BOLOGNINI, Ludovico (Bologninus, de Bologninis)
Nacque a Bologna tra la fine del luglio e la prima metà del settembre 1446, figlio di Giovanni e di Lucrezia Isolani.
I dati sui quali si può ragionare per fissar l'anno in cui il B. nacque sono l'indicazione contenuta nella lapide sepolcrale fatta incidere nel 1553 dal figlio Bartolomeo ("...anno LXI. aetatis, MDVIII, Florentiae obiit": G. M. Mazzuchelli, p. 1498. Questo autore ne cavava la certezza che il B. nacque "circa il 1447" [p. 1497]) e l'altra, fornita dal Liber prioralis al 28 sett. 1469 ("Die Iovis 28 Septembris praesentatus examini...", il B. era "aetatis viginti trium annorum e G. Fantuzzi, p. 261, n. 5. Posto che il 28 sett. 1469 Ludovico aveva "fuor d'ogni dubbio 23 anni", il Fantuzzi concludeva: "Nacque dunque nel 1446"). Chi ponga, per congettura, la nascita del B. in un giorno compreso fra il 27 luglio (il B. morì il 26 luglio 1508 e si trovava nel sessantunesimo anno) ed il 27 sett. 1446 (se il Fantuzzi intendeva bene, il B. aveva già compiuto il ventitreesimo anno il 28 sett. 1469) non troverà inconciliabili le indicazioni - a prima vista contraddittorie - della lapide sepolcrale e del Liber prioralis.
Quanto al luogo in cui il B. nacque, basti ricordare le parole che egli fece scrivere nel testamento, rogato il 7 luglio 1497: "...Ecclesiae S. Stephani Bon. in cuius parochia natus est et etiam ubi habet proprios lares..." (L. Frati, p. 133. Nelle Secundae Interpretationes aveva scritto [f. 20vb]: "...ecclesia sancti Stepliani, in qua capella ortus sum...").
Seguì il normale corso di studi giuridici nella sua città, dove ebbe maestri A. Tartagni ed A. Barbazza, ai quali fu pure legato da vincoli d'amicizia. Ebbe la licentia in iure civili il 28 sett. 1469; il 16 ottobre conseguì il dottorato.
Già nell'anno 1468-1469 B. teneva una lectura Institutionum, come attesta il rotulo (Dallari, p. 80; cfr. Fantuzzi, pp. 261 s.).
Il 30 ag. 1470 veniva laureato in diritto canonico (Fantuzzi, p. 261 e n. 13).
Prese in moglie Giovanna Lodovisi il 12 genn. 1471; da loro nascerà Bartolomeo il 30 apr. 1475 (Sighinolfi, pp. 193 s.).
Fino all'anno 1472-1473 insegnò a Bologna: dopo la lectura Institutionum del 1468-1469 son provate quella del 1470-1471 (ancora delle Institutiones: Dallari, p. 83), quella Sexti etClementinarum diebus festis del 1471-1472 (Dallari, p. 85) e quella dell'anno 1472-1473, che era l'ordinaria antimeridiana del Codex (Dallari, p. 89). L'anno appresso il B. si trasferiva allo Studio di Ferrara e cominciava a leggere la seconda parte del Digestum vetus nell'ordinaria antimeridiana di ius civile.
Lo asserisce egli stesso nel datare la repetitio "De rebus creditis" (Hain, 3448; Gesamtkatalog der Wiegendrucke [= GKW], 4636): "...Anno domini Mº cccclxxiii. quo anno ibi iura civilia ordinarie in hac secunda parte ff. veteris de mane legere cepi et per tres annos ibidem ordinarias lectiones de mane demum continuavi...". Già sulla constatazione che il B. non compare nei rotuli bolognesi dal 1473-1474 al 1478-1479 si fondava il Fantuzzi (p. 262) per suggerire il 1473 come l'anno da cui far iniziare il suo insegnamento a Ferrara (cfr. poi Savigny, VI, p. 357; e quindi Pardi, p. 106). La vecchia opinione, malamente impugnata da G. Secco Suardo (pp. 172, 287, 289), è corroborata anche dalle testimonianze relative ad esami di dottorato così in civile come in canonicum, come in entrambi i diritti, cui prese parte il B. a Ferrara in qualità di promotore nell'anno 1474 (dal gennaio in poi: vedile in Pardi, pp. 58 s., 52 s., 62 s.). Che poi il B. tenesse nel 1475 l'ordinaria de mane civilistica è attestato da lui medesimo in un consilium (il sesto nella edizione veneziana del 1576, n. 5, ff. 220vb-221ra).
Per le sue lezioni gli veniva pagato a Ferrara un salario di 550 lire (Secco -Suardo, pp. 172, 287).
In quella città il B. esercitò anche l'ufficio di giudice delle appellazioni.
B. Zambotti (p. 58) narra che il 1º genn. 1479 Gianluca da Pontremoli prese possesso della carica "in logo de messer Ludovigo Bolognino".
Il Fantuzzi (p. 262) supponeva che il B. fra il 1474 ed il 1479, oppure fra il 1486 ed il 1489, andasse a Roma "per decidere non so quali cause", chiamatovi dal pontefice. L. Sighinolfi (p. 190) oppose la testimonianza del brano del commento al privilegium Theodosianum del 1491: "...legendo per viginti annos... incipiendo anno d(omini) 1469... quasi toto hoc intermedio tempore continue legi"; ma non badò al peso dell'espressione: "quasi... continue". Nell'attesa di ricerche volte a far luce sugli anni durante i quali il B. fu a Roma per coprir l'ufficio d'avvocato concistoriale, sarà lecito credere che una permanenza abbastanza lunga presso la Curia pontificia egli poté fare non prima del luglio 1476 (non oltrepassano quell'anno le testimonianze d'attività ferrarese riassunte dal Pardi, p. 106); o più verosimilmente non prima del gennaio 1479 e non dopo l'agosto del medesimo anno; oppure fra il 1486 ed il 1489 (è di nuovo la congettura del Fantuzzi, con rettifiche): sempre, prima del febbraio 1490 per la ragione che si vedrà.
Nell'autunno 1479 doveva esser tornato a Bologna, giacché il 1º settembre veniva eletto fra gli Anziani del Comune (Frati, p. 122; cfr. Pasquali Alidosi, p. 24). E nel medesimo tempo iniziava una nuova condotta per l'extraordinaria civilistica pomeridiana: a Bologna dal 1479-1480 al 1482-1483 lesse Digestum novum ed Infortiatum ad anni alterni (Dallari, pp. 109, 111, 114, 117; cfr. Sighinolfi, p. 190).
Pel primo semestre del 1482 il B. era iudex dell'universitas mercatorum,campsorum artificumque della sua città.
Nel 1483-1484 passava all'ordinaria e leggeva il Digestum vetus; l'anno dopo leggeva il Codex, e di nuovo il Digestum vetus nel 1485-1486 (Dallari, pp. 120, 123, 126).
L. Frati (pp. 121, 131 s.) ha fatto conoscere una condanna pronunciata nel 1483 dal podestà contro il B. e un'ingiunzione dei riformatori, emessa il 19 genn. 1485: episodi sui quali non s'è fatta ancora luce piena (sul secondo di essi ha ragionato a modo suo L. Sighinolfi, pp. 191 s., 250, 256; né ha potuto fondare illazioni concludenti il Kantorowicz, pp. 161 s.). Con L. Frati (p. 122; e già Pasquali Alidosi, p. 32; cfr. pure Sighinolfi, p. 197) si ricorda che il B. fu di nuovo eletto fra gli Anziani il 1º nov. 1487.
Il 24 giugno 1489 i Sedici deliberavano di affidargli la lettura degli extraordinari (con atto utilizzato dal Sighinolfi, p. 193 e n. 1): dai rotuli risulta che il B. tenne la lectura Digesti novi de sero extraordinaria nel 1489-1490 (Dallari, p. 139); e lesse l'Infortiatum nell'anno seguente, il Digestum novum nel 1491-1492, l'Infortiatum ancora nel 1492-93 ed il Novum nel 1493-94 (Dallari, pp. 142, 146, 149-152).
Porta la data del 15 febbr. 1490 il breve mediante il quale Innocenzo VIII al B., ormai di nuovo legens nella città natale, confermava titoli, privilegi ed esenzioni di avvocato concistoriale nonostante l'absentia dalla Curia, dovuta agli impegni di professore (Fantuzzi, p. 262 n. 23).
Nel giugno 1491 il B. faceva la conoscenza del Poliziano, che si trovava in quei giorni a Bologna. In una delle note di viaggio finite nel codice monacense Lat. 807, al f. 83v, l'Ambrogini scriveva: "...Post prandium visitamo la città. Ibi cognovi Aloisium scribam Dni. Iohannis de Bentivolis; D. Andreas Magnanus. El Bolognino" (il brano può vedersi in Pesenti, pp. 230 s. [non si vogliono tentare correzioni di quella lettura]; era stato pubblicato, con qualche errore, da L. Frati nell'Arch. stor. ital., LXXI [1913], n. 1, p. 375 [un autore, che insisteva nell'attribuire per intero al Crinito il diario scoperto da C. Di Pierro]. Vedi pure C. Frati, p. 289, C cfr. ora I. Maïer, p. 9, per una breve rassegna dei problemi sollevati dal manoscritto monacense).
Ma i rapporti fra il B. e gli umanisti della cerchia di Lorenzo (e la famiglia stessa del Magnifico) si rispecchiano meglio in un carteggio che risale agli anni 1490-1492, noto in parte da gran tempo. Delle quattro lettere di cui è conservato il testo, scritte dal B. o a lui dirette e riguardanti il lavoro sulle Pandette (il B. al Magnifico: da Bologna, il 5 genn. 1490 [Buonamici, pp. 158 s.; Sighinolfi, pp. 301 s.; registrata da Perosa, pp. 171 s. n. 252]; del Poliziano al B.: da Firenze, il 6 genn. 1490 [Ep. XI, 251; del B. ancora al Magnifico: da Bologna, 9 genn. 1490 [Buonamici, pp. 159 s.; Sighinolfi, pp. 303 s.; registrata da Perosa, pp. 172 s. n. 2531; del B. a Piero de' Medici: da Bologna, 12 apr. 1492 [Sighinolfi, pp. 304 s.]; come d'un brano della lettera del Poliziano al B., che A. Agustin poté vedere (è finito nel ms. B. 1417 della Comunale bolognese, ai ff. 424r-425v. La lettera fu citata dall'Agustin nelle Emend. III, 7, ediz. veneziana del 1543, p. 171); come d'altri segni della corrispondenza fra il B. e i dotti fiorentini s'è discorso a parte: qui basti dire che l'epistolario consente di conoscere in qual modo il professore preparasse le sue lezioni, e come progredissero le sue ed altrui indagini sul testo delle Pandette.
