BONITO, Ludovico
Nacque ad Agrigento, intorno alla metà del sec. XIV, da nobile famiglia amalfitana trasferitasi in Sicilia alla fine del sec. XIII. Non è noto dove compisse gli studi che, secondo l'affermazione del Boglino (p. 17), concluse con il conseguimento della laurea in ambedue le leggi.
Legatissimo a Manfredi III Chiaromonte, uno dei quattro vicari dell'isola di Sicilia durante la minorità della regina Maria, che con Palermo, Trapani e Agrigento controllava buona parte della Sicilia occidentale, fu eletto dal capitolo di Palermo, tra il 1385 e il 1386, comunque prima del 28 marzo 1386, arcivescovo di quella diocesi, dopo che il predecessore fra' Nicola da Agrigento, inviso al Chiaromonte, ne era stato allontanato con la forza. Urbano VI, arrendendosi al fatto compiuto, il 1º giugno 1387 conferì al B. il pallio arcivescovile.
Assurto così a una delle più alte dignità ecclesiastiche della Sicilia, il B. dovette avere una parte di grande importanza negli anni tumultuosi che precedettero lo sbarco dei Martini, anche se di questa sua attività politica sono noti solo pochi particolari. Certo è che assicurò l'appoggio più deciso alla politica dei Chiaromonte - sia di Manfredi sia, dopo la morte di questo (1390), del figlio Andrea - la quale mirava a mantenere il potere monarchico in balia del baronaggio e quindi a impedire l'annessione dell'isola all'Aragona. L'atteggiamento antiaragonese del B. era favorito dalla lotta antiscismatica, dato che Giovanni I d'Aragona, sin dal momento del suo avvento al trono nel 1387, si era schierato dalla parte dell'antipapa Clemente VII.
Il 10 nov. 1388 il B. convocò in Palermo un concilio provinciale, al quale intervennero i vescovi suffraganei di Agrigento, Mazzara e Malta. I ventidue capitoli emanati nel corso del sinodo "cum consensu et assensu Sacrae Regiae Maiestatis" (pubblicati per l'ultima volta da A. Gallo in Codice ecclesiastico sicolo, Palermo 1845, I, pp. 155-160, insieme con i sei capitoli emanati dal concilio provinciale palermitano, del 1373 e ora riconfermati) promuovevano la riforma della disciplina ecclesiastica senza tralasciare gli aspetti beneficiali e patrimoniali. Anche successivamente furono ritenuti in grande considerazione tanto da essere inclusi (1492) dallo Speciale nella raccolta delle costituzioni del Regno di Sicilia.
Nell'estate del 1391, in vista dell'imminente sbarco dei Martini in Sicilia, Bonifacio IX mandò in Sicilia il nunzio Niccolò di Sommariva con il compito di fomentare la resistenza antiaragonese. A questo scopo aveva incarico di promuovere una lega tra il B., l'arcivescovo di Monreale (il romano fra' Paolo de' Lapi) e i quattro vicari, ai quali peraltro fu prospettata la possibilità di una divisione definitiva dell'isola in quattro vicariati, dato che la regina Maria doveva considerarsi deposta perché sposata a uno scismatico.
Ma quando nel marzo del 1392 sbarcarono nell'isola il duca Martino di Montblanc: con il figlio Martino e la nuora Maria, l'unione tra l'alto clero e i baroni si andò presto sbriciolando sotto la pressione e l'abilità diplomatica dell'Aragonese. Solo Palermo, presidiata da Andrea Chiaromonte e dal B., si rifiutò ostinatamente di aprire le porte alla regina. Dopo un mese di assedio il Chiaromonte si decise (maggio 1392) ad affidare al B. le trattative con il duca, ma quando queste sembravano approdare a buon fine, egli fu arrestato e giustiziato, il 1º giugno, sotto accusa di lesa maestà. Al B. stesso fu tolto l'arcivescovato di Palermo, che Martino il Vecchio affidò successivamente a un catalano, Alberto di Villamarin.
Il successivo riavvicinamento del duca a Bonifacio IX non valse tuttavia al B. la restituzione della sua diocesi, né pare che egli abbia avuto una qualsiasi parte nella rivolta antiaragonese di Palermo scoppiata nel 1393 sotto la guida di Enrico Chiaromonte. Sembra anche priva di fondamento l'affermazione del Pirro, secondo cui il B. era ritornato momentaneamente a Palermo per trattare la restituzione alla Chiesa dei beni confiscati in Sicilia da Martino. Nel 1395 rinunziò alla sede palermitana e nello stesso anno Bonifacio IX lo nominò prima arcivescovo di Antivari e, pochi mesi dopo, di Tessalonica. Non sappiamo dove il B. si sia trattenuto in tutti quegli anni, ma è molto probabile che abbia trovato rifugio alla corte di Bonifacio IX. Questi nel 1399, alla morte di Branchino Besoccio vescovo di Bergamo, avvenuta nel giugno di quell'anno, lo trasferì a questa sede e un anno dopo, il 14 nov. 1400, a Pisa.
Il B. nella primavera del 1401 si recò a Pisa per ricevere il giuramento di fedeltà dal clero e dai vassalli della Chiesa pisana, e sembra aver risieduto anche in seguito nella sua diocesi. Ma la conquista fiorentina di Pisa ai primi di ottobre del 1406 mise fine anche al suo vescovato. L'11 ott. 1406 i Dieci incaricarono il loro ambasciatore a Roma Rinaldo degli Albizzi di premere su Innocenzo VII perché sostituisse il B. con un fiorentino. Il 3 nov. 1406 Alemanno Adimari fu così nominato arcivescovo di Pisa, mentre al B. il 29 luglio 1407 fu assegnata da Gregorio XII la sede di Taranto.
Lo stesso Gregorio XII lo nominò, in occasione della seconda promozione cardinalizia avvenuta a Siena il 18 sett. 1408, cardinale con il titolo di S. Maria in Trastevere. Fedelissimo al papa, anche dopo la sua deposizione ad opera del concilio di Pisa (giugno 1409), ne condivise le sorti fino alla morte: lo seguì nello stesso 1409 in Friuli, dove Gregorio aveva indetto un concilio a Cividale, e, dopo la sua fuga da quella città, a Gaeta e quindi nel 1412, a Rimini.
Morì in questa città, il 13 sett. 1413, e vi fu sepolto in S. Francesco.
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