversi signori e non volendosi l'uno sottomettere al giudizio del signore dell'altro, si ricorse alle armi. Il B. assoldò un capitano guascone, Arcimbaldo d'Abzat, ma questi lo tradì ed il 29 sett. 1457 lo fece prigioniero e lo consegnò al duca Ludovico assieme col conte di Tenda. Lo Sforza se ne risentì ed anche Renato d'Angiò mandò ambasciatori a chiedere al duca il rilascio dei prigionieri. Iniziarono lunghe trattative alle quali si interessò anche il papa Callisto III, che con una lettera del 10 maggio 1458 ingiunse a Ludovico di desistere dalle vessazioni, di restituire quanto era stato sottratto, di rilasciare i prigionieri e di revocare tutte le decisioni prese a danno del Bolleri. La diplomazia sforzesca per conto suo mandò al Savoia un memoriale-ultimatum. Le pressioni che giungevano da ogni parte, comprese anche quelle della nobiltà della Savoia, indussero Ludovico a rilasciare il B., che di fatto il 1º giugno 1458 risulta essere in libertà. Il Savoia gli dovette pagare una indennità di 17.000 scudi, anche per risarcire a lui ed alla comunità di Centallo i danni arrecati da Arcimbaldo d'Abzat.
Il B. fu reintegrato nei suoi domini, ma per poco tempo, perché l'anno successivo, o al più tardi nel 1460, gli succedette il figlio primogenito Giovanni Ludovico, probabilmente a causa della sua morte.
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