Nel 1493 il B. tornava ad esser giudice del Foro dei Mercanti, per quanto si apprende da un atto rogato il 26 ottobre (che L. Sighinolfi poté utilizzare: p. 198). Il 1º novembre di quell'anno era di nuovo fra gli Anziani (Pasquali-Alidosi, p. 38; Frati, p. 122). Con lettera da Lione del 9 luglio 1494 Carlo VIII lo nominava suo consigliere.
Una copia manoscritta della lettera regia fu trovata dal Sighinolfi, che ne diede notizia (p. 199; e cfr. p. 198) come di cosa inedita: avrebbe potuto leggerla fra le prime Interpretationes, f. 134v.
Dall'anno 1494-1495 al 1505-1506 il nome del B. non compare nei rotuli dello Studio.
Ma a Bologna, il 1º nov. 1495, egli metteva la data alle Secundae Interpretationes (GKW, 4625: vedi i ff. 4rb, 4va, 7vb, 30vb, 44vb, 45ra); e segni - non tutti ugualmente certi - di sua attività a Bologna possono trovarsi per il 1496, il 1497 ed il 1498.
A Bologna, il 7 luglio 1497, veniva rogato il testamento del B., edito da L. Frati (pp. 133-138, e cfr. p. 124 s.); e il 2 marzo 1498 si rogava il contratto per l'esecuzione degli arredi della Libraria nova di S. Domenico, stipulato giorni prima (il 22 febbraio: Sighinolfi, pp. 306 s.). Delle numerose opere d'arte fatte eseguire a proprie spese dal B. e da sua moglie durante gli ultimi lustri del Quattrocento in Bologna s'è occupato, dopo L. Frati (pp. 122-124, 138-140), il Sighinolfi (pp. 194 s., 196, 208).
Il B. non era presente alla riunione del Collegio dei dottori di diritto civile, convocata il 15 dic. 1498 per deliberare un'additio agli statuti (Malagola, Statuti, pp. 415 s.).
Nel febbraio 1501 si trovava a Roma, per cercar di risolvere una grossa questione, insorta fra lui ed i Magnani a Bologna. Lo ha potuto accertare L. Sighinolfi, sulla base di una lettera del residente francese, datata da Roma al 26 febbraio. Ancora l'8 maggio il B. era a Roma (Frati, pp. 121; Sighinolfi, p. 206 s.).
Nel 1501 si stabiliva a Firenze, dove per quinquennium "moram traxit publicis fungens officiis": nel 1501 e nel 1502 ricoprì cariche minori, negli anni 1503-1505 fu unus ex quinque dominis de Rota.
Lo asserisce nell'oratio "Saepenumero" premessa alle Castigationes latine (B. 1415, f. 2v; e con differenze irrilevanti in B. 1567, f. 55va e quindi ff. 29va, 1rb. Vedi anche la medesima oratio, adattata alle Pandectae originales, in B. 1418, f. 3r) e nell'intitolazione di quelle greche (B. 1417, f. 240r). Per gli anni 1501 e 1502 si veda anche, in particolare, l'attestazione di B. 1417, f. 386r (Discordantiae: il brano è trascritto in Sighinolfi, p. 266), oltre alla nota apposta dal B. sul foglio di guardia del Digestum novum stampato che gli appartenne (un brano può vedersene trascritto in Frati, p. 127: per l'intero periodo 1501-1506 cfr. già Savigny, VI, p. 358, n. f.; e Frati, p. 122).
Nel marzo del 1503 era podestà: risulta da un atto del giorno 11 (Arch. Mediceoavanti il Principato, filza CXXVII, cc. 58-62).
A Firenze ebbe agio di "videre et perlegere" il codice delle Pandette, per speciale concessione del Dominium.
Non è necessario illustrare il valore di questa circostanza, sul quale tanto si è insistito (in specie dal Sighinolfi): è sufficiente rammentare che il B. collega agli anni 1501 e 1502, trascorsi a Firenze, le Castigationes latine e quelle greche.
Alcuni passi di un'altra opera, la Nova reformatio, potrebbero - a prima vista - suggerire la congettura d'una consultazione diretta della Pisana risalente al 1490 od oltre. Ma bisogna avvertire che l'ipotesi non ha nulla da spartire col dato che negli anni 1501 e 1502 il B. ottenne il privilegio di cui (intorno al 1490: su questo punto cfr. per tutti Maffei, p. 88) aveva già goduto il Poliziano (le note scritte dall'Ambrogini sull'ultimo foglio dei suoi esemplari di collazione portano le date del 19 luglio e del 29 ag. 1490: vedile ripubblicate dalla Maïer, pp. 341 s.); e può semmai riferirsi a collazioni di singoli brani compiute in quelle rare ostensiones di cui scriveva il Poliziano stesso, non ad una visione della litera Pisana "a capite usque ad finem". L'ipotesi era già prospettata dal Sighinolfi (pp. 245-247; a p. 246, però, lo spunto per una congettura più sobria, già esposta a p. 193), ma su basi diverse; e accompagnata da corollari del tutto insostenibili (la questione era stata toccata dal Brencmann, pp. 73 s. Ma il dotto olandese s'ingannava nel leggere il brano della prefazione alla Nova reformatio, da cui argomenterà a suo modo il Sighinolfi).
Nel dicembre del 1505 era tornato ormai a Bologna; ed il 1º maggio 1506 faceva di nuovo parte del Consiglio degli Anziani (Pasquali Alidosi, p. 51; Frati, p. 122). Nel novembre di quell'anno Giulio II sostituiva ai Sedici un diverso organo collegiale, composto di quaranta "consiglieri et riformatori": il B. era nel numero di questi (Ghirardacci, p. 358; Albicini, p. 413 n. 2; Frati, p. 122). E nell'autunno riprendeva le lezioni, con lo stipendio di 1.000 libre di bolognini (Frati, p. 121; Simeoni, p. 31): teneva l'extraordinaria spiegando de sero ai suoi scolari l'Infortiatum (Dallari, p. 193). Nell'anno 1507-1508 passerà alla lettura antimeridiana delle Decretali (Dallari, p. 196).
Il 30 dic. 1506 a Bologna Giulio II in un breve comminava la scomunica a chi stampasse le Pandette con la "emendatione" del B. prima che fossero trascorsi dieci anni "a die prime impressionis". Copia del breve fece premettere il B. all'esemplare oggi mutilo (o rimasto incompiuto) delle Pandectae originales (B. 1418, f. 1v, trascritto con qualche inesattezza dal Sighinolfi, pp. 251 s.). All'anno 1506 del computo moderno ha rivendicato il breve L. Sighinolfi (p. 254): si può dargli ragione; ma le conseguenze che egli credette di cavarne, per "spiegare la data" dell'edizione Fradin del Digesto restano una scoperta tutta sua e non meritano più che un indulgente ricordo: si fondano sui dati forniti dal Brencmann (p. 323).
Il Ghirardacci racconta le ansie che angustiarono i Bolognesi quando si sparse la voce, nel febbraio 1507, che Giulio stesse per lasciare la città e intendesse attribuire al legato poteri svincolati dall'assenso dei magistrati elettivi: i Quaranta del Senato, gli Anziani, i Massari delle Arti decidono di dimettersi, qualora il pontefice voglia effettivamente svuotare d'ogni potere i loro uffici, e stabiliscono che il B. parlerà "a nome di tutti" dinnanzi a Giulio, perorando la causa dell'autonomia cittadina. E non spregevole è il discorso pronunciato dal B. nel "palagio" il 10 febbraio, almeno nella forma riportata dal Ghirardacci (pp. 363 s. Su esso vedi pure Albicini, pp. 414 s.).
Dal 1º settembre a tutto l'ottobre 1507 fu gonfaloniere di Giustizia (Pasquali Alidosi, p. 52; Fantuzzi, p. 263; Frati, p. 122). Il 18 ottobre veniva designato dal Senato bolognese quale ambasciatore presso il re di Francia: la deliberazione (pubblicata per estratto dal Fantuzzi, p. 264 n. 33) stabiliva che il B. partisse non appena trascorso il periodo del gonfalonierato; e così avvenne il 9 nov. 1507.
Alla corte di Luigi XII il B. si doveva recare, anche in nome di Giulio II, per tentar di convincere il re ad abbandonare il partito bentivolesco. Col medesimo scopo era stato inviato ambasciatore e del papa e della città di Bologna, qualche mese prima, insieme con A. Grassi, a Milano durante il soggiorno del re (Fantuzzi, p. 264).
Nel febbraio 1508 era a Lione: al 4 di quel mese è datata una lettera di cambio emessa pel Senato a suo favore, onde potesse coprire le spese cui andava incontro (Sighinolfi, pp. 210 s.); un altro pagamento veniva disposto il 26 giugno (Fantuzzi, p. 264 n. 33; Frati, p. 122).
Tornò di Francia sul finire del maggio 1508: passò da Roma per riferire al papa l'esito della missione, e a Roma cadde ammalato nei primi giorni di luglio. Ripartì immediatamente alla volta di Bologna, ma giunto a Firenze dovette interrompere il viaggio essendo di "terzana gravissimamente infermo". Trovò ospitalità dai frati di S. Miniato e morì sotto il loro tetto il 27 luglio.
Notizie della malattia e della morte del B. furon trovate da L. Sighinolfi (pp. 211 s.): esse permettono di correggere la data del 28 luglio, calcolata dal Fantuzzi (p. 264) sulla base di quel che è riferito dall'Alberti (l'ipotesi è di L. Sighinolfi, p. 211 n. 1). Per l'inventario dei libri lasciati dal B. si veda Frati, pp. 125, 135.
Naturalmente legate all'attività didattica del B. sono le repetitiones di singoli frammenti della compilazione giustinianea: se ne dà qui un elenco.
La repetitio della rubrica De rebus creditis [D. 12, 1] fu composta a Ferrara nel 1473, nell'anno in cui il B. cominciò, l'ordinaria antimeridiana di ius civile e lesse la seconda parte del Digestum vetus (risulta dalla stampa bolognese del 1476: GKW, 4636; Hain, 3448): se ne conoscono due stampe, l'una veneziana, presso Giovanni da Colonia, del 3 febbr. 1475 (GKW, 4635, non registrata dal Hain), l'altra bolognese, presso Ugo Ruggeri, tirata dopo il 25 nov. 1476 (GKW, 4636; Hain, 3448). I bibliografi moderni inferiscono da due passi delle note tipografiche della veneziana 1475 (ripetuti nella bolognese) l'esistenza d'una stampa del 1474, forse veneziana anch'essa, e non esitano a registrarla (Hain, 3447; GKW, 4634; cfr. pure Serra-Zanetti, p. 153 e n. 2); i redattori del GKW notano, poi, alcune contraddizioni nelle note della stampa 1475 (ma la prima di esse potrebbe eliminarsi con l'ipotesi che la 1475 ripeta quelle indicazioni dalla precedente, come la 1476 fa rispetto alla 1475. A giudicare dalle note tipografiche, si direbbe che queste edizioni dipendano l'una dall'altra, come già osservarono i redattori del GKW pel n. 4635, rispetto al n. 4634: naturalmente la più recente reca quelle più ampie indicazioni di cui ci si è giovati sopra, relative agli anni in cui il B. insegnò a Ferrara). Ma più che discutere le contraddizioni di Giovanni da Colonia, interessa vedere come si diffondevano le repetitiones d'un professore italiano a metà del sec. XV: lo dice Giovanni. quando narra che il B. "una cum... conclusionibus ibidem publicatis... scribendam diebus festis volentibus ibidem (eam) tradidit" (il brano può leggersi nel Hain, al n. 3448).
D'una repetitio alla l. Gallus§ et quid si tantum ff. de liberis etpostumis [D. 28, 2, 29, 5] A. Adversi (p. 620) segnala una stampa pavese del 1496 (ma l'attribuzione è arrischiata).
La repetitio alla l. cum filio ff. de legatisI [D. 30, 11], dedicata nel 1481 al rettore Raffaele Coppini, fu stampata a Bologna (naturalmente, non prima di quell'anno: GKW, 4629; Hain, 3453).
Quella alla l. qui viam ff. de novi operis nunciatione [D. 39, 1, 14] uscì dai torchi dei Benedetti il 21 genn. 1492, con una lettera dedicatoria ad Anton Galeazzo Bentivoglio firmata da A. Uggeri (scolaro del B.) e datata al 20 dic. 1491 (più una tabula curata dal medesimo allievo: GKW, 4631; Hain, 3454; cfr. pure Serra-Zanetti, pp. 88, 105).
La repetitio alla l. si finita§ Iulianus ff. de damno infecto [D. 39, 2, 15, 16] risale probabilmente al 1494 e fu stampata a Bologna dopo il 1º nov. 1495 (secondo i redattori del GKW, 4632). La si trova citata nelle secundae Interpretationes, al f. 20va.
Quella alla l. naturaliter§ nihilcommune ff. de adquirendapossessione [D. 41, 2, 12, 1] potrebbe datarsi al 1º nov. 1494 e fu stampata a Bologna (GKW, 4633; Hain, 3449).
Quella alla l. eadem dicemus § Cato ff. de verborumobligationibus [D. 45, 1, 4, 1] fu stampata da Platone Benedetti a Bologna il 17 dic. 1490 (GKW, 4630; la stampa era cominciata, se non s'intende male, prima del 18 novembre) e dedicata al cardinale Ardicino Della Porta ("Ardicinus" in C. Eubel, Hierarchia catholica, II, Monasterii 1914, pp. 48, 63, 85; il tipografo stampa "Adricinus". È aggiunta alla repetitio una copia della lettera spedita dal cardinale al B. il 12 febbr. 1491). Chi tenga presenti le date del carteggio relativo al § Cato potrà credere che l'opera fosse composta tra i primissimi mesi e l'autunno del 1490.
Girava ormai da sette mesi l'Originalistextusin § Cato novitereditus, di cui s'è fatto cenno: l'aveva stampato Ugo Ruggeri a Bologna, il 18 febbr. 1490, per conto del "librorum mercator" Benedetto Faelli (GKW, 4639; Hain, 3451: cfr. Serra-Zanetti, p. 71).
Un bibliografo moderno ha fatto finire il nome del B. su una stampa dei Catonis disticha, portata a termine da Francesco Benedetti il 21 sett. 1490: D. Reichling (Appendix, I. n. 71, p. 16), mettendo l'opera sotto il nome del B., la descrive come "Sententia Catonis (in digestorum pandectis) cum expositione italica", ma il riferimento ai Digesta (e al § Cato) è frutto di pura fantasia, né si vede poi quale fondamento regga l'attribuzione dell'expositio volgare al Bolognini. Mentre ancora l'Adversi (p. 618; vedi pure Ambrosini, p. 55 [ma contro, Bühler, p. 40 n. 122]) dà fiducia al Reichling, già i redattori del GKW registravano l'opera correttamente (al n. 6378; e vedi pure in Reichling, Appendix, IV, n. 1167, p. 17, registrata a dovere un'altra stampa - pure bolognese - dei Disticha messi in volgare [GKW, 6375]).
Nella raccolta lionese di Repetitiones seu Commentaria in variaiurisconsultorum responsa, stampata da Ugo Della Porta nel 1553, si trovano alcune delle repetitiones composte dal B.: nel secondo volume, ai ff. 6ra-11va, quella alla rubrica De rebus creditis [D. 12, 1]; nel quinto le repetitiones allell qui viam ff. de novi operis nunciatione [D. 39, 1, 14], ai ff. 127ra-134ra; si finita§ Iulianus ff. de damno infecto [D. 39, 2, 15, 16], ai ff. 134rb-157vb; naturaliter§ nihil commune ff. de adquirenda possessione [D. 41, 2, 12, 1], ai ff. 243va-254ra; nel sesto volume la repetitio della l. eadem dicemus§ Cato ff. de verborum obligationibus [D. 45, 1, 4, 1], ai ff. 344rb-365va.
Legata all'esegesi nasce la filologia del B., postulata dal lavoro medesimo del giurista. Il Savigny (VI, p. 363) parlò d'un grande piano, concepito dopo il 1490, di edizione critica del Digesto sul fondamento della Pisana (e l'opinione va ricordata tenendo conto del fatto che il Savigny vedeva nella Pandectae originales il coronamento dell'attività del B. intorno al Digesto [VI, p. 370], ma non distingueva la Nova reformatio e il frammento di Pandectae originales conservati entrambi nel manoscritto B. 1418) e d'un interesse nel B. ai problemi del testo delle Pandette, risalente al 1488 (VI, p. 362: appresso a lui, Girard, p. 31. Si può intendere come il Savigny pensasse al 1488, se si osserva che egli - in assenza d'altri punti di riferimento - datava al 1489 la lettera del Poliziano al B. [VI, p. 363 n. f. P. F. Girard, p. 31 n. 3, sembra contenere anche un errore di stampa]).
Il sentire l'insufficienza della Vulgata era diffuso tra i giuristi di formazione bolognese, appartenenti press'a poco alla generazione del B.: tra il finire del sec. XV e l'aprirsi del nuovo era attivo a Bologna quel Pio Antonio Bartolini che fece stampare - forse intorno al settembre 1495 - una Correctio locorumlxx.iuris civilis (GKW, 3473. Sul significato dell'opera vedi Maffei, pp. 124 s.; ed ora Abbondanza, pp. 624 s.) e guardò anche lui - di lontano - all'"archetipo" fiorentino come a quello che avrebbe consentito d'eliminare ogni corruttela dal maggiore dei libri legales. Questa filologia bolognese ha suoi caratteri, direttamente finalizzata com'è alla soluzione di problemi esegetici (e per ciò via, essa stessa, alla soluzione dei pratici problemi in cui s'affannano i giuristi): presuppone il nesso di verba e substantia, il risolversi di quelli in questa (cfr. la lettera del B. al Magnifico; l'oratio "Saepenumero" conservata in B. 1417, f. 24v; la prefazione alla Nova reformatio nel ms. B. 1418, f. 25v) e muove dall'esperienza d'un chaos quoddam immensum, prodotto "in iudicando et in consulendo, in legendo et in conferendo [!]" (B. 1417, f. 24v; Sighinolfi, p. 268) delle varie et contrarie comentatorum... sententie: babele, questa, in cui si rivela a sua volta - più che la naturale tendenza umana a dissentire, o l'ansia di mutare consilium... in melius - lo stato deplorevole in cui la tradizione manoscritta e stampata consegna il testo dei iura civilia (lì stesso; e già nel proemio alle Interpretationes novae: cfr. Sighinolfi, p. 200). Nel caso delle Pandette, mette a frutto certe convinzioni, d'acquisto più o meno recente: che i communes codices siano transumpti dalla Pisana (per il B. vedi, ad esempio, le Castigationes a D. 1, 1, 5 in B. 1567, f. 33ra; a D. 1, 12, 1, 13 in B. 1567, f. 44ra), che la Pisana sia il textus verus originalis (Castigationes a D. 1, 12, 1, 13; e cfr. del Poliziano i Miscell., 78 e le Epist., X, 4; XI, 25), che le divergenze dei communes codices dalla Pisana derivino unicamente dai vizi della tradizione manoscritta e stampata (generiche affermazioni nelle dedicatorie; più interessanti alcuni casi particolari: Interpretationes novae, D. 45, 1, 4, 1, f. 104vb; Castigationes latine, const. Omnem, in B. 1415, f. 5v; rubr. D. 1, 1 in B. 1415, f. 10r. E si veda pure in B. 1415, f. 44v, il brano nel quale, discutendo D. 4, 5, 5, il B. lascia scorgere il nesso fra negazione della possibilità d'una litera che sia antiquior rispetto alla Pisana e posizione delle divergenze dei communes libri dalle originales pandecte come corruttele).
Come s'è detto, nell'opera del B. la critica del testo ricevuto si sviluppa all'interno dell'esegesi: è quel che avviene nelle Interpretationesnovae, una raccolta di singularia che mette insieme "ordine satis aperto" anche alcuni dei risultati raggiunti fino allora (1494) dal B. nel campo della critica del testo dei libri legales. Il titolo rappresenta fedelmente il contenuto e la struttura dell'opera: "Interpretationes nove novique intellectus... traditi ad omnes leges et glosas singulares... cum allegationibus consiliorum praestantissimorum Doctorum in omni articulo... contextis: nec non cum pluribus Iuribus ab originalibus ff.orum Pandectis..." (f. 1ra). L'interesse dominante è quello dell'esegeta legato ad una tradizione dottrinale, che pur si vale nei luoghi opportuni delle collazioni già ottenute grazie all'intervento del Magnifico ("Necnon inseruimus iura aliqua que ab originalibus Pandectarum codicibus ab excelso dominio Florentino... habere curavimus..."; "...vere litterature in his legibus quas ex originalibus habere potuimus...": così nel proemio, che si può veder trascritto in Sighinolfi, p. 201; ed ancora, a f. 1ra, il titolo, già riferito, continua: "...per eum etiam diligenti studio ac fideliter habitis..."; e lì stesso, nel discutere un luogo della const. Omnem 2.: "...que iura originalia vera habui ego solerti studio et industria nostra ab excelso Florentino dominio: eaque inserui in hoc opere nostro") e sempre bada a distinguere - anche quando discute la verior litteratura d'un testo - l'utile dal vano (cfr. ad esempio f. 1rb).
Le Interpretationes escono dalla stamperia del Benedetti non prima del marzo 1494 (GKW, 4624. L'intitolazione porta la data del 1º marzo di quell'anno: cfr. f. 1ra. La tabula è stampata dal Ruggeri il 24 marzo 1495). In esse il B. raccoglie singularia del testo e della Glossa tratti da ogni parte del corpus iuris civilis e del corpus iuris canonici ("in toto corpore iuris": così scrive nel proemio: cfr. Sighinolfi, p. 201), proponendo di essi nuova interpretatio. Solo alcune volte emenda il testo ricevuto, valendosi degli apografi della Pisana giunti da Firenze (oltre al brano di f. 1ra in cui discute punti della const. Omnem, cfr. ad esempio la trattazione di D. 1, 16, 12 f. 2r [basta leggere il brano corrispondente delle Castigationes, nel ms. B. 1415, f. 24v, per convincersi del fatto che le due opere sono del tutto differenti]; D. 2, 11, 2 § si quis a f. 2ub; D. 2, 13, 1, 1 a f. 3ra; p. 45, 1, 4, 1 a f. 104v [si confronti con la Nova reformatio di B. 1418, ff. 187v-188v, con la cosiddetta "collazione" di B. 1417, f. 394v e con le Castigationes di B. 1415, ff. 281v-282v]); e spesso discute il significato della Glossa, proponendo anche di essa un nuovo intellectus (così a ff. 3vb, 4ra, 162va, 163vb): il che basta a caratterizzare l'intera opera.
Un secondo volume di Interpretationes novae (GKW, 4625; cfr. anche Serra-Zanetti, p. 88. È propriamente una secunda pars [così il B., a f. 4va]; ma P. F. Girard, che si fonda sul catalogo Pellechet, parla [p. 31 in nota] d'una "seconda edizione") era nella stamperia di Francesco Benedetti già prima dell'agosto 1496. Morto Francesco, i suoi eredi, il giorno 19 ottobre, fecero riprendere il lavoro, che durò fino all'undici maggio del '97 (queste date fornisce Vincenzo Benedetti, tutore degli orfani, nel rendiconto del 1498: in A. Sorbelli, Storia della stampa, p. 50 n. 2).
Quando veniva componendo, o completando, queste secundae Interpretationes (in parte a Bologna, in parte a Ronzano, nel convento di S. Vincenzo: cfr. 1 ff. 4rb, 4va, 7vb, 30vb, 44vb, 45ra. L'opera porta la data del 1º nov. 1495 [nei fogli citati] e vien designata Interpretatio secunda, o secundaeInterpretationes dal B. stesso nei rinvii interni [e primae Interpretationes son chiamate quelle del '94]), il B. perseguiva lo stesso propositum principale di mettere insieme "interpretationes novas novosque intellectus ad omnes leges et canones et glosas singulares et etiam ad omnes leges et glosas notandas in utroque iure" (f. 4va; propositum principale lo qualifica a f. 7vb, nel tornare ad esso dalla castigatio della rubrica D. 1, 3: cfr. anche f. 1ra. Pel significato della voce "singulare", vedi soprattutto quel che scrive il B. nel f. 27va). E se aveva potuto procurarsi per grazia del dominium Florentinum collazioni della Pisana assai più numerose che per le primae Interpretationes (ff. 1va, 3ra, 4rb, 4va; e cfr. ff. 7vb, 9vb), aveva potuto collazionare da sé il manoscritto fiorentino per alcuni brani (v. ff. 12vb, 14ra, 17rb). Fino a D. 2 compreso la struttura di queste secundae Interpretationes, come d'una raccolta di singularia e notabilia, lascia il posto a quella di castigatio del textus communis secondo l'originalis ("maxime" nella const. Omnem e in D. 1, 2, 2); 0 almeno sembra (f. 10rb, 18ra) che l'autore distingua le interpretationes di singularia e di notabilia dalla castigatio di testi che "deviant" dagli originalia (ma vedi, pure, come B. s'esprime a f. 2vb, nel discutere un brano della const. Omnem 1: "...notavi aliqua castigatione digna diversa ab originalibus").
L'opera che forse merita - e certamente richiede - un esame più attento è quella in cui B. venne raccogliendo, fin dalla prima maturità, esclusivamente i frutti delle sue fatiche di studioso - se non proprio critico - del testo giustinianeo: è inedita, se non per la parte variamente utilizzata dal Fradin e dall'Aloandro (cfr. per ora Savigny, VI, p. 371), e si conserva in sei manoscritti, legati dall'autore - insieme con gli altri suoi libri - alla biblioteca dei domenicani e custoditi ora nella Comunale di Bologna: B. 1415-1419 e B. 1567. Né si vorrà trascurare la copia del Digestum novum, stampato a Venezia da Andrea Calabrese il 31 genn. 1489, recante note manoscritte del B. (Bologna, Bibl. Comunale, 16. D. I. 14).
Già L. Sighinolfi s'era accorto (vedi ad esempio p. 242) che i manoscritti della Comunale bolognese non possono dirsi propriamente bene ordinati: soltanto B. 1415, B. 1416 e B. 1419 si rivelano ad una prima scorsa libri unitari; gli altri, fra i quali appunto quelli che il Sighinolfi giudicava i più importanti (ma il giudizio può esser bisognoso di temperamenti), risultano un'accozzaglia di frammenti più o meno lunghi, legati insieme senza criterio (salvo quanto potrà dirsi pel B. 1567). E non è privo di significato per la storia della fortuna del B. il fatto che nessuno, dopo la morte di lui, si curò di dare alle singole parti, di cui i tre manoscritti risultavano composti, quell'ordine che è presupposto d'una consultazione non saltuaria.
Neppure il figlio Bartolomeo sembra addentro negli arcani delle scritture lasciate dal padre: nel 1540 dà a fra' Girolamo dei predicatori i soldi necessari per far rilegare un grosso pacco di scartoffie (vedi la nota in B. 1417, f. 1r, trascritta dal Mancini, pp. 28 s.), ma non si preoccupa di mettervi l'occhio per consigliare o imporre un ordine fra i diversi gruppi di fogli: ne vien fuori un caos (su questo aveva ragione Merkel, in Savigny, VI, p. 363) di cui soltanto l'autopsia dà l'immagine. E non si pensi che lo stato presente del B. 1417 derivi da sconsiderati interventi successivi alla legatura pagata da Bartolomeo: troppo improbabile in queste cose è il passaggio dall'ordine al disordine. Il solo tratto che avvicini fra loro le varie parti del B. 1417 è quello d'essere o gruppi di carte preparatorie o frammenti di lavori superati: nei suoi 435 fogli il codice fa stare insieme squarci del libellus latino con brandelli del greco, con quella che è una semplice "collazione" della Vulgata (in genere) con la Pisana; e raccoglie una grande quantità di carte preparatorie alla "collazione".
Oltre quella che L. Sighinolfi ritenne essere la mano del B., altre scrivono su fogli raccolti nel B. 1417: al f. 187, già ricordato (nel quale il Sighinolfi, pp. 294 s., credette di vedere un autografo del Poliziano. Nella Bibliofilia, pp. 172, 202, il Sighinolfi insiste nell'errore, nonostante il parziale ripensamento che è lì, a p. 188. La stessa mano esegue la collazione dei vocaboli greci attestati dalla Pisana in fogli quali il 187), ai ff. 407-416, 417r, 418 (dove si legge la nota "Contuleram cum Pisana...", che Poliziano scrisse nel suo esemplare del Digestum Vetus. Per l'autografo polizianeo nell'incunabolo appattenente alla Bibl. Mediceo-Laurenziana cfr. Maïer, p. 341; riproduzioni fotografiche in Calasso, tav. IV; e Perosa, tav. II. Per il f. 418 del ms. B. 1417 vedi Sighinolfi, p. 271), p. 419, 420-423.
Un posto a sé, quale fase distinta nel lavoro del B., tiene la Nova reformatio, l'opera conservata nel manoscritto B. 1418 [B. IV. 68], ff. 47r-198v (giunge a f. 111v con la discussione del frammento D. 28, 23 29, 8; il resto della Nova reformatio, completo, è nei fogli che seguono, rilegati in gran disordine non senza intrusione di frammenti d'altre opere). Alla critica del testo ricevuto l'autore muove in essa da un esame di letture discordanti nell'ambito della Vulgata, che rendono il sensus "omnino diversus et penitus contrarius" (cfr. ad esempio B. 1418, f. 62v: D. 4, 6, 33, 1; e già nella prefazione all'opera: B. 1418, f. 59v): aliqui libri vengon talvolta contrapposti ad altri libri (ad esempio, f. 99r) od a "nonnulli transcripti antiqui" (ad esempio, E 188r in margine): segno di quell'atteggiamento di sostanziale adesione al textus receptus, di cui s'è fatto cenno, e della struttura di contrarietates (o appunto discordantiae) che attraversa da cima a fondo l'opera del B. studioso, se non proprio critico, del testo giustinianeo (cfr. poi B. 1417, f. 240r) fino alle Pandectae originales. E muove costantemente dalla conoscenza della Glossa e degli "scribentes post eam", presso cui han preso consistenza quei "sensus omnino diversi et penitus contrari" in cui B. ravvisa senz'altro errores (cfr. B. 1418, f. 62v: D. 4, 6, 33, 1): tratto che accosta la Nova reformatio alle Interpretationes novae. Sulle tenebrae generate dall'incoerenza della tradizione testuale, rispecchiata nelle dissensiones della tradizione esegetica, risplende il "verus textus originalis": il ritorno ad esso scioglie ogni dubbio (v., ad esempio, f. 187r).
Giova insistere su questo, che è un tratto di grande rilievo, caratteristico del lavoro del B. intorno al Digesto: l'adozione del textus originalis è chiesta dall'inconsistenza della communis litteratura e muove da una conoscenza della tradizione testuale che, ben lontana dal fingere in essa un'unità, viene scoprendo l'articolarsi della Vulgata in differenti letture di differenti libri. Nell'economia del lavoro del B. questo ampliarsi della conoscenza della Vulgata si risolve in un approfondirsi delle ragioni d'insoddisfazione dinnanzi al textus communis; anzi dà fondamento a quell'insoddisfazione, ponendo in evidenza la contraddittorietà della Vulgata, e conferisce perciò un peculiare significato al ricorso alle Pandecte originales. Nella stessa direzione, ma in senso contrario, procedeva il Poliziano: in lui la censura della Vulgata nasceva dall'adozione della lettura originalis (Miscell., 78, 82, 93; Epist., X, 4). Nel B. dalla critica della Vulgata, cioè - in concreto - dal rilievo delle inconciliabili (o comunque insostenibili) forme della communis litera, sorge la necessità di ricorrere al textus originalis. Se inteso in questo modo, può accettarsi il giudizio comparativo, oggi divenuto corrente (dopo il lavoro del Sighinolfi), sul Poliziano e sul B. studiosi delle Pandette. E forse si può andar oltre, sempre che si voglia continuare in paragoni, seri tanto quanto servono a migliorare la conoscenza di ciascun termine: se, fra i due, non fu il primo a collazionare per intero la Pisana, il B. fu quello che inserì l'appello alle Pandecte originales nella discussione della Vulgata, passata al vaglio d'un esame quanto più largo e puntuale possibile (non è poi necessario insistere nel sottolineare così la continuità, che lega questo orientamento alla ricerca portata a termine dai glossatori, come le differenze che lo separano da essa).
Questo è poi uno dei sensi in cui l'antica disputa sulla priorità nella collazione integrale della Pisana deve ritenersi ormai improponibile: che la collazione della Pisana di cui il B. si vale nelle sue opere sia stata eseguita da lui o da altri interessa poco o nulla; e poco o nulla interessa sapere se il B. fosse il primo o il secondo nel collazionare la Pisana. Se un primato vuol proprio attribuirsi al B. - e forse un carattere inconfondibile al suo lavoro - questo potrà restargli sicuro: d'una ricognizione alquanto ampia dei testimoni della tradizione volgata, in un tempo in cui il textus communis si presentava consolidato. Ma è cosa che all'Agustin e ai suoi seguaci (fino al Kantorowicz) non interessa affatto.
Rinviando alla repetitio del § Cato, la cui stesura cade negli stessi mesi in cui il B. lavora alla Nova reformatio, questi scriverà nelle Castigationes (B. 1415, f. 282v: D. 45, 1, 4, 1): "...tunc incepi noscere aperte... quod codices communes erant mendosi et vitiati...". Ora, il rilievo delle contrarietates fra libri communes consente di localizzare i guasti patiti dal testo (examinatio, nel senso chiarito dal Maas; ed examinatio può intendersi, in generale, la discussione del testo corrente, che il B. compie in quest'opera), in quanto pone in evidenza una pluralità di forme - una discordantia di litterature - incompatibile coll'unità del testo (cfr. i luoghi già riportati). Da esso appunto l'autore può procedere ad emendatio ope codicis. È appena il caso di notare che se già il tener per degno d'examinatio il testo ricevuto mostra operante un concetto indifferenziato di tradizione (ma si deve pur dire che una discussione così ampia ancora mancava, ed era necessaria), lo stesso ritenere quel testo bisognoso d'examinatio - e sottoporvelo - richiede l'adozione d'un criterio di veritas (consistente nella conformità alle pandecte originales) che la reformatio ristabilirà nel testo corrente; e un testo plurimo non può esser quello vero.
Ma la Nova reformatio resta - sembra certo - allo stadio di progetto, giacché la lettura fiorentina, annunciata con clausole invariate al termine del rapido esame di ciascun brano del testo discusso nella dottrina, non vien mai riferita. Unica eccezione - sembra -, dopo quelle dei brani relativi alla rubrica digestorum (f. 47r) e ad un passo del prohemium digestorum (f. 47v), è quella di D. 45, 1, 4, 1: ma qui la lettura fiorentina è tratta direttamente dalla repetitio del § Cato.
Una datazione di quest'opera non è facile; ma buone ragioni spingono a ritenere che essa venisse composta in un tempo abbastanza breve, che va dai primissimi agli ultimi mesi del 1490 (di fatto, il B. potrà rinviare alla repetitio del § Cato, nel discutere D. 45, 1, 4, 1).
La Nova reformatio rimase tuttavia quella cornice che il B. si era composta lavorando "in studio... solito"; né l'autore curò poi di trascrivere o far trascrivere il testo che ripete (nelle aggiunte, tranne il caso del f. 98v) d'aver visto. Ma se l'opera, nella quale il B. faceva costante rinvio al "textus originalis" in un tempo in cui non era ancora pervenuto al confronto della Vulgata intera con l'intera Pisana, doveva cadere, in effetti però la fase individuata nella Nova reformatio del '90 non venne poi del tutto abbandonata dall'autore nel tempo in cui attendeva ad altri lavori, parzialmente o totalmente diversi nella concezione: le Castigationes e le Pandectae originales. Basti notare che egli corresse nella copia della prefazione (B. 1418, f. 59r) la data 1490 in quella 1507 (la correzione trasse in inganno il Sighinolfi. Vedi i ragionamenti di questo autore a pp. 244 s.; 253, 255; le sue illazioni sulla "divisata stampa" valgon poi quanto quelle del Savigny) e che intervenne in maniera simile almeno in un altro punto dell'opera (f. 188r, citato).
Simili alla Nova reformatio nella struttura sono le Castigationes inter pandectas originales et communes codices. È questo il titolo definitivo dell'opera, composta a Firenze negli anni 1501 e 1502, ma "publice edita" a Bologna nel 1506-1507. Concludendo l'oratio "Saepenumero", il B. ha cura d'assegnarle un nome: "Erit ergo libellus iste novus noster Castigationum nuncupatus... inter originales pandectas et com(m)unes codices transumptos" (B. 1415, f. 3v; aveva scritto "...Discordantiarum", corregge in "...Castigationum"; la correzione passa in B. 1567, ff. 55va, 29va, iva). Col Sighinolfi (p. 266) può ritenersi che il titolo Castigationes sia stato preferito dal B. a quello - più dimesso, di timbro che a taluno sembrerà preumanistico - che designava l'opera nel ms. B. 1415, f. 1r: "Discordantiae inter..." (nel titolo dell'opera, sempre nel ms. B. 1415, l'originario "Discordantiae" è corretto nel titolo definitivo Castigationes; ma nel medesimo f. 1r la "dedicatio operis" conserva il primo titolo. Per un altro esempio di correzione, vedi il f. 147r); il titolo Discordantiae resta in B. 1416, f. 1r (ed a f. 6r l'autore, rinviando all'altro libellus, lo dice "intitulatus discordantiarum, inter communes codices et pandectas originales cum novis ... commentariis") e designa naturalmente quella che si vedrà esser la prima stesura dell'opera (B. 1417, f. 384r). Nelle Pandectae originales (fine del 1506 o inizio del 1507) il B. citerà l'opera chiamandola "libellus noster castigationum nuncupatus" (B. 1418, f. 10v).
Varrebbe la pena di seguire nella ricerca anche questa traccia, tenendo presenti due fatti: l'uso della voce castigatio nel senso di riforma o revisione d'un testo è comune nel Quattrocento avanzato (per questo significato nel B. cfr. un brano della prefazione al libellus greco: B. 1417, f. 240r; B. 1416, f. 15r); nelle intitolazioni (che possono vedersi trascritte dal Sighinolfi), anche quando della correzione materiale osservabile in B. 1415 è persa ogni traccia, il contesto denuncia il mutamento ("castigationes inter...").
Nella struttura le Castigationes portano innanzi l'orientamento cui s'ispirava la Nova reformatio: mentre questa si poneva come raccolta di contrarietates (in genere, discordantiae) fra diversi libri communes,pacatae dalla lezione "originalis", nelle Castigationes vengon messe in luce le dissonantiae fra textus communis e textus originalis: alla lettura di questo ci si attiene, come a quella del testo "verus et ex ornni parte perfectus" (vedi ad esempio B. 1567, E 33vb: D. 1, 1, 10; ed ancora f. 44ra: D. 1, 12, 1, 13). Naturalmente la diversa accentuazione non esclude che vengano pure notate le discordantiae che affliggono la tradizione communis nel suo interno. Il tutto è delucidato da novi commentarii, "breves tamen" (cfr. B. 1416, f. 15r; B. 1417, f. 240r [v. Sighinolfi, pp. 274, 296]. Già nella "Saepenumero": "Nunc autem omnia pacata sunt et consequenter multi novi et singulares intellectus ex hiis comentariis nostris [brevibus equidem] aparent...": B. 1415, f. 3r. Un esempio di questi brevi commenti si veda in B. 1417, f. 384). È bene intendere come si connettano i tre momenti, nei quali si articola quest'opera: se da un lato il lavoro del B. sopra singoli brani del Digesto il cui senso nei libri communes appare depravatus (già solo perché "differens": è ancora la prospettiva assunta nella Nova reformatio; o perché distans da quello del textus originalis: è la prospettiva che distingue le Castigationes) si fa restituzione del verus textus sull'unico fondamento delle Pandecte originales (un esempio istruttivo in B. 1415, f. 11v), resta dall'altro e per la stessa ragione castigatio iuxtaoriginales pandectas del testo ricevuto; e per il nesso fra litteratura e interpretatio (ch'era espresso già chiaramente nella Nova reformatio: B. 1418, f. 146v; ed è sottolineato nel brano citato della "Saepenumero") questa castigatio non può non risolversi in un'esegesi, diversa dalla tradizionale, espressa in novi commentarii che, mentre chiariscono il testo risarcito, rendono a un tempo palese la necessità del restauro (dunque il B. non s'illude che basti un testo indenne, perché sia possibile fare a meno di quella mediazione che è l'interpretatio).
Ci si muove, dunque, ancora nell'ambito d'una emendatio opecodicum, singolarmente qualificata dal fatto che la castigatio del testo corrente è compiuta iuxta originalia ("...originales pandectas, et iuxta eas communes libros emendare", scrive il B. nel castigare D. 45, 1, 4, 1 in B. 1415, f. 282v, rinviando alla repetitio del § Cato): ai communes libri, alcune volte discordanti fra loro, si contrappone immediatamente il textus verus originalis; ma da essi costantemente si prendono le mosse. Questa ben strana maniera di procedere, attingendo l'archetipo senza eliminare le copie (Poliziano lavorava con più lucido rigore, ma non teneva conto di quel che significava pei giuristi la litteratura communis), non è segno unicamente dello scarso acume del B.: discende da quel vigore del testo ricevuto, di cui s'è fatto cenno. Chi abbia presente tutto ciò non stenterà a darsi ragione anche della struttura di discordantiae da cui l'intera opera è afflitta: in realtà, di fronte al vigore della communis litteratura acquista interesse anche una collana di dissonantiae fra textus communis e textus verusoriginalis.
A differenza dalla Nova reformatio, l'opera nasce da un confronto sistematico della Pisana con la Vulgata compiuto a Firenze negli anni 1501 e 1502 (sulla puntualità e sulla completezza della collazione insiste il B. ripetutamente; ma la quantità non si risolve in qualità: il passaggio sarebbe stato un capovolgimento di prospettiva, che avrebbe condotto il B. lontano dal cerchio di questa emendatio iuxtaoriginalia in sé contraddittoria). Furono distinti allora due libelli, dedicati rispettivamente ai verba Latina ed ai Graeca (cfr. pure Sighinolfi, pp. 208 s. Esempi di rinvio coordinante dall'uno all'altro libellus nel ms. B. 1415, ff. 23r., 72v, 279v, 282v; nel B. 1416, f. 72v). È poi forse del 1506 il progetto e l'inizio d'una stesura unitaria delle Castigationes (la revisione, che unificava i due libelli, non sfuggì al Sighinolfi, p. 280. Questo studioso fondava le sue illazioni su una rapida analisi di B. 1567, f. 55).
La distinzione aveva dell'artificioso: di fatto in quella primissima stesura dell'opera che erano le Discordantiae (1501), ora conservate nel B. 1417, l'autore non ne aveva sentito la necessità; e quando la introdusse (probabilmente nel 1502) ne dette una giustificazione che merita d'esser riferita per quel che vale: "...quas ego posui in libello nostro, ubi posui omnia et singula vocabula et verba greca cum eorum vera interpretatione. ...et ideo non pono hic, ne idem per idem repetam et etiam ne inculcemus greca et latina simul, set ut omnia distincta habere possis prout sunt" (B. 1415, f. 17v: Castigationes latine su D. 1, 3, 2. B. 1567, f. 83va è copia di B. 1415, f. 17v e cancella quel finale "prout sunt", che non propriamente rappresentava la realtà; la copia di f. 83va, che è f. 65vb, ha perso le due parole, ma insiste nella distinzione, giustificandola in un'aggiunta con un apodittico "prout decet").
Le Castigationes latine si trovano intere nel ms. B. 1415 [B. IV. 64], esaminato dal Sighinolfi (pp. 266, 271-273 = La Bibliofilia, pp. 174-176, 182-184). L'oratio dedicatoria "Saepenumero", che si legge ai ff. 1v-3v, porta la data di composizione "...in regia civitate florentie Anno domini MDII in Aedibus nostris" (f. 3r); il B. aggiunge che il libellus venne "publice Aeditus in... Bononiensi Gymnasio Anno domini MDVI" sotto il rettorato di Wolfgang Kaltwig (che appunto cadeva nell'anno 1505-1506: cfr. Simeoni, p. 14; e vedi già Sighinolfi, pp. 271 s.) e la signoria di Giovanni II Bentivoglio (e al Bentivoglio è dedicata l'opera in questo manoscritto).
Frammenti di Castigationes latine conserva il ms. B. 1417 [B. IV. 65], sommariamente descritto da L. Sighinolfi (pp. 202, 266-271, 294-299; cfr. La bibliofilia, pp. 176-182, 173 [tav. I: f. 48r], 175 [tav. II: f. 98r], 177 [tav. III: f. 100r], 179 [tav. IV: f. 187r], 181 [tav. V: f. 187v], 185 [tav. VII: f. 29r], 187 [tav. VIII: f. 166r]): sono propriamente squarci di quelle "Discordantiae inter originales Pandectas et comunes codices", cui s'è accennato come ad una primissima stesura unitaria delle Castigationes.
Le Castigationes greche intere sono nel ms. B. 1416 [B. IV. 66], autografo in gran parte secondo L. Sighinolfi (p. 274). Questo autore ha trattato del codice alle pp. 266, 273-275 = La Bibliofilia, pp. 176, 183 [tav. VI: f. 1r], 184-188. Non s'intende cosa voglia dire A. Adversi, quando scrive [p. 624] che il ms. B. 1415 "contiene la prima e la seconda parte del Digesto vecchio"). Nella prefazione, trascritta dal Sighinolfi (pp. 273 s.), l'opera è datata agli anni 1501 e 1502 (f. 15r; il solo anno 1502 è indicato nel f. 14v: già l'osservava il Sighinolfi, p. 273).
Frammenti del libellus greco si leggono nel ms. B. 1417 [B. IV. 65], ai ff. 240rv (dalla prefazione dell'opera al § 5 della const. Omnem), 89rv (const. Omnem, 5-11; i brani si confronteranno con quelli di B. 1416, ff. 16v-17v); 96rv (D. 1, 1, 6-D. 1, 3, 2). 244rv, (D. 1, 3, 2-D. 1, 3, 30), 252rv (D. 1, 3, 30-D. 1, 16, 4, 5), 243rv (D. 1, 16, 4, 5-D. 2, 14, 7). Non sono stati studiati i nessi che eventualmente leghino questi franunenti del libellus greco al testo conservato nel ms. B. 1416; ma sin d'ora può notarsi che la prefazione di f. 240r non dipende da quella che si legge in B. 1416, f. 15r, mentre esistono ragioni per credere che questa seconda dipenda da B. 1417, f. 240r (o meglio da un suo pari: di regola B. 1416, f. 15r ha nel testo le aggiunte che si leggono nei margini di B. 1417, f. 240r [una sola eccezione, tale da richiedere l'esistenza d'un passaggio intermedio o d'un antigrafo non gemello di B. 1417, f. 240r]; e di regola omette le parole cancellate in B. 1417 [una sola eccezione, che sollecita ipotesi analoghe]); lo stesso avviene pel brano in cui è esaminata la const. Omnem,§§ 2,5 (B. 1417, f. 240rv; B. 1416, ff. 1516r); lo stesso ancora pei brani relativi a D. 1, 1, 6 (B. 1417, f. 96r; B. 1416, f. 18r), D. 1, 3, 7, (B. 1417, ff. 96rv, 244r; B. 1416, ff. 18v-19v).
L. Sighinolfi (pp. 296 s.) riteneva le Castigationes greche del ms. B. 1417 già composte prima del 1494, perché il titolo di consigliere del re di Francia è aggiunto in margine nel proemio che si legge a f. 240r. L'argomento, da solo, convince assai poco e si spunta contro i positivi fondamenti della datazione 1501-1502; il Sighinolfi stesso, del resto, non lo usò - e fece bene - per le Castigationes latine del B. 1415, dove al f. 1r nell'oratio "Saepenumero" quel titolo non compare affatto. Di certi silenzi bisogna cercare altre spiegazioni.
Unico testimone dell'incompiuta stesura unitaria delle Castigationes è il ms. B. 1567, già studiato dal Sighinolfi (pp. 276-283 = La Bibliofilia, pp. 188-193). In questo codice si distinguono quattro parti, legate insieme forse non senza criterio: ad un primo esame si rivelano susseguentisi in ordine inverso a quello che loro spetterebbe in un ipotetico stemma. I ff. 1r-26r contengono la parte iniziale delle Castigationes unitarie (1506) fino alla const. Δέδωκεν compresa; nei ff. 29r-48v si legge un più ampio frammento della medesima opera, che dall'inizio del Digesto (omesse la tabula librorum, le const. Deo auctore,Omnem,Tanta- Δέδωκεν) giunge a coprire D. 2, 8, 8, 5; ai ff. 55r-70v una copia delle Castigationes latine (1502-1506), adattate per la stesura unitaria, fino a D. 1, 16, 12; ed ai ff. 75r-188rb ancora le Castigationes latine, in una copia cui mancano la dedica e la solita oratio "Saepenumero": giungono al termine del XXVII libro e portano segni di quella revisione da cui sarebbe risultata la stesura unitaria dell'opera.
Da alcuni saggi appare (di là dagli interventi nei quali si compie il passaggio alla stesura unitaria) che l'attuale quarta parte del manoscritto servì da esemplare alla terza; e che da questa furono tratte due ulteriori copie, la prima e la seconda parte del manoscritto.
Che poi il B. 1567 dovesse "servire alla stampa" è ipotesi bisognosa di fondamenti diversi da quelli che le assegnava il Sighinolfi (p. 283), e non molto concludente. Era ancora l'abbaglio preso dal Merkel e dal Savigny per il B. 1419 (VI, p. 362, dove si argomenta dalla dizione "...editus nuper...", che ha tutt'altro significato), il B. 1415 (VI, p. 364), il B. 1416 (VI, p. 364), il B. 143 (VI, pp. 364 s., dove B. 1418 viene giudicato senz'altro Hauptstück dell'intera impresa [cfr. anche p. 370]. Quest'ultima opinione sembra ripetuta dal Sighinolfi, p. 276, e potrà oggi essere accettata soltanto se la si riferisca alla parte del B. 1418 che reca il frammento di Pandectae originales [e sempre nei limiti entro i quali quest'opera può venir considerata il coronamento dell'attività del B. studioso del testo giustinianeo]).
Mentre veniva rimaneggiando le Castigationes, il B. lavorava pure, negli anni 1506 e 1507, ad un'edizione del solo testo della Pisana: dell'opera è conservato un frammento nel ms. B. 1418 [B. IV. 68], ai ff. 1r-24v. Il titolo doveva essere semplicemente: Pandectae originales. Si legge in B. 1418, f. 1r: "Pandectarum originalium libri quinquaginta nuper editi opera... Ludovici bolognini de bononia" (il Brencmann pensò che questo titolo fosse stato aggiunto dopo la morte dell'autore, ma la congettura già respinta dal Savigny, VI, p. 364 n. g non si può accettare per una ragione che apparirà fra breve. E s'intende come questa sia tutt'altra cosa dal credere, o no, che il ms. fosse "preparato per la stampa", opinione cui aderì per altro il Savigny, VI, p. 364); ed è usato dall'autore nel rinviare a quest'opera dalle Castigationes latine del B. 1567, in brani che son degni di nota non solo perché in essi vengono indicate esattamente le differenze tra le due opere (e coi limiti assegnati ai due libelli si giustifica perciò il rinvio), ma anche perché permettono d'argomentare che le Pandectae originales furono sì concepite nel tempo in cui il B. lavorava alle Castigationes (negli anni 1501-1502, a Firenze), ma soltanto iniziate e certamente non compiute.
Detto che le Pandectae originales volevano essere una fedele trascrizione dei due "codices" fiorentini, si potrebbe ritenere che il B. avesse raggiunto una chiara visione dei problemi del testo giustinianeo: per chi pensava (come i suoi coetanei ed egli stesso) che il manoscritto fiorentino conservasse le "originales pandecte", un'edizione criticamente stabilita del Digesto si riduceva a una riproduzione di quel manoscritto. Ma si resterebbe lontani dall'intendere il lavoro del B. (correndo poi il rischio di parlare di "precorrimenti": mera fabulazione), se non ci si fermasse anche ad osservare il modo in cui l'autore separandoli unisce i due Libelli castigationum e le Pandectae originales.
Se già nella Nova reformatio si poté cogliere una distinzione fra quel che tocca il sensus e ciò che soltanto "pulcrum est scire" (B. 1418, f. 97r), nei brani ricordati il B., sottolineando alla stessa maniera quel che distingue il doppio libellus dalle Pandectae originales, indica insieme il legame che stringe le due opere. Ai brani citati s'aggiunga la nota che precede in B. 1418 (f. 10v) il testo delle const. Omnem e Tanta, per vedere con sufficiente chiarezza il nesso fra Castigationes e Pandectae originales come il B. lo intende; e, nella distinzione fra le due opere, l'unità entro cui vanno comprese: "...et similiter omnes quinquaginta libri digestorum ad unguem per me castigati sunt, prout infra videre potes necnon in libello nostro castigationum nuncupato tam in grecis quam in latinis verbis". Dove l'uso della voce "castigare" - fuor di proposito nel discorrere delle Pandectae originales per quanto portano in sé di nuovo: le Pandectae non "castigant" il testo corrente, semplicemente rendon gli originalia; e in esse la "castigatio" dei vitiata et corrupta è soltanto mediata - e il tirare in ballo il doppio libellus denunciano appunto come il B. si muova ancora dentro l'ambito del vigore della litteratura communis, e ancora veda le sue Pandectae originales in funzione del testo ricevuto: il capovolgimento di prospettiva non s'è compiuto (si ricordi la grottesca inversione di visuale nel brano citato di B. 1567, f. 83rb: "...ea que valde dissonant [nelle Pandette fiorentine] a communibus libris..."), e può accadere che si confondano la castigatio del testo ricevuto e la restituzione dell'originalis (anche se materialmente si tengon distinte le due opere, destinate all'una e all'altra funzione). Del resto, il ragionar per esclusione nel segnare le differenze tra libelli castigationum e Pandectae originales, sottolineando il fatto che queste integrano quelli, palesa come il B. non percepisca il salto di qualità che una pura trascrizione della Pisana implica, o dovrebbe implicare, in quanto ritorno al manoscritto originale e positiva esclusione dei libri communes dal momento della costituzione del testo.
Le Pandectae originales restano dunque comprese nel cerchio di quell'operazione di castigatio che è concepibile soltanto nel vigore del testo ricevuto (e si è già osservato che B. progettò insieme le Castigationes e i Codices noviter editi): tanto quanto costituiscono un progresso - non lo si negherà -, rendono visibile la contraddizione che appesantisce il lavoro del Bolognini.
Precedono le Pandectae originales nel ms. B. 1418, al f. 1v una copia del breve di Giulio II "circa impressionem huius operis pandectarum", datato da Bologna al 30 dic. 1506; al f. 2r l'epigramma greco premesso nella Pisana al Digesto (spazio bianco pel testo greco, poi interpretatio latina dell'epigramma); ai ff. 2v-3r l'oratio "Saepenumero" rivolta a Giulio II con la data 1507 (f. 3r: "...Datum bononie Anno domini MDVIL die", e la riga s'interrompe): l'oratio è quella scritta dal B. per le Castigationes, mutata solo nella parte finale; a f. 3v una replica di quella copia Annalium Pisanorum di cui discussero il Tanucci e il Grandi (l'apografo di B. 1418, f. 3v, potrebbe discendere da quello che è nei margini di B. 1567, ff. 29v-30r, ma presenta qualche traccia di ripulitura che rende poco facile il discorrere d'una dipendenza diretta). Ai ff. 4r-10r è la "tabula librorum editorum per... iureconsultos antiquos a quibus leges... ortum habuere..."; quindi ai ff. 10v-12v il testo della const. Deo auctore, ai ff. 13r-16r quello della const. Omnem, seguito dal testo della const. Tanta nei ff. 16r-21v. Comincia poi il testo delle Pandette: D. 1, 1 nei ff. 22r-23v; D. 1, 2 nel f. 23v (mutilo sulla parola "populus" di D. 1, 2, 2, 3); si passa immediatamente, col f. 24r, al titolo D. 1, 3, che s'interrompe a f. 24v dopo D. 1, 3, 11 (a f. 24r resta bianco lo spazio destinato ai due brani greci di D. 1, 3, 2).
Le Pandectae originales conservate in B. 1418 son dunque mutile e frammentarie: il Savigny (II, p. 365) ne arguiva che l'opera era stata appena cominciata nel 1507 (cfr. VI, p. 370; da qui rinvia a pp. 366 s., mostrando per altro di non distinguere le Pandectaeoriginales dalla Nova reformatio: a p. 367 - per esempio - ripete dal Merkel che la "Haec est nova..." è prefazione all'"intera opera"). In accordo con la lettura della data del breve pontificio proposta da L. Sighinolfi, si potrà credere che il B. già sul finire del 1506 stesse lavorando a quest'opera.
Dopo le argomentazioni dell'Agustin sull'edizione Aloandro - che, se non sviluppavano suggerimenti dell'Alciato, convergevano con le osservazioni riassunte da questo nella lettera del 31 ag. 1529 a Bonifacio Amerbach (Hartmann, n. 1374, III, p. 422; Barni, p. 97) ricordata da R. Stintzing (Ulrich Zasius, Basel 1857, p. 293 n. 1; e quindi Gesch., p. 182. Cfr. poi Barni, Note, p. 61; e Wieacker, p. 81 n. 7. [Non sembra facile accordare con quell'affermazione dell'Alciato il giudizio dell'Agustin sul suo maestro]. Si tenga presente la lettera di Bonifacio a G. Gobier, da Basilea il 1º sett. 1532: Hartmann, n. 1680, IV, p. 162), non s'è fatto ancora uno studio di quell'edizione, né della Fradin, per vedere da quale delle opere del B. propriamente dipendano: dalle Pandectae originales, o piuttosto dalle Castigationes; o se utilizzino più semplicemente quegli esemplari di collazione cui s'accennerà fra breve. Si ricorra intanto a Savigny, VI, p. 371 (De Zulueta, p. 44, ripete il giudizio del Savigny capovolgendolo, e sfiora il limite del semplicismo).
Si può dunque riassumere. Il lavoro del B. sulle Pandette, un testo di tradizione manoscritta singolarmente privilegiata, si svolge per gradi: dapprima le investe in ogni punto il cui senso nella forma volgata si palesi non convincente, per concludersi con un costante appello all'"archetipo" (Nova reformatio); poi le vaglia nella loro interezza, indipendentemente dalla maggiore o minore consistenza e coerenza delle corruttele introdotte nel testo dalla tradizione (Castigationes). Da ultimo, si riduce l'ambito della ricerca - e questa raggiunge il suo culmine -, per procedere alla costituzione del testo direttamente sull'unica base del manoscritto fiorentino (Pandectae originales). A chi voglia mettere in rilievo le accentuazioni che variamente caratterizzano i lavori del B. non sfuggirà l'osservazione che le diverse opere si dispongono in una sequenza abbastanza ragionevole (che non coincide necessariamente con una successione di fasi, distinta nel tempo): la Nova reformatio pone il problema del testo dall'interno della Vulgata e mostra come l'incoerenza di questa postuli in vari punti il ricorso ad un'altra tradizione (se tradizione può qualificarsi la testimonianza della Pisana, che per il B. e pei suoi coetanei è "textus originalis"); le Castigationes sono una ricognizione esauriente delle divergenze della Vulgata dalla Pisana e mettono in chiaro la necessità d'abbandonare i libri communes per l'originalis, dovunque differiscano quelli da questo in guisa tale che il sensus e la substantia ne risultino viziati; le Pandectae originales lasciano finalmente da parte la Vulgata e vogliono essere una fedele trascrizione dell'intero textus originalis, indipendentemente dal maggiore o minor rilievo pratico delle corruttele che nella tradizione hanno deturpato il testo.
Il Liber Authenticorum Graecus è nel ms. B. 1419 [B. IV. 67], apografo del laurenziano (Plut. LXXX. 4) eseguito per il B. dal Fortiguerri (a parere di L. Sighinolfi, p. 291. Il Maïer, riferito da W. Kroll, p. XI, credette di scorgervi la mano dell'Ambrogini. La più recente discussione sui primi tre fogli di questo ms. è ripresa da I. Maïer, pp. 425 s., che esclude anche per l'oratio dedicatoria qualsiasi intervento del Poliziano e rinvia alle pagine del Sighinolfi). Il ms. B. 1419, sul quale Aloandro fondò la sua edizione delle Novelle (per tutti, cfr. Kroll, p. XIII), è ricordato anche dall'Agustin (Emend. II, 9: ediz. citata, p. 113; vedi De Zulueta, p. 44) e dal Diplovataccio (ediz. Kantorowicz-Schulz, p. 356).
Non essendo stato possibile vedere il ms., né una riproduzione integrale di esso, bisogna rinviare agli autori che ne hanno trattato dopo il Biener (pp. 562 s.), il Savigny (III, p. 46 n. b. [la trad. Bollati I, p. 492 n. b. è incomprensibile]; VI, p. 362) e W. Kroll (pp. XIII, XV): L. Frati (p. 126), P. F. Girard (p. 31 e n. 1), L. Sighinolfi (pp. 288-292, 293 = La Bibliofilia, pp. 198-202, 184, 186 [dove aggiunge nuovi dati e rivendica a questo codice un foglio del B. 1416], 195 [tav. IX: f. 3r], 197 [tav. X], 199 [tav. XI: f. 97r]). In particolare, per la collaborazione del Fortiguerri col B. in quest'opera, si rinvia alle considerazioni del Sighinolfi (che pure andranno vagliate attentamente).
La Comunale di Bologna conserva una copia del Digestum novum stampato a Venezia il 31 genn. 1489 (Hain 9589; GKW, 7712. Ha la segnatura: 16. D. I. 14), recante note del Bolognini. Su essa vedi L. Frati, p. 127; L. Sighinolfi, pp. 240, 285-287 (la nota scritta sul foglio di guardia può vedersi in Sighinolfi, p. 286; e già in Bandini, p. LXXVII, che sembra poi confondere questa stampa col ms. B. 1567 e col B. 1418; Frati, p. 127. Quella del f. 285v in Bandini, p. XXIII n. 2, e poi in Frati, p. 127 [in Kantorowicz, p. 162, con un errore di stampa]). Qualche buona ragione fa ritenere che la nota sul foglio di guardia sia stata scritta dal B. prima degli anni 1506-1507 e che l'esemplare sia stato utilizzato per collazionare la Pisana appunto negli anni 1501 e 1502 (come di fatto asserisce il medesimo B. nella nota).
Un esemplare d'una stampa del volumen privo di note tipografiche esiste nella stessa biblioteca: lo segnalava L. Frati (p. 127; ad esso accenna ora A. Adversi, p. 624. Il Sighinolfi non riuscì a vederlo [cfr. p. 275]).
Il codice Lat. 897 della Bibl. Univ. di Bologna non contiene Statuta universitatismercatorum campsorumartificumque civitatisBononiae "compilati e illustrati dal nostro Lodovico" (Mazzuchelli, p. 1500; e poi Fantuzzi, p. 270. Così ancora Frati, Indice, p. 386; e da ultimo Adversi, p. 623), ma una lunga ed elaborata allegatio del B. sulla validitas e firmitas degli statuti dell'universitasmercatorum, stesa nel 1482 durante il semestre in cui il B. fu presidens pro iurereddendo (o prefectus, o iudex) di quell'universitas (il 7 marzo 1482 l'opusculum era già finito: così il B., a p. 1. A. Adversi. p. 623, dice il codice "composto nel 1482").
Si rinvia a quel che s'è detto in un primo, sommario esame di quest'opera; ma si vuole avvertire che il lavoretto del B. meriterebbe ben altra attenzione.
Lavoro in cui s'incontrano stimoli e interessi molteplici, emblematico, d'una situazione della scienza giuridica bolognese che non sapresti a quale età assegnare - e si presterebbe a parecchie interpretazioni -, è quello che il B. dedicò al Privilegium Theodosii pro universitateBononiae concessum (GKW, 4626; Hain, 3438). La stampa, opera del Benedetti, giunse a termine il 15 luglio 1491: comprende, oltre al testo della falsa extravagans constitutio e al commento, curati dal B., una Tabula seu repertorium, compilata da Angelo Uggeri suo scolaro, finita di stampare il giorno 20. Alcune pagine ha dedicato ad un esame di brani di quest'opera il Sighinolfi (pp. 255-258), con valutazioni cui non sempre si può aderire.
Dal Mazzatinti fu segnalato un ms. di Gubbio contenente una raccolta di consilia del B. (nell'archivio di casa Beni); il Sighinolfi trovò la minuta autografa d'un consilium nel ms. bolognese B. 1417, ff. 212v-213r.
Anche dei suoi Consilia l'autore curò la stampa a Bologna (GKW, 4622; Hain, 3457, a parere dei redattori del GKW, è una replica veneziana eseguita intorno al 1504) e la fece precedere da una lettera dedicatoria a Luigi XII, datata al 15 ott. 1499. A. Adversi ha elencato, dopo la veneziana del 1504, altre cinque edizioni (due lionesi nel 1556, una delle quali mette insieme questi consilia del B. a quelli di Benedetto Capra; una veneziana nel 1576: ancora consilia di B. Capra e del B.; un'altra lionese nel 1597 ed una francofortense nel medesimo anno).
Una parte non piccola delle sue fatiche il B. spese nel curare la stampa di opere canonistiche e civilistiche altrui: di suoi maestri - ad esempio -, quali il Tartagni e il Barbazza; di classici autori di diritto comune, quali Giovanni di Dio, Guido da Suzzara (vero o no).
Segni dell'attività editoriale del B. sono quelle tabulae che servivano - com'era naturale - "ad facile reperiendum omnia et singula contenta" (così un allievo del B. nel vantare la tabula preparata per una repetitio del maestro: GKW, 4633; Hain, 3449), quei repertoria che adempiendo pure a tale umilissima funzione consentivano per ciò stesso di far circolare un pensiero fra pratici non usi a letture disinteressate, quelle additiones che coinvolgevano il professore-editore nella continuità d'una tradizione dottrinale cui appartiene. Un elenco di opere altrui curate per la stampa dal B. si può vedere nelle pp. 617, 620-622 di A. Adversi (e cfr. naturalmente Schulte, II, p. 347. S'intendono conosciuti gli elenchi che vennero compilati dai dotti italiani del Settecento). C. Piana (Nuove ricerche, p. 295 n. 7) dà notizia del contratto stipulato il 28 marzo 1481 dal B. con Enrico da Colonia per la stampa della "tabula consiliorum d. Alexandri de Imola".
Le additiones al trattato di C. Boncompagni De translatione sacriConcili Basileaead civitatemFerrariae furono composte a Bologna nel 1488: si conservano nel ms. p. 253 sup. della Biblioteca Ambrosiana (segnalato dal Kristeller, p. 307), ai ff. 224v-229r. Furono stampate in una raccolta bolognese del 1489 (cfr. Adversi, p. 621; vedi pure pp. 621 s., 629) e possono vedersi anche nei Tractatus universi iuris, XIII, 1 (ediz. veneziana del 1584) con l'opera del Boncompagni (occupano i ff. 23va-24rb).
Allo stesso giro d'anni appartengono le aggiunte al Tractatus detormentis, opera che il B. stesso attribuì a Guido da Suzzara (Fiorelli, I, p. 143 n. 50): anch'esse comparvero in quel volume che fu stampato a Bologna nel 1489. Ma ciascuna di queste opere del B., integrativa d'opere altrui, meriterebbe particolari ricerche.
Bisogna pur registrare due opere autonome di contenuto canonistico. Il Syllogianthon, stampato a Bologna dal Ruggeri una prima volta nel 1486 (il 10 gennaio: GKW, 4637; Hain, 3439) e una seconda nel 1496 (23 settembre: GKW, 4638; Hain, 3440), vuol essere una collectio florum (f. 2vb) del Decreto grazianeo, cioè una raccolta di "omnia que... notatu digna... visa fuere tam in textu quam in glosis..." con "additionibus insuper et suppletionibus novis, satis... op(p)ortunis et necessariis" tratte dal Vecchio e dal Nuovo Testamento "pro confirmatione et intellectu... et etiam pro nova quadam concordia et armonia" (f. 2rb). Doveva risultarne, secondo l'autore, una "consonantia totius testamenti veteris et novi cum omnibus scriptis in hoc... decretorum volumine" (f. 2vb). L'autore dice d'aver composto il Syllogianthon quand'era "iura civilia de mane legens... primo anno Mcccclxxii. Quo anno ea iura ordinarie legere cepit in... Bononie studio" (f. 2ra). La data concorda con quella che si legge alla fine della tabula (f. 150rb) e con la testimonianza dei rotuli bolognesi.
Il trattato De indulgentiis uscì dai torchi del Benedetti non prima del 1489, ma era forse già composto nel 1476 - se ragiona bene l'Adversi.
Nelle additiones al trattato di C. Boncompagni, ricordate poco fa, il B. rinvia ad un proprio "libellus" de praestantia cardinalium (che sembra sfuggito ai dotti. Era stato composto prima del 1488).
Basti ricordare infine alcuni componimenti latini, frutto metrico della legazione in Francia: De quattuor singularibusin Galiarepertis (Adversi, p. 620, fa di tre stampe diverse tre opere distinte).
L'Antiquaeet novaememoranda historia legis, stampata a Bologna nel 1490, su cui indugiò L. Frati (p. 131. Registrata in Copinger, al n. 1125, è poi ricordata da Adversi, pp. 619, 635), non è opera del B.: è il compendio biblico di Pietro da Rosenheim, di cui il B. curò la stampa.
Chi aveva concepito qualche speranza nel veder segnalata da P. Sella una sigla "lud. bolog." nel ms. Vat. Lat. 5401, f. 14v s'è ridotto a constatare che il nome di questo giurista vi ricorre soltanto per una citazione da un suo "cons. 59".
Non "opere giuridiche di Ludovico B.", ma il commentario del Pontano alla prima parte dell'Infortiatum e un ampio squarcio di quello alla prima parte del Digestum vetus conserva il ms. 370 della Capitolare di Lucca, segnalato da P. O. Kristeller (p. 254) sulla scorta del catalogo settecentesco di B. Baronio.
Fonti e Bibl.: I rotuli... dello studio di Bologna, a cura di U. Dallari, I, Bologna 1888, pp. 80, 83, 85, 89, 109, 111, 114, 117, 120, 123, 1261 139, 142, 146, 149, 152, 193, 196; G. Pardi, Titoli dottorali conferiti nello Studio di Ferrara…, Lucca 1901, pp. 52 s., 58 s., 62 s., 64 s.; A. Politiani et aliorum virorum illustrium Epistolae, XI, ep. 25, Basileae 1522, pp. 439 s. (la stessa può vedersi negli Opera, Basilea 1553, pp. 162 s.); Arch. di Stato di Firenze, Arch. Mediceo av. il Principato. Inventario, II, Roma 1955, p. 430 (filza XLI, n. 432: lettera del B. al Magnifico del 5 genn. 1490; n. 522: lettera del 9 genn. 1490); IV, ibid. 1963, pp. 230 (filza CXXVII, cc. 58-62: sentenza dell'11 marzo 1503), 281 (filza CXXXVI 1, n. 143: lettera d'un "Ludovicus Boll. ad anonimo"); L. Frati, Uno zibaldone di P. Crinito, in Arch. stor. ital., LXXI (1913), I, pp. 374 s. (che va corretto sulla scorta di C. Di Pierro, Zibaldoni autografi di A. Poliziano..., in Giorn. stor. della lett. ital., LV (1910), pp. 12 s.; ed ora di I. Maïer, Manuscrits, cit. qui sotto, pp. 211, 213); G. Pesenti, Diario odeporico-bibliografico ined. di A. Poliziano, in Mem. del R. Ist. lombardo di scienze e lettere, classe di lett., scienze morali e stor., s. 3, XIV (1916), 8, pp. 230 s.; C. Malagola, Statuti delle università e dei collegi dello Studio bolognese, Bologna 1888, pp. 415 s.; Die Amerbachkorrespondenz, a cura di A. Hartmann, II, Basel 1943, pp. 143, 144 n. 8, 528; III, ibid. 1947, p. 442; IV, ibid. 1953, p. 162; G. L. Barni, Le lettere di A. Alciato giureconsulto, Firenze 1953, p. 97; B. Zambotti, Diario ferrarese dall'anno 1476 sino al 1504, in Rer. Italic. Script., 2 ediz., XXIV, 7, a cura di G. Paridi, p. 58; Pesaro, Bibl. Oliveriana, ms. 203: Th. Diplovatacci Opus de praestantia doctorum, f. 88v (biografia del B.); per la parte edita (Th. Diplovatius, De claris iurisconsultis, I, Berlin-Leipzig 1919) da H. Kantorowicz e F. Schulz, cfr. le pp. 329, 335 s., 356 (e nell'ediz. a cura di G. Pescatore, I, Berlin 1890, pp. 47, XII [Kantorowicz-Schulz, p. 335 s.], XLIV [Kantorowicz-Schulz, p. 356]); A. Augustini Emendationes etopiniones, lib. II, capp. 4, 9; lib. III, capp. 1, 3; lib. IV, capp. 14, 16, Venetiis 1543, pp. 91, 113, 131, 140, 147, 151 s., 226 s., 235 s.; Id., Ad Modestinum... liber singularis, ibid., pp. 278-84; Id., Epistolae Latinae et Italicae, Parmae, 1804, pp. 13 s. (lib. I, ep. VII), 103 s. (lib. 1, ep. XLVIII); I. B. Zileti Index librorum iuris pontificii, et civilis..., Venetiis 1566, ff. 4r, 8r, 11r, 15r, 16v, 19r, 22r, 22v, 23r, 39v, 40r, 44r, 47r, 51v, 52v, 57v; T. Fendt, Monumenta clarorum... virorum, Francofurti ad Moequm 1589, n. 58; G. Panziroli De claris legum interpretibus, Lipsiae 1721, pp. 150, 210, 217, 232 s.; C. Ghirardacci, Della historia di Bologna parte terza, in Rerum Italicarum Script., 2 ed., XXXIII, 1, a cura di A. 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